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HARVARD COLLEGE
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HARVARD
UNIVERSITY 1
LIBRARY
JAN 24 1967
PROPRIETÀ LETTERÀRIA
Stabilimenti Riuniti d'Arti Grafiche — Milano, C. Magenta, 48.
INTRODUZIONE
h
H Monti in Romagna e a Roma.
In una casa campestre a un miglio dalle Altbrisine, presso Fu-
>ignano di Romagna (1), nasceva il 14 febbraio 1754 da modesta
famiglia Vincenzo Monti. Fatti i primi studi a Fusignano e
poi nel seminario di Faenza, ove incominciò ad ammirare i
classici latini, si ascrisse alla facoltà di giurisprudenza a Fer-
rara. Ma coll'anima calda di poesia e colla mente ricca di
tutto lo splendore di cui la classica letteratura in quei primi
studi l'aveva illuminata, non potè mai piegarsi, com'era ne-
cessario, agli studi legali, sicché non ne ottenne la laurea.
Non dispregevoli saggi della sua vocazione alla poesia diede
Èn dalla sua prima adolescenza, seguendo, com'era naturale in
quell'età, la terza maniera d'Arcadia, armoniosa e sonora, ma
gonfia e vacua, di cui era allora il corifeo Carlo Innocenzo
Frugoni. Studiava intanto con crescente amore la Bibbia, i
classici nostri, di cui predilesse sopra tutti Dante e l'Ariosto,
gli scrittori latini e i più grandi delle letterature straniere
moderne, specialmente lo Shakespeare e il Goethe; e di tutti
questi conservava nella tenace memoria le bellezze, in modo
che ne* suoi versi si sente sempre rinnovellato, in forma che
par quasi originale, ciò che di meglio si ammira nei poeti che
l'hanno preceduto.
Ma già un po' più di vigoria e di castigatezza ai suoi versi
veniva attingendo a Ferrara, dietro le orme di Onofrio Minzoni
e di Alfonso Varano, e nel 1776 dava quello ch'è certo il miglior
saggio della sua prima promettente giovinezza nella Visione
d'Ezechiello in lode dell'abate G-iannotti predicatore, ove, ispi-
randosi a quel genere fantastico, biblico, delle Visioni del Va-
rano, mostra già di aver ali sì forti da poter salire più in
fl) P. Gasparoni, Della vera patria di V. Monti, Roma, Menicanti,
1853.
Monti. — Poesie, i
VI INTRODUZIONE.
alto del poeta ferrarese. E a più alto volo bramava di spiegar
le ali: aveva sì composto già qualche poesiòla, qualche ana-
creontica, qualche elegia amorosa, e non poca lode gli aveva
procurata la Visione d' Ezechiello, ma l'amor della gloria che
ebbe sempre potentissimo gli faceva agognare più vasti orizr
zonti. Mal soffriva di rimanere oscuro a Fusignano o a Maianc
e, come il Leopardi giovinetto al di là de' suoi monti nativi
sognava la gloria, insofferente di sentirsi costretto nell'angu-
sta cerchia della sua umile patria, il Monti fissava cupido lo
sguardo su Roma, la città che nella sua vita avventurosa e
gaia tante speranze e cupidigie destava nell'animo del gio-
vine abate (1). Affrettava col pensiero il sorger di quell'alba
fortunata che
la gran partenza illuminar dovea.
E quest'alba tanto agognata spuntò promettitrice di lieto av-
venire il 16 maggio 1778, quando fu invitato a trasferirsi a
Roma dal cardinale legato Scipione Borghese.
Se la grande capitale del cristianesimo fu in ogni tempo
ricca di lusinghe e di ridenti speranze ad artisti e a letterati,
allora soprattutto era larga di tutte le sue attrattive, perchè
sedeva sul trono pontifìcio un uomo che ambiva emulare nella
protezione delle arti e delle lettere i fortunati secoli di Augusto
e di Leone X. Il Monti entrava nell'eterna città proprio quando
questa faceva rivivere, purtropp > per poco tempo, un eco di
quegli anni felici. E per gli uomini di chiesa e per i letterati
specialmente un vero Eden era la Roma di Pio VI (2). 11 Monti,
giovine abate, bello della persona, di maniere gentili, coll'a-
nima d'artista, elegante poeta già preceduto da qualche lama,
riuniva in sé tutte le qualità per essere bene accetto e ap-
prezzato nella città che l'ospitava. Infatti lietamente lo accol-
sero le accademie romane , ove colla fecondità che non gli
venne mai meno poetò instancabile per nozze, per promozioni,
per feste, ed entrò riverito e stimato nei salotti della più ele-
gante aristocrazia romana. Intanto nel 1779 faceva stampare a
Livorno un Saggio di poesie, ove ad ogni passo si sente il
giovine bramoso di gloria, caldo ancora dell'ammirazione in
lui suscitata dalla lettura di Omero, di Virgilio e degli altri
(1) Perché non si cada in errore, si noti che allora si dava il titolo
di abate anche a chi non era chierico : con questo titolo si distinguevano
in segno d' onore le persone di studio. Nella seconda metà del 700 le-
gisti, dottori, scrittori ed anche alcuni stranieri portavano l'abito corto,
e si facevano dare il titolo di abati.
(2) Minuta descrizione della vita gioconda eli Roma in queir età si
può vedere in L. Vicchi, Vincenzo Monti, le lettere e la politica in
Italia dal 1750 al 1830, Faenza-Roma, 1879-87, I, 24 e sgg.
IL MONTI IN ROMAGNA E A ROMA. VII
poeti classici , innamorato della poesia biblica , e , come ab-
biamo già veduto, fin d'allora studioso ammiratore dei grandi
poeti stranieri, il Klopstock, il Milton e lo Shakespeare.
In quello stesso anno mostrava come desiderasse e sapesse
liberarsi dalla vacuità dell'Arcadia colla bella odo la P)*oso-
popea di Pericle, recitata nel Bosco Parrasio, quando vi si
celebrarono i voti quinquennali di Pio VI. E il suo disgusto
di quella poesia vacua, gonfia, ricca d'ani polle e di parole, com
manifestava il giovine poeta all'amico marchese E. Albergati
di Bologna: « Intanto starò aspettando che una età più ma-
tura mi somministri, con l'aiuto della riflessione, vigore abba-
stanza da rompere le corna a qualche vamlilo di Parnaso », (1)
e al Bertola scriveva: « Io sono lontanissimo dal credermi
capace di ristorare l'avvilita poesia d'oggidì . . .; ma pure, quando
si trattasse di liberare la povera repubblica di Apollo dall'al-
trui tirannia, io sarei dei primi ad impugnare le armi. Ba-
sterebbe il trovar qua e là qualche Cassio e qualche Bruto, e,
poi gridar libertà. Se voi vi mentite disposto ad una congiura
io son pronto » (2). Che s:irc*so egli ben impugnare le armi
per sollevare dall' abbiezione l'italiana poesia, lo mostrò con
quel mirabile carme in terrine, la Bellezza dell' Universo, che
nel 1781 recitava nell'Accademia d'Arcadia per le nozze del
nipote del papa, il duca don Luigi Braschi Onesti, con la con-
tessa Costanza Falconieri. Un toma di così alta importanza,
qual'ò la descrizione della creazione e la glorificazione della
Bellezza, è rimpicciolito d?u Uno impari a cui mira, l'esalta-
zione dei Braschi e del pontificato di Pio VI. La bella poesia
non solo gli procurò applausi, lodi a profusione; ma gli aprì
le porte del palazzo Braschi, ove, invidiata fortuna in quei
tempi, entrò come segretario di quel duca, per raccomanda-
zione del quale ebbe più tardi nel 1783 anche l' incarico di
agente di Rieti a Roma. D' allora in poi non mancarono al
giovine abate gli onori ; chò Pio YI gli concedeva una pensione
sopra un canonicato di S. Pietro, poco dopo un'altra pensione
sopra la parrocchia di S. Egidio nella diocesi di Cesena in
premio dell'elegante ode L'Amor peregrino, che nell'83 aveva
indirizzata a donna Costanza. Traendo argomento dal viaggio
che Pio VI fece a Vienna per placare l'animo dell'imperatore
Giuseppe II, bramoso di sempre nuove e audaci riforme eccle-
siastiche, componeva la cantica del Pellegrino Apostolico (3).
(1) Epistolario di V. M., ed. Resnati, p. 31.
(2) Ivi., p. 28.
(3) Certo il M. cantò con sincera ammirazione le virtù apostoliche
di Pio VI e, per convincersene, basta leggere il seguente brano d'una
lettera scritta in quel tempo, in cui racconta come lo accolse il papa:
Vili INTRODUZIONE.
Di rado s'allontanava da Roma, una volta sola por un tempo
abbastanza lungo, nel luglio dell'82, dovendo accompagnare i
suoi signori in Romagna. Tornato a Roma, si faceva ammirare
nei ritrovi di Maria Pizzelli, ove si adunava in geniali con-
versazioni quanto di meglio per altezza d'ingegno e fama let-
teraria si trovasse allora in Roma.
Intanto colla gaia spensieratezza e l'incostanza della sua età
giovanile, sospirava prima per la bionda Teresa Petracchi, poi
per la sua padrona di casa, Clementina Ferretti, e nel 1783
anche per quella giovinetta Carlotta Stewart per cui pare scri-
vesse, dedicandoli a un amico e generoso protettore, il principe
don Sigismondo Chigi, gli Sciolti, che con tanta maestria di
forma e insuperata armonia seppe derivare dai Milton e dallo
Shakespeare.
• Ma i trionfi clamorosi, che avevano avuto le tragedie del-
l'Alfieri, gettavano nell'animo del giovine poeta i semi d'una
generosa emulazione. nel salotto della Pizzelli o altrove egli
udì parlare del successo che aveva allora avuto V Antigone del
poeta astigiano, e forse egli stesso la vide rappresentare in
Roma. Ad ogni modo è certo che acuti stimoli sentì fin d'allora
nell'animo, che lo spronavano ad emulare la gloria del tragico
fortunato, e si mise attorno ad una prima tragedia, l'Aristo-
demo, che, finito nei primi del 1780, leggeva e faceva recitare
in sale private, sostenendo egli stesso la parte di Aristode:) o
e Teresa Pikler , bellissima giovinetta trilustre che doveva
fra non molto essergli sposa, la parte di Cesìra: la faceva
poi stampare coi tipi celebrati del Bodoni a Parma. Intanto
era la nuova tragedia acclamata sulle scene di Parma, e poi
al Valle in Roma, ove ottereva l'approvazione anche di Wol-
fang Goethe che era presente alla rappresentazione e che così
incoraggiava il poeta a comporne di nuove. A questa prima
tragedia di schietta ispirazione alfieriana ne succedette infatti
nello stesso anno un'altra, frutto dell'ammirazione del poeta
per lo Shakespeare, il Galeotto Manfredi, che fu rappresentato
per la prima volta al Valle nel carnevale del 1787 ; inoltre il
Mon'i mise mano al Caio Gracco, che fu stampato e rappre-
sentato la prima volta a Milano.
Già qualche anno prima, facendo anch' egli eco ai clamori
che dovunque nei seminarli , nelle scuole , nelle accademie ,
aveva levato la nuova mirabile invenzione dei globi aposta-
tici, recitava in Arcadia l'ode A Montgolfier, e poneva mano
« Mi presentai pieno di timore e ne uscii pieno di tenerezza ; e quando
gli baciai i piedi nell'atto che stava per montare in carrozza per andare
a fare una passeggiata mi vennero agli occhi le lacrime . . » (Epistol. ed.
Resnati, p. 29).
IT. MONTI IN ROMAGNA E A ROMA. IX
alla Feroyimde^ continuandola poi a varie riprese fino agli
ultimi anni della sua vita.
*Ma purtr <ppo anche per il nostro poeta dovevano giungere
i giorni insti ad amareggiargli la gioia dei meritati trionfi;
il primo gennaio 1785 gli moriva il padre Fedele Maria, e la
poca accortezza del buon vecchio, abilmente sfruttata dal fra-
tello don Cesare, era stata purtroppo causa di non poca diffi-
denza tra i fratelli. Inoltre la fama crescente del Monti in
Roma gli aveva destato contro l'invidia e la gelosia dei molti
poeti e letteratuzzi che, meno fortunati di lui, avevano viste
sfumare ad una ad una tutte le loro rosee speranze: prima
ebbe ad armeggiare colla penna intinta un po' nel veleno con
Gian Gherardo de' Rossi, che l'aveva punzecchiato colle sue
maldicenze, poi coll'abate Giuseppe Battista Lattanzi di Nemi,
che era rimasto offeso nella sua vanità di letterato da un giu-
dizio poco benevolo che il Monti aveva dovuto dare, per in-
carico del principe Braschi, d'un suo infelice poemetto (1).
Man mano che l'astro della fortuna del Monti saliva ra-
diante al di sopra degli astri minori, che in gran numero, ma
con debole luce, splendevano nelle numerose accademie della
grande città, cresceva l'invidia e il livore intorno al nome del for-
tunato poeta. E, a dire il vero, non poco incentivo all' invidia
e alla gelosia degli emuli dava il poeta stesso, che non sapeva
accarezzare, né tollerare con uno sdegnoso silenzio, la vanità
dei poetastri che delie loro garrule ciancie empivano le sale
delle accademie romane. Onde si trovò fatto bersaglio bene
spesso a calunnie e a satire maligne, e fu costretto a ripagare
della stessa moneta gli avversarli.
Un malaugurato sonetto a S. Niccola da Tolentino, dedicato
a Costanza Braschi che stava per partorire, gli suscitò contro
i sarcasmi di parecchi poeti, che lo derisero con mordaci so-
netti (2). Alcuni arrivarono tant'oltre, che lo accusarono, e forse
non a torto , perfino di relazioni amorose con la Braschi. A
tutta quella schiera di corvi gracchiane rispose col terribile
sonetto caudato Al padre Quirino. Non erano ancora calmate
le ire che quel fiero sonetto aveva destate, che nuova e più
aspra contesa ebbe a ingaggiare coli' abate G. B. Gianni. Costui
mal soffriva un rivale nell'arte d'improvvisare, nella quale, se
aveva non poca gonfiezza e stravaganza, pure colpiva la fan-
tasia e l'orecchio per una certa grandiosità d'immagini e fa-
cilità di versi e di rima. Questa contesa, che ebbe origine da
(1) Questo primo attrito fu causa della lunga guerra di cui un'eco è
nella Mascheroni ana, ov'é flagellato a sangue il Lai t anzi.
(2) Sono tutti riferiti dal Vicciu, II, 434 e sgg.
x IaTroduzioxt:.
una improvvisazione fatta dal Monti d'un idillio Eloisa alla,
tomba di Abelardo, si trascinò, intramezzata da brevi periodi
di pace, fino quasi all'anno in cui morì quello sciagurato poeta,
cioè fino al 1822. Anche contro un grande, che pure altamente
ammirava, dovè acuire gli strali della satira, contro l'Alfieri,
che in un sonetto aveva sfolgorato di tutta sua forza lo
stato pontificio : la sua condizione di segretario del papa lo
costrinse a rispondere con un acre sonetto a quello dell'asti-
giano (1).
Per fortuna il Monti non sempre occupava il suo tempo nelle
incresciose battaglie letterarie, né sprecava l'ingegno grande
nelle pompose tornate accademiche ; ma le conversazioni con
amici veramente degni di lui, come E. Q. Visconti, il Cunich
ed altri, ingagliardivano la mente del poeta romagnuolo già ben
nutrita di forti studi. Nel 1788, trovandosi con scelti amici
nella casa di Fabrizio Ruffo, allora prelato e poi cardinale,
concepì il disegno di tradurre l'Iliade. Una sera il letterato
Saverio Mattei sostenne che i tentativi così poco fortunati fatti
dal Ceruti, dai Salvini, dal Cesarotti di tradurre il magnifico
poema omerico mostravano ormai essere impossibile rendere
quella mirabile poesia nella nostra lingua conservandone la
semplicità, la leggiadria e insieme la solennità. Per smentire
l'asserzione del Mattei, il Monti si mise a tradurre qualche brano
in ottave, poi in versi sciolti, e, lavorando a varie riprese,
ma per lungo tempo, a quella traduzione, la compì solo molto
più tardi, il 20 gennaio 1810. Non sapendo di greco, attinse a
molte versioni latine: a quella fedelissima del Cunich (2), a
quella pedestre e scolorita del Salvini (3) e ,a quella che in
prosa avea stesa il Cesarotti, prima di darne la versione, o me-
glio parafrasi poetica, che tutti sanno e che gli meritò quella
mordace caricatura che rappresentava Omero vestito da zer-
binotto parigino, all'invenzione della quale non fu forse estra-
neo il Monti (4). Ricorse inoltre ai consigli degli amici : ai
Mustoxidi (5), ad E. Q. Visconti (6), al Giordani, al Biamonti
e allo Strocchi, ma più che ad altri, attingendo in se stesso una
mirabile facilità di verso elegante, vario, armonioso, seppe ri-
(1) G. Dkl Pinto, Il sonetto dell'Alfieri contilo Roma, nella Nuova
Rassegna dir. da L. Lodi del 22 aprile 1894, e G. Mazzoni, Un sonetto
di V. M. contro l'Alfieri, nel Fanfulla della Domenica, an. I, n. 14.
(2) Honxeri Ilias versibus latinis eoepressa, Roma, 177(5.
(3) Anche questa versione aveva visto la luce nel 1770.
(4) Vicchi, II, 509.
(5) Lettera ed osservazioni sull'Iliade volgarizzata del cav. Vin-
cenzo Monti, nelle Prose varie del cav. Andrea Mustoxidi, Milano, Bet-
toni, 1821, p. 175.
(6) Mustoxidi, op. cit., pp. 254 e 255.
IL MONTI IN ROMAGNA È A ItOMA. XI
vestire di veramente « care itale note » l'ira del Pelide Achille
e la sua versione rimase modello insuperato ai traduttori di
tutti i paesi. Il Reale Istituto Lombardo dette onorevole giu-
dizio dell'opera, che ebbe gli elogi dell'Arici, del Lamberti, del
Valperga di Caiuso, del Ginguenè e del Foscolo. A noi piace,
più che riferire le parole di questi critici, udire il giudizio da-
tone da Madama di Stael (1), che riportiamo dalla traduzione
che ne fece il Giordani: « L'Europa certamente non ha una
traduzione omerica di bellezza e di efficacia tanto prossima al-
l'originale, come quella del Monti : nella quale è pompa e in-
sieme semplicità: le usanze più straordinarie della vita, le ve-
sti, i conviti, acquistano dignità dal naturale decoro delle frasi:
un dipinger vero, uno stile facile ci addomestica a tutto ciò che
ne' fatti e negli uomini d'Omero è grande ed eroico. Niuno
vorrà in Italia per lo innanzi tradurre la Iliade : poiché Omero
non si potrà spogliare dell'abbigliamento onde il Monti lo ri-
vestì : e a me pare che anche negli altri paesi europei chiun-
que non può sollevarsi alla lettura d'Omero nell'originale, debba
nella traduzione italiana prenderne il meglio possibile di co
noscenza e di piacere. Non si traduce un poeta come col com-
passo si misurano e si ripetono le dimensioni d'un edificio; ma
a quel modo che una bella musica si ripete sopra un diverso
strumento ; ne importa che tu ci dia nel ritratto gli stessi li-
neamenti ad uno ad uno purchò vi sia nel tutto una uguale
bellezza» (2).
In quello stesso anno recitava con molto plauso nell'Arcadia
i sonetti sulla morte di Giuda, concettosi sonetti ch'erano
causa di nuove ire cól Gianni, che per gelosia improvvisava
sul medesimo argomento il suo celebre sonetto, di gran lunga
inferiore però a quelli del suo emulo. L'anno seguente, per
preghiera dell'amico Bodoni che a Parma preparava una delle
sue più belle edizioni, quella deW Aminta del Tasso, dedican-
dola alla marchesa Anna Malaspina, componeva gli endecasil-
labi con cui il valente tipografo voleva accompagnare la dedica.
Intanto una fiera burrasca politica veniva a turbare quel
quieto vivere romano, e un'eco paurosa del trionfo della rivo-
luzione dell'89 in Francia e più tardi delle conseguenti vitto-
rie delle armi repubblicane giungeva anche a Roma, acuendo i
sospetti e invelenendo vieppiù gli animi contro le novità ol-
(1) Per le relazioni che passarono fra il p. e la Stael, v. G. Biadego,
Vincenzo Monti e la baronessa di Staèl, Verona, Annichini, 1836.
(2) Volgarizzamento di un discorso della Baronessa di Staél sulla
maniera ed utilità delle traduzioni, nel voi. II. degli Scritti editi e po-
stumi di Pietro Giordani, pubbl. da A. Gussalli, Milano, Borroni e
Scotti, 1856.
XII INTRODUZIONE.
tramontane. Appunto in quel tempo il Monti metteva su fa-
miglia, sposando Teresa Pikler, figlia d'un incisore in pietre
dure, il 10 maggio 1791. Mentre ancora lontana da Roma ru-
moreggiava la tempesta delle passioni politiche, la quiete re-
gnava nella sua casa, sorrisa Tanno dopo dalla nascita d'una
vaga bambina, Costanza, e rallegrata anche dal favore del papa,
che conferiva ai poeta il posto di segretario degli avvocati
concistoriali.
Ma presto le vittorie francesi esaltarono gli animi, un nuovo
fremito di vita si sentiva dappertutto, e anche il Monti provava
in fondo all'anima disgusto per quella sua vita di cortigiano
stipendiato: cominciava a scaldarne la mente quel miraggio di
libertà, di fratellanza universale che, ancora forse non ben
compreso, appariva oltre l'alpi. Ma in tante agitazioni gli arri-
deva ancora la quiete domestica , la vita facile nella Roma
d'allora, e scriveva coll'animo combattuto da opposti pensieri
VInvito d'un solitario ad un cittadino.
Nel 1792 il ministero repubblicano di Parigi aveva man-
dato a Napoli Nicola Giuseppe Hugou de Bassville come segre-
tario di legazione, e costui, venuto a Roma, nel 1793 si era
messo audacemente a fare propaganda d'idee repubblicane. La
sua temerità suscitò un tumulto di popolo, in cui miseramente
perde la vita (1). Quel latto, che tanto rinfocolò le ire dei Ro-
mani contro i repubblicani francesi, destò la Musa del nostro
poeta, che, anche per calmar la tempesta che sentiva rumo-
reggiargli contro, perchè già cominciava a ingenerare sospetti
per la sua mal celata simpatia verso il Bonaparte, ne fece il
soggetto di un poemetto in quattro canti, la Bassvil liana, ove,
com'era naturale in un segretario dei nipote del papa, ebbe
severe parole di rampogna contro gli eccessi e gli errori dei
repubblicani.
Severo fu il giudizio che di questo poemetto diede il Leopardi,
che sentenziò essere il Monti un poeta più dell'orecchio e del-
1 immaginazione che del cuore (2), mentre troppo benevolo gli
era il giudizio di Francesco Torti, che s'era proposto, mosso da
eccessiva ammirazione, di provare, che il Monti era superiore a
Dante (3). Più vero e perciò più giusto è il giudizio che ne
(1) Per questa uccisione, v. oltre l'opera cit. del Vicchi, Les Fran-
cais a Rome pendant la convention, Roma, Forzani, 1892, e G. Sforza,
L' assassinio del Bassville, in Archivio Stor. ital., serie V, tomo IV,
drép. 5." e G.\
(2) Leopardi, Operette morali.
(3) Torti, Antipurismo, Foligno, Tomasini, 1829. Forse più del giu-
sto benevolo gli era stato anche il Foscolo che, pur biasimandolo per
avere cantato « altri argomenti d'occasione, piuttosto che violentar sé
medesimo una volta sola, e adoprarsi con intenso e costante ardore nella
IL MONTI TX ROMAGNA E A ROMA. SITI
ha dato recentemente un critico , dicendolo : « Un poema ,
dove, sotto la scorza variegata dello stile, elaborato, secondo
gli esemplari classici da un lato, e quelli di Dante dall'altro cor-
rono succhi desunti da ogni parte: dalla Bibbia, dal Klopstock,
dal Varano. Agli amatori della melliflua poesia d'Arcadia parve
che troppo di Dante vi fosse, altri invece ne fa ai poeta un
titolo d'onore. Più che a Dante, a dir vero, avrebbero i con-
lemporanei dovuto, nel leggere la Bassrilliana, ripensare al
Varano di cui vi è palese l'efficacia, sebbene le Visioni siano
senza paragone minori di bellezza; ma s'intende come i quattro
canti in terza rima, nati da un fatto recente, e coloriti, senza
arcaismo, di audaci pennellate, simulanti le dantesche facessero
allora chiamare il poeta un Dante redivivo » (1). La Bassvil,
liana, che può a ogni modo ritenersi il capolavoro dei Monti-
perche in essa mostrò quanto potesse la sua fantasia e dette
alla terza rima una plasticità di forma e un'armonia che mai
forse potè essere superata, se fruttò al poeta onori e lodi non
piccole, fu per lui anche fonte di amarezze, di sospetti, di dif-
fidenze che in seguito solo a stento e con non poche umilia-
zioni riuscì a sopire. Certo, nonostante il calore che seppe
infondervi, egli vi sostenne idee non pienamente rispondenti
a ciò che in quel tempo sentiva de' nuovi fatti che stavano per
rigenerare la società.
Più tardi, con altra voce ornai, con altro vello, libero da
timori che ne avessero potuto ottenebrare il pensiero e falsare
la coscienza, confessò pentito il suo fallo in un altro poemetto
di sensi interamente opposti, La Superstizione, e questa con-
fessione, sebbene ce ne rivoli il cuore buono e mite, ce ne
mostra l' animo non certamente eroico , ma piuttosto con
estrema facilità accensibile ad ogni sentimento che gli de-
stasse nobili e generosi pensieri e trasmutabile in mille guise
appunto per questa sua naturale impressionabilità. Si senta
questa confessione che noi non abbiamo alcuna ragione per
non ritenere sincera:
Una fredda paura al cor mi serra,
E mi risveglio a quell'orribil vista
Con tutte Tonde degli affetti in guerra,
continuazione della Bassvilliana fino alla battaglia di Watterloo », ag-
giungeva : « non v'ha dubbio, che se egli si fosse appigliato a questo par-
tito, avrebbe oramai un posto cosi vicino a Dante , come Virgilio già
lo ebbe presso il sommo cantore di Achille {Saggi di critica storico-let-
teraria, Firenze, Le Monnier 1862).
(1) G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano, Vallardi, p. 5. Per la derivazione
evidentissima della Bassvilliana dalla Divina Commedia, v. G. Trenta,
Delle benemerenza di V. M. verso gli studi danteschi, ecc., Pisa,
Sporri, 1891.
XIV INTRODUZIONE.
Ma la pia moglie del mio stato avvista
M'abbracciava gridando: mio consorte,
Consorte mio, che hai? Che ti contrista?
11 furor, risposto, mi cerca a morte
De* sacerdoti, via fuggir m'invita
11 cielo, e Tore per fuggir son corte. —
E sarà senza me la tua partita,
Barbaro ? soggiungea ; così ti cale
Della tua sposa ahi lassa e di sua vita ì
Se le lagrime mie, se coniugale
Tenerezza il pensier non ti consiglia,
E nulla questo mio volto più vale,
Vaglia almen la pietà della tua figlia;
Ove oimè l'abbandoni ? — E in questa il pianto
Due ruscelli facea delle sue ciglia.
Desta in suo queto letticciuol frattanto
La meschinelia pargoletta intese
11 materno singulto e il pio compianto,
E gridando e plorando ambo protese
Dalla sponda le mani, in fin che stretto
La madre il caro pegno alfin riprese :
E del padre lo pose al nudo petto
Che infiam mossi e spetrossi. Allor veloce
La ragion surse del paterno affetto.
Scorrean dirotte e m'impedian la voce
Le lagrime, ma forte il cor parlava,
Ch'angusta a tanta piena era la voce.
E fervido baciava ed abbracciava
L'amato peso ; e non più di paura
Ma di pietade il cor mi palpitava.
Cosi di padre e di marito cura
Costrinsemi mentir volto e favella,
E reo mi feci per udir natura;
Ma non merta rossor colpa s\ bella.
E tornava a confessare il suo fallo in una lettera a Fran-
cesco Salii, convinto repubblicano, che con sentimenti del tutto
opposti ai suoi aveva cantato la morte del Bassville e che di-
rigeva a Milano il Twmometro politico (1). La scusa è peggiore
(1) Riferirò di questa lettera qualche brano Uà i più importanti :
« Io era l'intimo amico dell'infelice Bassville ; esistevano in sue mani,
quando fu assassinato, delle carte che decidevano della mia vita; mi spa-
ventavano le incessanti ricerche che facevansi dal Governo per iscoprirne
l'autore; m'impediva di fuggire il doloroso riflesso che la mia fuga
avrebbe portato seco la rovina totale di mia famiglia. Non più sonno, né
riposo^ né sicurezza; il terrore mi aveva sconvolta la fantasia, mi ag-
ghiacciava il pensare che i preti son crudeli, e mai non perdonano, non
mi rimaneva in somma altro espediente che il coprirmi d'un velo, e non
sapendo imitare l'accortezza di quel Romano che si finse pazzo per cam
pare la vita, imitai la prudenza della Sibilla, che gittò in bocca a Cer-
bero l'offa di miele per non essere divorata. Potrei qui rivelare altre più
IL MONTI IN ROMAGNA E A ROMA. XV
della colpa, perchè questa non v'era, o se pure vi fu, poteva
essere attenuata dalla condizione in cui si trovava allora il
poeta, quella invece ci è prova della debolezza d'animo diluì,
che accusa sé stesso per accattare l'altrui benevolenza.
Nell'anno stesso in cui scriveva la Bassvilliana, cominciò
un altro poemetto, la Musogonia, nella quale, narrata l'origine
delle Muso, era suo intendimento, seguendo la bella fantasia
del Gray nel Progress of the Poesy , come più tardi fecero
anche il Foscolo e il Manzoni nelle Grazie e ne\V Urania, ac-
compagnarne il trionfale viaggio dalla terra d'Omero a quella
d'Orazio e di Virgilio e, attraverso alle sventure che esse do-
vettero soffrire all'arrivo de' barbari, seguirne il corso fino a
Dante e al Petrarca (l), ricondurle dal cielo sulla terra a be-
neficare gli uomini incivilendoli e congregandoli in società ,
ma il bellissimo disegno non potò essere per intero attuato e
e il poemetto rimase interrotto. Anche così come esso è, e di
fattura squisitamente classica, vi spira ancora, come nella Bas-
svilliana , uno spirito antifrancese , sebbene qua e là vi sia
qualche timido accenno alle vittorie repubblicane.
Frattanto Napoleone Bonaparte colla campagna del '94-95,
sconfitti i Piemontesi e gli Austriaci, aveva cangiato faccia alle
cose dell'Italia superiore, e aveva portato dappertutto sul suo
passaggio insieme colle sue armi vittoriose le idee abbaglianti
della francese rivoluzione. Col congresso di Reggio si creava
la Repubblica Cispadana, e poco dopo si costituiva la Repub-
blica Cisalpina, e le destre italiane si stringevano fraternamento
all'ombra del vessillo bianco, rosso e verde. Il Monti, che già
abbiamo veduto predisposto ad accogliere le nuove idee, sentiva
scaldarsi l' anima, per natura entusiastica, di nobili sensi. Il
Bonaparte, arriso sempre dalla vittoria che ne guidava la marcia
trionfale, rivolge le sue armi anche contro lo Stato pontificio,
e, rotto l'armistizio che prima aveva concluso col papa, nel 1797
ne invade il territorio, e costringe l'inerme Pio VI ad accet-
cose gravissime, la cognizione delle, quali compirebbe la mia discolpa,
ma vi sono alle volte dei segreti terribili , che non si possono violare
senza il comando di chi n' è partecipe , ed é pur meglio di lasciar de-
bole talvolta la propria difesa, che il mancar d'onestà, di prudenza, di
gratitudine ». All'accusa che gli si faceva che non si poteva avere scritto
così altamente, se non si erano profondamente sentite le cose cantate
rispondeva: « Alla quale imputazione risponderò schiettamente che,
costretto a sacrificare la mia opinione, mi sono adoperato di salvare, se
non altro, la fama di non cattivo scrittore ». E più sotto seguitava: « Ho
malamente impiegate in quella santa Babilonia molti anni della mia vita;
ma quale vi sono entrato, tale ne sono uscito, e se in quel pelago di re-
ligiose ribalderie ha naufragato la mia pace, il mio ingegno, la mia for-
tuna, non vi ha naufragato sicuramente la mia ragione. . . . ».
(1) Viccm, III, p. lui.
XVI INTRODUZIONK.
tare il duro trattato di Tolentino. Frattanto il Monti, che ormai
non si curava più di nascondere la sua propensione per i Francesi,
diveniva sempre più sospetto all'aristocrazia ed alla corte, ed
era fatto bersaglio alle calunnie degli emuli e degl' invidiosi.
Ormai biso v . nava rompere gl'indugi, arrivava colla sua Teresa
perfino a prender parte ad una festa in casa d'un ufficiale
francese, e stringeva sempre più cordiali relazioni coi Francesi
residenti a Roma. La notte del 3 marzo 1797 con meraviglia
di tutti e non poco rammarico del principe Braschi, che per
tanti anni l'aveva protetto e ospitato, il Monti fugge nasco-
stamente da Roma, chiuso nella corrozza del colonnello fran-
cese Marmont , lasciando la moglie e la figlia (1). Infiniti fu-
rono in Roma i commenti su questa improvvisa fuga, e un
mordace poeta, Matteo Berardi, gli lanciava dietro un sonetto
terribile di cui mi basta riferire le prime due quartine per
farne comprendere la straordinaria virulenza:
Cui tozzo in man, colla bisaccia in collo
Strappandosi i pidocchi dalla chioma,
Questo infame carnefice d'Apollo
Si rotolò da Fusignano a Roma.
Poi fatto pingue nitido e satollo
Calcitrò come vii bestia non doma;
Feri gli uomini, e il ciel, dio alfine un crollo
Dell'odio universal sotto la soma.
II
Il Monti nella Cisalpina e nel regno italico.
Il Marmont era diretto per Milano, ma il nostro poeta si
fermò a Firenze, ove ritrovava il Gianni e con lui, dopo un
breve armistizio, attaccava nuova guerra. Di là si recò a Bo-
logna, capitale della Cispadana, dove volle dare alle stampe il
primo canto del Prometeo, con cui intendeva d'incominciare
la sua dolorosa palinodia. Poco dopo nel luglio era a Milano.
La capitale della Cisalpina era allora il cuore delle nuove
repubbliche , che si erano venute formando in Italia per ef-
fetto delie vittorie di Napoleone, e a Milano erano convenuti
letterati da ogni parte d'Italia, il Fantoni, il Cerretti, il Ma-
scheroni , Pietro Verri, il Parini , il Pindemonte , il Salfì , il
Lattanzi, il Gianni, lo Strocchi ed altri ancora. Ma il Monti
(1) Per questi fatti, cfr. T. Casini, Il cittadino V. Monti, in Nuova
Antologia, 15 giugno 1894.
IL MONTI NELLA CISALPINA E NEL REGNO ITALICO. XVII
capì subito che troppe erano le diffidenze, i sospetti che si
avevano di lui : umiliato più volte fu costretto a scendere
e salir per l'altrui scale e a soffrire in silenzio l'alterigia dei
demagoghi trionfanti. Oh come era più dolce la quiete in Roma
tra le ammirazioni e gli ossequi degli amici e de' principi
Braschi! E presto alle umiliazioni si aggiunsero anche le ac-
cuse , che i più caldi Cisalpini si scagliarono contro il mal-
capitato autore della Bassvilliana e più fieramente degli altri
il Gianni e il calabrese Francesco Salfì, il primo mosso dal-
l' odio contro 1' emulo temuto , il secondo per sincero ardore
repubblicano e per il disgusto che sentiva per l'incostante con-
dotta del poeta romagnolo. Che cosa restava a fare al Monti,
che pur voleva ad ogni costo, come avea fatto a Roma, pre- r
pararsi a Milano un riposato albergo all' ombra, del berretto ^
frigio , dinanzi a quella fitta gragnuola df accuse con cui lo
assalivano e nei privati ritrovi e nei giornali? Se ammirava
l'anima intemerata e forte di Giuseppe Parini, e di quella am- .
m trazione resta monumento onorevole e per il lodato e per il
lodatore la Mascheroniana , non aveva la forza di seguirne
il magnanimo esempio e, poco decorosamente invero, si scusò,
come abbiamo veduto, colla lettera ai Salfi, e accettò volentieri
la difesa d'un giovine poeta, il Foscolo, che si studiò di difen-
derlo dagli assalti non d3l tutto immeritati coìY Esame su le
accuse contro V. Monti.
Ma ben comprendeva il poeta che bisognava , per convin-
cere i repubblicani inveleniti contro di lui, dar prova di amore
alla libertà in versi non meno ispirati di quelli con cui ne
aveva detestati gli eccelsi, e scrisse il Fanatismo, la Super-
stizione, il Pericolo in terzine e il Prometeo in sciolti (1). Mai,
come in questi poemetti , aveva espresso idee più ardite : vi
malediceva la Chiesa, implacabile avversaria d'ogni giustizia
e d'ogni bene, cantava il Bonaparte come l'invocato liberatore
dell' Iralia, e inneggiava con parole davvero ispirate parole alla
libertà:
Dolce dell'alme universal sospiro
Libertà, santa dea, che de* mortali
Al fin l'antico adempi alto desiro,
Vieni ed impenna a questo canto Tali,
Libertà bella e cara; e all'arco mio
Del vero adatta e di ragion gli strali (2):
(1) Dedicava quest'ultimo poemetto « al cittadino Napoleone Bonaparte
comandante supremo dell'armata d'Italia ».
(2) E con ugual calore la cantava nelV Inno per la festa del 21 gen-
naio 1799:
Oh soave dell'alme sospiro
Libertà, che del cielo sei figliai
ì
XVIII INTRODUZIONE.
tanto che il suo migliore critico , lo Zumbini , ammirando il
calore quasi giovanile di quei versi, esce in queste parole: « E
bello veder tanta potenza d' arte congiunta a tanto caldo di
cuore. Oh, se il Monti avesse scritto sempre così! » (1). E se
si dovesse prestare intera fede alle parole del poeta, si dovrebbe
bene ammirare l'intento che l'animava a scrivere il Proineteo :
«e meritar bene di una patria libera, scrivendo finalmente da
uomo libero ». Col Prometeo aprì la serie dei poemi napo-
leonici, e l'iniziò in modo degno davvero del grande che pren-
deva a celebrare, perchè questo poemetto in quattro canti è
una delle opere migliori del Monti e per l'arte che l'abbella e
per il concetto che l'informa.
Popò tanta tempesta alla fine apparve un po' di sereno, e
nell' agosto del '97 ebbe un ufficio nella segreteria centralo
degli affari esteri. In quei giorni, rinnovellato di novelle fronde,
componeva una canzone Per il congresso oV Udine , quando
si preparava il trattato di Campoformio, e, mentre egli con
impeto giovanile cantava:
Mòrti si; ina non vinti,
Ma liberi cadremo, e armati, e tutti:
Arme, arme fremeran le sepolte ossa,
Arme i figli, le spose, i monti, i flutti :
E voi cadrete, o troni, a quella scossa,
e sospirava per la liberta di Venezia tradita , in un inno che
fu cantato in una pubblica festa dinanzi ai capi del governo
in Milano, ed esortava i giovani a prepararsi a nuove battaglie
con un'ode Nella rassegna di sessanta Ussari Cisalpini, l'o-
pera sua più bella di ben altri tempi, la Bassvilliana, il 16 ot-
tobre era bruciata da' suoi avversari sulla piazza del Duomo
con altre carte liberticide. Come si vede, i sospetti e le diffi-
denze, fomentate anche dall'odio de' nemici vecchi che aveva
vinto colla potenza dell'ingegno, e de' nuovi che ne invidiavano
la fama e ne temevano la franca parola, ancora non gli da-
vano tregua.
Se però aveva molti nemici, aveva anche amici sinceri, e
per l'aiuto di questi nel novembre del 1798 fu mandato com-
missario dell' Emilia e della Romagna con Luigi Oliva , per
dare un equo ordinamento a quelle provincie. L* opera sua
e del suo compagno fu buona e immune dai vizi che allora
deturpavano le nuove amministrazioni repubblicane; per questo
appunto, e per l'opera malvagia d'un marchese ravegnano, Ales-
(1) B. Zumbini, Sulle poesìe di Vincenzo Monti, Studi, Firenze, Lo
Mounier, 1886, p. 130.
IL MONTI NELLA CISALPINA E NEL REGNO ITALICO. XIX
Sandro Guiccioli, che li denunziava al Gran Consiglio, furono
presto richiamati, e i due troppo onesti e zelanti amministra-
tori per quei torbidi tempi furono costretti a discolparsi dinanzi
al Corpo legislativo. Per fortuna 1' Oliva con un efficace di-
scorso seppe convincere i membri di queir assemblea , e per
questa volta i nemici del Monti dovettero macerarsi nel livore
d'una meritata sconfitta (1).
Non desistettero però dagli attacchi; ma nuovamente cerca-
rono di nuocergli e riuscirono a fare approvare la legge del
13 febbraio 1797 contro i poeti reazionari. La legge colpiva
coloro che dall'anno primo della libertà avessero composto
o ispirato libri diretti a ferire la democrazia. Ma anche questa
volta la vittoria non fu intera , perchè la legge non fu ap-
plicata, e il Monti non fece altro che passare dal suo ufficio
nella segreteria degli affari esteri a quello del Direttorio. Si
ritrasse poscia da ogni ufficio politico, accettando solo la sop-
pravvivenza nella cattedra di belle lettere nel Ginnasio di
Brera, che prima era stata occupata dal Parini. Se gli avver-
sari non avevano potuto ferirlo a morte , pure riuscirono ad
impressionarne l'animo di per sé stesso assai eccitabile: d'allora
in poi cercò studiosamente ogni occasione di dimostrare il suo
odio alla tirannide e l' amore alla libertà repubblicana. Non
fu pago di cantare « l'arbore divina di libertà, dove tra fronde
liete rinverdiva e fruttava la virtù latina », ma nell'inno can-
tato il 21 gennaio 1799, anniversario della decapitazione di
Luigi XVI , al teatro della Scala, esultava per la caduta del
tiranno con lo stesso calore con cui un tempo aveva compianto
la morte di quel re infelice e imprecato contro i suoi carnefici.
Intanto straordinari avvenimenti venivano a dare un nuovo
aspetto alle cose della Lombardia. Napoleone era partito per
l'Egitto, da cui veniva, attraverso a molte esagerazioni e
false notizie, la fama di vittorie strepitose, di mirabili marcie,
di trionfi insperati ; ma la gioia di quelle vittorie era amareg-
giata dai rovesci che le armi repubblicane pativano in Italia
dai collegati Austro-Russi, che, soprattutto col valore delSouwa-
roff e l'accortezza del vecchio maresciallo Mèlas, spazzavano
dinanzi a loro le disorganizzate forze francesi. E il Monti, come
il Pindemonte , dinanzi all' irrompente reazione dovè lasciare
Milano e riparare in Francia. Duri stenti fu costretto a sof-
frire l'esule per i dirupi alpini, per le faticose balze della Savoia,
e, narrando a Saverio Bettinelli i patimenti sofferti, gli diceva:
(1) V. VigcHi, II, 534 e sgg. , Lodovico Corio , V, M. studiato nel-
l'Archivio di Stato a Milano, in Rivista Europea, voi. IV , fase. I ,
p. 5 e sgg.
^\
\
XX INTRODUZIONE.
« Per non essere di peso a veruno io viveva (è fatto noto e
mi fo gloria di dirlo) di frutti raccolti colle mie mani sotto
gli alberi nelle campagne di Chambèry » (1). Il nipote Achille
Monti, che con calore, se non sempre con storica imparzialità,
ne ditese la fama, ha qui ben ragione di lodarne l'animo che
soffre volentieri per amore di quella libertà che con tanto iplen-
dore di versi aveva cantata (2).
Raggiunto dalla moglie, che lo soccorse di denaro, potè dopo
tanti disagi arrivare a Parigi. Ma anche là lo perseguitarono
le calunnie degli avversari, e per queste perdette la cattedra
di lettere italiane nel collegio di Francia, che aveva potuto ot-
tenere dal Direttorio. Può quindi immaginarsi agevolmente
con quanta gioia salutasse l'alba del giorno felice in cui, dopo
la battaglia di Marengo, potè ritornare in Italia e rivedere dal-
l'Alpi nevose, le belle pianure della patria. Della sua esultanza
ci è prova il bell'inno, composto sui primi del 1801, Il ritorno,
o, come in altre stampe è detto, Dopo la battaglia di Ma-
rengo.
Tornato in patria, potè avere dalla munificenza del vinci-
tore la cattedra di eloquenza e poesia nell' università pa-
vese (3) e la carica di assessore per le lettere e le belle arti
presso il Ministero dell'Interno : d'allora in poi la fortuna pare
cessasse, da' suoi assalti, e prospera e tranquilla fu per molti
anni la sua vita. In quei giorni di pace operosa potè comporre
uno de' suoi più bei poemetti, la Mascheroniana , in cinque
canti, ove, detestando gli eccessi delia rivoluzione e le ribal-
derie dei falsi repubblicani , augurava alla travagliata patria
che il Bonaparte, il quale, rovesciato ormai col 18 Brumaio
il Direttorio , aveva costituito su più salde basi il suo potere,
la riordinasse in modo da preservarla dai temuti eccessi, dalle
possibili reazioni. Questo poemetto, migliore certamente della
Bassvilliana, è per la temperanza della forma e per i nobili
concetti che vi sono artisticamente espressi , la migliore di
tutte le opere del Monti. Anche questa volta il poeta si faceva
(1) Lete, al Bettin., in Canti e poemi di V. M. a cura di Giosuè Car
ducei, Firenze, Barbèra, 1802, voi. II.
(2) A. Monti, Ricerche storiche e letterarie su V. Monti, Roma,
Barbèra, 1873, p. 43 : « Dopo aver pianto sulla libertà che vide adorata
in Milano, e che gli parve una prostituta, dopo avere udito i bromi
di Cristo suonare a doppio per dargli lode cn' era giunto il tiranno
aveva veduto il paradiso d'Italia desolarsi dallo Scita e dall'Unno;
aveva dovuto lasciare ogni cosa più caramente diletta, era vissuto per
molti di, nel doloroso viaggio della Savoia, di poche frutta colte lungo il
,- cammino, e pure avea saputo dividere lo scarso suo pane con un pove-
rello che per le vie di Chambèry gli si fece a chiedere l'elemosina ».
1 (3) Vi fece una prolusione bellissima Dell'obbligo di onorare i primi
scopritori del vero in fatto di scienze.
IL MONTI NELLA CISALPINA fi NEL REGNO ITALICO. XXl
l'eco dei desideri degl'Italiani che chiedevano al Bona parte libe-
ratore un po' di pace e di calma dopo tante bufere di amici e
nemici, di repubblicani e reazionari. E d'allora in poi il Monti
sentì sincera, profonda ammirazione per quello che a lui sem-
brava il rigeneratore d'Italia, il Veltro dantesco aspettato dalle
genti. Nominato cavaliere della corona ferrea e della legione
d'onore e finalmente storiografo onorario , senza l' obbligo di
scrivere storie, cantò il Bonaparte consoie, il Bonaparte impe-
ratore, vedendo sempre in lui ad un tempo il possente rige-
neratore della patria e il suo munifico signore.
Cantò La incoronazione di Napoleone Re d'Italia, e, pre-
sentandogli la cantica in terza rima II Beneficio, gli diceva:
«e Mentre la storia scrivendo le vostre imprese teme di com-
parire bugiarda al tribunale della posterità, la poesia parlando
di voi viene per l'opposto a spogliarsi la prima volta di questa
taccia ».
A più alto volo si levò nel 1806 col Bardo della Selva Nera
in cui, prendendo le mosse dalla poesia bardita che era allora
tanto in voga, fece cantare da un bardo Uliino e da un utìi-
ciale francese Terigi le prodigiose vittorie di Napoleone. Nei
brevi canti di quel polimetro non si sa se più ammirare la
pienezza dello sciolto, o l'armonia delle ottave, o la snellezza
delle sonanti strofe liriche. E in mezzo a quello splendore d'im-
magini, a quel lusso di mirabili immaginazioni, che però, per la
lunghezza del racconto, finiscono coll'ingenerare qualche stan-
chezza, in mezzo all'apoteosi del grande Napoleone è bello leg-
gere la minaccia che fa ai tiranni e che indirettamente poteva
riferirsi anche a Bonaparte:
Porgete attente
L'orecchie; e il fato
Che vi sta sopra, o re fanciulli, udite.
Dell'innocente
Sangue versato
In scellerata guerra
Conta il cielo le stille e le schernite
Lagrime tutte della stanca terra.
Lassù, dov'anco
11 muto arriva
Gemer del verme che calcato spira,
Del Nume al fianco
Siede una Diva,
Che chiusa in negro ammanto
Scrive i delitti coronati, e all'ira
Di Dio presenta delle genti il pianto.
Il Monti, che pure ebbe animo buono e generoso (e su que-
M ositi* — Poesie» u
XX IT iNTRODtJZtONE.
sta sua bontà mi piace d'insistere, scrivendo per giovani che
potrebbero troppo ingiusta antipatia sentire per questo grande
poeta che ebbe animo se non forte, quasi sempre sincero e
sempre buono [1]), anche quando levava sulle ali del canto
armonioso e magnifico il nome dei potenti, non s'inviliva mai
tanto da dimenticare per la glorificazione altrui l'amore di
patria che sempre senti purissimo e sincero e che gli faceva
dire sulla fine d'uno de' suoi poemetti napoleonici, il Bene-
ficio :
E fido al fianco mi reggea lo stile
Il patrio amor, che solo mi consiglia.
In momenti in cui l'animo suo si ribellava per le tribola-
zioni che, in nome di Napoleone, vedeva inflitte alla sua pa-
tria infelice, prorompeva, scrivendo all'abate Fortis, in queste
parole: « E veramente per aprirti tutto l'animo mio, sono ben
pentito, o almeno comincio a pentirmi del mio eroe. Egli ri-
manda Brune nella Cisalpina: vedi se si può aver coraggio di
proseguire. Nuliadimeno 1' abitudine di lodare un uomo che
tinora mi è parso il più grande di tutti, mi ha fatto nuova-
mente cadere nelle sue lodi, dimenticando i mali orribili che
i suoi generali ci hanno cagionati ». E con più aperta con-
fessione scriveva a Melchiorre Cesarotti : « Io vo toccando la
corda pindarica per l'imperatore Napoleone. Il Governo mi ha
così comandato e mi è forza così obbedire: Dio faccia che l'a-
mor della patria non mi tiri a troppa libertà di pensieri e che
si rispetti l' eroe senza tradire il dovere di cittadino ! Batto
un sentiero ove il voto della nazione non va molto d'accordo
con la politica, e temo di rovinarmi. Sant' Apollo mi ajuti e
voi pregatemi senno e prudenza ».
Il cuore e la mente del Monti erano combattuti, come si
vede, dal desiderio vivissimo di non dir cosa che suonasse oblio
de' mali della patria, e nel tempo stesso dalla riconoscenza e
dall'ammirazione che pur sentiva non meno potente per Na-
poleone. I giovani imparino non a vilipendere, colla legge-
rezza propria della loro età, gli uomini che pur sono gloria
somma della nazione; ma, ammirandone l'ingegno, e compas-
sionandone le pecche dell'animo, imparino ad essere indulgenti
per coloro che , se peccarono , ebbero redento il peccato dal
grande amore che portarono alla patria.
(1) 11 Mestica, nella biografia che fa del Monti nel suo Manuale
(p. 41), giustamente osserva come sia nociuto molto al p., che per quasi
mezzo secolo si sia studiata di lui una parte delle sue poesie, e che
per opera dei governi dispotici si sia vietata la ristampa di quelle che
erano più calde di patrioti ismo.
IL MONTI NELLA CISALPINA E NEL REGNO ITALICO. XXIII
Il lavora grande che il Monti godeva presso il governo na-
poleonico fu causa d'una spiacevole rottura fra lui ed Ugo
Foscolo, resa ancor più dolorosa, perchè troncava bruscamente
un'amicizia durata ben dodici anni; ma le male lingue de 1 so-
liti seminatori di discordia, la superba indole d'entrambi rup-
pero per sempre nel 1809 i dolci vincoli d' un 1 amicizia che
non si potò più risaldare.
Ultimi dei poemi napoleonici furono La spada di Federico
in ottave e la Palingenesi politica, V uno e 1' altro di gran
lunga inferiori al Bardo della Selva Nera. Nel primo, ispi-
randosi al Macbeth dello Shakespeare, volle glorificare le batta-
glie con cui Napoleone atterrò la potenza prussiana, e imma-
ginò che, nonostante le proteste dell'ombra di Federico il Grande,
Napoleone impugnasse audacemente la spada di quel famoso
difensore della sua patria. Dedicando quel poemetto nel 1806
« alla Grande armata », diceva: « A voi dunque, valorosi duci
e soldati di Napoleone, io consacro a buon titolo questi versi
dalla militare virtù vostra inspirati; e dai campi di Marengo
e di Austerlitz, ove già vostro bardo sto intrecciando corone
degli allori colà mietuti, io corro per diporto a raccogliervi
qualche fronda di quelli di lena, finche sono ancora caldi del
sangue dell'inimico ». Magnanime parole; ma il poemetto riuscì
confuso e guasto dai difetti che quasi costantemente si notano
nei poemetti del Monti, anche nei migliori. L'altro poemetto,
la Palingenesi politica, che vide la luce a Milano nel 1809,
è tutto in lode di Giuseppe Napoleone, re di Spagna e delle
Indie. Secondo l'intenzione del poeta doveva essere una specie
di appendice alla seconda parte del Bardo. Con roventi pa-
role inveisce contro la Spagna indomabilmente ribelle a Giu-
seppe Bonaparte che pur voleva colla forza dell'armi insediarsi
su quel trono, e contro l'Inghilterra che aiutava con tutti i
mezzi gli Spagnuoli pugnanti con estremo valore contro i Fran-
cesi. Inoltre, facendo anche in questo poemetto l'apoteosi di
Napoleone, intese di far di lui uno spirito animatore di tutto
il mondo civile e morale.
Poco dopo, nel 1810, celebrò le nozze dell'imperatore con
Maria Luisa nella bella lirica La Ierogamia di Creta, e l'anno
seguente cantò la nascita del Re di Roma in una vivace can-
zonetta Le api Panacridi in Alvisopoli, ove ebbe anche oc-
casione d'encomiare il veneziano Aloise Mocenigo che aveva
fondata in mezzo ad estese risaie e a campagne fiorenti la bella
borgata d' Alvisopoli, prèsso Portogruaro. Poco prima di que-
sto tempo aveva composta un'ampia cantata, I Pitagorici, che
nel 1808 fece rappresentare a Napoli con musica del Paisieilo,
e la dedicò al re Giuseppe Napoleone. Nello stesso genere si
XXIV mTROMJZtONB.
era esercitato anche prima, scrivendo per il Teatro filodram-
matico di Milano la Supplica di Melpomene a Talia col no-
bile intento di ottenere da Napoleone salutari provvedimenti
per i teatri, e già nel 1804 aveva fatto rappresentare alla
Scala un'azione drammatica, il Teseo, ove sotto i nomi degli
eroi antichi si celano i nomi dei moderni, e in Teseo è glo-
rificato il Bonaparte.
Ma già il fulgente astro del còrso fatale stava per tramon-
tare; l'impero napoleonico minacciato da tutte le parti, minato
internamente dalla stanchezza di tutti, perseguitato dalla for-
tuna che più non guidava alla vittoria le aquile de), grande
capitano, stava per cadere sotto il peso delia sua grandezza.
Proprio nel suo ultimo poemetto napoleonico, La Palingenesi
politica, il poeta si fa dire sulla fine del canto dalla musa
Calliope :
Vate, in quel buio
Bolle il vaso dell'ira, e le negre ali
Spiega già l'Ora del final castigo.
Se non le tarpa un Dio, fiera di canto
Avrai materia.
Con questi versi il poeta, inconsapevolmente profeta, annun-
ziava all'Italia la caduta della gloria napoleonica e l'avvento
d'una nuova bufera che doveva, atterrando impetuosa i nuovi
stati che le armi di Napoleone avevano eretti, restaurare 1
vecchi troni e riportare l'Italia, travagliata da tante commosse
vicende, sotto il dominio degli Austriaci.
III.
Il Monti dopo la Restaurazione.
Quando gli alleati nel 1814, caduto il colosso che era stato
per vari anni arbitro dell'Europa, si riunirono a congresso a
Vienna, per dare un nuovo assetto al governo de' popoli nuo-
vamente tornati sotto il loro dominio, il Monti, e ciò gli torna
ad onore, scrisse un impetuoso sonetto contro la malvagia
opera di quei liberticidi:
Come s'aduna degli armenti ai danni
Stuolo di lupi che Appennin rinserra,
Cosi suiristro, o perfidi tiranni,
Voi v'adunate a desolar la terra.
Proclamando la pace i vostri inganni
Hanno i dritti dcll'uom posti sotterra,
Hanno di libertà tarpati i vanni.
E questa è pace? F. quale ò mai la guerra?
IL MONTI DOPO LA RESTAURAZIONE. XXV
Ma l'un sull'altro invan si rassicura;
Invan credete di calcar le sfere:
È già presso a crollar Tempia impostura.
Struggitor di so stesso è un reo potere:
L'amistà fra ti; anni è malsicura,
E le fiere talor sbranali le fiere.
Ma il poeta non abbandonò, come il Foscolo, il paese ove
tornava la forza a conculcare il diritto, si adattò presto al
nuovo stato di cose, e chiese al conte di Bellegarde, generale
austriaco, che gli fosse conservata la pensione di storiografo
che aveva goduto sotto il vecchio regime. La pensione gli fu
conservata; ma ebbe a subire una forte diminuzione di. 1200
lire milanesi. Come aveva fatto altre volte, andava accattando
meschine scuse per giustificare la sua precedente condotta po-
litica, per cattivarsi la grazia de' nuovi dominatori, e diceva
queste biasimevoli parole: « L'adulazione non è privilegio che
de* poeti, ai quali sol'è concesso (per servirmi delle parole del
nostro grand* epico), intesser fregi al vero e mentire ».
Intanto per l'arciduca Giovanni d'Austria, che veniva a ri-
cevere il giuramento de' sudditi del nuovo Regno Lombardo-
Veneto, scriveva II mistico viaggio che fu cantato alla Scala
il 15 maggio 1815, il Ritorno d'Astrea, dedicandolo a Fran-
cesco I che non lo gradì, dicendo quelle giuste parole: « Egli
ha lodato tutti ». A queste cantate adulatrici faceva seguire
nel '19 un inno drammatico, l' Invito a Paììade, per festeggiare
l'arrivo che si sperava prossimo dell'Imperatore d'Austria, e
così sulla corda che vibrava ancora delle magnifiche lodi in-
dirizzate a Napoleone, cantava la felicità, la giustizia tornante
sul suolo della nostra patria sulla punta delle baionette au-
striache.
E questa è parsa ad un egregio critico una trasformazione
meno giustificabile delle altre (1), e certo a noi che ci siamo
liberati p9r il valore dei padri nostri dal duro servaggio au-
striaco è ben doloroso che uno dei nostri massimi poeti abbia
celebrato nei suoi versi come liberatori d Italia i suoi più
acerbi nemici. Ma lo stesso critico bene, a me pare, aggiunge:
< Non credo giusto neanche per questo d'imprecar solo a lui,
che pur trovò accenti nobili e degni anche in tale occasione,
mentre una intera generazione , che soccombeva fra le spe-
ranze deluse e gli strazi di ventanni di guerre incessanti, ac-
clamava, fra le accumulate ruine, alla pace ed agli alleati li-
beratori » (2).
(1) E. Masi , Il Monti, in Fan*ucche e Sanculotti, p. 235.
(2) E pare anche che le sue adulazioni poco giovassero al p., che ri*
XXVI INTRODUZIONE.
i
Se si ripensa alla storia letteraria di quel procelloso periodo,
si vedrà che simili trasformazioni politiche furono tutt' altro
che infrequenti, e nella vita di gran parte de' letterati di quel-
l'età si vede essere avvenute tali metamorfosi, senza che nò
i contemporanei, nò i posteri s'invelenissero contro di loro
per l'incostanza politica di cui purtroppo essi si erano resi
colpevoli. Gli uomini che si sollevano molto al di sopra della
mediocrità per altezza d' ingegno o di opere , appunto per
questa loro eccellenza sono più esposti come alle somme lodi,
cosi anche ai più bassi dispregi. E tale, secondo me, fu la sorte
del Monti: ne doveva il Cantù rimproverargli con troppa
acrimonia le sue illusioni, i suoi mal fondati entusiasmi che
pure furono le illusioni, gli entusiasmi d' un' intera genera-
zione (1).
Sotto gli auspici del governo austriaco, e a spese di quello,
si fondava intanto la Biblioteca italiana, rivista che aveva
l'intento , dice il Monti stesso, « di agire sullo spirito della
nazione, dirigerne l'opinione, ammansare i contrari partiti,
rintuzzare quelle scabrosità che impediscono il contatto e l'at-
trazione fra le parti componenti il corpo sociale ». Chi avesse
voluto non appagarsi di quelle belle parole, ma avesse scrutato
più addentro quello che vi si nascondeva, avrebbe facilmente
capito che si mirava ad avvezzare gli animi degl'Italiani alla
nuova dominazione. Ma il Monti non aveva poi tanti scrupoli,
e collaborò alia Biblioteca italiana, mentre altri nobilmente
se ne astennero o, da prima ingannati, se ne ritrassero poi.
Eppure chi giudicasse il Monti da questi atti, rischierebbe di
dare di lui un giudizio non giusto, perchè, anche allora che
metteva la sua Musa al servizio di nuovi padroni, mostrava
col fatto che portava sempre caldo nel cuore l'amore alla pa-
tria italiana, e continuava ad attendere con cura crescente
alia Feroniade, che, come a suo luogo diremo, doveva riuscire
una glorificazione del Lazio e dell'Italia tutta. In uno degli
articoli suoi della Biblioteca italiana sono queste nobilissime
corda le sue fallite speranze nel Dialogo col suo Libro, che precede la
Proposta di correzioni alla Crusca : Il Lib. : Di altro che di vane epi-
grafi tu provvedevi una volta alla sorte de* tuoi figliuoli, quando con
buona dose d'incenso, gl'indirizzavi al Sultano A, al Visir B, al Caima-
can C VAut. : Verissimo; ma che n* é seguito ? 11 Sultano A , il
Visir B., il Camaican C, sono andati a gambe levate ; e il bene inviatomi
da Domenedclio per quella porta é ito in fumo quasi tutto per le fine-
stre. E a quei poveri miei figliuoli {.requiem aetemam se sono morti»
che giovano adesso le belle cappe di che li mandai vestiti alla pubblica
luce? Quelle cappe si sono cangiate in altrettante camicie di Nesso, in
altrettante maledizioni ».
(1) Cantù, Il Monti e l'età che fu sua, Milano, Treves, 1879, pas~
**m, ma specialmente nelle pp. 349-350.
IL MONTI DOPO LA RESTAURAZIONE. XXVII
parole: « La lingua italiana ò l'unico legame d'unione, che nò
l'impeto dei secoli e della fortuna, né i nostri errori mede-
simi non hanno ancor potuto disciogliere: V unico tratto di
fìsonomia, che ci conservi l' aspetto d' una ancor viva e sola
famiglia ; l'unico amico consolatore, che ne' dolci campi dell'il-
lusione con pietà religiosa va raccogliendo tacitamente le sparse
membra d'Absirto. Lascerò che finisca di svolgere dentro sé il
mio pensiero qualunque degl'Italiani sia tenero della patria:
né dico già quella patria che certuni misurano dalla lanterna
delle cupole, ma quella che da una mano tocca le Alpi e dal-
l'altra la punta di Lilibeo ».
Frattanto si dedicava interamente agli studi filologici, sebbene
anche prima ne avesse dati pregevoli saggi : già nel 1804 aveva
diretto a Giovanni Paradisi le Lettere filologiche sul Cavallo
alato d'Arsinoe, che tessono con molta dottrina un bel ra-
gionamento sopra un passo della Chioma di Berenice (1), ed
anche in queste prose , come aveva fatto assai spesso n< i
suoi versi, dà sferzate potenti agii avversari che inurbanamente
lo avevano assalito. Se dopo qualche tempo riusciva, sfogato
il primo impeto dell'ira, a perdonare le offese, non sapeva in
un primo momento d'irritazione frenare la collera dinanzi a
qualche immeritata ingiuria che altri gli lanciasse. E guai al-
lora a chi lo aveva provocato ! Uno de' più atrocemente ber-
sagliati fu Salvatore de Coureii che in quel tempo dimorando
a Pisa scriveva nel Giornale dei letterati. In altre prose, corno
ad es. nelle lezioni su Omero, Virgilio, Socra t a, i Sofisti, Dio-
gene e Dante, si mostra più eloquente oratore che dotto.
Più lunga e certo più utile polemica di quella che abbiamo
accennata col De Coureii ingaggiò col padre Cesari che so-
steneva il più assoluto purismo e che avrebbe voluto cristalliz-
zare la lingua nostra nelle angustie delle forme usate dai
trecentisti. Intorno al Monti si strinsero non pochi valorosi in-
tolleranti di quel gretto esclusivismo, e un fiero assalto egli
mosse , incoraggiato dagli eccitamenti degli amici e dalle in-
temperanze degli avversari, all'Accademia della Crusca. Con
efficacia di ragionamento stringente e poderoso, con opportuna
scelta d'esempi e grazia di forma perspicua e vivace, battè in
breccia il vecchio edifizio con tanto amore eretto dal Cesari
e dai cruscanti, e da quella lotta che non fu soltanto una vana
logomachia, ma proficuo dibattito di menti dotte e assennate,
uscì la sua migliore opera di prosa, la Proposta di correzioni
e aggiunte al Vocabolario della Crusca.
'1) Mi sia permesso di rimandare a proposito di quest' opera a un
mio art. nella Rasa. crii, d. lett. {tal. di Napoli, an. "Vili, 9-12: « Una
polemica letteraria del Monti per le lettere filologiche sul Cavallo
alato d'Arsinoe »•
X^VITT jINTRODUZIONB.
JSon inutile parve a molti quella guerra di letterati contro
ciò che sapeva troppo di municipalismo, e sembrò preludere
alle guerre generose che "ri più tardi combatterono contro
chi voleva l'Italia serva e divisa.
In questa polemica, che durò a lungo, ebbe coadiutore va-
lente il genero Giulio Perticari, che aveva impalmato la bella
e intelligente figlia del poeta, Costanza.
Ma, nonostante l'acume dialettico di cui diede prova in questa
opera, e la conoscenza della lingua, di cui essa fa testimonianza,
non può dirsi che il Monti sia stato mai così forbito prosatore,
come fu eccellente poeta.
Così egli s'avvicinava all'estrema vecchiezza, sempre pugnace
spirito, combattendo fiere polemiche. Era egli d'animo impres-
sionabilissimo, non poteva trovar pace al pensiero di essere
stato senza ragione attaccato. Se indubbiamente non è verace
l'epigramma che il Manzoni dettava di lui, in cui gli attribuiva
il cuore di Dante (che a ben altre e magnanime collere si scal-
dava potentemente), è certo vero e giusto quel distico greco
che fu scritto a lettere d'oro nella cassetta contenente il suo
cuore (1) e che affermava, compendiando in poche parole la
sua gloriosa e pur tanto tempestosa vita , che quel core fu
« tanto buono quanto fu sublime la mente di lui ». La col-
lera aperta e che presto si placa è propria, non si dimentichi,
d'un animo impetuoso, irrefrenabile, ma sincero e buono.
IV.
Gli ultimi anni del Monti e la sua morte.
Glorioso, ma non sempre lieto, fu il tran nto della vita del
nostro poeta; non ebbe certo i fulgori che ne allietarono lo
splendido meriggio dell'età napoleonica. I mali fisici e le sven-
ture domestiche ne infiacchirono il corpo e ne turbarono l'a-
nimo. Nel 1822 gli moriva il genero, Giulio Perticari, dolce
compagno di studi e di polemiche letterarie contro la Crusca
e i puristi, e il dolore che provò per quella morte il vecchio
poeta dovette essere ben grande , se gì' ispirò quel bel com-
pianto che ò nella Feroniade , là dove, ricordando il salcio
piangente, ha questi melanconici versi:
(i) La figlia Costanza donò a Ferrara il cuore del poeta chiuso in
un'urna d'ebano (R. Barbera, H sepolcro del Monti, nel Corr. d.
atra, 1890, n. 109).
OLI ULTIMI ANNI DEL MONTI E LA SUA MORTE. XXIX
Salve, sacra al dolor mistica pianta,
' E l'umil zolla, che i mortali avanzi
Del mio Giulio nasconde, in cui sepolto
Giace il sostegno di mia stanca vita,
Della dolce ombra tua copri cortese (1).
Un'insoffribile malattia d'occhi insieme con una invincibile
sordità incominciava già a tormentarlo, ed era per lui di
estremo dolore Tesser costretto a rallentare il consueto ardore
negli studi. E come se ciò non bastasse, gli erano acute spine
al cuore le implacabili accuse, le aspre calunnie che alla sua
cara figlia, alla vedova del Perticari, si lanciavano dai pa-
renti e dagli amici del morto (2). Un' eco dolorosa dell'ama-
rezza che dovè sentire il vecchio poeta per la fiera guerra fatta
all'amata figlia è in questi affettuosissimi versi, ove, cercando
con dolci parole di alleviare il dolore dell'infelice, ha anche
qualche sferzata ben diretta contro i tristi calunniatori:
E tu, strazio d'amore e di fortuna,
Tu derelitta sua misera sposa,
Che del caldo tuo cor tempio ed avello
Festi a tanto marito e quivi il vedi
E gli parli e ti struggi in vóti amplessi,
Da trista e cara illusìon rapita,
Datti pace, o meschina ; e ti conforti
Che non sei sola al danno. Odi il compianto
D'Italia tutta; i monumenti mira
Che alla memoria di quel divo ingegno
Consacrano pietose anime belle
E, se tanto d'amore e di cordoglio
Argomento non salda la ferita
Che ti geme nel petto, e forza cresce
Al generoso tuo dolor l'asciutto
Ciglio de' tristi, che alla voce sordi
Di natura e del ciel né d'un sospiro,
Nò d'un sol fiore consolar l'estinto,
Dolce almeno ti sia, che su l'avaro
Di quell'ossa sacrate infando obblio
Freme il pubblico sdegno e fa severa
Delle lagrime tue giusta vendetta (3).
Così, combattuto dalle sventure, dagli assalti de' nemici che
ancor non si quietavano, dai mali fisici che si venivano ag-
gravando, invecchiava melanconico il poeta.
Ma, se il corpo s'infiacchiva, l'ingegno mandava ancora lampi,
(1) C. I, 257-261.
(2) E. Masi, Op. cit., al cap. « La figlia di V. Monti »,
(3) C. I, 262-284.
XXX INTR0DUZ10NK.
e l'animo, sotto il cumulo delle memorie, stretto dalle sven-
ture, pareva farsi più dolce nella melanconia, e il verso ac-
quistava una doJcezza pensosa che scende commovente nel-
l'anima del lettore. Quanta dolcezza mista alla più accorata
mestizia spira ne' versi bellissimi per T Onomastico della sua
donna! Quanto affetto calmo e sereno corre soave in quel li-
brettino, che scrisse nel '22, Un sollievo nella malinconia!
Gli si oscurava sempre più la vista, ma non gli si ottenebrava
l'intelletto, e il poeta nel bel sonetto Sopra sé stesso can-
tava:
Se l'acume . . . . è già distrutto
Della veduta corporal, più vivo
Dentro mi brilla rocchio intellettivo
Che cielo e terra abbraccia e suo fa il tutto.
Qualche volta si distraeva da' mali e dalle melanconie con
altri argomenti, e nel '25, ad esempio, scriveva Le nozze di
Cadmo e d'Ermione; ma ormai le corde della sua lira da-
vano a preferenza suoni dolcemente mesti, e in quelli riusciva
ancora poeta grande, perchè sincero.
Cercava intanto un refrigerio ai mali fisici nell'aure fresche
e balsamiche della Brianza, a Cernobbio sulle rive del Lario,
ove l'accoglieva la signorile ospitalità dell' amico Carlo Lon-
donio, o nella bella villa di Oaraverio, ove lo confortavano le
amorose cure d'un altro ospite amico, Luigi Aureggi, o a Ornate
presso G. Giacomo Trivulzio, o a Sesto presso l'astronomo
Barnaba Oriani. Per esercizio di stile, nei brevi momenti in
cui gli dava qualche tregua la malattia agli occhi, traduceva
un episodio della Tunisiade del Pvrker (1), ed era finalmente
presso a finire, dopo quasi quaranta anni di lavoro, la Feroniade.
Questo poemetto per la finitezza della forma ben può dirsi
una lucentissima gemma della nostra letteratura, e ne' suoi
tre lunghi canti circola una così calda rievocazione di Roma
antica e dell'Italia che questo amore alla nostra patria glo-
riosa che per entro vi alita deve, almeno in parte, redimere il
poeta dalla fama non bella che ebbe sempre per la -sua in-
costanza politica.
Ormai presso alla tomba, ebbe ancora un impeto di giovi-
nezza, quando, disgustato delle fosche immaginazioni poetiche
de' romantici più audaci , lanciò contro di loro il Sermone
sulla Mitologia, che pubblicò nel '25 a Genova per nozze il-
lustri e che ebbe lodi ed ammirazioni anche dagli avversari.
I romantici avevano un tempo sperato di aver un aiuto nel
(1) Assai prima aveva tradotto nel 1801 la Pulcelìe d'Orléans del
Voltaire e in altro tempo le satire di Persio,
GLI ULTIMI ANNI DEL MONTI E LA SUA MORTE. XXXI
nome e nell' autorità del Monti , che già aveva dato non
dubbi segni di volere avvicinarsi a loro nella BassvilUana ,
nei Bardo della Seloa Nera, nel Galeotto Manfredi e nel
Caio Gracco; ma rimasero sconcertati allorché uscì il Ser-
mo le, ove, ammirando l'ideale bellezza degli dei antichi e le
immagini d'Omero, si lanciavano potenti strali contro « l'au-
dace scuola boreal » che riempiva le carte di spettri e di te-
tre fantasie. Se la bella poesia del Monti non valse ad arre-
stare il dilagare del Romanticismo, non può dirsi nemmeno
riuscisse telum imbelle sine ictu, che sempre possenti furono
i colpi scagliati dalla mano poderosa di lui. I romantici più
caldi la dissero una « classica cianciarulla », e gli risposero
in versi e in prosa; ma quella poesia rimane coll'ode Gli dei
della Grecia dello Schiller l'ultimo, sebben vano assalto mosso c^y
alla nuovissima scuola.
Ma i mali usici non gli davano requie, ed una paralisi per
due volt 3 violentemente lo assalì, e ne fiaccò a poco a poco
la vigoria. Egli si spense in Milano il 13 ottobre 1828.
Sul carattere dell uomo grande, ma tanto combattuto e in
vita e in morte, vario è stato il giudizio. Dal Giordani e da
Achille Monti, che, come abbiamo detto, con dottrina, ma anche
con troppa benevolenza difese la sua massima gloria gentilizia, al
Cantù e al De Sanctis, che con eccessiva severità lo giudica-
rono, v' è tutta una serie intermedia di opinioni (1). Che
cosa sia da pensare della sua condotta politica, ho già detto
più volte e abbastanza, sicché non mi pare necessario ripe-
terlo. A ogni modo, per ciò che si debba credere di lui
come uomo, mi par bene lasciare la parola al Giordani che,
se può credersi essergli stato più dei giusto benevolo per af
fetto d'amico, d'altra parte per l'intimità che ebbe con lui
potè conoscerne i pregi e i difetti tutti dell'animo, e perciò fu
in grado di darci di questi e di quelli un quadro che non po-
trebbe desiderarsi più chiaro e più particolareggiato.
Da questo quadro balza intera agli occhi di noi posteri
ormai lontani dal grande poeta romagnuolo la sua figura, sim-
patica pur nei suoi difetti , o almeno non degna di troppi
acerbi rimproveri: « Poiché la bontà del mio amico fu nota e
provata a quanti lo conobbero, degni di amarla; e non meno
la conobbero gì' indegni , che troppi , e troppo l'abusarono. Ma
quelli che non lo videro, e molte generazioni future che nei
suoi scritti leggeranno parole superbe e sdegnose, potrebbero
leggermente crederlo assai diverso da quello che fu.
(1) Fra questi critici che ebbero a giudicare il Monti si vedano
specialmente, oltre quelli citt. : F. Corazzini, In difesa di V. M., Ferrara
T^ldei, 18G9, e A. Garavini, Difesa di V. M., Genova, 1889.
XXXII INTRODUZIONE.
Però ci ò necessario avvertire, che egli quando si fece ri-
prenditor veemente di quelli che studiano ad ingannar il ge-
nere umano o ad opprimerlo, compiè il debito di poeta civile;
quando poi, o essendo o credendosi offeso, punse altrui. non per
causa pubblica, ma per suo proprio dolore , non fu mai con-
citato da stimoli d'odio o d'invidia ; ma trasportato da un tor-
rente di fantasia: la quale in lui (somigliandolo a Cicerone)
soverchiò le altre parti della mente e dominò la vita. Egli
per verità pronto a divampare in isdegni, non sempre giusti,
ma brevi e placabili, altrettanto fu incapace d'odio; anzi ris-
pondeva coi benefìzi alle ingiurie ; poco sapendo guardarsi da
nuove offese d'ingrati, e d' ingannatori. Nella severa maestà
del suo volto (sì vivamente rappresentata dalla scultura di
Giambattista Comolli), la grazia (non rara) di un sorriso dolce
e delicato rilevava pienamente un animo sincerissimo e affet-
tuoso. E la sincerità fu perfetta; che ne voleva, nò poteva
dissimulare, non che fìngere ver un pensiero, e perciò dete-
stava forte ogni falsità e simulazione; così avesse saputo da
falsi e simulati difendersi! Quell'anima nobilissima ignorò af-
fatto l'invidia nell'estimare gl'ingegni e gli studi altrui quasi
troppo liberale; nel giudicare i vizi e le virtù piuttosto molle
che rigido; nel far congettura delle indoli, semplice, e siccome
corrivo a immaginarsi il bene, cosi facile ad ingannarsi: pla-
cabile ai tristi con facilità deplorabile; affabilissimo anche agli
sconosciuti; amico agli amici con fede e tenerezza singolare.
Ingrandiva ogni minimo servigio che ricevesse, e alla ricono-
scenza non poneva termine: compativa tutte le afflizioni:
avrebbe voluto soccorrere tutti i bisogni; amava e favoriva
tutti i merit\: e della grazia che giustamente godette presso
i potenti cercò profìtto non per se stesso, ma per altrui. Stu-
diò di non dispiacere a' potenti : e perchè il giuoco di fortuna
è insolente, e spesso nel suo teatro gì' istrioni si cambiano:
perciò il buon Monti necessitato di voltare quando a Ponente
e quando a Settentrione la faccia, non potè sfuggire dal bia-
simo di quelli che nel poeta vorrebbero gravità e costanza
di filosofo; e a lui diedero colpa di mutate opinioni. Ma egli
non vendette la coscienza, non mai, né per avarizia, né per
ambizione; e nemmeno si può dire che mentisse a sé stesso.
Lo fece apparire mutabile una eccessiva e misera e scusabile
timidità; la quale egli stesso confessava ai più stretti amici
dolente. E si consideri che a lui già famoso non sarebbesi
perdonato il silenzio. E si guardi che s'egli variamente lusingò
i simulacri girati in alto dalla fortunevole ruota, non però mai
falsò le massime; non raccomandò l'errore, non adorò i vizi
trionfanti, non mancò di riverenza alle virtù sfortunate; sem-
GLI ULTIMI AKm DEL MONTI B LA SUA MORTE. XXXIII
pre amò e desiderò che il vero, il buono, l'utile, il coraggio,
la scienza, la prosperità, la gloria fossero patrimonio di nostra
madre Italia. In somma chi ha conosciuto intimamente e con-
siderato bene il Monti, può dire, che le molte ed eccellenti
virtù che in lui il mondo ammirò, e i tanti suoi amici ado-
rarono, e quel non molto che alcuni ricusarono di lodare ;
quella vena beata di poesia e di prosa, quella splendida copia
d'immagini, quella variata ricchezza di suoni , quella arguta
abbondanza di modi in tante differenti materie; e similmente
quelle ineguaglianze e dissonanze, e quasi quei balzi di stile;
quell'audacia talora di concetti scomposti, e di figure meno
vereconde : e così quella facilità e mobilita di affezioni: quelle
paure con piccolo motivo, e così tosto quegli ardimenti con poca
misura; quelle ire subite e sonanti, con quella tanta facondia
nell'ira; quelle amicizie sì prontamente calde, e sì fluttuose;
quella modestia e semplicità di costumi; quella sincerità candi-
dissima; quella perpetua ed universale benevolenza ; quella, per
così dire, muliebrità d'indole (che pareva più notabile in corpo
quasi di atleta, e nella poetica baldanza dell'ingegno), tutto nel
Monti era parimenti cagionato da prepotenza di passiva im-
maginazione.
. . . Sia duro giudice a te, mio carissimo Vincenzo Monti ,
chi vuole e può : a noi sarà caro perpetuamente il rimemo-
rare con amorosa malinconia, che il poeta riverito in Europa,
adorato dagli Italiani, l'amico degno di Ennio Visconti e di
Barnaba Oriani , l'encomiatore del Parini e del Mascheroni ,
visse non meno buono, che grande ».
Troppo rigidamente severo era stato dunque con lui il conte
Mei zi d'Eril, quando lo volle escludere dal Senato di cui lo
aveva ritenuto degno il collegio elettorale de' dotti.
TAVOLA
DELLE OPERE E DELLE ABBREVIATURE USATE NELLE NOTE.
Bertoldi: Poesie di Vincenzo Monti, scelte, illusfratc e commentate cL«
Alfonso Bertoldi, Firenze, Sansoni, 1891.
Bertoldi e Mazzatlnti : Lettere inedite o sparse di V. Monti per cura di
A. Bertoldi e G. Mazzatinti, Torino, Roux. 1892, voli. 2.
Botta : Carlo Botta Storia d'Italia, dal 1789 al 1814 , Milano, Borroni e
Scotti, 1844.
Canti) : Cesare Canti), Monti e l'età che fu sua : Milano, Treves, 1879.
Carcano : Giulio C arcano, Prose e poesie di V. Monti, con un discorso
sulla vita e le opere dell'A., Firenze, Le Monnier, 1857, voli. 5.
Carducci : Conversazioni critiche : Roma, Sommaruga, 1884.
Carducci e Brilli : Letture italiane, libro quinto : Bologna, Zanichelli, 1SSS
(3. a ediz.).
Carducci : Le poesie liriche di v. Mnvti per cura di G. Carducci, Firenze,
Barbèra, 1862.
Carducci: Lettera all'abate Saverio Bettinelli di V. Monti in canti e
poemi a cura di G. Carducci, Firenze, Barbèra, 1862', voi. II.
Casini : Tommaso Casini, Manuale di letteratura italiana ad uso dei li-
cei, Firenze, Sansoni, 1886, voi. I.
D'Ancona e Bacci : Manuale di letteratura italiana, Firenze, Barbèra, 1S94,
voi. V, P. I.
De Castro : Giovanni De Castro, Milano e la Repubblica Cisalpina, Mi-
lano, Dumolard, 1879.
De Castro: Giovanni De Castro, Storia d'Italia dal 1799 al 1814 :Mi-
lano, Vallardi, 1881.
Della Valle : Giovanni Di lla Valle, Commento alla Bassvilliana di
V. Monti edito da Arturo Masetti : Bologna, Regia Tipografia. 1889.
De Sanctis : Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana, Na-
poli, Morano, 1879, voi. II.
De Sanctis : Il Sermone sulla Mitologia del Monti in Saggi critici, Na-
poli, Morano, 1874, p. 48 e sgg.
Ferrari: Severino Ferrari, Antologia della lirica moderna italiana,
scelta, annotata, ecc., Bologna, Zanichelli, 1891.
Ferrazzi : Jacopo Ferrazzi, Manuale dantesco, Bassano, Pozzato, 1865.
Fmzi : Giuseppe Finzi, Liriche e poemetti di V. M., scelti ed annotati ad
uso delle scuole, Torino, Paravia, 1885.
Fornaciari : Raffaello Fornaciari, Appendice agli Esempi di bello scri-
vere scelti e illustrati dall' avv. Luigi Fornaciari, Firenze, Paggi, 1883
(4.» ediz.).
Franchetti: Augusto Franchetti, Storia d'Italia dopo il 1789, Milano,
Vallardi.
Masi : Ernesto Masi, La figlia di V. Monti' in Parrucche e sanculotti nel
sec. XVIII, Milano, Treves, 1886.
Mazzoni: Guido Mazzoni, L'Ottocento, Milano, Vallardi, 1903 (ancora in
corso di pubblicazione).
Mestica : Giovanni Mestica , Manuale della letteratura italiana, nel
see. XIX, Firenze, Barbèra, 18S2-87.
Monti Achille : Lettere di V. Monti e di Costanza sua figlia, Imola, Ga-
leati, 1873.
Monti Achille : Vincenzo Monti, ricerche storiche e letterarie, Roma,
Barbèra, 1873.
Padovan : G. Padovan, Poemetti e liriche di V. Monti, con note ad uso
delle scuole, Alba, Sansoldi, 1885.
Piergili : Giuseppe Pieroili, Poesie di V. Monti, scelte e commentate ad
uso delle scuole classiche : Firenze, Barbèra, 1889.
TAVOLA DELLE OPERE E DELLE ABBREVIATURE. XXXV
Puccianti: Giuseppe Pucci axti, Antologia della. poesia italiana moderna:
Firenze, Le Monnier, 1872.
Resnati: Prose varie di V. Monti, Milano. G. Resnati, 1848 (nello Opere
di V. M., voi. VI).
Uesnati: Epistolario di V. Monti, Milano, G. Resnati, 1S12 (nelle Opere di
Y. M., voi. VI).
Scipioni : Giuseppe Scipione Scipioni, Alcune lettere e poesie di Costanza
Monti Perticari, in Giorni, stor. della letter. ital., voi. XI, fase. I.
Sforza: Giovanni Sforza, L'assassinio del Bassville, in Archivio storico
italiano, serio V, tom. IV, disp. 5.* e 6.*
Vicchi : Leone Vk'Ohi, Vincenzo Monti, le lettere e la politica in Italia
dal '750 al 1830, Faenza-Roma, 1879 87 (voli. 4). Questi volumi non li
cito secondo gli anni in cui uscirono alle stampe, ma secondo l'ordine
cronologico, relativamente alla vita del Monti.
Thikrs : Stòria della rivoluzione francese, tradotta da Gaetano Barbieri,
Milano, Borroni e Scotti, 1854.
Trenta : Delle benemerenze di V. M. verso (ili studi danteschi, Studio
comparato della Bassvill. colla Divina Commedia, Pisa, Spùrrl, 1891.
Zanella : Giacomo Zanella, Storia della Ictt. ital. dalla metà del sette-
cento ai giorni nostri, Milano, Vallardi, 18S0.
Zumbini : Bonaventura Zumbini, Sulle poesie di Vincenzo Monti. Stttdi,
Firenze, Le Monnier, 188rt.
Avvertenza: Le note che il Monti appose a nini poche delle sue poesie
e di cui mi sono largamente jriovato. togliendone il superfluo, sono sempre
contrassegnate colle lettere Mt : quelle che Giovanni Antonio Maggi fece col
suggerimenti e colTapprovazione del poeta, le ho contrassegnate colle let-
tere Mg,
PARTE I.
LIRICHE
Prosopopea di Pericle.
ALLA SANTITÀ DI PIO VI
Quando nelle rovine tiburtine di Caio Cassio fa ritrovato il busto di
Pericle, fu posto, per opera del celebre archeologo Ennio Quirino Visconti
(1751-1818), nel Museo Vaticano a canto al busto d Aspasia, che era stato ri-
trovato poco prima negli scavi di Civitavecchia. Quest'ode fu scritta nel '70
per suggerimento del Visconti e fu recitata con grande applauso nel bosco
Parrasio il 23 agosto per i voti quinquennali in onore di Pio VI , appena
uscito da una grave malattia. Cfr. Vkthi, Vincenzo Monti, le lettere e la
politica, ecc. i, 303 e sgg. Fu poi collocata, per volontà del cardinale Boschi,
in una tavoletta dietro il busto di Pericle (V. Lettere ined. e sparse di V.
Monti, raccolte da A. Bertoldi e G. Mazzatinti, i, 43). Di là venne tolta
fra il 1881 e l'82. 11 metro é quello della canzonetta arcadica in strofe te
frastiche di settenari, alternativamente sdruccioli e piani, questi ultimi sol-
tanto rimati. Questo metro fu già usato nel cinquecento, ma senza gli sdruc-
cioli : venne poi in voga nel seicento con rime alternate, gli arcadi vi ag-
giunsero gli sdruccioli alternati. Illustrò in bel modo quesfode G. Mestica
nella scritto apparso nella N. Antologia del 1.° settembre 1889 « La prima
ode di V. M. in Roma ».
Io de* forti Cecropidi
Nell'inclita famiglia
D'Atene un di non ultimo
Splendor e maraviglia, a
A riveder io Pericle
Ritorno il ciel latino,
1. Io: Per figura di personificazione {prosopopea) parla Pericle stesso.
— Cecropidi: Cioè Ateniesi, detti cosi perché discendenti da Cecrope, egizio
venuto nell'Attica, ove insegnò l'agricoltura e le arti e institui il culto
di Venere. Fu, secondo la leggenda, il primo re d'Atene.
3. non ultimo : Nota qui la figura di litote (attenuazione).
5. Io Pericle: Efficace ripresa dell'io del primo verso. Pericle, figlio di
Xantippo, il vincitore della battaglia di Micale, contribuì non poco allo
splendore che ebbe Atene dal 470 al 430 a. C. Fu di grande ingegno e di
maravigliosa eloquenza. Sposò la celebre etera (cortigiana) Aspasia, figlia
di Assioco di Mileto, donna di alto intelletto, di grande bellezza e di fine
spirito, onde meritò l'amicizia di Socrate, le lodi di Alcibiade e accolse in
casa sua il fiore dei filosofi, degli oratori e degli uomini politici della Grecia.
Pericle mori nel 429 per la peste scoppiata in Atene nel secondo anno della
guerra peloponnesiaca.
Monti. — Poesie. 1
2 PARTE 1.
Trì'onfator de' barbari
Del tempo e del destino. 8
In grembo al suol di Calilo
(Funesta rimembranza!)
Mi seppellì del Vandalo
La rabbia e l'ignoranza. 12
Ne ricercaro i posteri
Gelosi il loco e Torme,
E il fato incerto piansero
Di mie perdute forme. ig
Roma di me sollecita
Se 'n dolse, e a' figli sui
Narrò Tinfando eccidio
Ove ravvolto io fui. 20
Carca d'alto rammarico
Se 'n dolse l'infelice
Del marmo freddo e ruvido
Bell'arte animatrice ; 21
E d'Adriano e Cassio,
Sparsa le belle chiome,
Fra gl'insepolti ruderi
M'andò chiamando a nome. ss
Ma invan ; che occulto e memore
Del già sofferto scorno
Temei novella ingiuria
Ed ebbi orror del giorno ; 12
7. De* barbari : Lo dice trionfatore de 9 barbari, perché essi ne atterra-
rono a Roma il busto ; ma questo fu dissepolto, e cosi trionfò del tempo e
del destino, che non riuscirono a tenere occulta per sempre la sua im-
magine.
u. Al suol di Catilo: Al territorio di Tivoli, fondata dalTargivo Catilo in
sieme coi fratelli Cora e Tiburte, dall'ultimo dei quali ebbe U nome. Cfr.
Virgilio, Aen. vii, 670 : Tum gemini fratres Tiburtìa moenia lincunt, Fra-
tris Tiburti dictam cognomino gentem Catillusque acerque Coras, argiva
iuventus. e Orazio, Od. l f xviii, e Feroniade l x 611.
10. Dei Vandalo: Intendi non soltanto i Vandali, che tanta parte di opere
d'arte distrussero, ma tutti i barbari, che disertarono l'Italia.
17. Solleoita : Afflitta , ha qui U senso della corrispondente parola la-
tina.
19. Infando : Indicibile (lat.).
24. BeU'arte animatrice : Bella perifrasi per indicare la scultura che chiama
infelice, perché tanto decadde nel medio evo.
27. Fin gl'insepolti ruderi : Fra le rovine della magnifica viUa che l'im-
peratore Adriano s'era fatta costruire presso Tivoli e dell'altra bella villa
detta Ca88ianum praedium che C. Cassio Longino aveva lì presso.
26. Sparsa le belle chiome : Questa costruzione, per la quale il participio
riferentesi al complemento oggetto si accorda coi soggetto della proposizione,
riproduce nella nostra lingua l'accus. di relazione, cosi spesso usato in la-
tino. Cfr. Virgilio, Aen. III. 65: « Et circum Iliades crinem de more so
lutae ». Col Tasso e col Chiabrera diventò d'uso comune nei nostri poeti.
Si noti anche l'efficace personificazione della scultura che va cercando fra
i ruderi delle romane ville di Tivoli il busto di Perirle.
30. Del già sofferto scorno: Dei danni subiti per mano dei barbari.
PROSOPOPEA DI PERICLE. 3
Ed aspettai benefica
Etade, in cui sicuro
Levar la fronte e l'etere
Fruir tranquillo e puro. 86
Al mio desir propizia
L'età bramata uscio,
E tu sul sacro Tevere
La conducesti, o Pio. 40
Per lei già l'altre caddero
Men luminose e conte,
Perchè di Pio non ebbero
L'augusto nome in fronte. 41
Per lei di greco artefice
Le belle opre felici
Van del furor de* secoli
E delTobblio vittrici. 48
Vedi dal suolo emergere
Ancor parlanti e vive
Di Periandro e Antistene
Le sculte forme argive: 52
Da rotte glebe incognite
Qua mira uscir Biante,
Ed ostentar l'intrepido
Disprezzator sembiante; 58
Là sollevarsi d' Eschine
La testa ardita e balda,
Che col rivai Demostene
Alla tenzon si scalda. co
Forse restar doveami
Fra tanti io sol celato,
39. Sol sacro Tevere : In Roma. Inneggia all'età propizia alle arti in cni
il busto del grande ateniese potè rivedere la luce : il che avvenne quando
il cesenate Giov. Angelo Braschi divenne papa col nome di Pio VI. Gloria
del suo pontificato furono gli scavi che ridonarono alla luce opere famose
di greco scalpello. Il Visconti le descrisse nel Museo Pio dementino e
nell'Iconografia greca.
42. Per lei : Per lo splendore dell'età di Pio VI si oscurarono al paragone
ie altre età.
51. Periandro : Fu uno dei sette antichi sapienti. Anche di lui era stato
ritrovato il busto nella villa di Cassio presso Tivoli. — Antistene : Fu filo-
sofo socratico, maestro di Diogene e fondatore della scuola dei cinici.
54. Biante : Altro filosofo di Priene nell' Ionia che fu noverato tra i sette
salienti. È di lui lodato « l'intrepido disprezzator sembiante », perché a lui
appartiene il celebre detto tramandatoci da Cicerone : Omnia mea porto
mecum.
57. Bachine : Il grande oratore ateniese, partigiano della influenza mace-
done in Grecia (390 circa - 315 av. C), avversario del suo concittadino De-
mostene (384 circa - 322 av. C), caldo sostenitore della libertà della patria
e degno della corona d'oro che Ctesifonte gli aveva decretata e per la quale
scrisse l'orazione Per la corona.
4 PARTE I.
E miglior tempo attendere
Dall'ordine del fato? 61
Io che d'età sì fulgida
Più ch'altri assai son degno?
Io della man di Fidia
Lavoro e dell'ingegno? «s
Qui la fedele Aspasia,
Consorte a me diletta,
Donna del cor di Pericle,
Al fianco suo m'aspetta. 72
Fra mille volti argolici
Dimessa ella qui siede,
E par che afflitta lagnisi
Che il volto mio non vede. 76
Ma ben vedrallo : immemore
Non son del prisco ardore :
Amor lo desta, e serbalo
Dopo la tomba Amore. 80
Dunque a colei ritornano
I fati ad accoppiarmi,
Per cui di Samo e Carnia
Ruppi l'orgoglio e l'armi ? 84
Dunque spiranti e lucide
Mi scorgerò dintorno
Di tanti eroi le immagini
Che furo eliòni un giorno? 88
Tardi nepoti e secoli
Che dopo Pio verrete,
Quando lo sguardo attonito
Indietro volgerete, 92
come fia che ignobile
Allor vi sembri e mesta
La bella età di Pericle
Al paragon di questa ! 93
67. Fidia : Sembra che il busto di Pericle sia veramente opera di questo
massimo fra gli scultori greci nato fra il 490 e il 480 av. C.
69. Qui: Nelle sale del Vaticano.
71. Donna- Signora (lat.). È in tal senso nei nostri antichi poeti. Petrarca,
P. I., son. 150: « Ma io noi credo, né '1 conosco in vista Di quella dolce
mia nemica e donna », e Canz. XI : « Pose colei che sola a me par donna » :
ricorda anche il dantesco « Non donna di Provincie ma bordello » (Purg.
VI, 78).
78. Del prisco ardore : Dell'amore che un tempo le portai.
83. Carnia: Come sembra, le due guerre che Pericle condusse contro
Samo e poi contro il Peloponneso, detto Carnia dalla città di Camion, fu-
rono consigliate a Pericle da Aspasia.
96. Al paragon di questa: Esagerata lode dell'età di Pio VI che dice do-
vere un giorno ai tardi posteri sembrare di gran lunga più fulgida del-
l'età di Pericle.
PROSOPOPEA DEI PERICLE. O
Eppur d'Atene i portici,
I templi e l'ardue mura
Non mai più belli apparvero
Che quando io l'ebbi in cura. 100
Per me nitenti e morbidi
Sotto la man de' fabri
Volto e vigor prendevano
I massi informi e scabri : 101
Ubbidiente e docile
. Il bronzo ricevea
I capei crespi e tremoli
Di qualche ninfa o dea. ìos
Al cenno mio le parie
Montagne i fianchi aprirò,
E dalle rótte viscere
Le gran colonne uscirò. 112
Si lamentavo i tessali
Alpestri gioghi anch'essi,
Impoveriti e vedovi
Di pini e di cipressi. 113
D fragor dell'incudini,
De' carri il cigolio,
De' marmi offesi il gemer
Per tutto allor s'udio. 120
Il cielo arrise : Industria
Corse le vie d'Atene,
E n'ebbe Sparta invidia
Dalle propinque arene. m
Ma che giovò ? Dimentici
Della mia patria i numi,
Di Roma alfìn prescelsero
Gli altari ed i costumi. 123
Grecia fu vinta, e vi desi
Di Grecia la mina
100. L'ebbi in cura : Di qui incomincia la parte più bella dell' ode in cui
fa una splendida descrizione delia grande età penelea.
101. Nitenti: Lucenti (iat.).
102. Fabri: Artefici (lat.), qui gli scultori.
109. Le parie montagne : Dai monti di Paro , isola dell' Egeo, si ricavava
nell'antichità il celebre marmo bianco che fu in pregio quanto il marmo
pen te lieo.
113. I tessali alpestri gioghi : I monti della Tessaglia fornivano abbondante
legname per le armature degli edilizi e delle navi.
119. Marmi offesi : Marmi lavorati per farne statue o editìzi.
127. Di Roma: Caduta la Grecia, per opera del console L. Mummio, sotto
il dominio di Roma nel 146 av. C, Roma prevalse sui popoli d'Kuropa.
129. Grecia fu vinta : È reminiscenza dell'oraziano, Ep. 1, 11, 157 : « Graecia
capta ferum victorem cepit et artes Intulit agresti Latio ».
6 PARTE I.
Render superba e splendida
La povertà latina. 132
Pianser deserte e squallide
Allor le spiagge achive,
E le bell'arti corsero
Del Tebro sulle rive. 135
Qui poser franche e libere
Il fuggitivo piede,
E accolte si compiacquero
Della cangiata sede. 110
Ed or fastose obbliano
L'onta del goto orrore,
Or che il gran Pio le vendica
Del vilipeso onore. 141
Vivi, signor. Tardissimo
Al mondo il ciel ti furi,
E con l'amor de' popoli
Il viver tuo misuri. 148
Spirto profan dell'Erebo
All'ombre avvezzo io sono;
Ma i voti miei non temono
La luce del tuo trono. 152
Anche del greco Elisio
Nel disprezzato regno
Ve qualche illustre spirito,
Che d'adorarti è degno. 153
141. Obbliano l'onta : Dimenticano gli orrori visti al tempo delle devasta-
zioni barbariche (goto, come sopra vandalo, vale barbarico in genere).
148. Il viver tuo misuri : Cioè ti faccia vivere quanto lo desiderano i po-
f>oli che tanto ti amano. Questo bell'augurio che fa qui il p. al papa ricorda
'augurio che Orazio fa ad Augusto, Od. I, n, 45 : « Serus in caelum redeas,
diuque Laetus intersis populo Quirini ».
149. Èrebo : Era, secondo Virgilio, Aen. vi, 426 e sgg., il luogo dei regni
infernali, ove stavano in separate sedi i bambini, i suicidi, 1 morti per
amore e i prodi in guerra.
153. Elisio: La sede degli spiriti beati dopo la morte. Il Mestica giusta-
mente, a parer nostro, chiama « arcadiche » queste due ultime strofe, che
guastano in parte l'alto concetto espresso con ìmpeto lirico nel a strofa pre-
cedente.
Al signor di Montgolfier
I fratelli Giuseppe Michele (1740-1810) e Stefano (1745-1709) Montgolfier sul
cadere del 1782 costruirono il primo pallone aereostatico di carta gonfiato
con aria calda. Questo rudimentale aereostato fu poscia perfezionato dallo
Charles che lo fece di tela e lo riempi di gas idrogeno. Lo lanciò nell'aria
impeto lirico ed é, a giudizio dello Zumbini (p. 211) « il primo fra i mi
gliori esempi, ch'egli abbia mai dato, di far poesia con immagini tratte dal
soggetto medesimo ». Si ricordi che per la macchina aereostatica compose un
bel son. il Parini, in cui, come si fa anche sulla fine di quest'ode, ricorda
rapidamente le conquiste dell'ingegno umano sulla natura. È il son. «Ecco,
del mondo meraviglia e gioco ».
Quando Giason dal Pelio
Spinse nel mar gli abeti
E primo corse a fendere
Co' remi il seno a Teti, <i
Su l'alta poppa intrepido
Col fior del sangue acheo
Vide la Grecia ascendere
Il giovinetto Orfeo. 8
Stendea le dita eburnee
1. Giasone: Figliuolo di Esone. re dei Minii d'Iolco, in Tessaglia', guidò
la spedizione degli Argonauti nella Colchide alla conquista del vello d'oro.
Questa, che è da ritenersi la prima spedizione navale greca in lontane re-
gioni, fu celebrata da molti poeti. Apollonio Rodio e Valerio Fiacco ne fe-
cero l'argomento d'interi poemi, Ovidio a lungo ne parlò nel VII delle Me-
tamorfosi. — Pelio : Sorge all'estremità della penisola di Magnesia in Tes-
saglia. Di là scese il legname, che servi per costruire la nave Argo, su cui
partirono per la Colchide i cinquanta Argonauti. Anche Catullo da princi-
pio ad un suo carme (lviii) in modo assai simile: «Peiiaco quondam pro-
gnatae vertice pinus Dicuntur liquidas Neptuni nasse per unaas ».
2. 611 abeti : Metonimia per « navi ». Il Parini néìVInn. del vaiuolo, 144,
usa la stessa metonimia : « E dall'alta pendice Insedinogli a guidare I gran
tronchi sul mare » e nella Recita dei versi, 14 : « Con gli abeti di Cesare
veleggia » e nella Tempesta, 19 : «gli abeti estrani». Cosi Virgilio, Ocorg.
ii, ha « abies casus visura marinos » t e nell'Aeri, vili, 91 « uncta abies ».
4. Teti: Non beUa metonimia per il « mare ». Teti era moglie dell'O-
ceano, madre dei fiumi e delle ninfe , da non confondersi colla madre di
Achille.
6. Col fior, ecc. : Catullo, 1. e, 6 : « lecti iuvenes , Argivae robora pu-
bis ».
8. Orfeo: Piglio d'Apollo e della musa Calliope, fu mitico poeta di Tracia
oreomerico. Partecipò anch'egli alla spedizione degli Argonauti: anzi a lui
s'attribuisce un poemetto in 384 esametri su quell'impresa, ma è opera di
nn poeta del IV sec. dopo C. Fu fatto in pezzi dalle Baccanti.
9. Eburnee: D'avorio, bianchissime. Sebbene questa lode sia più confa-
centesi a donne che ad uomini, può accomodarsi in qualche modo anche
ad un giovinetto quale era Orfeo.
8 PARTE I.
Su la materna lira;
E al tracio suon chetavasi
De* venti il fischio e Tira. 12
Meravigliando accorsero
Di Doride le figlie,
Nettuno ai verdi alipedi
Lasciò cader le briglie. 16
Cantava il vate odrisio
D'Argo la gloria intanto,
E dolce errar senti vasi
Su l'alme greche il canto. 20
della Senna, ascoltami,
Novello Tifi invitto:
Vinse i portenti argolici
L'aereo tuo tragitto. 24
Tentar del mare i vortici
Forse è sì gran pensiero,
Come occupar de' fulmini
L'inviolato impero ? 28
10. Materna : Perché l'aveva avuta in dono dalla madre Calliope , così il
Foscolo nell'inno terzo alle Grazie, 100, chiama paterna Tasta che Pal-
lade aveva avuta dal padre Giove.
11. Chetavasi: Cfr. Tasso, Oer. Lib. xvi, 13 : « Tacquero gli altri ad ascol-
tarlo intenti, E fermaro i susurri in aria i venti », e Virgilio, Aen. 11, 1 :
« Conticuere omnes intentique ora tenebant ».
13. Meravigliando: Catullo, 1. e, 14 « Emersero fretì canenti e gurgite
vultus Aequoreae monstrum Nereides admirantes ». I poeti usano spesso
alcuni verbi riflessivi senza la particella : cosi vergognando per vergognan-
dosi usa Dante, Purg. xxxi, 64 : « Quale i fanciulli vergognando muti »,
disperando per disperandosi il Petrarca nel son. ISO, P. I. : « E l'alma di-
sperando, ha preso ardire » e meravigliando per meravigliandosi il Tasso,
ùer. Lib. xvn, 35 e il Petrarca, Trionf. d'Am. 1 : « Ond'to meravigliando
dissi : Or come ! ».
14. DI Doride le figlie : Le cinquanta Nereidi, figlie di Nereo, dio del mare,
e della ninfa Doride.
15. Al verdi alipedi : Verdi come le alghe e colle ali ai piedi per la loro
grande celerità. I cavalli marini sono rappresentati colle zampe alate. An-
che nella Musogonia dice : « Per le liquide vie tal'aitre stanno Frenando
verdi alipedi cavalli ». Cfr. Virgilio, Aen. xn, 451 : « Alipedumque fugam
curru tentavit equorum ». Che poi sian detti verdi perché algosi si desume
anche da Claudiano, Tt-rt. Cons. Honor. 197 : « Vocis Jonia virides Nentu-
nus in alga Nutrit equos » e da Orazio che chiama verdi le chiome delle
Nereidi (Od. Ili, xxvm, 10).
17. Odrisio : Trace, perché la Tracia fu detta Odrysia tellus dagli Odrisi
che anticamente l'abitarono.
18. D'Argo : Intendi la nave Argo, che ebbe questo nome dalla città tes-
sala da cui gli Argonauti partirono : non la città Argo, come altri intende.
22. Novello Tifi : Tifi fu il pilota della nave Argo. All'audace pilota della
leggenda é paragonato il non meno audace aereohauta della Senna. Anche
il Testi, in un'ode al Ciani poli, chiama Colombo il Tifi di Liguria. Ma qui
si allude al Montgolfler. come credono il Bertoldi e il Casini, o al Robert
che fu il pilota, il guidatore del volator naviglio, come credono il Carducci
e il Ferrarli Noi propendiamo per il Montgolfler « perché », come dice il
Bertoldi, « in fine, in questa prima parte dell'ode si celebra in generale la
nuova meravigliosa invenzione del Montgolfler e si discute il principio scien-
tifico su cui si fonda, essendo il fatto speciale dell'ascensione del Robert can-
tato più oltre ».
28. Impero : Il p., che fino al v. 20 ha celebrato l'ardire di chi primo solcò
/
/
AL SIGNOR DI MONTGOt,FIER.
Deh! perchè ai nostro secolo
Non die propizio il fato
D'un altro Orfeo la cetera,
Se Montgolfler n'ha dato? 2
Maggior del prode Esonide
Surse di Gallia il figlio. 1
Applaudi, Europa attonita,
Al volator naviglio.
Non mai natura, all'ordine
Delle sue leggi intesa,
Dalla potenza chimica
Soffri più bella offesa. 40
Mirabil arte, ond'alzasi
Di Sthallio e Black la fama,
Péra lo stolto cinico
Che frenesia ti chiama ! 41
De' corpi entro le viscere
Tu l'acre sguardo avventi,
E invan celarsi tentano
Gl'indocili elementi. 48
Dalle tenaci tenebre
La verità traesti,
E delle rauche ipotesi
il mare, dal v. 21 in poi inneggia a chi per primo solcò gli spazi delf'aria,
per concludere che il portento dejrli Argonauti che scoprirono il vello d'oro
fu superato dalla scoperta maravigliosa del Montgolfler. Questa prima parte,
pur bella, é forse un po' troppo lunga per servir solo da comparazione.
31. Di Salita il figlio : Più grande dell' Esonide (patronim. di Giasone) fu
il francese Montgolfler.
36. Volator naviglio : Questa metafora deriva dalla comparazione del pal-
lone di Montgolfler colla nave Argo.
39. Potenza chimica: Doveva veramente dire « potenza fisica », perché il
pallone si solleva nell'aria per il peso maggiore di essa rispetto al gas idro-
geno, quindi per legge fisica.
40. Soffri più bella offesa : « L'offesa è in questo : che V uomo , conside-
rando le cose non con rispetto scientifico, si sollevi in aria » (Carducci e
Brilli).
41. Arte: Scienza chimica. In latino arte» vale appunto scienza. Dante,
Par. 11, 95 : « Esperienza Ch'esser suol fonte a' rivi di vostr'arti ».
42. Sthallio e Blaok : Giorgio Ernesto Sthal bavarese (1660-1731) e lo scoz-
zese Giuseppe Black (1728-1799) furono tra i più grandi chimici del se-
colo XVIH.
44. Frenesia ti ohlama : Allude alle irrisioni che ai primi chimici si fecero.
Cfr. coli' Invito a Lesbia Cidonia del Mascheroni. Molti non credevano
alla riuscita deli' impresa tentata dallo Charles e dal Robert veramente
ardita e maravigliosa per quei tempi.
46. Acre : Acuto, penetrante (lat.) : Orazio, Od. I, iv, 1 : « acris hiems »,
Sat. I, iv, 46 : * acer spiritus », Virgilio, Aen xn, 102 : « oculis micat acri-
bus ignis » e Parini, La ree. dei versi, 3, « acre foco ». Messaggio, 9 « acre
calore », e Gratit. 294 : « acri fiamme ». Si designa qui la chimica analitica.
— Avventi : « Avventare sarebbe più proprio a esprimere l'impeto che la
penetrazione » (Casini).
49. Tenaci : « Indica mirabilmente la gran forza che hanno le tenebre nel
tener celata all'uomo la verità » (Bertoldi).
51. Ranche : Con questo agg. si esprime non molto felicemente l'ostina-
Tregua al furor ponesti.
Brillò Sofia più fulgida
Del tuo splendor vestita,
E le sorgenti apparvero
Onde il creato ha vita.
L'igneo terribil aere,
Che dentro il suol profondo
Pasce i tremuoti e i cardini
Fa vacillar del mondo,
Reso innocente or vedilo
Da' marzii corpi uscire,
E già domato ed utile
Al domator servire.
Per lui del pondo immemore,
Mirabìl cosa 1 in alto
Va la materia, e insolito
Porta alle nubi assalto.
11 gran prodigio immobili
I riguardanti lassa,-
E di terror uff" palpito
In ogni cor trapassa.
Tace la terra, e suonano
Del ciel le vie deserte :
SUn mille volti pallidi
E mille bocche aperte.
Sorge il diletto e l'estasi
In mezzo allo spavento,
E ì pie malfermi agognano
Ir dietro al guardo attento.
tenitori delle disparate Ipotesi colle quali nel medio e?
aie la coni posizione, dei corpi, ostinazione ohe faceva d
iliili, ina Taci ragionatori.
le ragioni prime delle cose create.
r
i
44:-cl
irzli oorpi: cioè dai corpi ferruginosi. Ma anche qui . ,
•ìenza del tempo suo, non ai appone al vero, perche l'idrogeno
mia dal ferro che é metallo e non si può decomporre, ma dal-
alico unito col ferro.
indo Immemore : 11 Casini biasimò come inesatta questa locuzione,
nto per il peso del corpi al ottiene l" innalzamento dei palloni,
sn disse il Ferrari, 11 p. descrive il fenomeno come apparisce
ibi, ai quali sembra che U pallone s'innalzi come noncurante del
deserte: Nella traduzione dell' Iliade, x\a, 638 dice : « 1] suon
' deserti dell'aria iva alle stelle •.
mal termi: Naturale 241 il a /.io ne di chi vorrebbe collo sguardo
AL SIGNOR DI MONTGOLFIER 11
Pace e silenzio, o turbini:
Deh ! non vi prenda sdegno
Se umane salme varcano
Delle tempeste il regno. 84
Rattien la neve, o Borea,
Che giù dal crin ti cola:
L'etra sereno e libero
Cedi a Robert che vola. sa
Non egli vien d'Orizia
A insidiar le voglie:
Costa rimorsi e lacrime
Tentar d'un dio la moglie. 92
Mise Teseo nei talami
Dell' atro Dite il piede :
Punillo il Fato, e in Èrebo
Fra ceppi eterni or siede. oa
Ma già di Francia il Dedalo
Nel mar dell'aure è lunge:
Lieve lo porta zefflro,
E l'occhio appena il giunge. 100
Fosco di là profondasi
11 suol fuggente ai lumi,
E come larve appaiono
Città, foreste e fiumi. 101
Certo la vista orribile
L'alme agghiacciar dovria;
Ma di Robert nell'anima
Chiusa è al terror la via. 103
E già l'audace esempio
I più ritrosi acquista;
Già cento globi ascendono
Del cielo alla conquista. 112
83. Salme : Corpi (dal greco axyfux. che vale « peso, carico »: dalla stessa
radice derivano salmeria , soma , ecc.) Oggi si usa soltanto per « corpo
morto ».
85. Borea : Re dei venti del settentrione. Il vecchio , rappresentato colia
bianca barba e i capelli grondanti neve, deve cedere a Robert che sale vit
torioso per l'aria.
89. D'Orlala : Borea rapi Orizia, figlia di Eretteo , re d'Atene, e la sposò.
Cfr. Mitsogonia, 86, e U son. sul Ratto di Orizia, in cui il p. giovanissimo
imitò il son. del Cassiani sul Ratto di Proserpina.
93. Teseo: Questo mitico eroe, figlio di Egeo, re d'Atene, e di Etra, di-
scese nell'Inferno (latro Dite) con Piritoo per rapire Proserpina, ma preso
da Plutone fu punito della sua temerità; e, secondo Virgilio, Aen. vi, 618
« sedet aeternumque sedebit Theseus ».
fio celebre per
labirinto, ove
1W » »-. x^v.w^v. *„«., «.^«v^w.oì «*s.i v «.v,x* »»i v.. v,vx„, riuscì a fuggire.
Queste due strofe pesanti per inopportuna mitologia raffreddano alquanto
l'impeto lirico che é nelle strofe precedenti belle e spontanee.
110. I più ritrosi: Quelli che prima avevano chiamata frenesia l'impresa
dei Montgolfler.
12 PARI» I.
Umano ardir, pacifica
Filosofia sicura,
Qual forza mai, qual limite
il tuo poter misura? ii6
Rapisti al ciel le folgori,
Che debellate innante
Con tronche ali ti caddero
E ti lambir le piante. 120
Frenò guidato il calcolo
Dal tuo pensiero ardito
Degli astri il moto e l'orbite,
L'olimpo e l'infinito. 121
Svelaro il volto incognito
Le più rimote stelle,
Ed appressar le timide
Lor vergini fiammelle. 128
Del sole i rai dividere,
Pesar quest'aria osasti :
La terra, il foco, il pelago,
Le fere e l'uom domasti. 132
Oggi a calcar le nuvole
Giunse la tua virtute,
E di natura stettero
Le leggi inerti e mute. 135
Che più ti resta? Infrangerò
Anche alla morte il telo,
E della vita il nettare
Libar con Giove in cielo. 110
113. Umano ardir: Di qui, con un felice trapasso, ha principio la parte
indubbiamente migliore dell'ode, nella quale s'inneggia alla potenza crea-
trice dell'umano intelletto.
114. Filosofia :« Intendi le scienze fisiche, le quali nella terminologia della
scuola del Galilei si dissero « filosofia naturale » (Card, e Brilli).
117. Rapisti al ciel le folgori : Per mezzo dell'invenzione dei parafulmini,
che si deve a Beniamino Franklin (1706-1790). Già nel 1783 Labindo (il Fan-
«toni) aveva detto : « Franklin. . . che di ferro armato Rapi dal cielo i ful-
mini stridenti » e il Parini, La recita dei versi, 19 : « A Giove altri Tar-
mata Destra di fulmin spoglia ». .
121. Frenò: Allude alla scoperta delle leggi del moto degli astri e della
gravitazione universale, opera gloriosa d'Isacco Newton (1642-1727).
125. Svelaro, ecc. : Accenna alle scoperte astronomiche fatte da Guglielmo
Herschel (1738-1822).
128. Vergini fiammelle : Cosi le chiama perché ignote prima che il Galileo
inventasse il telescopio.
129. I rai dividere : La decomposizione dello spettro solare fu tentata dal
Grimaldi e compiuta da Newton.
13 J. Pesar quest'aria: Galileo pesò l'aria e il suo scolare, il faentino Torri
celli (IG08-1G17), coll'invenzione del barometro rese possibile la misurazione
della pressione atmosferica.
135. E di natura, ecc. : « Il calore della fantasia poetica non basta a scusare
quest'espressione, che contrasta col concetto delle scienze fisiche ; le quali anzi
ravvivano, determinandole e riconoscendole, le leggi della natura » (Casini).
140. Con Giove in cielo : Cfr . col Prometea 1, ove, celebrando Napoleone, dice :
« che t'aspettai II nettare Vien co' Numi a libar fra Giove ed Ercole ».
Amor Peregrinò.
A. S. E. LA SIGNORA PRINCIPESSA
DONNA COSTANZA BRASCHI ONESTI NATA FALCONIERI
NIPOTE DI PIO VL
Quest'ode fu composta nel 1783. Amore, In abito di mendico pellegrino,
{tarla alla vezzosissima principessa Braschi-Onesti , a cui é dedicata l'ode,
amentando le sue infelici vicende, e dicendosi stanco di essere neretto
nelle città. Le chiede infine che si compiaccia di tenerlo seco, egli sarà
custode e padre di amabili virtù, ella si chiamerà madre d'Amore. Il con-
cetto é arcadico, ma la forma é nuova ed elegante. 11 metro é lo stesso
delle due odi precedenti.
Degl'incostanti secoli
Propagator divino,
Alle cittadi incognito,
Negletto peregrino, 4
Io ti saluto, o tenera
De' cor conquistatrice:
Amor son io; ravvisami,
Ascolta un infelice. s
Si bagneran di lacrime
I tuoi vezzosi rai,
Se la crudele istoria
Di mie vicende udrai. 12
Luce del mondo ed animi.
Dal ciel mandato io venni,
E primo i dolci palpiti
Dell' uman cuore ottenni. 16
Duce natura e regola
A' passi miei si fea :
Ed io contento e docile
Su Torme sue correa. 20
Di sacri alterni vincoli
1. Secoli : Generazioni, senso che ha spesso in latino.
13. Luce del inondo: Il Tasso cosi incomincia il son. 441, Voi. II, ed. So
lerti : * Amor alma é del mondo, amore é mente ».
14. Dal ciel mandato : Platone nel Convito chiama Amore il più antico,
il più onorato, il più degno degli dei. Aristofane negli Uccelli disse : «elio
non ebbe esistenza alcun dio avanti che Amore ordinasse e fecondasse tutto
le cose ». E il M. stesso nella Musoaonia, 301, dice Amore, generatore delle
cose : « Il più bello de" numi ed il più antico ».
21. DI sacri alterni vincoli : Dei reciproci vincoli del matrimonio.
14 PARTE I.
Congiunsi allor le genti,
E all'armonia dell'ordine
Tutte avvezzai le nienti. 24
L'uomo alla sua propaggine
E all'amistade inteso
Lieto vivea, né oppresselo
Delle sue brame il peso. ->s
Virtude e Amor sorgevano
Con un medesmo volo,
Ed eran ambo un impeto,
Un sentimento solo. 32
Amor vegliava ai talami,
Amor sedea sul core:
Le leggi, i patti, i limiti,
Tutto segnava Amore. 36
Ma quando si cangiarono
In cittadine mura
I patrii campi, e videsi
L'Arte cacciar Natura, 40
Fra l'uomo e l'uom, fra il vario
Moltiplicar d'oggetti,
Nuovi bisogni emersero
E mille nuovi affetti. 41
La consonanza ruppesi ;
L'ira, il livor, l'orgoglio
Della ragion più debole
Si disputaro il soglio. 48
Allora io caddi ; e termine
Ebbe il mio santo impero,
E le conquiste apparvero
D'usurpator straniero. 52
Rivai possente, ei d'ozio
E di lascivia nacque:
Nome d'Amor gli diedero
Le cieche genti, e piacque. 56
Vago figliuol di Venere
Poi lo chiamò la fojle
28. DeUe sue brame 11 peso : L'uomo inteso a propagarsi nei secoli e alla
amicizia era contonto né l'opprimeva il peso di sfrenati desideri.
34. Amor sedea sul core: Virgilio, Aen il, 660: « Sedet hoc animo», e
iv, 15 « Si mini non animo iixum immotumque sederet ».
36. Tutto segnava Amore: Questo incivilimento che Amore governava è
cantato anche dai Foscolo, Sepolcri, 91.
45. La consonanza: L'accordo fra l'Amore e la Virtù.
48. Si disputaro 11 soglio : Si disputarono il dominio della ragione più
debole di loro.
52. Usurpator straniero: L'Amore lascivo, che sottentrò al santo Amore
vii prima.
AMOR PEREGRINO. ] 15
Teologia di Cecrope, '
E templi alzar gli volle: go
Aurea farètra agli omeri,
Diede alla mano il dardo,
(Hi occhi di bende avvolsegli,
E lo privò del guardo. 64
A far dell'alme strazio
Venne così quel crudo
Di ree vicende artefice
Fanciul bendato e nudo. 03
Le delicate e timide
Virtudi in ceppi avvinse,
E co' delitti il perfido
In amistà si strinse. 72
Entro i vietati talami
Il pie furtivo ei mi3e,
E su le piume adultere
Lasciò l'impronta, e rise. 76
Per la vendetta argolica
Volar su la marina
Fé' mille navi, e d' Ilio
Le spinse alla ruina : so
Di sangue e di cadaveri
Crebbe la frigia valle,
Né trovò Xanto al pelago
Fra tante membra il calle. 84
Taccio (feral spettacolo !)
Le colpe e le tenzoni,
Ond'ei d'Europa e d'Asia
Crollò sovente i troni. ss
Taccio la fé', la pubblica
Utilità, gli onori,
Dover, giustizia e patria,
•Prezzo d'infami ardori. 02
Calcò quell'empio i titoli
59. Teologia di Cecrope: La mitologia. Cecrope. antichissimo re d'Atene,
secondo la leggenda, istruì i suoi popoli nella religione.
54. Del guardo: Cosi, col turcasso d'oro carico di saette, con un dardo
in mano e colle bende sugli occhi, é rappresentato Cupido.
73. I vietati talami: Ricorda i « chiusi talami » del Parini, A Sìlvia, 99,
ove spesso daUe romane matrone il gladiatore terribile fu ricercato amante.
77. Per la vendetta argolica : Per la vendetta che i Greci fecero dell'insulto
fatto a loro da Paride coi rapimento di Elena. I Greci , salpati con mille
navi da Aulide, dopo molte fatiche e dieci anni di guerra, distrussero Troia,
la patria di Paride.
84. Il oaUe : Virgilio, Aen. v, 807 « gemerentque repleti Amnes, nec repe
rìre viam atque evolvere posset In mare se Xantus ». In Omero , II. xxi ,
214 lo Xanto. fiume presso Troia, é sdegnato per i molti cadaveri di Troiani
uccisi da Achille che gU impedivano la corrente.
16 PARTE I.
Di madre e di sorella,
E mescolanza orribile
Trasse da questa e quella. 90
Natura alior di lacrime
Versò dagli occhi un fonte,
E torse il pie, coprendosi
Per alto orror la fronte. ìoo
Pians'io con essa, e profugo
Dalle cittadi impure
Corsi ne' boschi a gemere
Su l'aspre mie sventure. 101
Rozzi colò m'accolsero
Pastori e pastorelle,
Che m'insegnaro a tessere
Le lane e le fiscelle. ios
Guidai con loro i candidi
Armenti alla collina,
E con diletto al vomere
Stesi la man divina. 112
Su l'orme mie poi vennero
Altre virtù smarrite
A ricercar ricovero
Da quel crudel tradite. hg
Sentì la selva il giungere
Delle celesti dive,
E dier di gioia un fremito
* Le conoscenti rive. v 120
Spirto acquistar pareano
L'erbette, i fiori e l'onde,
Parean di miele e balsamo
Tutte stillar le fronde. 124
Gli amplessi raddoppiarono
Le giovinette spose,
E a' vecchi padri il giubilo
Spianò le fronti annose. 123
Così fur fatte ospizio
Delle Virtù le selve,
Sole così rimasero
09. Coprendosi: Cfr. Parini, A Silvia, 03: « Copri, mia Silvia ingenua,
Copri le luci, et odi Come tutti passarono Licenziose i modi ».
106. Pastori e pastorelle : Questo é l'arcadico concetto che informa tutta
Tode. L'Amore puro, l'amor vero e santo , detestato nelle impure città ,
trova rifugio nelle umili case dei pastori.
108. Fiscelle Cestelle, zane tessute di giunchi. Anche il pastore che Er-
minia trova nella Ger. del Tasso, vii, tessea fiscelle accanto alla sua greggia,
116. Da quel crudel: Dal falso Amore, dall'amore lascivo.
121. Come della favolosa età dell'oro cantarono tanti poeti,
AMOR PEREGRINO. 17
Nella città le belve. 132
Ma pure ancor nel carcere
Di queste tane aurate,
Che fabbricò degli uomini
La stolta vanitate, i3f
Qualche bel cor magnanimo
Chiaro brillar si vide,
Qual astro che de' nuvoli
Fra il denso orror sorride. 110
A qual orecchio è povera
De' pregi tuoi la Fama?
Alunna delle Grazie,
Del Tebro onor ti chiama. hi
Darti l'udii d'ingenua
E /di pietosa il vanto,
E i dolci modi e teneri
Narrar, dell'alme incanto. 118
Bramai vederti, e timido
D'oltraggi in. suol nemico
Sembianza presi ed abito
Di peregrin mendico. 152
Maggior del grido è il merito,
E nel sederti a lato
L'antica mi dimentico
A v ve /sita del fato. 156
Deh, per le guance eburnee
Che di rossor tingesti,
Per gli occhi tuoi, deh, piacciati
Voler che teco io resti. igo
Io di virtudi amabili
Sarò custode e padre,
E tu d'Amor, bellissima,
Ti chiamerai la madre. igi
132. Le belve: Quelle che il' Foscolo, Sepolcri, 92, chiamò le « umane
belve ».
134. Tane aurate : I palazzi aurei dei signori : continua l'immagine delle
« belve » che rimasero neUa città. Anche altrove chiamerà i palazzi signo-
rili «... tane di serpenti E di perfide belve ».
143. Alunna deUe Grazie : Il Parini, Mezzo g. 519 , lo dice della Vergine
Cuccia. Alunno di qualche divinità dicevano i classici antichi per significare
« protetto da quel elio ».
144. Del Tebro: Di Roma.
149. E timido, ecc. : E temendo di essere offeso, entrando nella città ove
è bandito U verace amore, in Roma, mi vestii da povero pellegrino.
Monti. — Poesie *l
Sopra la morte.
Questo don. fa recitato in Arcadia il 20 maggio 1784, commemorandovisi
la morte della pastorella Ruffina Battoni , ma era stato composto prima ,
pare nel 1783 » Vicchi, I, p. 258).
Morte, che se' tu mai? Primo dei danni
L'alma vile e la rea ti crede e teme;
E vendetta del ciel scendi ai tiranni,
Che il vigile tuo braccio incalza e preme.
Ma l'infelice, a cui de' lunghi affanni
Grave è l'incarco, e morta in cuor la speme,
Quel ferro implora troncator degli anni,
E ride all'appressar dell'ore estreme.
Fra la polve di Marte e le vicende
Ti sfida il forte che ne' rischi indura ;
E il saggio senza impallidir ti attende.
Morte, che se' tu dunque? Un'ombra oscura.
Un bene, un male, che diversa prende
Dagli affetti dell'uom forma e natura.
arte, ohe se' tu mal ? : La mossa del son. é quella stessa d'un son. di
Bussi : « Gloria, che se' mai tu f ».
I. Morte,
Giulio
8. E ride : Ricorda il Bruto minore del Leopardi, che « maligno alle nere
ombre sorride ».
II. Ti attendo; il Voltaire néìl' Orphelin de la Chine fa dire al mandarino
Zampti
brave "
sans regrets
la sfida, il debole la subisce. 1* infelice l'implora ». Ed entrambi risalgono
forse al Crebillon che simili parole fa dire a Gatilina.
13. Un bene, un male : Originale e bella é questa chiusa, ove si dice che in
vario modo deve giudicarsi la morte a seconda dei vari! affetti umani.
Sulla morte di Giuda.
Questi quattro sonn. furono recitati dal Monti in Arcadia nel venerdì
santo del 1788. Furono essi causa delle fiere contese fra il Monti e l'improv-
visatore F. Gianni che volle improvvisare un son. su Giuda che vincesse
d'assai quelli letti dall'emulo. Questi sonn., imitanti la maniera del Minzoni
sono ispirati in gran parte al G. vii della Messiade del Klopstock (B. Zum
bini, Su due poemi del M., in Nuova Antologia, 1 aprile 1884, e più an
cora Sulle poesie di V. Af., p. 8 e sgg.).
I.
Gittò l'infame prezzo, e disperato
L'albero ascese il venditor di Cristo ;
Strinse il laccio, e col corpo abbandonato
Dall'irto ramo penzolar fu visto.
Cigolava lo spirito serrato 5
Dentro la strozza in suon rabbioso e tristo,
E Gesù bestemmiava e il suo peccato
Ch'empiea l'Averno di cotanto acquisto.
Sboccò dal varco alfin con un ruggito.
Allor Giustizia l'afferrò, e sul monte io
Nel sangue di Gesù tingendo il dito,
Scrisse con quello al maledetto in fronte
Sentenza d'immortal pianto infinito,
E lo piombò sdegnosa in Acheronte.
IL
Piombò quell'alma all'infornai riviera, 15
E si fé' gran tremuoto in quel momento.
1. Gittò: Evangelio di Matteo, xxvu, 3-5: « Allora Giuda, che l'aveva
tradito, vedendo come Gesù era stato condannato , mosso da pentimento ,
riportò i trenta denari ai principi dei sacerdoti e agli anziani dicendo : Ilo
peccato, avendo tradito il sangue innocente. Ma quelli dissero : che importa
ciò a noi 1 Pensaci tu. Ed egli, gettate le monete di argento nel tempio, si
ritirò e si appiccò a un capestro ». Nella Messiade Giuda, vedendo condurre
al supplizio 11 Nazareno, entra nel tempio e getta disperato il prezzo del
tradimento a* piedi de' sacerdoti (C. vii. 153 e sg$.).
8. Cotanto acquisto : Nel cit. poema Giuda, inorridito del delitto commesso,
impreca con feroci parole (C. vii, 170 e sgg.)-
9. Con un ruggito, ecc. : Nel Klopstock Giuda si appicca, e la morte solo
con grande stento riesce a trarne fuori del corpo 1 animo (C. vii, SOS,
e sgg.).
16. In quel momento : Cfr. Messiade, C. vii, 744 e 765» ove l'Inferno tutto
si commuove, quando Obbadone vi porta Giuda.
20 PARTE I.
Balzava il monte, ed ondeggiava al vento
La salma in alto strangolata e nera.
Gli angeli, dal Calvario in su la sera
Partendo a volo taciturno e lento, 20
La videro da lunge; e per pavento
Si fer dell'ale agli occhi una visiera.
I demoni frattanto all'aer tetro
Calar l'appeso, e l'infocate spalle
All'esecrato incarco eran feretro; 23
Così, ululando e schiamazzando, il calle
Preser di Stige; e al vagabondo spetro
Resero il corpo nella morta valle.
III.
Poiché ripresa avea l'alma digiuna
L'antica gravità di polpa e d'ossa, 30
La gran sentenza su la fjonte bruna
In riga apparve trasparente e rossa.
A quella vista di terror percossa
Va la gente perduta; altri s'aduna
Dietro le piante che Cocito ingrossa , 35
Altri si tuffa nella rea laguna.
Vergognoso egli pur del suo delitto
F uggia quel crudo; e, stretta la mascella,
Forte graffiava con la man, lo scritto.
Ma più terso il rendea l'anima fella: 10
Dio tra le tempie glie l'avea confìtto,
Nò sillaba di Dio mai si cancella.
IV.
Uno strepito intanto si sentia,
Che Dite introna in suon profondo e rotto:
Era Gesù, che in suo poter condotto 15
D'Averno i regni a debellar venia.
II bieco peccator per quella via
Lo scontrò, lo guatò senza far motto:
Pianse alfine, e da' cavi occhi dirotto
Come lava di foco il pianto uscia. 50
22. Agli occhi una visiera: Cfr. Mcssiade, 1. e. 187 e sgg., 209 e sgrg. : gli
angeli non reggono alla vista del traditore e Ituriele, nell'atto di consegnarlo
ad Obbadone/si nasconde il volto.
27. Stige : È una palude infernale : qui sta per inferno, come sopra « Avemo »
e « Acheronte ».
35. Cocito : È uno dei fiumi infernali : anche qui vale per l'inferno.
44. Dite : I pagani dissero Dite il dio dei morti ed anche il suo regno.
SULLA MORTE DI GIUDA. 21
Folgoreggiò sul nero corpo osceno
L'eterea luce, e d'infernal rugiada
Fumarono le membra a quel baleno.
Tra il fumo allor la rubiconda spada
Interpose Giustizia: e il Nazareno 55
Volse lo sguardo, e seguitò la strada.
56. E seguitò la strada : La divina Giustizia non volle che il Nazareno ne
sentisse pietà e interpose la sua spada. Gesù riprese la sua via per l'Inferno.
Per la forma colorita e bella di questi sonn. si senta quel che ne dice lo
Zumbini <p. 255) : « Per opera dei Monti , ripigliò il sonetto tutte quelle
dolci tempre e tutta quella grazia che gli erano proprie, ed ebbe eziandio
quella varietà di atteggiamenti e di colóri, onde il felicissimo poeta seppe
far bella mostra pur nei singoli componimenti di una specie stessa. E due
sono, fra molte altre, le precipue forme che qui assume il sonetto. I/una,
descrittiva e drammatica, stringe nel suo giro una storia, un ordine di
fatti più o meno maravigliosi, cóme si vede in quelli sulla morte di Giuda,
coi quali il poeta superando tutti gli altri esempi italiani della stessa specie,
ottenne il massimo grado di perfezione, ocJe questa fosse capace ».
Invito d'un solitario ad un cittadino.
Quest'ode fa composta sulla fine del 1702, e sembra, a quanto ne dice il
Vicchi (il, p. 62), che girasse dapprima manoscritta. Il p. un po' in rotta
colla corte papale, ove non erano molto gradite le sue idee liberali, espresse
in quest'ode saffica il suo desiderio di quiete Non possiamo sapere chi
fosse il cittadino a cui il p. fece r invito di ritirarsi nella solitudine. Un
altro motivo a scriverla forse fu di mettere in bella mostra il pensiero poe-
tico che aveva trovato nelT idillio drammatico dello Shakespeare Come vi
piace, a cui egli molto s' ispirò, ma servendosi d' una cattiva traduzione
che ne aveva fatta il Letourner nel 1776. L'ode é in strofe saffiche di tre
endecasillabi e un settenario.
Tu che servo dì corte ingannatrice
I giorni traggi dolorosi e foschi,
Vieni, amico mortai, fra questi boschi
Vieni, e sarai felice. ì
Qui nò di spose nò di madri il pianto
Nò di belliche trombe udrai lo squillo;
Ma sol dell'aure il mormorar tranquillo
E degli augelli il canto. s
Qui sol d'amor sovrana ò la ragione,
Senza rischio la vita e senza affanno:
Ned altro mal si teme, altro tiranno,
Che il verno e l'aquilone. 12
Quando in volto ei mi sbuffa e col rigore
De' suoi fiati mi morde, io rido e dico:
Non ò certo costui nostro nemico
Nò vile adulatore. ig
Egli del fango prometèo m'attesta
1. Servo di oorte : Era dunque un cortigiano, forse qualcuno della corte
pontificia.
6. Di belliche trombe : Cfr. Orazio, Epodo 11, « Neque excitatur classico
miles truci », e Tasso, Ger. Lib. vii, 8 : « né strepito di Marte Ancor turbò
questa remota parte ».
9. La ragione: La legge.
12. Il verno e l'aquilone : « Noi qui altro non si soffre che la pena del
vecchio Adamo, mettiam caso la variazione delle stagioni, il morso agghiac-
ciante ed il ruvido rimbrotto del vento invernale » (Shakespeare, idi 11. eit.).
16. Né vile adulatore : « E contro costui , allorché arrotando i denti mi
si serra addosso . . ., io me la rido e dico : questa qui non é adulazione ! »
(lbid.>.
17. Del fango prometeo : Dell'umana specie. Il titano Prometeo (il pretri-
dente), figlio di Giapeto e di Olimene, per beneficare l'uman genere plasmò
un uomo d'argilla e. aiutato da Minerva, col fuoco rapito a Giove lo avvivò.
Tutta questa favola è nobilmente narrata da Platone, nei capp. xi e zìi del
Protagora*
I
INVITO D'UN SOLITARIO AD UN CITTADINO. 23
La corruttibil tempra, e di colei
Cui donaro il fatai vase gli dei
L'eredità funesta. so
Ma dolce è il frutto di memoria amara;
E meglio tra capanne e in umil sorte,
Che nel tumulto di ribalda corte,
Filosofìa s'impara. u
Quel fior che sul mattin sì grato olezza
E smorto il capo su la sera abbassa
Avvisa, ih suo parlar, che presto passa
Ogni mortai vaghezza. 23
Quel rio che ratto alToceàn cammina,
Quel rio vuol dirmi che del par veloce
Nel mar d'eternità mette la foce
Mia vita peregrina. 34
Tutte dall'elee al giunco han lor favella,
Tutte han senso le piante: anche la rude
Stupida pietra t'ammaestra, e chiude
Una vital fiammella. 36
Vieni dunque, infelice, a queste selve:
Fuggi l'empie città, fuggi i lucenti
D'oro palagi, tane di serpenti
E di perfide belve. 40
Fuggi il pazzo furor, fuggi il sospetto
De' sollevati ; nel cui pugno il ferro
Già non piaga il terren, non l'olmo e il cerro,
Ma de* fratelli il petto. 41
Ahi di Giapeto iniqua stirpe ! ahi diro
18. Di colei: Di Pandora a cui Giove aveva donato un vaso, ove erano
racchiusi tutti i mali. L'offri a Prometeo, ma egli rifiutò il dono. Lo stolto
Epimeteo, altro Aglio di Giapeto, accettò il dono e, aperto il vaso, ne usci-
rono sulla terra infiniti mali.
21. Ma dolce ò il frutto: Ma utile può essere il ricordarsi che corrutti-
bile é la natura umana , perché può diminuire in noi il timore della
morte.
24. Filosofia s'impara : Assai comune é nei classici questo concetto : valga
per tutti questo passo di Seneca, Octavia^ Act. v, 895 : « Bene paupertas Hu
mili tecto contenta latet Quatiunt altas saepe procellae Aut evertit Fortuna
domos ».
25. Quel fior, ecc. : La caducità delle cose a noi più grate é espressa da
molti poeti antichi e moderni. Basti per tutti questo esempio del Poliziano,
ed. Carducci, p. 243 : « Fresca é la rosa da mattina, e a sera EU'ha perduto
sua beleza altera ».
30. DaU'eloe al giunoo: Dalle più alte piante alle più basse.
35. Stupida : Che non ha senso.
40. E di perfide belve : Neil' Amor pellegrino , 132, ha espresso quasi con
le stesse parole lo stesso concetto.
43. Già non plaga: Non serve per lavorare i campi, ma per uccidere i
fratelli.
45. Ahi di Giapeto, ecc. : L'umana stirpe, perché Prometeo fu nel modo
che abbiamo detto il progenitore degli uomini. Anche Orazio, I, in, 27, chiama
la razza umana ; audax Iapeti genus. « Si consideri che questi ver&i erano
24 PARTE I.
Secol di Pirra! Insanguinata e rea
Insanisce la terra, e torna Astrea
All'adirato empirò. is
Quindi Tempia ragion del più robusto,
Quindi falso l'onor, falsi gli amici,
Compre le leggi, i traditor felici,
E sventurato il giusto. 52
Quindi vedi calar tremendi e fieri
De' Druidi i nipoti, e violenti
Scuotere i regni e sgomentar le genti
Con l'armi e co' pensieri. 56
Enceladi novelli, anco del cielo
Assalgono le torri ; a Giove il trono
Tentano rovesciar, rapirgli il tuono
E il non trattabil telo. go
Ma non dorme lassù la sua vendetta,
Già monta su Tirate ali del vento ;
Guizzar^già veggo, mormorar già sento
Il lampo e la saetta. ci
dettati al poeta dal disgusto provato alle notizie che giungevano ogni ino -
mento dalla Francia del nuovi delitti commessi dai rivoluzionari nel pe-
riodo del terrore. . . » (Casini). — Ahi diro : il secol diro (tremendo) di Pirra
fu quello in cui gli dei, a punizione delle colpe degli uomini . mandarono
sulla terra il diluvio : ne scamparono soltanto Pirra e Deucalione. Orazio
Od. I, 11, 6 ha : « grave saeculum Pyrrae ».
47. Astrea : Dea della giustizia, figlia di Giove e di Temi.
54. De 1 Druidi 1 nipoti: Intendi i Francesi. I Druidi furono i sacerdoti
degli antichi Celti.
56. E co* pensieri : Colle nuove idee rivoluzionarie che si diffondevano per
l'Europa.
57. Enceladi : Encelado fu uno dei Giganti che dettero la scalata al cielo,
e vinto fu oppresso sotto l'Etna.
60. Telo : Orazio, Od. I, ni, 38 : « Coelum ipsum petimus stultitia, neque
Per nostrum petimur scelus Iracunda Iovem ponere fulmina ». Non trat-
tabile, vale non facile a maneggiarsi : cfr. Virgilio, Aen. iv, 53 : « non txac-
tabile telum ».
Per il Congresso d'Udine.
Il SO giugno del 1797 s'intavolarono ad Udine le prime trattative di pace
fra i deputati della Francia e dell'Austria. Dopo non poche adunanze final-
mente il 17 ottobre fu firmato il trattato di pace eirebbe il nome dal vil-
laggio di Campoformio presso Udine. Per questo trattato Napoleone, per
ottenere il Belgio e la Lombardia, cede all'Austria la Dalmazia, l'Istria, le
Bocche di Cattaro e il Veneto. La canzone fu composta a' primi di agosto
del 1797. Il metro é quello della canzone petrarchesca, cioè a stanza divisa,
colla fronte di sei versi cosi rimati : ABC, ABC e colla sirima formata di
cinque versi cosi rimati: e DEDE. Il congedo, diverso dal petrarchesco, e
cormato da una strofetta più breve che conserva soltanto della stanza le
fmisure dei versi con questo schema : AbBC cDD.
Agita in riva dell'Isonzo il fato,
Italia, le tue sorti ; e taciturna
Su te l'Europa il suo pensier raccoglie.
Starisi a fronte, ed il brando insanguinato
Ferocemente stendono sull'urna 5
Lamagna e Francia con opposte voglie ;
Ch'una a morte ti toglie,
E dàrlati crudel 1' altra procura,
Tu muta siedi; ad ogni scossa i rai io
Tremando abbassi, e nella tua paura
Se ceppi attendi o libertà non sai.
Oh più vii che infelice 1 oh de' tuoi servi
Serva derisa ! Sì dimesso il volto
Non porteresti e i piò dal ferro attriti,
Se pel natio vigor prostrati i nervi 15
1. Isonzo : Questo fiume cinge ad est il Friuli in mezzo al quale sta Udine :
Sresso a questa si trattava la pace che doveva anche decidere i destini
'Italia.
5. SuU'urna : I poeti attribuivano alla Sorte e al Fato un'urna in e ui agi-
tavano i destini degli uomini : Orazio, Od. Ili, i : « Omne capax movet urna
nomen ».
9. Ad ogni scossa: Dell'urna. — I rai: Ugual concetto é nella canz. Al-
l'Italia del Leopardi, 49 : «E i tremebondi lumi Piegar non soffri al
dubitoso evento ? ».
14. Attriti : Corrosi, logorati.
15. Se del natio vigor: Ricorda il Leopardi, Nelle nozze della sorella
Paolina, 44 : « E di nervi e di polpe Scemo il vigor natio ». « Ritraendo
tale antitesi, tali contrasti e tanta decadenza, la lirica dei nostro poeta assu-
meva bene spesso quel tono di dolore , di sdegno e di rampogna ? che é
forse la qualità più propria e costante della poesia nazionale italiana, e
che desta echi più profondi nella nostra coscienza » (Zumbini, p. 215) v
26 PARTE L
Superba ignavia non t'avesse e il molto
Fornicar co' tiranni e co' leviti :
Onorati mariti,
Che a Caton preponesti, a Bruto, a Scipio !
Leggiadro cambio, accorto senno in vero! 20
Colei che l'universo ebbe mancipio,
Or salmeggia; e una nutria è il suo cimiero.
Di quei prodi le sante ombre frattanto
Romor fanno e lamenti entro le tombe,
Che avaro piò sacerdotal calpesta; 25
E al sonito dell'armi, al fiero canto
De' franchi mirmidóni e delle trombe,
Sussurrando vendetta alzan la testa.
E voi l'avrete, e presta,
Magnanim' ombre. L'itala fortuna 30
Egra è sì, ma non spenta. Empio sovrasta
11 fato, e danni e tradimenti aduna:
Ma contra il fato è Bonaparte; e basta.
Prometeo nuovo ei venne, e nell'altera
Giovinetta virago cisalpina 35
L'etereo fuoco infuse, anzi il suo spirto.
Ed ella già calata ha la visiera;
E il ferro trae, gittando la vagina,
Desiosa di lauro e non di mirto.
Bieco la guata ed irto 10
Più d'un nemico; ma costei noi cura. •
16. Superbia ignavia : Viltà che Dur s'ammantava di superbia.
SO. Accorto senno : Nota il tono ironico. Ai grandi antichi, quali Catone,
simbolo nobilissimo di libertà e di virtù civili, Bruto, simbolo del vivere
repubblicano, Scipione, del valore neUe armi, anteponesti i tiranni e i sa
cerdoti (i leviti).
21. Mancipio: Servo: latinismo usato dal Petrarca in poi.
25. Avaro : Avido di ricchezze : cosi allora si chiamava avara l'Inghilterra,
come dice il Foscolo, All' 'amica risanata, 71 : «l'Anglia avara »: anche il Pe-
trarca. Trionf. Fam. : « E vidi Ciro più di sangue avaro Che Crasso d'oro ».
27. Mirmidóni: Adulando U francese Achille, Bonaparte, chiama cosi i
Francesi dal nome dei soldati di Achille , che andarono dalla Ftiotide, re-
gione della Tessaglia, all'assedio di Troia.
30. L'itala fortuna : Nel Congresso cisalpino in Lione, 72, dice : « DivisYon
fé' muto L'italico valor, ma la primiera Fiamma non anco é morta », che
ricorda i noti versi del Petrarca : « Che l'antico valore Negl'italici cor non
é ancor morto ».
34. Prometeo nuovo : Bonaparte venne a liberare dai tiranni i popoli, come
Prometeo liberò gli uomini dalla tirannia di Giove.
35. Virago cisalpina : La Repubblica Cisalpina. La dice giovinetta, perché
si era inaugurata a Milano ufficialmente il 9 luglio di queir anno. Virago
vale donna d'animo virile.
37. Ed ella già calata, ecc. : « Allude alla formazione deUe mUizie e deUa
a Venere , e quindi simbolo della mollezza del vivere. Il verso é foggiato
sul petrarchesco ; « Qua! vaghezza di lauro e qua! di mirto »,
PER IL CONGRESSO l> UDINE. 27
Lasciate di sua morte, o re, la speme:
Disperata virtù la fa secura,
Nò vincer puossi chi morir non teme
Se vero io parlo, Cremerà vel dica, 45
E di Coclite il ponte, e quel di Serse,
E i trecento con Pluto a cenar spinti.
E noi lombardi petti, e noi nutrica
Il valor che alle donne etnische e perse
Plorar fé* l'ombre de' mariti estinti. 50
Morti sì, ma non vinti,
Ma liberi cadremo, e armati, e tutti:
Arme arme fremeran le sepolte ossa,
Arme, i Agli, le spose, i monti, i flutti;
E voi cadrete, troni, a quella scossa. 55
Cadrete; ed alzerà Natura alfine
Quel dolce grido che nel cor si sente,
Tutti abbracciando con amplesso eguale;
E Ragion sulle vostre alte ruine
Pianterà colla destra onnipossente eo
43. La fa secura: Par formato sul verso : « E per desperazion fatta secura »
(Peto., Trionfo della Morte, cap. l.°). Cfr. anche Seneca : « Factus sum
ex ipsa desperatione securior », e Orazio. Carni, «deliberata morte ferocior ».
45. Se vero. ecc. : Se é vero che la vittoria arride facilmente ai popoli che
antepongono la morte alla schiavitù, ve lo dica l'eccidio dei Fabi avvenuto
nel 447 av. C. sul fiumicello Cremerà, nei dintorni di Roma , e ve lo dica
il valore di Orazio Coclite, pugnante aa soio sul ponte di legno coll'esercito
di Porsenna, e la gloriosa morte dei trecento compagni dì Leonida alle Ter-
mopili combattenti coll'innumerevole esercito di Serse.
47. A cenar spinti : Leonida, prima dell'estrema disperata pugna, disse ai
suoi compagni : « Stasera v'invito a cenare da Plutone ». « Troppo basso e
Grossolano quello spinti a cenare , che ha pure il Boccaccio nella celebre
escrizione della pestilenza sul fine » (Mestica).
50. De' mariti estinti : Le donne etrusche, per mano dei Fabi e di Coclite,
e le persiane per mano dei Greci, doverono piangere {plorar, lat ) la morte
dei loro mariti. Petrarca, P. in, canz. 1, 94 : «E vedrai nella morte de*
mariti Tutte vestite a brun le donne perse ».
53. Fremeran : È qui usato con significato transitivo e vale « chiedere fre-
mendo, fremens deposcere ». In tal senso é usato dai latini : Virgilio, Aen.
vii, 160: « arma amens fremit », e xn, 453: « arma manu trepidi po^cunt,
fremit arma iuventus»; Ovidio, Met. xn, 240: «ardescunt germani caede
bimembres, Certatimque omnes uno ore arma, arma loquentùr ». Dai latini
lo derivarono i nostri : Tasso, Cher. Lib. vni, 71 « Arme ! Arme ! freme il
forsennato e insieme La gioventù superba arme, arme freme «, Foscolo, Se
polari, 197 : « Possa Fremono amor di patria », e Carduci i, Al Clitunno, 32
« Qui pugni a* verni e arcane istorie frema ».
56. Ed alzerà Natura, ecc. : « Accenna alla doppia vittoria che avrà la ri-
voluzione nel campo sociale e nel campo politico : cioè il trionfo della Na-
tura e quello della Ragione. Seguendo le idee del Rousseau, il sistema so-
ciale che si fonda sulla Natura, e che pone per prima sua legge l' ugua-
glianza di tutti gli uomini, avrà vittoria sutrordinamento sociale presente,
che è artificiale e conseguenza di un contratto che pone il più forte sul
più debole generando la disuguaglianza. La Ragione poi avrà vittoria sulla
superstizione e l'ignoranza che ì principii delle società passate han voluto
conservare. Le alte ruine saran date dalle molte istituzioni che poggiando
sulla superstizione e sulla ignoranza in nome della Ragione dovranno ca-
dere » (Ferrari),
1f
28 PAUTE I.
L'immobil suo triangolo immortale.
Ira e fiamma non vale
Incontro a lui di fulmini terreni,
E forza in van lo crolla ed impostura:
Dio fra tuoni tranquillo e fra baleni C3
Tienvi sopra il suo dito e Tassecura.
Tu, primo degli eroi, che su l'Isonzo,
Men di te stesso che di noi pensoso,
Dei re combatti il perfido desìo;
Tu, che, se tuona di Gradivo il bronzo, 70
Fra le stragi e le morti polveroso
Mostri in fragile salma il cor d'un dio;
All'ostinato e rio
Tedesco or di' che sul Tesin lasciata
Hai la donna dell'Alpi ancor fanciulla, 73
Ma ch'ella in mezzo alle battaglie è nata
E che novello Alcide è nella culla.
Molti per via le fan villano oltraggio
Ricchi infingardi, astuti cherci, ed altra
Gente di voglie temerarie e prave. so
Ella passa e non guarda; ed in suo saggio
Pensi er racchiusa non fa motto; e scaltra
Scuote intanto i suoi mali, e nulla pavé.
Così lion, cui grave
Su la giubba il notturno vapor cada, S5
Se sorride il mattin sull'orizzonte,
61. L'immobil suo triangolo, ecc. : Nonostante l'ingegnosa confutazione che
ne ha fatta il Bertoldi, credo di dover tornare all'opinione del Ferrari che
questo triangolo sia proprio il simbolo massonico. Che si alluda al sillogismo,
come crede il Bertoldi, perché consta di tre proposizioni, mi pare ass:ii
difficile, riuscendo allora il verso un vero indovinello. Si ricordi anche che
il p. fu certamente massone (Vicchi, i, 97).
63. Fulmini terreni : « Allude non solo alle scomuniche dei papi, ma anche
alle guerre delle potè tà che hanno interesse a conservare ignorante e su-
perstizioso il popolo » (Ferrari).
66. « Dio tiene il suo dito sopra il triangolo rendendolo immobile agli urti
degli uomini e lo protegge » (Ferrari).
68. Pensoso: Petrarca, P. hi, canz. 11, 10«: «Pensoso più d'altrui che
di sé stesso ».
70. Di Gradivo il bronzo : 11 cannone. Gradivo é Marte.
72. In fragile salma : Allude alla non robusta corporatura di Napoleone,
piccolo di corpo, magro e pallido.
74. Tesin: Ticino.
75. La donna dell'Alpi : La Repubblica Cisalpina. Donna qui vale Rcggi-
trice, come in Dante, Purg. vi, 23 « La donna di Brabante ».
77. Novello Alcide : Come Alcide infante strozzò in culla due serpenti che
Giunone aveva mandati a divorarlo, cosi la Cisalpina , sebbene ano.Br fan-
ciulla, vincerà il « rio tedesco ».
SI. Ella passa e non guarda : Come pudica fanciulla che passa disdegnando.
Per la forma ricorda il dantesco « Non ragioniam di lor , ma guarda e pa >sa ♦ -
{Inf. ni, 51).
&>. Jl notturno vapor : La rugiada.
PER IL CONGRESSO d' UDINE. • 29
Tutta scuote d'un crollo la rugiada,
E terror delle selve alza la fronte.
Canzon, l'italo onor dal sonno è desto;
Però della rampogna, oo
Che mosse il tuo parlar, prendi vergogna.
Ma, se quei vili che son forti in soglio
T'accusano d'orgoglio,
Rispondi : Italia sul Tesin v'aspetta
A provarne la spada e la vendetta. or»
91. Prendi vergogna : Vergognati della rampogna da cui ha preso le mosse
il tuo parlare, cioè che l'Italia sia più vile che infelice (v. 12), che l'italo
onore ornai si è desto dal sonno.
Per la liberazione d'Italia
Nel 1799, allorché Napoleone Bonaparte conduceva la guerra in Egitto,
gli Austro-Russi si collegarono contro il Direttorio francese. Il 28 aprile, 1
collegati, sotto il comando del Souwaroff, entrarono in Milano, distrussero
lo repubbliche italiane che si erano costituite per le armi di Francia. I più
fervidi repubblicani esularono allora oltre l'Alpi , e fra gli altri anche il
Monti che si ridusse a Parigi donde tornò in Italia nel 1801. Napoleone, avvi-
sato della restaurazione austro- russa, con singolare rapidità tornò in Fran-
cia, abbatté il Direttorio col colpo di stato del 18 e 19 brumaio (9 e 10 no-
vembre) 1799, e, sceso per il S. Bernardo in Italia , vinse a Marengo , fra
Alessandria e Tortona, gli Austriaci il 4 giugno 1800, e dopo alti-i fatti di
arme, li costringeva alia pace di Lune ville, conclusa il 9 febbraio 1801. Per
auesti fatti, che lo riempirono di gioia e gli permisero di rivedere la patria,
p. compose quest'ode subito dopo la battaglia di Marengo. Il metro é a
strofe tetrastiche di ottonari, alternativamente piani e tronchi a rime alter-
nate. Bene giudicò quest'inno Severino Ferrari : « Forse é troppo zeppo di
personificazioni e un pò* teatrale nella chiusa, ma cosi affettuoso per amor
jatrio nella mossa che dà V intonazione a tutta l'ode , cosi ricco di quella
>eata vena di armonia che era dote particolare del poeta, e volante, conci-
tato e rapido fra grandi ricordi e magnanime speranze dal principio alla
fine, che ben si capisce la fama che cosi universalmente e lungamente godè
presso i nostri padri ai quali fu carissimo ».
Bella Italia, amate sponde,
Pur vi torno a riveder I
Trema in petto e si confonde
L'alma oppressa dal piacer. 4
Tua bellezza, che di pianti
Fonte amara ognor ti fu,
Di stranieri e crudi amanti
T'avea posta in servitù.
Ma bugiarda e mal sicura
La speranza fla de' re:
Il giardino di natura
No, pei barbari non è. 12
Bonaparte al tuo periglio
Dal mar libico volò;
3. E si confonde : Si turba. Gli antichi poeti lo dissero soltanto d'impres-
sioni tristi, i moderni invece lo usano anche quando si tratti di turbamenti
soavi : cosi il Foscolo. neWInno secondo alle Grazie, 112 « e l'aura Pregna
di fiori gli confonde il cuore ».
5. Fonte amara : Filicaia « Italia, Italia, o tu cui feo la sorte Dono infe-
lice di bellezza, ond'hai Funesta dote d'infiniti guai, ecc. ».
11. Il giardino di natura: L'Italia, che Dante, Purg. vi, 105, aveva chia-
mato « il giardino deU'impero » e il Petrarca, P. ih, canz. iy, 56 : « del
mondo la più bella parte ».
14. Dal mar libico : Dall'Egitto, ove era occupato nella guerra contro 1
Mammelucchi e gl'Inglesi.
PER LA LIBERAZIONE D* ITALIA. 31
Vide il pianto del tuo ciglio,
E il suo fulmine impugnò. io
Tremar l'Alpi, e stupefatte
Suoni umani replicar
E l'eterne nevi intatte
D'armi e armati fiammeggiar. so
Del baleno al par veloce
Scese il forte, e non s'udì:
Che men ratto il voi la voce
Della Fama lo seguì. 24
D'ostil sangue i vasti campi
Di Marengo intiepidir,
E de' bronzi ai tuoni ai lampi
L'onde attonite fuggir. 28
Di Marengo la pianura
Al nemico tomba dio.
Il giardino di natura,
No, pei barbari non è. orf
Bella Italia, amate sponde,
Pur vi torno a riveder !
Trema in petto e si confonde
L'alma oppressa dal piacer. 30
Volgi l'onda al mar spedita,
de' fiumi algoso re;
Dinne all'Adria che finita
La gran lite ancor non è; 40
Di' che l'asta il franco Marte
: Quasi Giove terreno Napoleone impugnò la folgore,
e. : Per il passaggio dell esercito napoleonico per il
16. E 11 suo fulmine:
18. Suoni umani, ecc.
S. Bernardo le Alpi tremarono, stupefatte di udire echeggiare le loro valli
di voci umane. E invero il passaggio del S. Bernardo fu impresa audacis-
sima. « 11 rumore si propagava dà. ogni banda: quei luoghi ermi» solitari.
e da tanti secoli muti, risuonarono insolitamente e ad un tratto per voci
liete guerriere » (Botta, v, lib. xx).
19. E l'eterne nevi : « Fra le nevi, fra le nebbie , fra le nubi apparivano
le armi risplendenti, apparivano gli abiti scoloriti dei soldati ; quel miscu-
glio di natura morta e di natura viva, era spettacolo mirabile » (Ibid.).
24. Lb segui: Scese inaspettato con tale celerità che arrivò sui nemici
prima che del suo arrivo si fosse sparso il grido (Botta, rv, p. 14).
26. Intiepidir : si bagnarono i campi di Marengo di tepido sangue nemico.
Ricorda il Petrarca, P. in, canz. iv : « Cesare taccio, che per ogni piaggia
Fece l'erbe sanguigne Di lor vene ».
27. De* bronzi: Dei cannoni.
31. Il giardino, ecc. : Ripete con molta efficacia i w. 11-12 ne* quali si
esprime l'esultanza degl'Italiani per la liberazione della patria, il che costi-
tuisce il motivo di tutta l'ode.
38. Algoso re : Il Po, che Virgilio, Georg, i, 482 , chiama « Fluviorum
rei Eridanus ».
39. Dinne aU' Adria: Fa' sapere all'Adria (alla Venezia) che ancora non ó
finita l'aspra guerra, che speri di liberarsi dall'Austria, in soggezione della
quale era caduta col trattato di Campoformìo.
41. n franco Marte : Napoleone che per antonomasia ora paragona a Marte,
ora a Prometeo, ora ad Achille, ora ad Alcide.
32 PARTE 1.
Ancor fissa al suol nonha,
Di' che dove è Bonaparte
Sta vittoria e libertà. 41
Libertà, principio e fonte
Del coraggio e dell'onor,
Che, il piò in terra, in ciel la fronte,
Sei del mondo primo amor, 43
Questo lauro al crin circonda:
Virtù patria lo nutrì,
£ Desaix la sacra fronda
Del suo sangue colorì. 52
Su quel lauro in chiome sparte
Pianse Francia e palpitò:
Non lo pianse Bonaparte,
Ma invidiollo e sospirò. 56
Ombra illustre, ti conforti
Queir invidia e quel sospir :
Visse assai chi '1 duol de 1 forti
Meritò nel suo morir. eo
Ve' sull'Alpi doloroso
Della patria il santo amor,
Alle membra dar riposo
Che fur velo al tuo gran cor. 64
L'ali il tempo riverenti
Al tuo piede abbasserà:
Fremeran procelle e venti,
E la tomba tua starà. 68
Per la cozia orrenda valle,
Usa i nembi a calpestar,
Torva l'ombra d'Anniballe
Verrà teco a ragionar. 72
47. Il pie in terra: Accus. di relazione. Virgilio dice che la Fama: « In
grediturque solo et caput inter nubila condit» {Aen. iv. 177).
51. Desaix: il generale Lui^i Carlo Desaix. nato nel 1768, che già s'era
distinto nella campagna d'Italia del 1706 e nella spedizione d' Egitto,, mori
gloriosamente, colpito al cuore, a Marengo, dove il suo soprasgiungere, sulla
sera col suo corpo d'esercito fresco , decise deUe sorti della giornata che
gin si credeva perduta per i Francesi.
(il. Velo al tuo gran cor: Velo por corpo come veste dell'anima hanno
spesso il Petrarca e il Tasso. Il Desaix fu sepolto nella chiesuola dell'ospi-
zio sul gran S. Bernardo, per ordine di Napoleone che disse : « La tomba
di Desaix avrà le Alpi per piedistallo, e per guardiani i monaci del Sa;
Bernardo ».
68. starà : Alla latina, rimarrà, non sarà distrutta dalle procelle e dai venti
69. Per la cozia . . . valle: Qui sta per valle alpina in generale, che il gran
S. Bernardo é nelle Pennine e non nelle Gozie e u piccolo S. Bernardo, donde
discese Annibale, é nelle Graie.
70. Usa : Avvezza, riferiscilo ad ombra del verso seg.
71. Anniballe: Bella questa evocazione del grande generale cartaginese;
ma l'ombra di lui é evocata solo per dire che fu meno grande e audace d)
Napoleone. U Ferrari ricorda che nel Bardo, framm. del e. vili, str. 3 dice :
PER LA LIBERAZIONE D ITALIA. 33
Chiederà di quell'ardito,
Che secondo l'Alpe apri :
Tu gli mostra il varco a dito,
E rispondi al fìer così : 76
— Di prontezza e di coraggio
Te quel grande superò:
Afro, cedi al suo paraggio,
Tu scendesti, ed ei volò. so
Tu dell'itale contrade
Abbonito destruttor:
Ei le torna in libertade,
E ne porta seco il cor. &\
Di civili eterne risse
Tu a Cartago rea cagion :
Ei placolle e le sconfisse
Col sorriso e col perdon. es
Che più chiedi? Tu ruina,
Ei salvezza al patrio suol.
Afro, cedi e il ciglio inchina:
Muore ogni astro in faccia al sol — . 92
« Fama é che sopra quell'orrende cime L'ombra si aggiri ; avvolta di tem-
peste, Del feroce Anmbàl che delle prime Orme guerriere stampò l'ardue
creste ».
70. Afro : Affricano. — Paraggio : Paragone, voce arcaica.
88. Col sorriso e col perdon: La storia veramente non é d'accordo col
f>oeta : Annibale non fu rea cagione di risse alla patria sua , se non per
iberarla dalla temuta rivale. Roma, né Napoleone, fu cosi benefico verso i
Francesi. È ben vero però che Napoleone si studiò di conciliare i partiti e
di placare i sollevati della Vandea (Cfr. Botta, vi, lib. xix).
Minti. — foesie.
Per un dipinto dell'Agricola
Il pittore urbinate Filippo Agricola (1776-1857: fu di non molto valore-,
k'U procurò qualche fama questo son. e la canz. del nostro per quattro ta-
vole da lui dipinte rappresentanti Dante. Petrarca, il Tasso. l'Ariosto con le
loro donne) nei '21 fece il ritratto della figlia del Monii e di Teresa Pikler,
Costanza. Costei, nata in Roma il 7 giugno 17WJ, bella di forme, vivace d'in-
degno, fu garbata scrittrice in prosa e in versi. Andò sposa il 6 giugno 1812
al savignanese Giulio Perticar!. Mortole il marito, fu amareggiata da ca-
lunnie di malevoli e mori in Ferrara il 7 settembre 1840. V. su lei oltre lo
scritto di E. Masi, in Parrucche e Sanculotti, cit. nella Introduzione, anche
A. Monti, Lettere di V. M. e di Costanza sua figlia, Imola, Galeati, 1873,
G. S. Scipioni, Alcune lettere e poesie di Costanza Monti Pertic. in Oiorn.
ttor. d, lett. ital. voi. xi, fase, i, G. L. Polidori, Versi e lettere di C. M.
Pert. Le Mounier, 1860 e M. Romano, C. M. Pertic. e Lettere inedite e sparse
Ci C. M. P. , Rocca San Casciano, Cappelli 1903.
Più la contemplo, più vaneggio in quella
Mirabil tela : e il cor, che ne sospira,
««f Sì nell'Obbietta del suo amor delira,
Che gli amplessi n'aspetta e la favella.
Ond'io già corro ad abbracciarla. Ed ella
Labbro non move, ma lo sguardo gira
Ver' me sì lieto che mi dice : Or mira,
Diletto genitor, quanto son bella.
Figlia, io rispondo, d'un gentil sereno
Ridon tue forme ; e questa imago è diva
Sì che ogni tela al paragon vien meno.
Ma un'imago di te vegg'io più viva,
£ la veggo sol io; quella che in seno
Al tuo tenero padre Amor scolpiva.
5. Ond'io già corro, ecc. : Per le quattro tavole rappres. Dante, ecc. 43 :
« Come padre deliro lagrimando Quella divina ad abbracciar mi mossi ».
8. Quanto son, ecc. Cfr. col son. del Petrarca, P. ii, 62 : « Tornami a
mente, anzi v'é dentro ». Attribuisce aU' immagine il sentimento eh' egli
stesso prova nel contemplarla.
10. Tue forme : Con questa lode, che potrebbe forse parere dettata da va
nltà paterna, concorda l'opinione di quanti la conobbero. « Preferisco i
suoi vezzi, scriveva Lady Morgan (ed é il giudizio d'una donna brutta), a
tutta la scienza racchiusa nella sua bella testa » (Masi, op. cit. p. 239).
11. Amor scolpiva: Non l'immagine della moglie, come crede lo Zumbini,
ma quella della figlia è scolpita nel cuore del poeta. Senso : « Più viva del-
l'immagine dipinta é quella clic l' amore paterno scolpiva nel cuore del
padre »
Pel giorno onomastico della sua donna
La canz. fa composta nell'ottobre del 1826, giorno onomastico della moglie
del p. Costei, figlia di Giovanni Pikler, incisore di pietre dure, era nata in
Roma il 3 giugno 1769, andò sposa al M. nel 1701 e mori a Milano il 1D mag-
gio 1834. La canzone, dolcissima pernii affetti intimi che vi spirano, ci é prova,
come dice lo Zumbini «p. 250) che «la vecchiezza, non che inaridisse la vena
dell'affetto, anzi la fece più abbondante ». In una lettera dell'8 sett. 1826 al-
l'amico G. A. Roverella il p. scriveva : « Cosi malandato qual sono, qualche
buon verso m'é caduto dalla penna, e alcuni altri ne vo meditando nel
punto che scrivo a te la presente, consacrati alla mia donna, la quale non
mi ha mai abbandonato un momento dacché sono caduto in tanta calamità ;
e se sono ancor vivo, il debbo principalmente alle sue tenere cure » {Episc.
Rcsnati, il, p. 415). Il metro é quello della canzone a strofe libere, formate
di settenari ed endecasillabi vanamente disposti e diversamente rimati nelle
singole strofe.
Donna, dell'alma mia parte più cara,
Perchè muta in pensoso atto mi guati,
E di segrete stille
Rugiadose si fan le tue pupille?
Di quel silenzio, di quel pianto intendo, 5
mia diletta, la cagion. L'eccesso
De' miei mali ti toglie
La favella, e discioglie
In lacrime furtive il tuo dolore.
Ma datti pace e il core io
Ad un pensier solleva
Di me più degno e della forte insieme
Anima tua. La stella
Del viver mio s'appressa
Al suo tramonto; ma sperar ti giovi 15
Che tutto io non morrò: pensa che un nome
Non oscuro io ti lascio, e tal che un giorno
Fra le italiche donne
Ti fia bel vanto il dire: Io fui l'amore
1. Donna, ecc. : Orazio. Od. I, m, 8 : « Animae dimidium meae ». Anche
alla figlia Costanza in un'ode in risposta ad alcuni versi di lei, aveva detto :
« tu, dell'alma mia parte più cara ».
4. Le tue pupille : Cosi nell'Iliade, in, 186 (trad. M.) Elena esce dalle sue
stanze « di segrete Tenere stille rugiadosa il ciglio ».
6. L'eccesso de* miei mali : 11 9 aprile del 1826 era stato colpito da una
forte emiplegia ed era anche malato d'occhi.
15. Al suo tramonto : Moriva il 13 ottobre 1828.
16. Che tutto, ecc. : È l'oraziano, Od. Ili, xxx, 6 : « non omnis moriar ».
36 PARTE 1.
Del cantor di Bassville, so
Del cantor che di care itale note
Vestì Tira d'Achille.
Soave rimembranza ancor ti fla,
Che ogni spirto gentile
A' miei casi compianse (e fra gl'Insubri £5
Quale è lo spirto che gentil non sia?).
Ma con ciò. tutto nella mente poni
Che cerca un lungo sofferir chi cerca
Lungo corso di vita. Oh mia Teresa,
E tu del pari sventurata e cara 30
Mia figlia, oh voi che sole d'alcun dolce
Temprate il molto amaro
Di mia trista esistenza, egli andrà poco
Che nell'eterno sonno lagrimando
Gli occhi miei chiuderete ! Ma sia breve ss
Per mia cagion il lagrimar: che nulla,
Fuor che il vostro dolor, fia che mi gravi
Nel partirmi da questo
Troppo ai buoni funesto
Mortai soggiorno, in cui 40
Così corte le gioie e così lunghe
Vivon le pene ; ove per dura prova
Già non è bello il rimaner, ma bello
L'uscirne e far presto tragitto a quello
De' ben vissuti, a cui sospiro. E quivi 45
Di te memore, e fatto
Cigno immortai (che de* poeti in cielo
L'arte è pregio e non colpa), il tuo fedele,
Adorata mia donna,
T'aspetterà, cantando, 50
Finché tu giunga, le tue lodi; e molto
De' tuoi cari costumi
20. Del cantor, ecc. : Accenna , com'è chiaro , ad uno dei suoi migliori
poemetti, la Bassvilliana.
22. Vesti, ecc. : Allude alla traduzione dell'Iliade già pubblicata nel 1S10.
25. Insubri : Furono antichi abitatori della Gallia traspadana di stirpe
celtica. Poeticamente vale lombardi. Molti affettuosi amici ebbe U p. nei
suoi anni estremi.
29. Lungo corso di vita : Riprende il concetto d' Orazio, Od. I , rv, 15 :
* Vitae sumnia brevis spem nos vetat inchoare longam ».
30. Del pari sventurata : Era già vedova di Giulio Perticari e infelice per
la malevoglienza di parenti e di falsi amici. V. l'Introduzione.
31. Che nell'eterno sonno : U Bertoldi ricorda qui il v. petrarchesco, P. 1,
canz. xi, 16: « Ch'Amor quest'occhi lagrimando chiuda », ma in questo
v. il gerundio lagrimando sta in luogo del part. pres. lacrimanti e si
collega coll'ogg., invece nel v. del M. non ha questo ufficio. Fu ed ó ancora
costume di chiuder gli occhi a coloro che muoiono.
47. Che dei poeti : In ciò si sente un rammarico per le molte inimicizie
e le molte amarezze che per i suoi versi aveva dovuto soffrire.
PEL GIORNO ONOMASTICO DELLA SUA DONNA. 37
Parlerò co* celesti, e dirò quanta
Fu verso il miserando tuo consorte
La tua pietade: e l'anime beate, £>
Di tua virtude innamorate, a Dio
Pregheranno, che lieti e ognor sereni
Sienò i tuoi giorni e quelli • -
Dei dolci amici che ne fan corona:
Principalmente i tuoi, mio generoso co
Ospite amato, che verace fede
Ne fai del detto antico,
Che ritrova un tesoro
Chi ritrova un amico.
61. Ospite amato: Luigi Aureggi che ospitava nella sua villa di Cara ver io
in Brianza il p. e la sua famiglia. In quella villa anche Tanno avanti aveva
composto una poesia per l'onomastico della sua donna, molto inferiore però
a questa.
61. A questa bellissima poesia intima ben si addicono le parole dello Zum-
bim, p. 217: « Oserei dire che il nostro poeta non si attenne mai così bene
alla maniera dei sommi, che é di ritrarre immediata niente i moti intimi
dell'immaginazione e del cuore, come fere nelle ultime sue liriche: dove
egli, che parve cosi scarso di affetti intensi da esser detto poeta dell'orec-
chio e non del cuore, mostrò che talvolta sapeva essere potente su questo
non meno che su quello ».
-- • . •
PARTE H.
SERMONI, IDILLI, CANTI
La bellezza dell'Universo
CANTO RECITATO NBL BOSCO PARRASIO DELL' ARCADIA ROMANA
PER LE NOZZE DEL DUCA LUIGI BRASCHI ONESTI
CON DONNA COSTANZA FALCONIERI
Questo carme fu recitato in Arcadia il 10 agosto 1781 , quando i due ni
poti di Pio VI, il principe Luigi Braschi Onesti e la Costanza Falconieri,
furono accolti fra gli Arcadi col nome, l'uno di Alcimedonte Cleoneo, l'altra
di Egeria Caritea. Molti poeti cantarono e in italiano e in latino le nozze
principesche : primeggiò fra tutti il Monti con questo mirabile carme. È
ispirato in parte ad un luogo del e. vii del Paradiso Perduto del Milton
(Zumbini. p. 28 e sgg.). Ben lo disse lo stesso critico (Ibid.) una pagina della
storia della natura. Comincia dal glorificare la bellezza dell'universo fisico,
la considera poi come animatrice delle cose sulla terra, creatrice delle erbe,
dei fiori, delle piante, degli animali, non che de' venti e delle tempeste, dei
tuoni e de' baleni. Inneggia poi alla mirabile conformazione fisica dell'uomo
che in sé racchiude uno spirito immortale. Richiama la Musa in Italia e a
Roma, ove in Vaticano troverà maestà e dove dalla Bellezza sorrise splen-
dono eterne le tele e i marmi e risuona di canti la selva d'Arcadia accla-
mante agli sposi felici. La Bellezza vincerà il tempo, se sarà congiunta alla
virtù e avrà fine soltanto coli' estinzione dell' universo; allora salirà in
cielo.
Della mente di Dio candida figlia,
Prima d'Amor germana, e di Natura
Amabile compagna e maraviglia;
Madre de' dolci affetti, e dolce cura
Dell'uom che varca pellegrino errante 5
Questa valle d'esilio e di sciagura;
Vuoi tu, diva Bellezza, un risonante
Udir inno di lode, e nel mio petto
Un raggio tramandar del tuo sembiante?
Senza la luce tua l'egro intelletto io
1. Candida : Pura.
2. Germana : Sorella.
4. Madre de* doloi affetti : Lucrezio, De Rer. Nat., i, 20 che il Marchetti
traduce : « Di piacevole amore i cori accendi ». Nelle Nozze di Cadmo *
d'Erm.y 24, dirà alla Bellezza : « Tu che d'amor le fiamme accendi ».
0. Un raggio tramandar : Anche Lucrezio, op. cit. I, chiedeva a Venere, la
bellezza universa, che ispirasse il suo canto.
10. Egro : Debole (lat.).
LA BELLEZZA DELL* UNIVERSO. 39
Langue oscurato, e i miei pensier se' n vanno
Smarriti in faccia al nobile subbietto.
Ma qual principio al canto, o dea, daranno
Le Muse? e dove mai degne parole
Dell'origine tua trovar potranno? 15
Stavasi ancora la terrestre mole
Del càos sepolta nell'abisso informe,
E sepolti con lei la luna e il sole;
E tu, del sommo facitor su l'orme
Spaziando, con esso preparavi 20
Di questo mondo l'ordine e le forme.
V'era l'eterna Sapienza, e i gravi
Suoi pensier ti venia manifestando
Stretta in santi d'amor nodi soavi.
Teco scorrea per l' infinito; e, quando 21
Dalle cupe del nulla ombre ritrose
L'onnipossente creator comando
Uscir fé' tutte le mondane cose,
E al guerreggiar degli elementi infesti
Silenzio e calma inaspettata impose, 30
Tu con essa alla grande opra scendesti,
E con possente man dei furibondo
Càos le tenebre indietro respingesti,
Che con muggito orribile e profondo
Là del creato su le rive estreme 35
S'odon le mura flagellar del mondo;
Simili a un mar che per burrasca freme,
E sdegnando il confine, le bollenti
Onde solleva, e il lido assorbe e preme.
Poi ministra di luce e di portenti, 40
Del ciel volando pei deserti campi,
Seminasti di stelle i firmamenti.
Tu coronasti di sereni lampi
Al sol la fronte; e per te avvien che il crine
Delle comete rubiconde avvampi; 4j
Che agli occhi di quaggiù spogliate alfine
Del reo presagio di feral fortuna,
SO. Spaziando : Andando attraverso agli spazi dietro a Dio, sommo crea
tore.
26. Ritrose : Le ombre del nulla si opposero a Dio perchè non creasse, ma
il solo comando dell'onnipotente bastò a vincere quella resistenza. Ben dice
il Bertoldi : « Versi codesti, che tendono del sublime biblico ».
34. Le tenebre indietro, ecc. : La Bellezza insieme con la divina Sapienza
fuga le tenebre e crea la luce : « Fiat lux et lux facta est ».
37. Mar che . . . freme : Ariosto, Ori. Fur. x, 40 : « Né cosi freme il mar,
quando l'oscuro Turbo discende e in mezzo se gli accampa », — 40 e sjrg.
In questi vv. specialmente il p. s'ispira al e. vii, 119-210 del Farad. Perd.
47. Del rio presagio: Si ò sempre creduto che le comete siano annunzia-
40 PARTE II.
Invian fiamme innocenti e porporine.
Di tante faci alla silente e bruna
Notte trapunse la tua mano il lembo, 50
E un don le festi della bianca luna;
E di rose all'Aurora empiesti il grembo,
Che poi sovra i sopiti egri mortali
Piovon di perle rugiadose un nembo.
Quindi alla terra indirizzasti Tali; 55
Ed ebber dal poter de' tuoi splendori
Vita le cose inanimate e frali.
Tumide allor di nutritivi umori
Si fecondar le glebe, e si fèr manto
Di molli erbette e d'olezzanti fiori. 60
Allor, degli occhi lusinghiero incanto,
Crebber le chiome ai boschi; e gli arbuscelli
Grato stillar dalie corteccie il pianto,
Allor dal monte corsero i ruscelli
Mormorando, e la florida riviera 65
Lambir freschi e scherzosi i venticelli.
Tutta del suo bel manto primavera
Copria la terra, ma la vasta idea
Del gran fabbro compita ancor non era.
Di sua vaghezza inutile parea 70
Lagnarsi il suolo, e con più bel desiro
Sguardo e amor di viventi alme attendea.
Tu allor raggiante d'un sorriso in giro
Dei quattro venti su le penne tese
L'aura mandasti del divino spiro. 73
La terra in sen l'accolse e la comprese,
E un dolce movimento, un brividio
Serpeggiar per le viscere s'intese;
trici di guerre e di pestilenze. Bene osserva il Piergili che raggiunto por-
porine non vale qui « rossastre » , perché questo attributo é già espresso
nel * rubiconde » del v. 45, ma soltanto « splendenti ».
52. E di rose : I poeti, da Omero in poi, attribuirono o le dita di rosa o
ghirlande di rose all'Aurora. Cosi il Petrarca, P. ir, son. 23, la dice : « con
la fronte di rose e co' crin d'oro », e il Tasso, Ger. Lib. ni, 1 « coiraurea
testa » infiorata « di rose colte in Paradiso », e T Ariosto, Ori. Fur. xni,
43 la fa uscire « con la ghirlanda di rose adorna , e di purpurea stola ».
54. Perle rugiadose : Le gocce della rugiada che illuminate dal sole seni
brano perle.
62. Le chiome ai boschi : È il « nemorum coma» di Orazio, e V « arboreas
comas » di Ovidio, Amorcs: il Poliziano, Stanze, 73 ha le « chiome del
giardino eterno ».
63. Il pianto : gli aromi che ne gocciano.
69. Del gran fabbro : Di Dio, creatore dell'universo.
68. Coprir la terra : Cfr. Virgilio, Georg, n, 338 : « ver illud erat, ver
magnus agebat orbis ».
73. Tu allor, ecc. : Tu allora, o Bellezza, sulle penne dei quattro venti nel
mondo mandasti il soffio fecondatore di Dio.
76. La comprese : La contenne.
LA BELLEZZA DELL* UNIVERSO. 41
Onde un fremito diede, e concepio;
E il suol, che tutto già s'ingrossa e figlia 80
La brulicante superficie aprio.
Dalle gravide glebe, oh maraviglia !,
Fuori allor si lanciò scherzante e presta
La vaga delle belve ampia famiglia.
Ecco dal suolo liberar la testa, 85
Scuoter le giubbe, e tutto uscir d'un salto
Il biondo imperator della foresta.
Ecco la tigre e il leopardo in alto
Spiccarsi fuora della rotta bica,
E fuggir nelle selve a salto a salto. . oo
Vedi sjtto la zolla che l'implica
Divincolarsi il bue, che pigro e lento
Isvil uppa le gran membra a fatica.
Vedi pien di magnanimo ardimento
Sovra i piedi balzar ritto il destriero, 05
E nitrendo sfidar nel corso il vento;
Indi il cervo ramoso, ed il leggiero
Daino fugace; e mille altri animanti,
Qual mansueto e qual ritroso e fiero;
Altri per valli e per campagne erranti, ìoo
Altri di tane abitator crudeli,
Altri dell'uomo difensori e amanti.
E lor di macchia differente i peli
Tu di tua mano dipingesti, o diva,
Con quella mano che dipinse i cieli. 105
Poi de' color più vaghi, onde l'estiva
Stagion delle campagne orna l'aspetto
E de' freschi ruscei smalta la riva,
79. Bello é questo fremito di vita che il p. descrive con mirabili colori
e che può ricordare ciò che Virgilio, Georg, ii, 324 dice del germinar dell i
vita al sopraggiungere della primavera: « Vere tument terrae et genitalia
semina poscunt ».
81. Ampia famiglia: Famiglia, che originariamente indicò tutti i servi
della casa, passò per estensione a significare moltitudine di cose che ab-
biano affinità fra loro : cosi il Petrarca nel son. Zeffiro toma dice : « E i
fiori e l'erbe, sua dolce famiglia *, e il Foscolo, Sepolcri, 5 * Bella d'erbe
famiglia e d'animali ».
85. Liberar la testa: Virgilio, Georg, li, 341 : « Terrea progenies duris ca-
put extuUt arvis ».
87. Il biondo, ecc. : Il leone.
89. Bica : Zolla. Viene dall'antico tedesco biga che vale mucchio e si usa
dai contadini toscani per indicare un mucchio di covoni di grano.
80. E fuggir neUe selve: Virgilio, Georg, n, 342: « immissaeque ferae
sii vis ». Anche questi bei versi s' ispirano al e. vii , 445-453 del Par ad.
Perdi.
93. A fatica : Nota qui l'armonia derivante soprattutto dall' accento sulla
terza sillaba, armonia che colla sua lentezza imita benissimo U lento divin
colarsi del pigro bue dalla zolla.
98. Animanti : Animali (lat.).
42 PARTK II.
L'ale spruzzasti al vagabondo insetto
E le lubriche anella serpentine no
Del più caduco vermicciuol negletto.
Nò qui ponesii all'opra tua confine;
Ma vie più innanzi la mirabil traccia
Stender ti piacque dell'idee divine.
Cinta adunque di calma e di bonaccia, 115
Dalle marine interminabi Tonde
Lanciasti un guardo su l'azzurra faccia.
Penetrò nelle cupe acque profonde
Quel guardo; e con bolior grato natura
Intiepidille, e diventar feconde; 120
E tosto vari d'indole e figura
Guizzaro i pesci, e fin dall'ime arene
Tutta increspar la liquida pianura.
I delfin snelli colle curve schiene
Uscir danzando; e mezzo il mar coprirò 123
Col vastissimo ventre orche e balene.
Fin gli scogli e le sirti allor sentirò
Il vigor di quel guardo e la dolcezza,
E di coralli e d'erbe si vestirò.
Ma che ? Non son, non sono, alma Bellezza, 130
Il mar, le belve, le campagne, i fonti
Il sol teatro della tua grandezza.
Anche sul dorso dei petrosi mónti
Talor t'assidi maestosa, e rendi
Belle dell'Alpi le nevose fronti. 133
Talor sul giogo abbrustolato ascendi
Del fumante Etna, e nell'orribil veste
Delle sue fiamme ti ravvolgi e splendi.
Tu del nero aquilon su le funeste
Ale per l'aria alteramente vieni, ho
E passeggi sul dorso alle tempeste:
Ivi spesso d'orror gli occhi sereni
Ti copri, e mille intorno al capo accenso
Rugghiano i tuoni e strisciano i baleni.
Ma sotto il vel di tenebror sì denso 115
109. Al vagabondo Insetto : Alla farfalla.
111. Lubriche: Striscianti.
123. La liquida pianura : Virgilio, Aen. v, 108 « vastis tremit ictibus aerea
puppis Subtr ahi turche solum », e Dante, Purg. n, 15 « suol marino ».
124. Sirti : Luoghi arenosi nel mare.
137. Etna : Il vulcano di Sicilia nelle cui orribili fiamme splende sovrana
bellezza.
HI. E passeggi, ecc. : Bel verso d'ispirazione biblica. Salmi, xvi, 10 :
« Volò sull'ale de* venti ».
143. Accenso : Acceso (lat.).
115. Ma sotto il cielo: Ma questa bellezza che pure splende anche nell'or-
LA BELLEZZA DELL* UNIVERSO. 43
Non ti scorge del vulgo il debil lume,
Che si confonde nell'error del senso.
Sol ti ravvisa di Sofìa l'acume,
Che nelle sedi di natura ascose
Ardita spinge del pensier le piume. 150
Nel danzar delle stelle armoniose
Ella ti vede, e nell'occulto amore
Che informa e attraggo le create cose.
Te ricerca con occhio indagatore
Di botaniche armato acute lenti 155
Nelle' fibre or d'un'erba ed or d'un flore.
Te dei corpi mirar negli elementi
Sogliono al gorgoglio d'acre vasello
I chimici curvati e pazienti. é
Ma più le tracce del divin tuo bello ìca
Discopre la sparuta anatomia,
Allorché armata di sottil coltello
I cadaveri incide e l'armonia
Delle membra rivela, e il penetrale
Di nostra vita attentamente spia. igò
uomo, o del divin dito immortale
Ineffabil lavor, forma e ricetto
Di spirto, e polve moribonda e frale,
Chi può cantar le tue bellezze? Al petto
Manca la lena, e il verso non ascende ito
«e Tanto che arrivi all'alto mio concetto ».
Fronte che guarda il ciel e al cielo tende;
Chioma che sopra agli omeri cadente
Or bionda or bruna il capo orna e difende;
Occhio, dell'alma interprete eloquente, 173
Senza cui non avria dardi e farètra
rido e nello spaventoso non é compresa dal volgo che ha la mente e i sensi
agitati dal rugghiar de* tuoni e dallo strisciar de* baleni.
150. Le piarne: Le penne. Cfr. Tasso, Ger. Lib. vii, 11 : « E spiegar gli
augelletti al ciel le piume ». La scienza spinge il suo acuto sguardo noi
fenomeni meteorologici e ne spiega le cagioni.
152. Nell'occulto amore, ecc. : Nella gravitazione universale.
155. Botaniche lenti : I microscopi.
158. Aere vaseUo : Il piccolo vaso dove il clinico studia gli acidi (da
ciò acre),
161. Sparata : Perché esamina i cadaveri (i cadaveri incide).
107. Forma, ecc. : « Si noti la potente antitesi fra il concetto delTimmor
talita dell'anima e la fralezza del corpo umano » (Bertoldi).
171. È un verso dell* Ariosto, Ori. Fur. iv, 1. Anche il Pktrarca nel
son. Vergognando talor dice : « Ma qual suon poria mai salir tant'alto % »
172. Pronte : Cfr. Ovidio, Met. i, 76 e sgg. e specialmente i vv. « Os no-
mini sublime dedit, caelumque tueri lussi t, et erectos ad sidera tollero
vultus ».
178. Senza cai, ecc. : Senza rocchio Amore non ferirebbe colle sue pos-
senti armi gli animi umani.
44 PARTE II.
Amor nò l'ali uè la face ardente;
Bocca dond'èsce il riso che penetra
Dentro i cori, e l'accento si disserra
Ch'or severo comanda or dolce impetra iso
Mano che tutto sente e tutto all'erra,
E nell'arti incallisce, e ardita e pronta
Cittadi innalza e opposti monti atterra;
Piede, su cui l'uman tronco si ponta
E parte e riede, e or ratto ed or restio isr>
Varca pianure, e gioghi aspri sormonta;
E tutta la persona entro il cuor mio
La maraviglia piove, e mi favella
Di quell'alto saper che la compio.
Taccion d'amor rapiti intorno ad ella 190
La terra, il cielo; ed: Io, son io, v'è sculto,
Delle create cose la più bella.
Ma qual nuovo d'idee dolce tumulto !
Qual raggio amico delle membra or viene
A rischiararmi il laberinto occulto ? 193
Veggo muscoli ed ossa, e nervi e vene;
Veggo il sangue e le fibre onde s'alterna
Quel moto che la vita urta e mantiene;
Ma nei legami della salma interna,
Ammiranda prigion ! cerco e non veggio 200
Lo spirto che la move e la governa.
Pur sento io ben che quivi ha stanza e seggio,
E dalla luce di ragion guidato
In tutte parti il trovo e lo vagheggio.
spirto, immago dell'Eternò, e fiato 205
Di quelle labbra alla cui voce il serio
Si squarciò dell'abisso fecondato,
Dove andar l'innocenza ed il sereno
Della pura beltà, di cui vestito :
Discendesti nel carcere terreno ? 210
Ahi misero ! t'han guasto e scolorito
183. Opposti monti, ecc. : Qui é ben descritta la molteplice operosità umana
che vince anche i più potenti ostacoli della natura.
181. Si ponta : si appoggia.
sangue piove più largamente
sulle tue trecce piova ».
189. Di quell'alto saper : Della divina sapienza.
197. Onde s'alterna, ecc. : Per le quali avviene il movimento alternato del
sangue, (la circolazione del sangue) che stimola (urta) e mantiene la vita.
199. Salma: Corpo, v. alla p. 11 la n. al v. 83.
205. E fiato, ecc. : Iddio spirò il suo soffio nella creta da cui aveva for-
mato Adamo.
210. Nel carcere terreno: Nel corpo, che è come il carcere dell'anima.
I A BELLEZZA DELL'UNIVERSO. 45
Lascivia, ambizion, ira ed orgoglio,
Che alla colpa ti fero il turpe invito I
La tua ragione trabalzar dal soglio,
E lacero, .deluso ed abbattuto 815
T'abbandonar nell'onta e nei cordoglio,
Siccome incauto pellegrin caduto
Nella man de' ladroni, allorché dorme
11 mondo stanco e d'ogni luce muto.
Eppur sul volto le reliquie e Torme 220
Fra il turbo degli affetti e la rapina
Serbi pur anco dell'antiche forme:
Ancor dell'alta origine divina
I sacri segni riconosco, ancora
Sei bello e grande nella tua rovina; £25
Qual ardua antica mole, a cui talora
La folgore del cielo il fianco scuota
Od il tempo che tutto urta e divora,
Piena di solchi ma pur salda e immota
Stassi, e d'offese e d'anni carca aspetta 230
Un nemico maggior che la percota.
Fra l'eccidio e l'orror della soggetta
Colpevole natura, ove l'immerse
Stolta lusinga e una fatai vendetta,
Più bella intanto la virtude emerse, 233
Qual astro che splendor nell'ombre acquista.
E in riso i pianti di quaggiù converse.
Per lei gioconda e lusinghiera in vista
S'appresenta la morte, e 1' amarezza
D'ogni sventura col suo dolce è mista. 210
Lei guarda il ciel dalla superna altezza
Con amanti pupille; e per lei sola
S'apparenta dell'uomo alla bassezza.
214. Trabalzar dal soglio : Parini, II bisogno, 13 ' « Oltre corri e fremente)
Strappi ragion dal soglio ».
219. D'ogni luce muto : È in Dante, Inf. v. 28 : « Io venni in loco d'ogni luce
muto »,
221. E la rapina : Anche in mezzo al turbine delle passioni serbi le traccia
dell'innocenza d'un tempo.
224. I sacri segni, ecc. : Virgilio, Aen. iv, 23 : « Agnosco veteris vestigia
fìammae ».
233. Stolta lusinga: La virtù deU'uomo emerse dal diluvio universale
{dall'eccidio e Vorror della soggetta colpevole natura) più bella come
un'alta mole che non riesce a domare come un astro che esce dalle te-
nebre ancora più lucente.
237. E in riso, ecc. : Il Petrarca nella canz. alla Vergine dice : « Vergine
benedetta, Che il pianto d'Eva in allegrezza torni ». — Converse: Cangio.
Dante, Inf. xn, 43 : « per lo qual é chi creda Più volte il mondo in caos
converso ».
212. E per lei .sola : Solo per ricondurre gli uomini alla Virtù , Iddio si
apparentò all'umana natura, cioè si fece uomo.
40 PARTE II.
Ma dove, o diva, del mio canto vola
L'audace immaginar? dove il pensiero 245
Del tuo vate guidasti e la parola?
Torna, amabile dea, torna al primiero
Cammin terrestre, né mostrarti schiva
Di minor vanto e di minor impero.
Torna; e, se cerchi errante fuggitiva 250
Devoti per l'Europa animi ligi
E tempio degno di sì bella diva,
Non t'aggirar del morbido Parigi
Cotanto per le vie, né su le sponde
Delia Neva, dell'Istro e del Tamigi. 255
Volgi il guardo d'Italia alle gioconde
Alme contrade, e per miglior cagione
Del fiume tiberin fermati all'onde.
Non è straniero il loco e la magione.
Qui fu dove dal cigno venosino geo
Vagheggiar ti lasciasti e da Marone;
E qui reggesti del pittor d'Urbino
I sovrani pennelli, e di quel d'Arno
« Michel più che mortale angel divino ».
Ferve d'alme sì grandi, e non indarno, ,,235
II genio redivivo. Al suol romano
D'Augusto i tempi e di Leon tornarno.
Vedrai stender giulive a te la mano
Grandezza e Maestà, tue suore antiche,
Che ti chiaman da lungi in Vaticano. 270
T'infioreranno le bell'Arti amiche
La via, dovunque volgerai le piante,
251. Devoti . . . animi ligi: Se cerchi animi a te, o Bellezza, devoti e
soggetti.
253. Morbido : Delicato.
255. Della Neva, ecc. : Di Pietroburgo, di Vienna e di Londra.
257. Per miglior cagione : Per motivo più forte, perché più degno che ti
fermi colà.
260. Dal cigno venosino : Da Orazio. Il cigno sacro ad Apollo e a Venere
fu ritenuto simbolo dei poeti, perché si credette che presso a morte can-
tasse soavemente.
261. Marone: Publio Virgilio Marone nato ad Andes presso Mantova nei
70 e morto a Brindisi nel 19 av. C.
262. Del pittor d'Urbino : Di Raffaello Sanzio urbinate (1483-1520), che corn-
ee i suoi più celebrati lavori in Roma al tempo di Giulio II e di Leone X.
264. Michel, ecc. : È un verso dell'ARiosTO, Ori. Fur. xxxiii, 2, col quale
si designa Michelangelo Buonarroti fiorentino , la cui grande opera é il
S. Pietro , il « nuovo Olimpo » innalzato « in Roma ai celesti » , come
dice il Foscolo.
267. E di Leon, ecc. : Allude al tempo di Pio VI felice per le arti e dal p.
celebrato nella Prosopopea di Pericle. I tempi di Augusto, primo impera-
tore romano (63 av. C. — 14 d. C), e di Leone X (1475-1521) furono cosi cele
brati per lo splendore delle arti che quei due grandi principi dettero il
nome al loro fortunato secolo.
LA BELLEZZA DELl/UNIVERSO. 47
Te propizia invocando alle fatiche.
Per te all'occhio divien viva e parlante
La tela e il masso, ed il pensiero è in forsi 75
Di crederlo insensato e palpitante:
Per te di marmi i duri alpestri dorsi
Spoglian le balze tiburtine e il monte
Che Circe empieva di leoni e d'orsi,
Onde poi mani architettrici e pronte 2S0
Di moli aggravan la latina arena
D'eterni fianchi e di superba fronte:
Per te risuona la notturna scena
Di possente armonia, che l'alme bea
E gli affetti lusinga ed incatena. i'35
E questa selva, che la selva ascrea
Imita e suona di febeo concento,
Tutta è spirante del tuo nume, dea;
E questi lauri che tremar fa il vento,
E queste che premiam tenere erbette, *#>
Sono d'un tuo sorriso opra e portento.
E tue pur son le dolci canzonette
Che ad Imeneo cantar dianzi s'intese
L'arcade schiera su le corde elette.
Stettero al grato suon l'aure sospese, 205
E il bel Parrasio a replicar fra nui
Di Luigi e Costanza il nome apprese.
Ambo cari a te sono; e ad ambidui
Su l'amabil sembiante un feritore
Raggio imprimesti de' begli occhi tui; 300
Raggio che prese poi la via del core,
E di virtù congiunto all'aurea face,
Fé' nell'alme avvampar quella d'amore.
Vien dunque, amica diva. Il tempo edace,
Fatai nemico, colla man rugosa 305
Ti combatte, ti vince e ti disface.
275. La tela e 11 masso : La pittura e la scultura.
278. Le balze tiburtine-: I colli di Tivoli (TiOur, da cui l'agg. Tiburnus e
Tiburtinus).
E 11 monte, ecc. : Il monte Circe Ilo, che, come appare anche in Virgilio,
Aen., vii, 10, si sarebbe cosi detto dal nome della maga Circe che vi avrebbe
avuta dimora.
281. D'eterni fianchi: Dipende da moli. Monumenti che dureranno eterni
graveranno il suolo latino.
283. La notturna soena : Il teatro.
284. Di possente armonia : La musica che nel carme Le Nozze di Cadmo
e d'Ermione, 20, dirà : « quella Che di musiche note il cor ricrea ».
286. E questa selva : Il bosco Parrasio in Arcadia che imitava la selva
Ascra in Beozia.
287. Di Febeo ooncento : Di poesie inneggianti alle fauste nozze.
304. Edaoe: Che consuma, distrugge.
48 PARTE II.
Egli il color del giglio e della rosa
Toglie alle gote più ridenti, e stende
Da per tutto la falce ruinosa.
Ma, se teco Virtù s'arma e discende 3 lo
Nel cuor dell'uomo ad abitar sicura,
Passa il voglio rapace e non t'offende.
solo, allorché fia che di natura
Ei franga la catena, e urtate e rotte
Dell'universo cadano le mura, 313
E spalancando le voraci grotte
L'assorba il nulla e tutto lo sommerga
Nel muto orror della seconda notte,
Al fracassato mondo allor le terga
Darai fuggendo; e su l'eterea sede, 320
Ove non ria che tempo ti disperga ,
Stabile fermerai l'eburneo piede.
300. La falce rtfinosa : Il tempo, sotto forma di un vecchio armato di falce,
combatte, vince, disfà la bellezza.
310. Ha se teoo, ecc. : Cosi, chiudendo con una specie di moralità, il carme,
il p. dice che se la Virtù si congiunge colla Bellezza, il tempo non l'offende.
Bene a ragione però osserva 16 Zumbini (p. 38) : « Se dicendo : « Ma se
teco t ecc. », intendeva di rivolger sempre le parole alla stessa BeUezza del-
l'Universo egli erra i che, congiunta o non congiunta a virtù, quella bel-
lezza si nei volti e si in tutte le altre forme particolari, é sempre soggetta
all'azione del tempo. Se poi, a difesa del poeta, si rispondesse che qui non
1 si tratta più della bellezza fisica, si bene della bellezza morale, ch'é la stessa
Virtù, allora peggio che peggio ; perché il p. seguitando , verrebbe a dire
che la sola bellezza morale, o Virtù che si voglia, non offesa mai dal tempo,
durerà nel mondo quanto il mondo slesso. Ma il vero è che il medesimo
poteva affermarsi della Bellezza fisica, della quale, nei due primi terzetti,
erasi detto che il tempo la combatte e la vince da per tutto : perocché an-
che la Bellezza disfatta nei gigli e nelle rose di un volto, si rifa sempre in
un nuovo volto, finché esista la specie umana ».
318. Seocnda notte : La prima fu quella del caos innanzi alla creazione.
322. Eburnee : Bianche come l'avorio (ebur), epiteto qui, mi pare, un po'
ozioso.
Al Principe Don Sigismondo Chigi
Questi sciolti furono composti nel 1783, pare, per una Carlotta Stewart,
allora educanda in un convento di Firenze, di cui si era ardentemente in-
vaghito il p. (come ha dimostrato L. A. Ferrai in un suo articolo nel
Gi07*n. stor. d. letter-. ital., v. pag. 370 e vili, pag. 250). Confidente di
questo amore fu la ini provvisatrice Fortunata Sulfher Fantastici di Livorno,
come si vede da molte lettere che a lei diresse il Monti. Il principe romano
don Sigismondo Chigi (1736-1703), a cui son diretti gli sciolti, fu intimo
amico del p., valente letterato e autore anche d'un poema che ebbe le lodi
di E. Q. Visconti. Anche il Chigi lo aveva confortato a quel matrimonio,
anzi per agevolargliene la via. gli aveva fatto un assegnamento di 60 scudi
Tanno. Per viva gratitudine il p. volle dedicare gli sciolti a quel principe.
Questo carme lirico-elegiaco é desunto in gran parte dal Werther di Voi
fango Goethe.
Dunque fu di natura ordine e fato,
Che di là donde il bene ne deriva
Del mal pur anco scaturir dovesse
La torbida sorgente? Oh saggio, oh solo
A me rimasto negli avversi casi 5
Consolator, che non torcesti mai
Dalle pene d'altrui lungi lo sguardo,
E scarso di parole e largo d'opre
Co* benefizi al mio dolor soccorri,
Gismondo; e qual di gioie e di martiri io
Portentosa mistura è il cuor dell'uomo !
Questa parte di me che sente e vede.
Questo di vita fuggitivo spirto
Che mi scalda le membra e le penetra,
Con quale ardor, con qual diletto un tempo 15
Scorrea pe' campi di natura, e tutte
A me d'intorno rabbellia le cose !
Or s'è cangiato in mio tiranno, in crudo
Carnefice, che il frale onde son cinto
Romper minaccia e le corporee forze, 20
Qual tarlo roditor, logora e strugge.
4. Sorgente : « Ed é pur vero che ciò che forma la felicità dell'uomo finisca
per diventare la fonte della sua miseria 1 » ( Werther. P. 1, lett. del 18 ago-
sto, trad. Ceroni).
19. Il frale : 11 corpo.
21. E strugge : « Quel fervido sentimento del cuore che animava di bel-
lezza la natura al mio sguardo, che mi faceva prorompere in tanto delirio
di gioia, che convertiva in eliso d'intorno a me l'universo, quel sentimento
si e fatto o£gi:nai il mio manigoldo, il demone che mi persegue dovunque
io sia » (Il)id.).
Munti. — Poesie. 4
50 PARTE II.
Giorni beati che in solingo asilo
Senza nube passai, chi vi disperse?
Ratti qual lampo, che la buia notte
Segna talor di momentaneo solco, 25
E su gli occhi le tenebre raddoppia
Al pellegrin che si sgomenta e guata,
Qual mio fallo v'estinse? e tanto amara
Or mi rende di voi la rimembranza.
Che pria sì dolce mi scendea sul core? 3c
Allorché il sole (io lo rammento spesso)
D'oriente sul balzo compariva
A risvegliar dal suo silenzio il mondo,
E agli oggetti rendea più vivi e freschi
I color che rapiti avea la sera; 35
Dall'umile mio letto anch'io sorgendo,
A salutarlo m'affrettava, e fiso
Tenea l'occhio a mirar come nascoso
Di là dal colle ancora ei fea da lunge
Degli alti gioghi biondeggiar le cime; 10
Poi, come lenta in giù scorrea la luce
II dorso imporporando e i fianchi alpestri,
E dilatata a me venia d'insontro
Che a' piedi l'attendea della montagna.
Dall'umido suo sen la terra allora 15
Su le penne dell'aure mattutine
Grata innalzava di profumi un nembo;
E altero di so stesso e sorridente
Su i benefìzi suoi l'aureo pianeta
Nel vapor che odoroso ergeasi in alto 50
Già rinfrescando le divino chiome,
E fra il concento degli augelli e il plauso
Delle create cose egli sublime
Per l'azzurro del ciel spingea le rote.
Allor sul fresco margine d'un rivo 55
M'adagiava tranquillo in su l'erbetta,
Che lunga e folta mi sorgea dintorno
E tutto quasi mi copriva: ed ora
Supino mi giacea, fosche mirando
27. Guata : Guarda con terrore. Dante, Inf. 1, 21 : « Si volge all'acqua
perigliosa e guata ».
49. L'aureo pianeta : Il sole, i cui raggi d'oro (le divine chiome) si rin-
frescano nel vapore odoroso.
54. Le rote : le rote del suo carro.
59. Pender la selva : Una selva pende quando sta a pendio sopra un monte;
cosi U Foscolo nella trad. dall'Iliade, 11, 971 : « Ormenio vede Pender negra
-dal Pelio la foresta » e nell'Inno I alle Grazie, 135 : « sull'onda Pendea ne-
gra una selva ».
AL PRINCIPE DON SIGISMONDO CHIGI. 51
Pender le selve dall'opposta balza, co
E fumar le colline, e tutta in faccia
Di sparsi armenti biancheggiar la rupe;
Or rivolto col fianco al ruscelletto,
10 mi fermava a riguardar le nubi
Che tremolando si vedean riflesse C5
Nel puro trapassar specchio dell'onda:
Poi, del gentil spettacolo già sazio,
Tra i cespi, che mi fean corona e letto,
Si fissava il mio sguardo, e attento e cheto
11 picciol mondo a contemplar poneami 73
Che tra gli steli brulica dell'erbe,
E il vago e vario degli insetti ammanto
E l'indole diversa e la natura.
Altri a torma e fuggenti in lunga fila
Vengono e van per via carchi di preda; 73
Altri sta solitario, altri l'amico
In suo cammino arresta, e con lui sembra
Gran cose conferir; questi d'un fiore
L'ambrosia sugge e la rugiada, e quello
Al suo rivai ne disputa l'impero; so
E venir tosto a lite, ed azzuffarsi,
E avviticchiati insieme ambo repente
Giù dalla foglia sdrucciolar li vedi.
Né valor manca in quegli angusti petti,
Previdenza, consiglio, odio ed amore, C5
Quindi alcuni tra lor miti e pietosi
Prestansi aita ne' bisogni ; assai
Migliori in ciò dell'uom, che al suo fratello
Fin nella stessa povertà fa guerra:
Ed altri poscia, da vorace istinto oo
Alla strage chiamati ed agl'inganni,
Della morte d'altrui vivono; e sempre
Del più gagliardo, come avvien tra noi,
del più scaltro la ragion prevale.
Questi gli oggetti e questi erano un tempo 05
Gli eloquenti maestri che di pura
Filosofia m'empian la mente e il petto;
Mentre soave mi sentia sul volto
Spirar del nume onnipossente il soffio,
73. E la natura : Cfr. col Werther, P. i, lettera del 18 agosto.
75. Carchi di preda : Come le api in Virgilio, Aen. i, 430, che si danno at-
torno e tutta ferve l'opjra loro.
04. « Inutile avvertire la spontaneità e insieme finezza di questi versi :
un senso cosi vivo della natura si trova di rado anche in grandi poeti »
(Bertoldi).
99. Il soffio : Lo spirar della vita universa.
52 PARTE II.
Quel soffio che le viscere serpendo 100
Dell'ampia terra, e ventilando il chiuso
Elementar foco di vita, e tutta
La materia agitando e le seguaci
Forme che inerti le giaceano in grembo,
L'une contro dell'altre in bel conflitto 105
Arma le forze di natura, e tragge
Da tanta guerra l'armonia del mondo.
Scorreami quindi per le calde vene
Un torrente di gioia; e discendea
Questo vasto universo entro mia mente, 110
Or come grave sasso che nel mezzo
Piomba d'un lago, e l'agita e sconvolge
E lo fa tutto ribollir dal fondo;
Or come immago di leggiadra amante,
Che di grato tumulto i sensi ingombra 113
E serena sul cor brilla e riposa.
Ma più quell'io non son. Oangiaro i tempi,
Cangiar le cose. Della gioia estremo
Regnò sull'alma il sentimento: estremi
Or vi regnano ancora i miei martiri. 120
E come stenderò su le ferite
L'ardita mano, a toglieronne il velo?
Una fulgida chioma al vento sparsa,
Un dolce sguardo ed un più dolce accento,
Un sorriso, un sospir dunque poterò 123
Non preveduto suscitarmi in seno
Tanto incendio d'affetti e tanta guerra 1
E non son questi i lior, queste le valli,
Che già parver sì belle agli occhi mici ì
Chi di fosco le tinse ? e chi sul ciglio ico
Mi calò questa benda ? Ohimè ! l'orrore
Che sgorga di mia mente e il cor m'allaga,
Di natura si sparse anche sul volto
E l'abbuiò. Me misero ! non veggo
Che lugubri deserti ; altro non odo iC3
Che urlar torrenti e mugolar tempeste.
101. E ventilando: Animando col suo spiro ventilando è qui in senso at-
tivo) i germi vitali che là terra contiene e che ne formano gli elementi.
103. Segnaci : Glie ne derivano.
117. Ma più quell'io non son : È traduzione di un distico della prima delle
Elegie di Massimiano un tempo attribuite a Cornelio Gallo: « Non sum
qui fueram, per Ut pars maxima nostri ».
118. Estremo: Al massimo grado.
123. Al vento sparsa : Virgilio, Aen. 1, 323 : « dederatque comas diffondere
ventis », da cui il Petrarca, P. i, son. 61 : « Erano i capei d'oro a Paur.i
sparsi », e nelle sue Pastorali aveva detto : « Dulcia siderea? iactabant or;i
favillas Ardentesque comas humeris disperserat aura ».
135. Lugubri deserti: Cosi la bellezza della natura a primavera appariva
AL PRINCIPE DON SIGISMONDO CHIGI. 53
Dovunque il passo e la pupilla movo,
Escono d'ogni parte ombre e paure,
E muta stammi e scolorita innanzi
Qual deforme cadavere la terra. ho
Tutto è spento per me. Sol vive eterno
Il mio dolor, nò mi riman conforto
Che alzar le luci al cielo e sciormi in piatito.
Ah che mai vagheggiarti non dovea,
Fatai beltade! Senza te venuto 145
Questo non fora orribil cangiamento.
Girar tranquillo sul mio capo avrei
Visto i pianeti e più tranquilla ancora
La mia polve tornar donde fu tolta.
Ma in que* vergini labbri, in que' begli occhi 150
Aver quest'occhi inebriati e dolce
Sentirmi ancor nell'anima rapita
Scorrere il suono delle tue parole;
Amar te sola, e riamato amante
Non essere felice; e veder quindi ir,5
Contra me, contra te, contra le voci
Di natura e del ciel sorger crudeli
Gli uomini, i pregiudizi e la fortuna;
Perder la speme di donarti un giorno
Nome più sacro che d'amante, e caro 1 n
Peso vederti dal mio collo pendere,
E d'un bacio pregarmi e d'un sorriso
Con angelico vezzo; abbandonarti . . .
Obbliarti, e per sempre... Ah lungi, lungi,
Feroce idea; tu mi spaventi, e cangi ics
Tutta in furor la tenerezza mia.
Allor requie non trovo. Io m'alzo e corro
Forsennato pe' campi, e di lamenti
Le caverne riempio, che dintorno
Risponder sento con pietade. Allora no
Per dirupi m'è dolce inerpicarmi,
E a traverso di folte irte boscaglie
Aprir la via col petto, e dei mio sangue
Lasciarmi dietro rosseggianti i dumi.
triste all'animo del Petrarca, P. ii, son. 42 : « E cantare augelletti e fiorir
piagge, E 'n belle donne oneste atti soavi, Sono un deserto, e fere aspre e
selvagge ».
149. Donde fu tolta : Alla terra.
171. Per dirupi m'è dolce : Anche Saffo nell'Ultimo canto di Saffo del Leo-
pardi non trova un ristoro ai mali che ne' disperati affetti: « Noi l'insuoto
allor gaudio ravviva Quando per l'etra liquido si volve E per li campi tre-
pidanti il flutto Polveroso de' Noti . . ., Noi per le balze e le profonde valli
Natar giova tra* nembi ... ».
54 PARTE IL
La rabbia, che per entro mi divora, 175
Di fuor trabocca. Infiammatisi le membra,
L'anelito s'addoppia, e piove a rivi
Il sudor dalla fronte rabbuffata.
Più scabrezza al sentier, più forza al piede,
Più ristoro al mio cor; finché smarrito iso
Di balza in balza valicando, all'orlo
D'un abisso mi spingo. A riguardarlo
Si rizzano le chiome, e il piò s'arretra.
A poco a poco quel terror poi cede.
E un pensiero sottentra ed un desio, is5
Disperato desio. Ritto su i piedi
Stommi, ed allargo le tremanti braccia
Inclinandomi verso la vorago.
L'occhio guarda laggiuso, e il cor respira;
E immaginando nel piacer mi perdo 100
Di gittarmi là dentro, onde a' miei mali
Por termine, e nei vortici travolto
Romoreggiar del profondo torrente.
Codardo ! ancora non osai dall'alto
Staccar l'incerto piede, e coraggioso 193
In giù col capo rovesciarmi. Ancora
Al suo fin non è giunta la mia polve,
E un altro istante mi condanna il fato
Di questo sole a contemplar l'aspetto.
Oh ! perchè non poss'io la mia deporre 200
D'uom tutta dignitade, e andar confuso
Col turbine che passa, e su le penne
Correr del vento a lacerar le nubi,
su i campi a destar dell'ampio mare
Gli addormentati nembi e le procelle ! 203
Prigioniero mortai ! dunque non fia
Questo diletto un dì, questo destino
170. Più soabrezza : Sott. procuro : cioè sento più scabro il terreno, piò
forte il piede, ma più calmo il cuore.
182. D'un abisso mi spingo: « E l'affanno ha sosta. M'alzo e corro per la
campagna, m'arrampico su ner la costa ripida del monte, sento una pazza
gioia d'andar frugando pel bosco e aprirmi a forza di braccia un sentiero,
attraverso gl'intrecci' delle fratte e de' cespugli, in mezzo alle spine delle
siepi, che mi dilaniano tutte quante le carni ! E sto un po' meglio ! E al-
lora la stanchezza e la sete mi prostrano per via , la notte mi sorprende
nella solitaria foresta . . . » ( Werther, P. 1, lettera del 30 agosto).
103. Romoreggiar : Nota V armonia imitativa prodotta dall'accento sulla
Ottima.
196. Gol oapo rovesciarmi : Cfr. Werther, P. in, lettera del 12 decembro.
200. Deporre : Abbandonare il corpo, ridurmi puro spirito.
205. E le procelle : « Oh ! quante volte, in quei felici giorni, io m'augurava
di poter volare sulle penne della grue , che mi trascorreva sul capo lino
alle spiagge dei mari interminati » ( Werther, ib.).
AL PRINCIPE DON SIGISMONDO CHIGI. 55
Parte di nostra eredità? Qualunque
Mi serbi il ciel. condizion di spirto,
Perchè, Gismondo, prolungar cotanto 210
Questo lampo di luce ? Un sol potea,
Un sol oggetto lusingarmi: il cielo
Al mio desire invidiollo, e l'odio
Mi lasciò della vita e di me stesso.
Tu di Sofìa cultor felice, e speglio 215
Di candor, d'amistade e cortesia,
Tu per me vivi, e su l'acerbo caso
Una stilla talor spargi di pianto,
generoso degli afflitti amico.
Allorché d'un bel giorno in su la sera 220
L'erta del monte ascenderai soletto,
Di me ti risovvenga, e su quel sasso,
Che lagrimando del mio nome incisi,
Su quel sasso fedel siedi e sospira.
Volgi il guardo di là verso la valle, 225
E ti ferma a veder come da lunge
Su la mia tomba invia l'ultimo raggio
Il sol pietoso e dolcemente il vento
Fa l'erba tremolar che la ricopre.
211. Questo lampo di laoe?: Questa vita che é breve come il guizzar d'un
lampo 1
213. Invidlollo : È qui nel senso che ha talvolta in latino e che é frequente
nella nostra poesia. Cfr. Dante, Inf. xxvi, 23; Tasso, Oer. Lib. vii, 15 e
Foscolo, Sepolcri, 24 : « Invidiera 1* illusion che spento », che r usò anche
in prosa. Chioma di Berenice, Disc, iv « Ma se i secoli gotici non ci aves-
sero invidiate le poesie di Alceo ......
215. DI Sofia : Della filosofia : il Chigi aveva composto un poema filosofico
L'economia naturale e politica. — Speglio : Specchio, modello.
229. Bella e dolente chiusa d' un carme elegiaco che spira tutto soave
mestizia.
i d'Amore
Pensiero d'Amore (viii).
Lo tolgo da un gruppetto di Pensieri d'amore che si riferiscono , pare,
al tempo In cui il p. ardeva d'amore per la Stewart.
Alta è la notte, ed in profonda calma
Dorme il mondo sepolto, e in un con esso
Par la procella del mio cor sopita.
Io balzo fuori delle piume, e guardo;
E traverso alle nubi, che del vento 5
Squarcia e sospinge l'iracondo soffio,
Veggo del ciel per gì' interrotti campi
Qua e là deserte scintillar le stelle.
Oh vaghe stelle ! e voi cadrete adunque,
E verrà tempo che da voi l'Eterno 10
Ritiri il guardo e tanti Soli estingua?
E tu pur anco coli' infranto carro
Rovesciato cadrai, tardo Boote;
Tu degli Artici lumi il più gentile?
Deh! perchè mai la fronte or mi discopri, 15
E la beata notte mi rimembri,
Che al casto fianco dell'amica assiso
A' suoi begli occhi t'insegnai col dito 1
Al chiaror di tue rote ella ridenti 20
Volgea le luci; ed io per gioia intanto
0. E voi oadrete, ecc. : Gfr. colla bella invocazione alla luna con cui in-
comincia U poema di Thufa di Ossian, dove sono anche dei versi as-
sai simili, come questi : « Ma verrà notte ancor , che tu , tu stessa Cadrai
per sempre, e lascerai nel cielo II tuo azzurro sentier » (trad. del Cesa-
rotti).
13. Tardo Boote : L'Orsa maggiore che gli antichi classici chiamano lenta,
pigra (p. es. Ariosto, Ori. Pur. xxx. 20 « Pigro Arturo »), perché essendo
questa costellazione prossima ai polo fa u suo giro con maggiore lentezza.
Anche Dante dice : « Ivi le stelle son più tarde, Siccome ruota più presso
allo stelo ».
19. T'insegnai, ecc. : « Tutto è silenzio intorno a me, e la mia anima è
tranquilla ... Io mi affaccio alla finestra e scerno ancora alcune rade stelle
per mezzo delle nuvole tempestose che si accavallano e fuggono pei cieli.
No, voi non cadrete, o stelle ! l'eterno veglia su di voi. Veggo la costella-
zione dell'Orsa, che mi é la pftì cara degli astri. Quand'io mi partiva la
notte da te. io la vedeva sempre accennarmi dall'alto. Con quale ebbrezza
non l'ho salutata sovente ed alzato le mani verso di lei, come a testimonio
sacro della mia felicità ! » ( Werther, P. ni, framm. di lettera scritta dopo
le undici). Cfr. Leopardi, Le ricordanze, ove forse il p. in qualche parte
f 'inspira al Monti e al Goethe.
PENSIERI D v AMOUR. 57
A' suoi ginocchi mi tenea prostrato,
Pi ù vago oggetto a contemplar rivolto,
Che d'un tenero cor meglio i sospiri,
Meglio i trasporti meritar sapea.
Oh rimembranze ! oh dolci istanti ! io dunque, 83
Dunque io per sempre v'ho perduti, e vivo?
E questa è calma di pensier? son questi
Gli addormentati afletti ? Ahi, mi deluse
Della notte il silenzio, e della muta
Mesta Natura il tenebroso aspetto ! 33
Già di nuovo a suonar l'aura comincia
Dei miei sospiri, ed in più larga vena
Già mi ritorna su le ciglia il pianto.
ALLA MARCHESA
Anna Malaspina della Bastia
DBDIOATORIA DBLL'AMINTA DI T. TASSO
A NOMB DHL TIP. PABM8NSB Q. B. BODONI.
La marchesa Marianna Malaspina, de* signori di Mulazzo , aveva avuto
dal marchese Scipione della Bastia, che aveva sposato nel 1717, cinque figlie,
una delle quali, Giuseppina Amalia, nel 1788 andò sposa al conte Artaserse
di Leonardo Baiardi di Parma. A celebrare queste nozze il celebre tipografo
G. B. Bodoni (1740-1813) diede in luce Tanno seguente a Roma una stupenda
edizione dell' Amfttta del Tasso curata dall'abate Serassi, e invitò il Munti a.
scrivere, a nome dell'editore, un'epistola per dedicare quella edizione alla
marchesa Anna.
I bei carmi divini onde i sospiri
In tanto grido si levar d'Aminta,
Sì che parve minor della zampogna
L'epica tromba, e al paragon geloso
Dei primi onori dubitò Goffredo, 5
Non è, donna immortai, senza consiglio
Che al tuo nome li sacro, e della tua
Per senno e per beltade inclita figlia
L'orecchio e il core a lusingar li reco,
Or che di prode giovinetto in braccio io
Amor la guida. Amor più che le Muse
A Torquato dettò questo gentile
Ascreo lavoro ; e infìno allor più dolce
2. In tanto grido: L* Aminta, dramma pastorale di T. Tasso, che aveva
visto la luce nel 1581, levò molto grido di sé, tanto che infinite ne furono
le imitazioni e le traduzioni in più lingue. Prima di questa, bodoniana ne
erano state fatte circa ottanta ristimpe. Designa il dramma colla perifrasi
« I sospiri di Aminta » dal nome del protagonista che sospirò d'amore per
la bella Silvia.
3. Zampogna : La zampogna é simbolo della poesia pastorale : la Oerusa
lemme parve inferiore all'Ambita.
6. Senza consiglio : Non senza ragione (litote). Virgilio, Aen. u, 177: « Non
haec sine numine eveniunt », Orazio, Od. Ili, iv , 20 : « Non sine dia », e
Petrarca P. ih, canz. n, 18 : « Manon senza destino aUe tue braccia », e
Leopardi, Ad Angelo Mai, 16 : « Certo senza de* numi alto consiglio » , e
Dante, Purg. vii, 48 : « E non senza diletto ti flen note ».
8. Inclita figlia: Giuseppina Amalia.
13. Ascreo lavoro : Cosi chiama questa sua epistola poetica. Ascra alle
falde dell'Elicona in Beozia, ove nacque Esiodo, ora sacra aUe Muse. Si
prende per la poesia, come in questo v. del Foscolo, Le Grazie, inno il, 31 ;
♦• , , . e voi che a prezzo Ascra attingete »,
ALLA MARCH. ANNA MALASP1NA DELLA BASTIA. 59
Linguaggio non avea posto quel dio
Su mortai labbro, benché assai di Grecia 15
Erudito l'avessero i maestri
E quel di Siracusa e l'infelice
Esul di Ponto. Or qual v'ha cosa in pregio
Che ai misteri d'Amor più si convegna
D'amoroso volume? E qual può dono 20
Al genio Malaspino esser più grato
Che il canto d'Elicona? Al suo favore
Più che all'ombre cirrèe crebber mai sempre
Famose e verdi l'apollinee frondi,
« Onor d'imperatori e di poeti. » 25
Del gran padre Alighier ti riso v venga.
Quando, ramingo dalla patria e caldo
D'ira e di bile ghibellina il petto,
Per l'itale vagò guaste contrade
Fuggendo il vincitor guelfo crudele, 30
Simile ad uom t che va di porta in porta
Accattando la vita. Il fato avverso
Stette contra il gran vate, e contra il fato
Morello Malaspina. Egli all'illustre
Esul fu scudo: liberal l'accolse 83
L'amistà sulle soglie; e il venerando
Ghibellino parea Giove nascoso
Nella casa di Pelope. Venute
Le fanciulle di Pindo eran con esso,
14. etnei Dio : Amore.
17. ftuel di Siracusa : Teocrito, U più grande dei bucolici greci.
18. Esul di Ponto: Ovidio Nasone (43 av. C. — 17 d. C), relegato a Tomi
sul mar Nero (il ponto Bussino).
23. Cirrèe : All'ombra dei laureti di Cirra nella Focide presso il Parnaso,
luogo sacro ad Apollo.
25. Onor, ecc. : È un v. del Petrarca, P. i^ son. 205.
28. Di bile ghibellina: Anche il Foscolo, nei Sepolcri, ricorda Tira del
« ghibellin fuggiasco ». È ormai certo, per i più recenti studi, che Dante non
fu mai un ghibellino, ma un guelfo di parte bianca. Si uni coi ghibellini
solo temporaneamente dal 1302 al 1304 al tempo delle guerre mugellane ;
ma ben presto se ne distaccò.
32. Accattando la vita : « Per le parti quasi tu te alle quali questa lingua
si stende^ peregrino, quasi mendicando, sono andato, mostrando, contro a
mia voglia, la piaga della fortuna . . . Veramente io sono stato legno senza
vela e senza governo» (Dante, Convivio, i, 3). Si ricordino anche i notissimi
versi del Par., xvn, 58 : « Tu proverai si come sa di sale Lo pane altrui, e
com'è duro calle Lo scendere e *1 salir per l'altrui scale ».
34. Morello Malaspina : Dante esule fu ospi'e ed anche ambasciatore di
Franceschino Malaspina, non di Moreno o Moroello, come ha dimostra o
L. Staffetti, Cod. diplom. dant.^ disp. vii e vm. Per la forma, cfr. Nel
Congresso di Udine, 30 : « Empio sovrasta il fato ... Ma contra il fato é
Bonaparte ; e basta ».
38. Nella casa di Pelope : Giove fu ospite una volta di Pelope , figlio di
Tantalo, re di Lidia.
39. Le fanciulle di Pindo : Sul Pindo abita van le Muse. Cfr. Manzoni, In
morte di C. Imbonati: « Solo d'Ascra venian le fide ancelle, Esulando
con esso »,
60 PARTE li.
L'itala poesia bambina ancora 40
Seco traendo, che gigante e diva
Si fé' di tanto precettore al fianco;
Poiché un nume gli avea tra le tempeste
Fatto quest'ozio. Risonò il castello
Dei cantici divini, e il nome ancora • 4i
Del sublime cantor serba la torre.
Fama è ch'ivi talor melodioso
Errar s'oda uno spirto ed empia tutto
Di riverenza e d'orror sacro il loco.
Del vate è quella la magnanim'ombra, 50
Che t l'atta dal desio del nido antico
Viene i silenzi a visitarne; e grata
Dell'ospite pietoso alla memoria,
De' nipoti nel cor dolce e segreto
L'amor tramanda delle sante Muse. 53
E per Cornante già tutto Tavea,
Eccelsa donna, in te trasfuso : # ed egli,
Lieto all'ombra de' tuoi possenti auspici,
Trattando la maggior lira di Tebe,
Emulò quella di Venosa, e fece co
Parer men dolci i savonesi accenti;
Padre incorrotto di corrotti figli,
Che prodighi d'ampolle e di parole
Tutto contaminar d'Apollo il regno.
Erano d'ogni cor tormento allora cs
Della vezzosa Malaspina i neri
Occhi lucenti; e corse grido in Pindo
Che a lei tu stesso, Amor, cede ti un giorno
Le tue saette, ne s'accorse l'arco
44. Fatto quest'ozio : È il virgiliano. 1, 6 : « deus nobis haec otia fecit ».
46. La torre : Una torre nel castello di Mulazzo si chiama ancora la
torre di Dante.
55. L'amor . . . delle sante Muse : La marchesa Anna Malaspina era in-
scritta all'Arcadia in Roma, col nome di Fiorilla Deianeia e scrisse anche
dei versi.
56. Cornante: Cornante Eginetico, si disse in Arcadia l'ab. Carlo Inno-
cenzo Frugoni di Genova (16'.>2-1768j. Il Frugoni" Calabro nei suoi versi la
Malaspina, e volle che fosse inscritta in Arcadia quella gentildonna che era
il fiore delle dame della corte borbonica di Parma al tempo del duca Fi-
lippo e per breve tempo anch.3 di Ferdinando.
59. La maggior lira di Tebe : Imitando Pindaro, il grande poeta Urico, nato
presso Tebe a Cinocefale (522-442 av. C).
60. DI Venosa : Di Orazio, nato a Venosa nell'Apulia.
61. I savonesi accenti : Più dolcemente cantò che il poeta di Savona, Ga-
briello Chiabrera (1552-1637).
62. Padre incorrotto : Tanta lode non meritava invero il Frugoni, che in-
corrotto non fu. Il M ne ebbe sempre grande stima, come si può vedere
dal suo giovanile Saggio di poesie, Livorno , 1779 , ove lo chiama « poeta
entusiasta, gigantesco, sorprendente » (p. xviii).
63. Ampolle : Ricorda il v. 96 dell'Ari, poet. d 'Orazio : « Proicit ampullas
et sesquipedalia verba ».
ALLA MARCH. ANNA MALA&PINA DELLA BASTIA. dì
Del già mutato arciero: e se il destino io
Non s'opponea, nel tuo cor s'apria
Da mortai mano la seconda piaga.
Tutte allor di Mnemosine le figlie
Fur viste abbandonar Parnaso e Cirra
E calar su la Parma; e le seguia 75
Palla .Minerva, con dolor fuggendo
Le Cecropie ruine. E qui, siccome
Di Giove era il voler, composto ai sauti
Suoi studi il seggio, e degli spenti altari
Ridestate le fiamme, d'Academo so
Fé' riviver le selve, e di sublimi
Ragionamenti risonar le vòlte
D'un altro Peripato, che di gravi
Salde dottrine, dagli eterni fonti
Scaturite del ver, vincea l'antico. cs
Perocché, duce ed auspice Fernando,
D'un Pericle novel l'opra e il consiglio,
E la beliate, l'eloquenza, il senno
D'un' Aspasia miglior, scienze ed arti,
Che le città fan belle e chiari i regni, co
Suscitando, allegrar Febo e Sofia.
Tu fulgid'astro dell'ausonio cielo,
Pieno d'alto saver, splendesti allora,
Dotto Paciaudi mio; nome che dolce
72. La aeoonda plaga: Amore ebbe la prima piaga da mano mortale, da
Psiche.
73. Mnemosine : Questa dea ebbe da Giove nove figlie che si dissero le
Muse (cfr. Musogonia, 27 e sgg.).
75. La Parma : È il fiume che passa per la città omonima e noi quale le
Muse cambiarono i luoghi ove più spesso dimoravano, il Parnaso e Cirra.
77. Le Ceeropie mine : Le rovine d Atene, cosi dette da Cecrope, il fonda-
tore di -quella città.
78. Di Giove, ecc. : Cosi spesso si esprime Omero, ad es. nell'Iliade, i, 6
(trad. M.), e ne\Y Odissea, vili, 105 (trad. Pindem.).
80. D'Academo : Negli orti d'Academo, sul Censo presso Atene insegnava
Platone (429 circa — 346 av. C), onde poi Academia fu detta la scuola di
Platone.
83. D'un altro Peripato : Peripato fu detto il luogo ove insegnò Aristotile
(384-328 av. C.) nel Liceo d'Atene dall'abitudine che questo illuso fo aveva
di disputare passeggiando {tzi^tzclt(^). Nuovo Peripato chiama l'università
parmense.
86. Fernando : Ferdinando di Borbone, duca di Parma (1751-1802).
87. D'un Pericle novel: Del celebre ministro riformatore Guglielmo Du-
Tillot (1711-1774). « Tamo per opera di Du-Tillot si dirozzarono ì costumi in
auella bella parte d'Italia, e tanto vi prosperarono le buone arti che il regno
i don Filippo ebbe fama del secol d'oro di Parma. Certo città né più eulta,
né più dotta di Parma non era a quei tempi né in Italia , né forse anche
altrove » (Botta, v, lib. i).
89. Aspasia miglior : La marchesa Malaspina, che fu amicissima del Du-
Tillot, il novello Periate.
91. Febo e Sofia : La poesia e la scienza.
94. Paciaudi : Paolo Maria Paciaudi, torinese (1710-1785), amico del Bodoni,
fu uomo di grande erudizione e bibliotecario delia ducal biblioteca ai
Parma. Era già morto da un anno quando il p. scriveva questi versi.
C2 PARTA I\
Nell'anima mi suona, e sempre acerba, 05
Così piacque agli dei, sempre onorata
Rimembranza sarammi. Ombra diletta
Che sei sovente di mie notti il sogno,
E pietosa a posarti in su la sponda
Vieni del letto ov'io sospiro, e vedi 100
Di che lagrime amare io pianga ancora
La tua partita; se laggiù ne 1 campi
Del pacifico Eliso, ove tranquillo
Godi il piacer della seconda vita,
Se colà giunge il mio pregar, nò troppo 105
S'alza s*u l'ali il buon desio, Torquato
Per me saluta, e digli il lungo amore
Con che fcuIsì per lui questa novella
Di tipi leggiadria; digli in che scelte
Forme più care al cu pid' occhio offerti no
I lai del suo pastor fan dolce invito;
Digli il bel nome che gli adorna, e cresce
Alle carte splendor. Certo di gioia
A quel divino rideran le luci,
Ed Anna Malaspina andrà per l'ombre 115
Ripetendo d'Eliso, e fia che dica:
— Perchè non l'ebbe il secol mio! memoria
Non sonerebbe sì dolente al mondo
Di mie tante sventure. E, se domato
Non avessi il livor (che tal nemico 120
Mai non si doma, né Maron lo vinse
Né il Meonio cantor), n n tutti almeno
Chiusi a pietade avrei trovato i petti.
Stata ella fora tutelar mio nume
La parmense eroina; e di mia vita, 125
Ch'ebbe dall'opre del felice ingegno
Sì lieta aurora e splendido meriggio,
Non forse avrebbe la crudel fortuna
Né amor tiranno in negre ombre ravvolto
L'inonorato e torbido tramonto. 130
95. Sempre acerba: Gir. Virgilio, Ain. v, 49: « quam semper acerbum
Seinper lionorntum (sic Dì voluistis) habebo ».
109. Di tipi leggiadria : La splendida edizione bodoniana dell'Ambita.
111. I lai, ecc. : I lamenti di Aminta.
112. Il bel nome: Quello d'Anna Malaspina.
120. Il livor : L'invidia de' nemici del Tasso che tanto maltrattarono ìa
GerusaU mme liberata.
122. Il Meonio cantor: Omero, cosi detto da Meone, suo favoloso padre.
Omero Aristarco, Virgilio ebbe nemici Numitorio, Mevio ed altri.
120. Amor tiranno : Allude all'amore, og«ri provato interamente leggenda-
rio, del Tasso per Eleonora d'Este, sorella del duca di Ferrara.
130. Tramonto : La lieta aurora fu segnata da' primi studi e dal Rinaldo,
fi meriaqio dall' Aniinta edalla Gerusalemme, il tramonto dalie sventure
degli ultimi anni, dalla Gonrntistata e dalla poco fortunata tragedia.
Il Pericolo
IN OCCASIONE DBLLB TURBOLENZE PAMOINK
D'AVANTI IL 18 FRUTTIDORO ANNO V
Il Monti in una lettera al Ministro dell'Interno del 4 luglio 1811 {Lett.
ined. e sparse, Bert. e Mazz. n, p. 51) chiama il Pericolo « poemetto con-
sacrato presso che tutto alla gloria del grande Napoleone, comandante su
premo a quell'epoca delle armi francesi ». Il carme fu composto il 18 frut-
tidoro dell'anno quinto della repubblica (4 settembre 171)7) in occasione dei
gravi fatti che accompagnarono le turbolenze parigine di quel giorno, per
cui il Direttorio soffocò una congiura che si era ordita contro la Repub-
blica, carcerando ed esiliandone ì capi.
Stendi, fido amor mio, sposa diletta,
A quell'arpa la man, che la soave
Dolce fatica di tue dita aspetta:
Svegliami l'armonia ch'entro le cave
Làtèbre alberga del sonoro legno, 5
E de' forti pensi er volgi la chiave:
Ch'io le vene tremar sento e l'ingegno,
Ed agitarsi all'appressar del dio
Sui crin l'alloro e di furor dar segno.
Ove, Febo, mi traggi? ove son io? io
Non è questa la Senna e la famosa
Riva che tanto di veder desìo?
Salve, o fiume che Tonda gloriosa
Dell'Ilisso vincesti e dell' Eurota
E fai quella del Tebro andar pensosa ! 15
Qual t'è maniera di bell'opra ignota?
1. Sposa diletta : la Musa.
5. Del sonoro legno : Della lira.
6 Volgi la chiave : Quest'immagine é già in Dante, Inf. xin, 58, ove Pier
dello Vigne dice d'aver tenuto: « ambo le chiavi Del cor di Federico », e
frequente è nel Petrarca, canz. Gentil mia donna, st. 2, 15: « Quel core
onci hanno i begli occhi la chiave », e canz. n, st. 7,7: « Dolce del mio
cuor chiave ». e meglio ancora nella canzone 111, st. 3, 2 sgg. : « Que' be^li
occhi soavi che portaron le chiavi De' miei dolci pensier, mentr'a Dio
piacque ». .
7. Le vene tremar : È il dantesco : « Ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi »
(Inf. i, 88).
9. Furor ; Estro poetico.
10. Ove Febo, ecc. : Orazio, Od. Ili, in, 70: « Quo, Musa, tendisi », e il
Parini, La gratitudine 301 : « Dove, o cetra % Non più ».
14. Ilisso . . . Eurota: L 1 II isso é il fiume su cui è Atene ; sulT Eurota è
S parta.
15. Andar pensosa : Cosi il Petrarca nella canz. a Giacomo Colonna: « Fa
tremar Babilonia e star pensosa ».
C4 !>ARTE IL
Qual fonte ascoso di saper ? qual'arte ?
E chi, dovunque il sol volge la rota,
Chi meglio parla al cor, verga le carte?
Qual più bella ed al ciel terra gradita 20
Della terra che in grembo ha Bonaparte ì
Oh più che d'arnie, di valor vestita,
Gallica Libertà, a cui sola diede
La ragion di Sofia principio e vita!
Di te tremano i troni; ed al tuo piede 25
Palpitanti i tiranni pace pace
Gridan, giurando riverenza e fede:
Ma, se fede è sul labbro, il cor fallace
Sol di sangue ragiona e di vendetta
Che in re vili e superbi unqua non tace. 30
Oh cara, oh santa Libertà, che stretta
Di nodi ti rinfranchi, e vie più bella
Da' tuoi mali risorgi e più perfetta !
Alma d'invidia e di vii odio ancella,
Alma avara e crudel non ò tua figlia, 33
Nò cui febbre d'orgoglio il cor martella.
Libera è l'alma che gli affetti imbriglia,
Libero l'uom cui ragion corregge
E onor, giustizia, cortesia consiglia:
Liberi tutti, se dover ne regge 40
In pria che dritto e santità ne guida
Più di costumi che poter di legge.
Queste cose io volgea dentro la fida
Mente segreta, allor che voce acuta
In suon di doglia e di pietà mi grida: 43
Ahi che nel petto de' miei figli è muta
La virtù di che parli, pellegrino !
Disse; e in pianto la voce andò perduta.
Mi volsi; e in volto che apparia divino
Donna vidi seder, che della manca do
Fa letto jal capo dolorato e chino.
La destra in grembo dolcemente stanca
Cade e posa. Degli occhi io non favello,
Che son due rivi; e più piange, più manca
Del conforto la voglia. Al pie sgabello 55
Le fan rotti uu diadema. ed uno scetro,
37. Corregge.: Govorna.
50. Donna vidi seder : Bella prosopopea della Repubblica francese.
54. Che son due rivi : Ricorda in qualche parte la prosopopea che il Leo-
pardi nella famosa canzone fa dell' Italia che : « Siede in terra negle ta e
sconsolata Nascondendo la faccia Tra le ginocchia, e piange ».
56. Ed uno scettro : La Repubblica francese era sorta sulle rovine delia
monarchia borbonica.
IL PERICOLO. 65
E di Bruto l'insegna è il suo cappello.
Volea parlarle e dimandar; ma dietro
Tomba aprirsi m'intesi, e la figura
Mi sopravvenne d'un orrendo spetro. eo
Impietrommi le membra la paura;
E trema la memoria al rio pensiero,
Che vivo nella mente ancor mi dura.
Più che buio d'inferno ei fosco e fiero
Portava il ciglio, e livido l'aspetto 65
D'un cotal verde che moria nel nero.
Dalle occhiaie, dal naso e dall'infetto
Labbro la tabe uscia sanguigna e pesta,
Che tutto gli rigava il mento e il petto;
E scomposte le chiome in su la testa 70
D'irti vepri parean selva selvaggia,
Ch'aspro il vento rabbuffa e la tempesta.
Striscia di sangue il collo gli viaggia,
Che della scure accenna la percossa:
Il capo ne vacilla, e par che caggia. 75
Stracciato e sparso d'aurei gigli indossa
Manto regal, che il marcio corpo e guasto
Scopre al mover dell'anca e le scarne ossa,
E de' vermi rivela il fiero pasto,
Che nel putrido ventre cavernoso so
Brulicando per fame avean contrasto.
All'apparir che fece il tenebroso
Regal fantasma, la donna affannata
Il mesto sollevò ciglio pensoso;
E a lui che intorno avidamente guata su
Fra téma e sdegno: A che venisti, disse,
O fatai di Capeto ombra spietata?
57. Il suo cappello : fl berretto frìgio , simbolo della repubblica , di cui
Bruto fu sino alla morte strenuo difensore.
60. Orrendo spetro: È l'ombra terribile di Ugo Capeto, il capostipite dulia
dinastia borbonica. Si noti quanto il p. si compiacesse di apparizioni di
ombre, di paurose visioni.
62. Trema la memoria : Bello ed efficace l'uso di questo verbo, nor indicare
il tremito che il ricordo della paurosa visione produce in citi la racconta.
Cfr. Dante, Inf. in, 132 : « La mente di sudore ancor mi ba^na ».
06. Che moria, ecc. : Cosi Dante, Inf. xxv, 66 : « Che non e nero ancora
e '1 bianco more ».
67. Infetto : Maculato (lat.).
69. Gli rigava : Dante, Inf. in, 67 : « Elle rigavan lor di sangue il volto »,
e il Parini, Il dono, dO : « E squallido e di lento Sangue rigato il giovane ».
71. D'irti vepri: Di spinosi cespugli. — Selva selvaggia: Dantk, Inf. i,5:
« Questa selva selvaggia ed aspra e forte ».
73. Viaggia: Gira. Lo spettro di Capeto aveva la testa staccata dal busto.
76. Aurei gigli : I gigli che erano nello stemma della casa di Borbone.
7U. Il fiero pasto: Dante, Inf. xxxiii, 1 : « La bocca sollevò dal fiero
pasto ».
Monti. — Poesie. 5
»
GG TARTE II.
Non rispose il crudel; ma obliquo fìsso
Gli occhi no, ma degli occhi le caverne
In ella; ed ella in lui gli occhi rifisse. <*)
Così guatarsi entrambi ; e nell'interne
Del cor làtèbre ognun si penetrava,
Che il pensier per la vista ancor si scerne.
I/un d'ira e l'altra di terror tremava.
Superbamente alfin l'ombra si mosse, 95
E a cadenza le lunghe orme alternava.
Con feroce dispetto al piò chinosse
Di quella dolorosa; il calpestato
Scettro raccolse, ed alto in man lo scosse;
Poi l'infranto diadema insanguinato 100
Sui capo impose, e lo calcò sì forte,
Che il crin ne giacque oppresso e imprigionato.
Allor si féo gigante; e colle torte
Vuote lucerne disfidar parea
Europa e l'altre tre sorelle a morte. 105
Facea tre passij e al terzo si volgea
In sui calcagni eretto e sui vestigi;
E ad ogni passo di terror crescea.
È sacro a Libertà luogo in Parigi,
Ove pose la dea suo trono immoto " no
Quando sdegnosa ne balzò Luigi.
Ivi seduti e liberi in lor vóto
Stan cinquecento, che alle sante leggi
Per cinquecento fantasie dan moto.
tu che sulle carte il senno leggi n:s
Di quel consesso che in Atene il crime
Punia de' numi da' tremendi seggi,
la severa maestà sublime
Di quei coscritti che in muta terra
88. Obliquo fisse, ecc. : Di sotto in su, con sguardo bieco.
93. Per la vista: Per gli occhi. Cicerone, Leg. v: « Vultus indicat mo-
res », e il Parini, L'educazione, 143: « 11 marchio ond'é il cor scoìto
Lascia apparir nel volto ».
9i. L'un d'ira: Ugo Capeto tremava d'ira nel veder calpestato lo scettro
e infranta la corona della sua casa.
96. Nota Parili onia imitativa di questo verso, che con la sua lentezza bene
rappresenta il lento procedere dell ombra di Capeto.
101. Impose: Pose sopra (lat.).
103. Colle torte vuote lucerne : Colle torve incavate occhiaie.
105. E l'altre tre sorelle : Asia, Affrica e America.
111. Ne balzò Luigi : Luigi XVI fu detronizzato, poi decapitato il 21 gen-
naio 1793.
113. Stan cinquecento : I cinquecento rappresentanti del popolo nelP Assem-
blea nazionale.
116. Di quel consesso : Dell'Areopago, supremo e venerando tribunale di
Atene.
119. Di quei coscritti: Dei patres conscripti , i senatori di Roma. Si al-
lude al Senato che dai sette colli di Roma {le sette cime) reggeva l'ampio
impero romano.
IL PERICOLO. 67
Reggean col cenno dalle sette cime; 120
Di questi, ond'io ti parlo, la mente afferra
I magnanimi sensi e la grandezza,
Ma non Tira, il furor, l'odio, la guerra.
Qual delTEuripo è il flutto che si spezza.
Contro gli scogli della rauca Eubòa, 125
Tal di questi il fracasso e la fierezza:
Nò diversa era Tonda c'i'anèa,
O quella che soffrì di Serse il ponte
Quando al cozzo d'Europa Asia correa.
Improvviso, e sembiante ad arduo monte, 130
Qui comparve lo spettro maledetto:
Tremar gli scanni, e i crin rizzarsi in fronte.
Stette in mezzo, girò torvo l'aspetto,
E stendendo la man spolpata e lunga
Con lo scettro toccò questo e quel petto. 135
Come è scosso colui che il dito allunga
Al leidense vetro che fiammeggia
E par che snodi i nervi e li trapunga,
Così del crudo ai colpi arde e vampeggia 110
Ogni seno percosso, e amor, disio
Dell'estinto tiranno i cuor dardeggia.
E subito un tumulto, un mormorio,
E d'accenti un conflitto e di pensieri 113
Da quelle bocche fulminanti uscio;
E parole di morte onde que' feri
Yan susurrando, simiglianti a tuono
Che iracondo del ciel scorre i sentieri:
122. I magnanimi sensi : L'assemblea nazionale dapprima prese grandi e
memorabili deliberazioni, ma poi usò spietatamente violento potere.
121. Dell'Euripo : È lo stretto (oggi chiamato di Talami) che é fra le coste
della Grecia centrale e l'Kubea (Negroponte).
126. E la fierézza : Simile comparazione usò Danti:, Inf. vii, 22 : « Come
fa Tonda là sopra Cari d di, Che si frange con quella in cui s'intoppa, Così
convien che qui la gente riddi ».
127. Onda cianea : Ciane fu una ninfa siciliana convertita in fonte (Ovidio,
Altt. v, 409 e sgg.).
128. A quella, ecc. : L'onda dell'Ellesponto su cui Serse, il re dei Persiani,
che venne a combattere contro la Grecia, fece costruire un ponte per tra-
ghettare il suo innumerabile esercito.
130. Arduo : Alto. L'ombra di Ugo Capeto, simile ad alto monte , appare
in mezzo all'Assemblea Nazionale.
137. Al leidense vetro : La bottiglia di Leida che dà una forte scossa elet-
trica a chi la tocca. Il Varano, Vis. ix, usa una simile comparazione : « Allei-
la man mi strinse e sentii tocchi Come da un urto i nervi e dalle ardenti
Fiamme che ferro elettrizzato scocchi ».
112. I cuor dardeggia : 1 deputati cominciano a sentir desiderio dell'estinto
tiranno, Luigi XVI, di rivedere cioè salire sul trono di Francia uno dei
Borboni : « Si desiderava pertanto e dentro della Francia da non pochi
uomini temperati, e fuori da tutte le potenze, che la repubblica si spegnesse,
od il consueto reggimento, per quanto gl'interessi nuovi il permettessero,
col mezzo dei Borboni si ristorasse » (Botta, v, p. 464).
68 PARTE II.
Tremò di Libertade il santo trono; 150
Tremò Parigi, intorbidossi Senna
Alle spade civili in abbandono:
Ma di Vandèa le valli e di Gebenna
Si rallegrar le rupi, ed un muggito
Mandar di gioia alla mal vinta Ardenna. 155
L'Istro udillo; e levò più ch'anzi ardito
11 mozzo corno, e al suo scettrato augello
♦ Fé' l'italo sperar nido rapito.
L'udì Sebeto, e rise il suo bordello:
Roma udillo, e la lupa tiberina 160
Sollevò il muso e si fé' liscio il vello.
Ma la vergine casta cisalpina
Mise un sospiro, e a quel sospir snudati
Mille brandi fuggir dalla vagina;
Che al 4olor di costei, di Francia i fati 105
. Visti in periglio, alzar la fronte i figli
D'ira, di ferro e di pietade armati;
E su i pugnali tuttavia vermigli
Fèr di salvarla sacramento, tutti
Arruffando feroci i sopraccigli. 170
Di Sambra e Mosa i bellicosi flutti
Risposero a quel giuro; e allor non tenne
I rai la Donna di Parigi asciutti.
153. 01 Vandea le valli e di Gebenna : La Vandea realista si rallegrò quando
vide nel cuore di alcuni francesi entrare l'amore della monarchia. Le 7*upi
di Gebenna sono gli alti monti della Linguadoca inferiore (Qévennes).
155. Alla mal vinta Ardenna: 1 latini la dissero Arduenna: è a traverso
alla Sciampagna. Non era colà ancora ben domata la parte dei realisti.
150. L'Istro : U Danubio, qui per l'Austria.
157. Mozzo oorno : Il corno era l'emblema dei fiumi: lo dice mozzo, per-
ché l'Austria era stata fiaccata dalle sconfitte che le aveva fatto subire la
Francia repubblicana.
158. Nido rapito : La Lombardia, che, tolta da Napoleone all' Austria (la
quale ha sullo stemma un'aquila bicipite incoronata), era stata da lui ordi-
nata a repubblica col nome di Repubblica Cisalpina.
159. Sebeto : Piccolo fiume che passa presso Napoli , qui per il regno di
Napoli, di cui ben designa la corte: chiamandola « bordello », per le sco-
stumatezze soprattutto di quella regina Carolina e del suo ministro Acton.
160. La lupa tiberina : Una lupa è nello stemma di Roma. Intendi qui lo
stato pontificio.
161. La vergine . . . cisalpina: La Repubblica Cisalpina.
169. Per di salvarla, ecc.: « Uscivano dalle diverse schiere dell'italico
esercito minacce fierissime contro i nemici della libertà, come gli chiama-
vano, contro gli amatori del nome reale, contro i minacciatori della costi-
tuzione. Parlavano del voler marciare in Francia con le armi vincitrici per
castigare i ribelli, descrivevano con patetiche parole le orribili congiure
ordite nella patria loro contro la libertà, mentre essi col sangue e con di-
sagi innumerevoli la libertà e la patria difendevano » (Botta, v, p. 465).
171. Di Sambra e Mosa: Col nome di questi due fiumi del Nord della
Francia sui confini con la Germania designa l'esercito che era alla frontiera
dell'est.
173. I rai . . . asciutti : Anche nella Bassvilliana, I, 111 : « Non tenne per
pietade il ciglio asciutto ». Virgilio ha « siccis oculis », Properzio, IV, xi,
IL PERICOLO. 69
Chiudi la bocca, ohimè !, frena le penne,
Loquace fama, e fra' nemici il pianto 175
Deh non si sappia che colei sostenne.
E voi che crudi della madre il santo
Petto offendete, al suo tiranno antico
Ricuperando la corona e il manto,
Al suo tiranno, al suo tiranno, io dico; 180
Che tentate infelici ? Ah ! se tal guerra
Le danno i figli, che farà il nemico?
Già non più vacillanti in su la terra,
Acquistan piede e fondamento i troni;
Già Lamagna, già l'avida Inghilterra ias
Fan su la Senna di lor voce i tuoni
Mormorar pili possenti, a cui risponde
Il signor de' settemplici trioni.
Già de' suoi vanni le dalmatich'onde
Copre l'aquila ingorda, a cui cresciute 100
Son l'ugne che del Po perse alle sponde;
E alla sua vista pavide e sparute
Cela le corna l'ottomana luna,
E l'isolette dell'Egèo stan mute.
Tradita intanto l'itala fortuna 195
Di voi duolsi, di voi che libertade
Le contendete non divisa ed una,
E con furor che in basse alme sol cade,
Tutto scoprendo all'inimico il fianco,
In voi stessi volgete empi lo spade.
Già non aveste il cor sì baldo e franco, 200
Quando su 1' Alpi la tedesca e sarda
Rabbia ruggiva; e non avea pur anco
Di Bonaparte l'anima gagliarda
Le cozie porte superate, e doma
80 : « sicciis . . . genis », e il Parine Alla Musa, 1 : « Te il mercadante che
con ciglio asciutto ».
1S2
pr
185. L'avida, ecc. : v. la 11. 20 a p. 26. Cfr.
contro l'Inghilterra : « Luce ti negni il sole
188. Un signor, ecc. : Lo czar di Russia. — I settemplici trioni : Septem
triones, indicano il settentrione, cioè l'impero di Russia.
101. Del Po perse, ecc. : Accenna alle sconfitte che l'Austria ebbe a subire
nelle campagne del 1791-'95-'96 nella Lombardia, delle quali si andava risto-
rando coir occupazione dell' Istria, della Dalmazia e dell' Albania veneta
V. Botta, v, lib. xin.
193. L'ottomana luna : La mezzaluna che è nelle bandiere della Turchia,
201. La tedesca e sarda rabbia: La tedesca rabbia è del Petrarca, canz.
all'Italia, 35. L'uso dell'asi ratto per il concreto occorre spesso nei poeti greci
e latini. Orazio, Od. 1, 3 : « Perrupit Acherontaherculeus labor », e il Pe-
trarca nella stessa canz. : « il furor di lassù, gente ritrosa ».
70 PARTE II.
Di Piemonte la valle e la lombarda. 205
Ei vi fé' tersa e lucida la chioma;
Ei, pugnando e vincendo e stanco mai,
De' vostri mali alleviò la soma:
Ei vi fé' ricchi ed eleganti e gai,
Ei vi fece superbi; e, se non basta, 210
Ingrati e vili: e ciò fu colpa assai.
Or dritto è ben se della tanta e vasta
Sua fatica ed impresa una mercede
Sì ria gli torna, e infamia gli sovrasta:
Dritto è ben se l'Italia, che vi diede 215
D'auro e d'arte tesori, or la meschina
Aita indarno e libertà vi chiede.
Potè, oh vergogna !, la virtù latina
Domar la greca, e libere le genti
Mandar, compenso della sua rapina: 220
E voi, Franchi, di Bruto ai discendenti,
Voi premio d'amistà, premio d'affanni,
Sol catene darete e tradimenti?
Deh ! non rida all'idea de' nostri danni
La serva d'Europa, né di voi sia detta 225
Fra gli amici quest'onta e fra' tiranni.
Non più ^p.'egio di noi, non più negletta
L'itala sorte, e fra voi stessi aperta
Non più lite, per dio, non più vendetta !
servitù tra poco e dura e certa 230
Voi pur v'avrete; e giusta fia la pena.
Ha cuor villano, e libertà non merta,
Chi l'amico lasciò nella catena.
203. E la lombarda: Colla campagna d'Italia del 1791, per cui i Francesi,
valicate le Alpi Cozie, vinsero gli Austro-Sardi (la tedesca e sarda rabbia)
a Dego e a Millesimo. Il re di Sardegna, Vittorio Amedeo II, vinto, fu co-
stretto all'armistizio di Cherasco del 28 aprile, seguito dalla pace di Parigi
del 19 maggio 1796.
215. D'auro e d'arte tesori : Quantità innumerevole di oggetti preziosi e
di opere d'arte fu dall'Italia portata dai vincitori in Francia. Delle spoglia-
zioni fatte soprattutto nel territorio della repubblica veneta parla il Botta, v ,
lib. xii : « Quanto di più bello e di più prezioso avevano prodotto gli scal-
pelli od i pennelli, o le penne greche, latine ed italiane, era rapito dagli
strani amici ».
219. Libere le genti, ecc. : Al cadere del sec. ili av. C. il console romano
T. Quinzio Flaminino, vinto Filippo V di Macedonia, si recò a' giuochi
istillici e vi fece bandire da un araldo un decreto, col quale il popolo ro-
mano concedeva la libertà a tutte le cittì greche.
221. Di Bruto ai discendenti: Ai repubblicani d'Italia, discendenti dai ro-
mani, di cui P.ruto fu il più ardente repubblicano.
Le nozze di Cadmo e d' Ermione
IDILLIO.
Questo bellissimo idillio fu composto dal p. nel 1825 per le nozze di danna
Elena Trivulzio col conte Pietro Scotti di Sarmato Piacentino, e di donna
Vittoria Trivulzio col marchese Giuseppe Carandini modenese. Entrambe lo
spose erano figlie del marchese Gian Giacomo Trivulzio, amicissimo del p.
L'idillio si aggira in gran parta intorno ai vantaggi della scrittura rosi
grandi per l'umana società.
Il giorno che Ermi'on, di Citerea
Alma prole e di Marte, iva di Cadmo
All'eccelso connubio, e la seguia
Tutta fuor Giuno, degli dèi la schiera,
Gratulando al marito e presentando 5
Di cari doni la beata sposa,
Col delio Apollo a salutarla anch'esse
Comparvero le Muse. Una ghirlanda
Stringea ciascuna d'olezzanti fiori
(Sempre olezzanti, perchè mai non muore io
Il fior che da castalia onda è nudrito);
E tal di quelli una fragranza uscia
Ch'anco i sensi celesti inebbriava,
E tutta odor d'Olimpo era la reggia.
De' bei serti immortali adunque in prima 15
Le divine sorelle incoronaro
Dell'aureo letto nuz'ial la sponda;
Indi al canto si diero e alle carole.
Della danza Tersicore guidava
1. Citerea: Venere, detta Citerea, perchè, nascendo dalla spuma del mare,
giunse da prima all'isola di Citerà (oggi Cerigo presso la Laconia).
2. Cadmo: Eroe mitico che fondò Tebe, introdusse in Grecia o dalla Fe-
nicia o dall'Egitto l'alfabeto.
4. Fuor Giuno : Giunone era sdegnata con Cadmo, perchè la sorella di lui
Europa, era stata rapita da Giove che l'aveva insidiata sotto forma di toro.
V. al v. 45.
f>. Gratulando: Congratulandosi (lat. gratitlantex).
7. Delio : Perchè aveva un tempio nèll' isola di Dolo, una delle Ci dadi.
11. Castalia onda: Questa fonte-, sacra alle Muse, in cui fu mutata una
ninfa amata da Apollo, era posta presso l'Elicona. Fu celebrata come ispi-
ratrice de' poeti. Su di essa scrisse un som Bernardo Tasso « sian della
greggia tua vaga pastore ».
1 ( J. Tersicore: Una delle nove Muse, la dea della danza.
72 PARTE II.
I volubili giri; e in queste note ?o
L'amica degli eroi Callìopea
Col guardo in so raccolto il labbro apriva:
Beltà, raggio di lui che tutto move,
Tu che d'amor le fiamme accendi, e godi
Star di vergini intatte e di fanciulli 25
Nelle nere pupille, in guardia prendi
Di Venere la figlia, e al tempo avaro
Non consentir che le tue rose involi
Alle caste sue gote. A lei concedi
La non caduca gioventù de' numi, 30
Ch'ella di numi è sangue; e come belle
Tu festi, diva, d'Ermion le forme,
Così virtude a lei fé' bello il core.
Immenso della luce eterno fonte
Vibra i suoi dardi il sole, e nelle cose 35
Sveglia la vita; e tu, reina eterna
De' cor gentili, se bontà vien teco,
L'amor risvegli che stagion non perde;
E spargi di perenne alma dolcezza
Le perigliose d'Imeneo catene. 40
Bacia queste catene, inclito figlio
D'Agenore; le bacia, ed in vederti
Genero eletto a due gran dii t'allegra;
Ma cognato al tonante egioco Giove
Non ti vantar, che l'alta ira di Giuno 45
Costar ti farà caro un tanto onore.
Pur, dove avvenga che funesto nembo
Turbi il sereno de' tuoi dì, non franga
L'avversità del fato il tuo coraggio,
Che a so Tuom forte è dio. Tutte egli preme 50
21. Calliopèa: La musa del canto epico, perciò detta ««arnica degli eroi».
Cfr. Dante, Purg., 1, (« E qui Calhopéa alquanto surga »).
23. Raggio, ecc: Dice la bellezza un raggio, un'emanazione, de « L'amor
che move il sole e l'altre stelle» (Dantk, Par. XXXIII, 145).
27. Di Venere la figlia : Era Ermione, come dicono i primi versi, figlia dì
Venere e di Marte.
28. Tue: Date da te (o Bellezza).
34. Eterno fonte: Il Tasso, Ger. Lio., XV, 47 aveva detto: « U sol, de Tau
rea luce eterno fonte ».
35. Bardi: Frequente é nei poeti questa metafora, con cui si designano
i raggi del sole. Cosi Dante, Purg., II, 55: « Da tutte parti saettava il giorno
Lo sol, clfavea con le saette conte Di mezzo il ciel cacciato il Capricorno ».
40. Imeneo : Dio delle nozze che, come dice il Parini nel Mattino , 400 :
« Le salme accoppia, e con l'ardente face Regna la notte ».
42. D'Agenore : Cadmo era figlio di Agenore e di Telefnssa.
43. Due gran dii : Venere e Marte, genitori di Ermione.
41. Egioco : « Cognome derivato a Giove dalla capra che lo allattò , non
dall'egida, come altri pretendono. Che anzi l'egida non desunse altronde il
suo nome che dalla pelle di quella capra, perché di essa ricoperse Giove il
suo scudo, quando andò a combattere coi Giganti. . . ». (Mt.).
LE NOZZE DI CADMO E D'ERMIONE. 73
Sotto il pie le paure, e delle Parche
Su ferrei troni alteramente assise
Con magnanima calma i colpi aspetta.
Così cantava. All'ultime parole,
Di non lieto avvenire annunziatrici, 55
Cadmo chinò pensoso il ciglio, e scura
Nube di duolo d'Ermì'on si sparse
Su la candida fronte. Anco de' numi
Si contristar gli aspetti, ed un silenzio
Ne segui doloroso. Allor la diva, co
Col dolce lampo d'un sorriso intera
Ridestando la gioia in ogni petto,
Su l'auree corde fé* volar quest'inno:
— Schietta confonda di petrosa vena
Delle Muse la lode i generosi 65
Spirti rallegra, e immortalmente vive
L'alto parlar che dai profondo seno
Trae dell'alma il furor che Febo inspira,
Quando ai carmi son segno i fatti egregi
De' valorosi, i peregri: i ingegni 70
Trovatori dell'arte ondo si giova
L'umana stirpe e si fa bello il mondo.
Or di quante produsse arti leggiadre
Il mortale intelletto, aura divina,
Quale il canto dirà la più felice? 75
Te, di tutte bellissima e primiera,
Che con rozze figure arditamente
Pingi la voce, e, color dando e corpo
All'umano pensiero, agli occhi il rendi
Visibile; ed in tale e tanta luce, so
Che men chiara del sol splende la fronte,
Ei vola e parla a tutte genti, e chiuso
Nelle tue cifre si conserva eterno.
Dietro ai portenti che tu crei smarrita
Si confonde la mente, e perde l'ali 85
L'immaginar. Qual già fuori del sacro
Capo di Giove orrendamente armata
51. Parche: Erano le tre sorelle Cloto, Lachesi, Atropo, divinità della vita
umana, concordi nel volere del Fato. Virgilio, Eoi. IV, 47 : « concordes sta-
bili fatorum mimine Parcae ».
63. Quest'inno : Allo stesso modo nel Bardo, I : « e sulle pronte Corde so-
nore fé volar quest'inno ».
68. Il furor: L'ispirazione poetica.
74. Aura divina : L'anima umana che Orazio, Sat. II, II, 79, chiama « di-
vinai particulam aurae ».
76. Te, ecc : La scrittura, di cui la mitologia fa inventore Cadmo.
77. Con rozze figure: Coi segni dell'alfabeto.
82. Et: Il pensiero.
74 PARTE II.
Balzò Minerva, ed il paterno telo,
Cui nessuno de' numi in sua possanza
Ardia toccar, trattò fiera donzella, jo
E corse in Flegra a fulminar tremenda *
I figli della terra, e fé* sicuro
Al genitore dell'olimpo il seggio:
Tal tu pure, verace altra Minerva,
Dalla mente di Cadmo partorita, 93
E nell'armi terribili del vero
Fulminando, atterrasti della cieca
Ignoranza gli altari, e la gigante
Forza frenasti dell'error; che, stretta
Sul ciglio all'uomo la feral sua benda, luo
Di spaventi e di larve all'infelice
Ingombrava il cerèbro, e sì regnava
Solo e assoluto imperador del mondo.
Tale è il mostro, cadmèa nobile figlia,
A cui guerra tu rompi, e tanto hai tolto 105
Già dell'impero, ch'ogni sforzo è indarno,
Se il ciel non crolla, a sostenerlo in trono.
Di selvaggia per te si fa civile
L'umana compagnia; per te le fonti
Del saper, dilatate in mille rivi 110
E a tutte aperti, corrono veloci
Ad irrigar le sitibonde menti.
Per te più puro e in un di Dio più degno
Si sublima il suo culto e con amore
Al cor s'apprende da ragion dettato; 115
Non da colei che in Aulide col sangue
D'Ifigenia propizi invoca i venti,
E, spinta in ciel la fronte e dell'eterno
Le sembianze falsando, spaventosa
Fra le nubi s'affaccia e cupo grida: 120
Chiudi gli occhi, uman verme, e cieco adora.
90. Ardia toocar: Ogni divinità aveva il suo fulmine (telo ì dardo); ma
nessuna poteva maneggiare il fulmine di Giove, fuorché Minerva. Solo alia
non est qui tractet », frequente anche nei poeti nostri.
«3. Il seggio: Alla battaglia di Flegra, in cui i Giganti tentarono di de-
tronizzare Giove, Minerva lo soccorso. Vedi Musogonia, 510.
91. Tal tu pure, ecc. : L'apostrofe, non si dimentichi, è sempre diretta alla
scrittura.
116. Da colei: Dalla superstizione, a cagion della quale Agamennone, por
avere propiziala navigazione per Troia, immolò in Aulide la figlia Ifigenia. Si
ricordi che il p. compose anche un poemetto intitolato La superstizione,
di cui si vedano specialmente i vv. 4 e sgg.
LE NOZZE DI CADMO E D' RRMIONF 75
Ma, d'alta sapienza uso amoroso
E della prima idea diritto spiro,
Filosofia, coll'armi adamantine
Della scritta ragion l'orrenda larva 125
Combatterà; vendicherà del nume
Da quell'empia converso in crudo spettro
L'oltraggiata bontade; e l'uom, per vie
Tutte di luce, al suo divin principio
Fatto più presso, si farà più pio, 130
- E dirà seco: De' miei mali il primo
E la prima mia morte è l'ignoranza.
Tal era della diva il canto arcano,
Della diva Calliope, a cui tutte
Stanno dinanzi le future cose, ix>
E, secondo che il tempo le rivolve
Nel suo rapido corso, a tutte dona
E forma e voce e qualitade e vita
Con tal di sensi e di dottrine un velo
Ch'occhio vulgar noi passa; onde agli stolti
La delfica favella altro non sembra no
Che canora follia. Povero il senno
Che in quei deliri ascoso il ver non vede !
Nò sa quanta de' carmi è la potenza
Su la reina opinion, che a nullo
De' viventi perdona e a tutti impera ! 1 13
Stava tacito attento alle parole
Profetiche di tanta arte il felice
Insegnatore; e nei segreto petto
Dell'alto volo, a cui l'uman pensiero
Le ben trovate cifre avrian sospinto, 150
Pregustava la gioia, e della sorte
Già tetragono ai colpi si sentia.
Prese r le Muse da quei giorno usanza
1S2. Uso amoroso: « Filosofia é uso amoroso di sapienzia, il quale mas-
simamente é in Dio, perocché in lui é somma sapienza , e sommo amore e
sommo atto ...» (Dante, Convivio).
123. Della prima idea : Di Dio.
124. Coll'armi adamantine : Non vuol dire di diamante, ma fortissime
come il diamante, nel senso in cui l'usarono il Pahini, Bisogno , 7 : « Di
valli adamantini, Cinge i cor la virtude » e Properzio, 111, IX, tt : « adamantina
sub juga ».
129. Al suo divin principio : A Dio.
138. E forma e voce, ecc. : La poesia riveste di mirabili colori tutte le cose,
come canta delle Muse nella Masc.heroniana I, 28.
140. La delfica favella: La poesia.
144. La reina opinion: L'opinione pubblica, che, secondo il p., é padro-
neggiata dalla potenza de' carmi.
152. Tetragono : Dante, Par, XVII, 20 : « avvegnach'io mi senta Ben te-
tragono ai colpi di ventura ».
76 PÀRTB II.
Di far liete de' canti d'Elicona
Degli eccelsi le nozze, ovunque in pregio 155
Son d'Elicona i dolci canti. Or quale,
Qual v'ha sponda che sia, come l'insubre,
Dalle Grazie sorrisa e dalle Muse?
Qual tempio sorge a queste dee più caro
Che l'eretto da te, spirto gentile, la,
Nelle cui vene del Trivulzio sangue
Vive intero l'onor? Alto fragore
D'oricalchi guerrieri e d'armi orrende
Empiea, signor, le risonanti vòlte
Delle tue sale un dì, scuola di Marte, 105
Quand'il grand'avo tuo, fulmin di guerra,
Delle italiche spade era la prima.
Or che in regno di pace entro i lombardi
Elmi la lidia tessitrice ordisce
L'ingegnosa sua tela, e col ferrigno 170
Dente agli appesi avidi brandi il lampo
La ruggine consuma, a te concede
Altra gloria e più bella e senza pianti,
Senza stragi e rovine, il santo amore
De' miti studi del silenzio amici, 175
Che da Febo guidati e da Sofia
Traggon l'uom del sepolcro e il fanno eterno.
Qui dell'arte di Cadmo e della sua
Imitatrice i monumenti accolti
Di grave meraviglia empion la vista iso
De' riguardanti: qui, di Pindo e Cirra
158. Dalle Grazie, ecc. : Lieta del sorriso delle grazie, cioè dello splendore
della bellezza. Cfr. Ad Anna Malaspina, 18.
159 : ttual tempio : La casa del Trivulzio, che abbiam visto coltivare gli
6tudi poetici.
163. Oricalchi : Trombe guerresche.
166. 11 grand'avo tuo : Gian Giacomo Trivulzio, che, espertissimo capitano,
combatté per gli Aragonesi di Napoli, poi per Carlo vili. Fu maresciallo di
Francia ed ebbe da Luigi XII il governo del ducato di Milano. Più tardi
guidò gli eserciti francesi contro i Veneziani, clic vinse nel 1509 ad Agna-
dello. Mori il 5 decembre 1518 a Chartres.
169. La Lidia tessitrice : Aracne di Lidia, venuta superbamente a gara con
Minerva di valentia nei lavori femminili e vinta, fu dalla dea irata conver-
tita in ragno.
171. Col ferrugigno dente : Come con un dente di ferro la ruggine corrode
le armi.
172. La ruggine consuma : Questi versine ricordano altri di Bacchilide,
« E d'oziosi scudi Intra i ferrei legami Intesse le sue tele Aracne oscura:
Ambitaglienti spade Giaccionsi e lame rugginose al suolo » (trad. di S. Cen-
tofanti).
176. Da Febo, ecc. : Guidati dall'amore del bello (Febo) e della scienza {Sofia).
177. Traggon l'uom, ecc : Petrarca, Trionfo d. Fama 1, 9 : « Che trae Tuoni
dal sepolcro, e'n vita il serba».
179. Sua Imitatrice : La stampa.
181. De' riguardanti: Allude alla biblioteca trivulziana, ricca di pregiati
codici e di splendidi monumenti dell'arte tipografica.
LE NOZZE DI CADMO E d'eRMIONE. 77
Posti i gioghi in oblio, Tascrèe fanciulle
Fermano il seggio, e grato a te le invia
Il gran padre Alighier, che per te monde
D'ogni labe contempla le severe 185
Del suo nobil Convito alte dottrine.
Odi il suon delle cetre, odi il tripudio
Delle danze; ed Amor vedi, che gitta
Via le bende, e la terza e quarta rosa
Del tuo bel cespo ad Imeneo consegna: ìoo
Ed allegro Imeneo nel più ridente
Suol le trapianta che Panaro e Trebbia
Irrigano di chiare onde felici;
E germogli n'aspetta, che faranno
Liete d'odori e l'una e l'altra riva 193
Di generose piante ambo superbe.
Or voi d'ambrosia rugiadose il crine,
Il cui sorriso tutte cose abbella,
Voi dell'inclita Bice al fianco assise,
Grazie figlie di Giove, accompagnate 800
Le due da voi nutrite alme donzelle;
E vengano con voi l'arti dilette
In che posero entrambe un lungo amore,
L'animatrice delle tele e quella
Che di musiche note il cor ricrea: 205
Onde la vita coniugai sia tutta
Di dolce aspersa e di ridenti idee,
Smaglianti alle prime di natura
185. D'ogni labe : D'ogni macchia, ossia del guasto orribile in cui trova-
rono i codici.
186. Alle dottrine : Il Trivulzio, il Monti e Gio. Antonio Maggi curarono
un'edizione del Convivio di Dante, che usci prima a Milano nel 1826, poi a
Padova nel 1827.
179. La terza e quarta rosa : Allude alle nozze delle due figlie del Trivul-
zio. Per la prima rosa> che fu donna Rosa Trivulzio andata sposa a don
Giuseppe Poldi Pezzoli, compose la lirica II cespuglio delle quattro rose, e
per la seconda rosa, donna Cristina Trivulzio sposa al conte Giuseppe Ar-
chinto, Il ritorno d'amore al cespuglio delle quattro rose.
192. Panaro : Modena designata dal fiume che passa per quella città, donde
era il marchese Carandini sposo a una figlia del Trivulzio. — Panaro : Pia-
cenza, donde era lo Scotti sposo all'altra figlia.
196. Ambo superbe : Modena e Piacenza erano entrambe superbe di aver
dato la culla ad illustri uomini.
197. Ambrosia : Unguento odoroso che adoperavano gli dei.
199. Dell'inclita Bice : Della contessa Beatrice Serbelloni, madre delle spose.
202. Vengano con voi : U Foscolo, commentando Le Grazie, diceva : « Lo
Grazie, deità intermedie tra il cielo e la terra , ricevono da* Numi tutti i
doni ch'esse dispensano agli uomini ».
205. Il cor ricrea: Con queste perifrasi designa la pittura e la musica.
206. Onde : Usato col cong. in senso finale ha non pochi esempi ; ma col-
rinfinito é assai raro, sebbene anche di quest'uso si trovino esempi : cfr. Fo-
scolo, Inno alla nave delle Muse, 43 : « Onde posar nella toscana terra Le
Muse ». 11 Foscolo l'usò anche in prosa.
78 PARTE II.
Vergini fantasie, che in piante e in fiori
Scherzano senza legge e son più belle. 210
E tu, ben nato idillio mio, che i modi
Di Tebe osasti con ardir novello
All'avene sposar di Siracusa,
Vanne al fior de' gentili, a lui che fermo
Nella parte miglior del mio pensiero 215
Tien della vera nobiltà la cima
E de' cortesi è re; vanne e gli porgi
Queste parole: Amico ai buoni, il cielo
Di doppie illustri nozze oggi beati
Rende i tuoi lari, ed il canuto e fido 220
De* suoi studi compagno all'allegrezza
Che l'anima t'innonda il suo confonde
Debole canto, che di stanco ingegno
Dagli affanni battuto è tardo figlio;
Ma non è tardo il cor, che come spira 2*3
Riverente amistade, a te lo sacra.
Questo digli, e non altro. E, s'ei dimani".
Come del viver mio si volga il corso,
Di' che ad umil ruscello egli è simile,
Su le cui rive impetuosa e dura 230
I fior più cari la tempesta uccise.
211. Modi di Tebe: I nobili concetti di poesia civile quali spirano dagl'inni
del poeta di Tebe, Pindaro.
213. Avene di Siracusa : Le zampogne del poeta di Siracusa, Teocrito.
Senso: Sposasti gli alti intendimenti di poesia civile alla dolcezza della poe-
sia idillica.
211. Al fior de' gentili : Ài Trivulzio.
221. Dagli affanni battuto : Il p. negli ultimi anni della sua vita fu tor
men tato da non pochi mali fisici e morali Cfr. V Introduzione, § IV. Troppo
magmi e di suon
Sermone
ALLA MARCHESA ANTONIETTA COSTA DI QBNOVA
NELLE NOZZE
DEL MARCHESE BARTOLOMEO COSTA SUO FIGLIO
Questo sermone fu composto nel 1825 e dedicato alla marchesa Aulo
metta Costa di Genova, quando andò a nozze suo figlio Bartolomeo. Gli
risposero in prosa e in versi tre letterati romantici, Giuseppe Compagnoni,
Ambrogio Mangiagalli e Carlo Tedaldi Fores. « Ha come due parti ;T una
negativa, positiva l'altra, il sermone si aggira tutto intorno alla questione
allora tanto dibattuta fra classicisti e romantici sui criteri fondamentali
del bello artistico. Nella prima il p. non combatte proprio tutto quel sistema
che fu detto romantico, ma soltanto certe esagerazioni e specialmente quella
del tetro e del pauroso nelle invenzioni poetiche; nella seconda poi movo
da un principio in sé stesso vero, ed é che il linguaggio della poesia ha da
essere come un visibile parlare, per dirlo con un bel modo di Dante, cioè
le idee debbon pigliar forme sensibili, fantastiche; ma poi cade nello stra-
nissimo errore d ammettere che ci sia come un abisso tra il vero e il
bello, tra la scienza e la poesia, e di non riconoscere altri fantasmi ed al
tri simboli poetici che quelli della Mitologia » (Puccianti).
Audace scuoia boreal, dannando
Tutti a morte gli dei, che di leggiadre
Fantasie già fiorir le carte argive
E le latine, di spaventi ha pieno
Delle Muse il bel regno. Arco e faretra
Toglie ad Amore, ad Imeneo la face,
Il cinto a Citerea. Le Grazie anch'esse,
Senza il cui riso nulla cosa è bella,
1. Audace scuola boreal: Così designa la scuola romantica sorta in Italia,
in parte per efficacia delle letterature tedesche {boreali). Questa scuola .
voleva bandito dalla poesia l'uso dei miti. Oltre che le Lett. crit. sul Romant\ ' >
del Manzoni si senta che cosa ne diceva un romantico convinto, ErmkS '
Visconti: « Ciò che un uomo ha detto perché lo sentiva, perché corrispon- • * v
deva alle idee, osservazioni e passioni della sua vita reale, desta infalli-
bilmente la simpatia, lo spettacolo della natura umana é sempre interes-
sante. Non cosi i classicisti del miUe ottocento diciotto; essi non possono
aver sentito quelle cose che si sforzano d'esprimere, si vede il letterato e
non l'uomo. Cessiamo dunque dall'impinguare il catalogo de' poemi e dei
drammi fondati sui miracoli dei numi Pagani, come la Semele di Schiller,
e l'Urania di Manzoni, nelle invenzioni storiche non 'introduciamo più gli
Dei aboliti a regolare gli eventi, come nel Camillo del nostro esimio sto-
rico Botta ... ». (Dal Conciliatore, p. 93).
3. Fiorir : In senso attivo, abbellirono, infiorarono.
4. Di spaventi: Per V esempio degli scrittori inglesi e tedeschi era ve-
nuto di moda anche presso di noi, ma assai meno che altrove, di spargerò
la poesia di ben tristi immaginazioni, bufere paurose, lugubri notti, om-
bre vagolanti.
7. Il cinto a Citerea : U cinto a Venere col quale seduce gli animi, per-
ché in esso « raccolte e chiuse Erano tutte le lusinghe » (Ombro, II- xiv,
250, trad. M.).
8. È bella: Anche il Foscolo chiùde il primo inno delle Grazie con
questi vv. : « e da voi solo, Né dar premio potete altro più bello, Sol da
voi chiederem, Grazie, un sorriso ».
80 PARTE II.
Anco le Grazie al tribunal citate
De* novelli maestri alto seduti, io
Cesser proscritte e fuggitivo il campo
Ai lemuri e alle streghe. In tenebrose
Nebbie soffiate dal gelato arturo
Si cangia (orrendo a dirsi !) il bel zaffiro
Dell'italico cielo; in procellosi 15
Venti e bufere le sue molli aurette;
I lieti allori dell' aonie rive
In funebri cipressi; in pianto il riso;
E il tetro solo, il solo tetro è bello.
E tu fra tanta, ohimè ! strage di numi so
E tanta morte d'ogni allegra idea,
Tu del ligure olimpo astro diletto,
Antonietta, a cantar nozze m'inviti?
E vuoi che al figlio tuo, fior de' garzoni,
Di rose còlte in Elicona io sparga 25
II talamo beato ? Oh me meschino !
Spenti gli dei che del piacere ai dolci
Fonti i mortali conducean, velando
Di lusinghieri adombramenti il vero,
Spento lo stesso re de' carmi Apollo, 30
Chi voce mi darà lena e pensieri
Al subbietto gentil convenienti?
Forse l'austero genio inspiratore
Delle nordiche nenie ? Ohimè ! che, nato
Sotto povero sole e fra i ruggiti 35
De' turbini nudrito, ei sol di fosche
Idee si pasce e le ridenti abborre,
E abitar gode ne' sepolcri e tutte
In lugubre color pinger le cose.
Chiedi a costui di lieti fiori un serto, 40
Onde alla sposa delle Grazie alunna
12. Immuri: Le ombre dei morti che di notte, spettri paurosi, spaven-
tavano i viventi.
13. Arturo : È una stella dell'Orsa maggiore, qui vale per il settentrione.
17. Aonie : Aonia era una parte della Beozia, o v'era l' Elicona] sacro alle
Muse.
22. Del ligure Olimpo, ecc. : Tu astro fulgente di bellezza fra le donne
genovesi.
25. Di rose, ecc. : Tasso, Ger. Lib. 111 1 : « di rose colte in Paradiso ».
31. Chi voce mi darà: Ariosto, Ori. Fur. in, 1: « Chi mi darà la voce e
le parole Convenienti a si nobile soggetto?
34. Nordiche nenie: Nenie erano i canti funebri dei romani, qui s'inten
dono i melanconici canti dei poeti settentrionali.
35. Sotto povero sole: Dante, Purg. xvi, 2: « sotto pover cielo », e il
Tasso, Ger. Lib. vii, 44: « Sotto povero ciel luce di luna » e Orazio, Od 1,
XXXV.
41. Onde, ecc. : V. la n. 206 a p. 77.
— Delle Grazie : V. la n. 143 a p. 17.
SERMONE. 81
Fregiarne il crin: che ti darà? Secondo
Sua qualitade naturai, null'altro
Che fior tra i dumi del dolor cresciuti.
Tempo già fu, che, dilettando, i prischi 45
Dell'apolli neo culto archimandriti
Di quanti la natura in cielo e in terra
E nell'aria e nel mar produce effetti
Tanti numi crearo; onde per tutta
La celeste materia e la terrestre 50
Uno spirto, una mente, una divina
Fiamma scorrea, che l'alma era del mondo.
Tutto avea vita allor, tutto animava
La bell'arte de' vati. Ora il bel regno
Ideal cadde al fondo. Entro la buccia 55
Di quella pianta palpitava il petto
D'una saltante Driade; e quel duro
Artico genio destruttor l'uccise.
Quella limpida fonte uscia dell' urna
D' un'innocente Naiade; ed, infranta 60
L'urna, il crudele a questa ancor die morte.
Garzon superbo e di so stesso amante
Era quel fior; quell'altro al sol converso,
Una ninfa a cui nocque esser gelosa.
Il canto che alla queta ombra notturna 65
Ti vien sì dolce da quel bosco al core
Era il lamento di regal donzella
Da re tiranno indegnamente offesa.
44. Dumi: Spine, metaf. le angoscia.
45. Dilettando: Gli antichi miti non furono creati dai primi poeti {del-
l'apollineo culto archimandriti), ma furono opera del popolo clie ne fece
il fondamento della sua religione. Da questo verso il p. incomincia a rim-
piangere le vaghe fantasie mitologiche ormai cacciate dair « artico genio
destruttor ». Tenendo conto della diversità dell'indole e dell'intenzione dei
vari poeti si cfr. colTode Alla primavera del Leopardi coll'ode Al au-
tunno del Carducci specialmente dal v. 89 in poi.
57. Driade: Ninfa dei boschi. Con immagini simili aveva detto nell'ode \
In occasione del parto della Vice Regina, 97: « Delle celesti Driadi Sotto
la man già senti Dentro il materno cortice Scaldarsi i petti algenti; Già
porgonsi, già saltano Fuor della buccia in lor natia beltà ».
60. Naiade: Ninfa delle fonti e dei fiumi.
61. Il crudele: L'artico genio.
62. Garzon: Narciso, bellissimo figlio di Cefìso, nume della Beozia e
delia ninfa Leriope, che, innamorato della propria immagine riflessa in
una fonte, s'annegò in essa e fu convertito in fiore.
61. Dna ninfa : Clizia gelosa dell' amore che Apollo ebbe per un' altra
ninfa, Leucotoe, fu mutata in girasole.
67. Di regal donzella : Di Filomela, sorella di Progne, moglie di Tereo,
re della Tracia: essendo stata da questo violata, fu dagli dei mutata in
usignolo, Tereo in uuupa e Progne, che per vendicarsi di Tereo gli aveva
dato per cibo le carni del figliuoletto Iti, in rondine. Cosi i poeti latini, i
mito grafi greci invece dissero Filomela cangiata in rondine e Progne in
usignuolo. Il Monti segue la versione latina.
Monti. — Poesie. 6
82 PARTE 11.
Quel lauro, onor de' forti e de' poeti,
Quella canna ohe iischia, e quella scorza ?o
Che ne' boschi sabéi lagrime suda,
Nella sacra di Pindo alta favella
Ebbero un giorno e sentimento e vita.
Or d'aspro gelo aquilonar percossa
Dafne morì; ne' calami palustri 75
Più non geme Siringa; ed in quel tronco
Cessò di Mirra l'odoroso pianto.
Ov'è l'aureo tuo carro, maestoso
Portator della luce, occhio del mondo?
Ove l'Ore danzanti ? ove i destrieri so
Fiamme spiranti dalle nari ? Ahi misero !
In un immenso, inanimato, immobile
G-lobo di foco ti cangiar le nuove
Poetiche dottrine, alto gridando:
Fine ai sogni e alle fole, e regni il vero. so
Magniiìco parlar ! degno del senno
Che della Stoa dettò l'irte dottrine,
Ma non del senno che cantò gli errori
Del fìgliuol di Laerte e del Pelide
L'ira e fu prima fantasia del mondo. 90
Senza portento, senza meraviglia
Nulla è l'arte de' carmi; e mal s'accorda
La meraviglia ed il portento al nudo
Arido vero che de' vati è tomba.
(59. Onor ecc.: V. la n. 25 a p. 59.
70. Quella scorza : La scorza della pianta che tra i Sabei dell'Arabia Ve
lice stilla un'odorosa resina. La pianta fu detta mirra dal nome della
ti glia incestuosa di Cinira che fu mutata in essa.
75. Dafne: Ninfa inseguita da Apollo che l'amava, e da lui convertita
in lauro.
76. Siringa: N nfa inseguita dal dio Pane e mutata in canna palustre.
79. Occhio del mondo : Cfr. Ovidio, Met. iv, 227 e Dantk, Purg. xx , 13*2
che chiama il sole e la luna « occhi del cielo ».
80. L'ore danzanti : Le ore che corrono x danzano e volano sono già nel
Parini, All'inai. Alce, 101 :j« i piedi e l'ali Provan tralor le vergini Ore »,
e nel Foscolo, Sepolcri, 6: « E quando vaghe di lusinghe, innanzi A me
non danzeran l'ore future ».
— I destrieri: Del Sole. Si noti l'artificio di questi sdruccioli, che, se
provano, come dice un arguto critico: « che nessuno al pari del Monti
ha avuto un orecchio cosi musicale ». c'insegnano anche che « la dolcezza
del verso deve sentirsi non neU'orecchio, ma nell'ani ma ».
87. Stoa: Nel Pecile , portico (ItoI = portico) di Atene, insegnò la sua
filosofia Zenone di Cizico (310-260 av. C), il capo della scuola stoica. Chiama
irte le dottrine degli stoici perchè severe, rigide, insegnando essi a di-
sprezzare onori, piaceri, fortune.
90. Del Pelide ecc.: Omero cantò gli errori di Ulisse, il figlio di Laerte,
ncir Odissea e l'ira del Pelide Achille nell'Iliade.
94. De' vati è tomba : In questi versi é il concetto fondamentale del carme:
il vero scompagnato dalle vaghe forme dell'arte, il nudo vero, non può
piacere. K in questo appunto erra il p. , perchè indissolubile è il legame
tra il bello e il vero, tra la scienza e la poesia, e nell'arte c'è qualchecosa
di più grande della maraviglia e del portento.
SERMONE. 83
Il mar, che regno in prima era d'un dio 95
Scotitor della terra e dell'irate
Procelle correttore, il mar, soggiorno
Di tanti divi al navigante amici
E rallegranti al suon di tube e conche
Il gran padre Oceano ed Amfìtrite, 100
Che divenne per voi ? Un pauroso
Di sozzi mostri abisso. Orche deformi
Cacciar di nido di Nereo le figlie,
Ed enormi balene al vostro sguardo
Fùr più belle che Dori e Galatea. 103
Quel Nettunno che rapido da Samo
Move tre passi, e al quarto è giunto in Ega;
Quel Giove che al chinar del sopracciglio
Tremar fa il mondo, e allor ch'alza lo scettro
Mugge il tuono al suo piede e la trisulca 110
Folgor s'infiamma di partir bramosa;
Quel Pluto che al fragor della battaglia
Fra gl'immortali dal suo ferreo trono
Balza atterrito, squarciata temendo
Sul suo capo la terra e fra i sepolti 115
Intromessa la luce, eran pensieri
Che del sublime un dì tenean la cima.
Or che giacquer Nettuno e Giove e Pluto
Dal vostro senno fulminati, ei sono
Nomi e concetti di superbo riso, 120
Perchè il ver non v'impresse il suo sigillo,
96. Scotitor della terra rjCosi Omero chiama Nettuno, Enosigeo, 'Evo*^^-
99. Tube . . . oonche: Trombe ... : conchiglie marine (lat.).
100. Anfitrite: Figlia dell'Oceano e di Doride era la consorte di Nettuno.
105. Dori e Galatea: Dori o Doride, figlia dell'Oceano e di Teti, moglie
di Nereo da cui ebbe le cinquanta Nereidi: Galatea era una delle Nereidi
amata dal ciclope Polifemo.
107. Ega: Omero, II. xin, 12 e sgg. che il M. traduce: « Tre passi fece
E al quarto giunse alia sua meta in Ege » ed anche nell'Ori, xn, 480. Col
nome di Ege si chiamavano in Grecia varie città, nelle quali Nettuno era
adorato, ma qui s'intende la dimora propria del dio, in fondo al mare.
10S. Al chinar ecc. : Questa bellissima immagine del Giove Olimpico che
al tremar del ciglio scuote il mondo fu prima di Omero, II. 1, 700, poi
piacque per la sua sublimità a molti poeti che la rpresero. Cosi Orazio,
Od. t ni, 1, 8: « Cuncta supercilio moventis », Virgilio, Aen. ix, 106: « to-
tum nutu tremefecit Olympum », il Petrarca Trionfo d. Etern. 55: « Quei
che il mondo governa pur col ciglio » e il Manzoni, Natale: « Le avverse
forze tremano Al mover del suo ciglio ». Fidia in tale atto modellò il suo
Giove posto nel tempio d'Olimpia.
110. Trisulca: Dalle tre punte (quae facit tres suicos, tre ferite), Ovidio,
Met. 11, SIS, e Virgilio, Georg, ni, 439 « dextra trisulcis ignibus armata ».
116. Intromessa la luce: Omero, II. xx, 75 (trad. M.j: «Tremoline Pluto,
il re de' sepolti, e, spaventato, Die un alto grido e si gettò dal trono, Te-
mendo non gli squarci la terrena Volta sul capo il crollator Nettunno, Ed
intromessa colaggiù la luce, Agli Dei non discopra ed ai mortili Le suo
squallide bolge ...» passo imitato da Virgilio, Aen. vili, 3(59.
118. Or che giacquer : Or che per opera di voi, romanticisti, furono de
risi e cacciati dalla poesia i nomi degli dei pagani.
84 PARTE IX.
E passò la stagion delle pompose
Menzogne achòe. Di fé quindi più degiu
Cosa vi torna il comparir d'orrendo
Spettro sul dorso di corsier morello 125
Venuto a via portar nel pianto eterno
Disperata d'amor cieca donzella,
Che abbracciar si credendo il suo diletto,
Stringe uno scheltro spaventoso, armato
D'un ormolo a polve e d'una ronca; 130
Mentre a raggio di luna oscene larve
Danzano a tondo, e orribilmente urlando
Gridano: pazienza, pazienza.
Ombra del grande Ettorre, ombra del caro
D'Achille amico, fuggite, fuggite, ix>
E povere d'orror cedete il loco
Ai romantici spettri. Ecco ecco il vero
Mirabile dell'arte, ecco il sublime.
Di gentil poesia fonte perenne
(A chi saggio v'attigne), veneranda 11 y
Mitica dea ! Qual nuovo error sospinge
Oggi le menti a impoverir del bello
Dall'idea partorito e in te sì vivo
La delfica favella? E qual bizzarro
Consiglio di Maron chiude e d'Omero n:>
A te la scuola, e ti consente poi
Libera entrar d'Apelle e di Lisippo
133. Pazienza, pazienza: S'accenna qui all' Eleonora , novella -romantica
di Augusto Bttrger, un tempo ammirata come modello insuperabile di li-
rica dalla scuola romantica. Eleonora, innamorata di Guglielmo, che é sol
dato negli eserciti di Federico il Grande, invano ne aspetta il ritorno; un
cavaliere la porta in groppa del suo cavallo per andare in traccia del-
l'amante. Arrivano ad un cimitero, ove al guerriero si sfasciano attorno
le membra: « In ischeletro il corpo si solve I/una man l'oriolo da polve
L'altra mano la falce mostrò . . . Tutte a raggio di luna, le larve Intrec-
ciaron la ridda, e con voci Spaventose, con urli feroci « Pazienza, pazienza
gridar», (trad. di A. Zardo).
131. Ombra ecc.: Bene il Casini riferisce qui le sgg. parole del De San
ctis: «Questi endecasillabi che simulano l'impeto dei decasillabo, rivelano
un soverchio studio di armonia imitatrice, 1 anima raccolta tutta ed ob-
bliata nell'orecchio ».
135. D'Achille amioo: Patroclo che, vestito delle armi d'Achille, é ucciso
da Ettore.
13C. E povere d'orror: E non abbastanza spaventose quanto i romantici
/ori* ebbero.
110. A chi saggio ecc.: Il p., in realtà mezzo classico e mezzo romantico,
/>ur difendendo l' uso della mitologia, ne condannava l'abuso. Si legga la
lettera al Tedaldi Fores del 30 nov. 1825 (Episc. Resnati, p. 2W) t che può
servir di commento a questo passo.
141. Mitica dea: La Mitologia.
111. La deifica favella: La poesia.
117. D'Apelle e di Lisippo: Col nome del grande pittore greco, Aitile, si
designa la pittura e con quello dello scultore Lisippo la scultura. Senso :
« Perché a te, o mitologia, si consente di dar materia alla pittura e alla
scultura e si vieta alla poesia» »
SERMONE. 85
Nell'officina? Non è forse ingiusto
Proponimento, all'arte che sovrana
Con eletto parlar sculpe e colora 150
Negar lo dritto delle sue sorelle?
Dunque di Psiche la beltade, quella
Che mise Troia in pianto ed in faville,
In muta tela in freddo marmo espressa,
Sarà degli occhi incanto e meraviglia; 155
E se loquela e affetti e moto e vita
Avrà ne' carmi, volgerassi in mostro?
Ah, riedi al primo officio, bella diva;
Riedi, e sicura in tua ragion col dolce
Delle tue vaghe fantasie l'amaro igo
Tempra dell'aspra verità. No '1 vedi?
Essa medesma, tua nemica in vista
Ma in segreto congiunta, a sé t'invita
Che, non osando timida ai profani
Tutta nuda mostrarsi, il trasparente 165
Mistico vel di tue figure implora:
Onde, mezzo nascosa e mezzo aperta,
Come rosa che al raggio mattutino
Vereconda si schiude, in più desio
punger i cuori ed allettar le menti. 170
Vien, che tutta per te fatta più viva
Ti chiama la natura. I laghi, i fiumi,
Le foreste, le valli, i prati, i monti,
E le viti e le spiche g i fiori e l'erbe
E le rugiade, e tutte alfin le cose, r,3
Da che fùr morti i numi onde ciascuna
Avea nel nostro immaginar vaghezza
Ed anima e potenza, a te dolenti
152. Psiche: Vergine bellissima amata' da Amore.
— queUa : EleDa, la figlia di Tindaro, che, rapita da Paride a Menelao,
re di Micene, fu causa di tanti lutti ai Troiani e ai Greci che per lei pu-
gnarono all'assed o di Troia.
154. Espressa: Rappresentata.
157. Volgerassi in mostro ? « E se Psiche, se Elena, come ho detto io nel
Sermone, sono belle in marmo ed in tela, perchè noi potranno essere egual-
mente e più animate dalla poesia da cui prendono affetti e parole da mute e
i nsensate che il marmo e la tela ce le presentano? » ( Lete. cit. al Te d aldi Fores).
162. In vista: In apparenza.
166. Implora : Cioè la verità chiede alla mitologia il suo trasparente veli
per essere manifestata ai profani. Nella mitologia , vuol dire il p. , si na
scondono alte e belle verità.
167. Onde mezzo nascosa ecc.: Poliziano, Stanze 1, 78 : « Ma vie più lieta
più ridente e bella Ardisce aprire il seno al sol la rosa ». Ariosto, Ori.
Fur. x, 11 e meglio ancora, quasi coi medesimi versi del M. , il Tasso,
Oer. Lib. xvi, 14 « la rosa. . . Che mezzo aperta ancora e mezzo ascosa
Quanto si mostra men, tanto è più bella ».
176. Da che : Da Quel tempo in cui. Cfr. Petrarca, sest. A qualunque ani-
male*. « Et io da che comincia la bell'alba», e Foscolo, Inno III alle Gra-
tie % 219: « Da che più lieti mi floriano gli anni ».
80 PARTE li.
Alzati la voce e chieggono vendetta.
E la chiede dal ciel la luna e il sole iso
E le stelle, non più rapite in giro
Armonioso e per l'eterea vòlta
Carolanti, non più mosse da dive
Intelligenze, ma dannate al freno
Della legge che tira al centro i pesi; 185
Potente legge di Sofia, ma nulla
Ne* liberi d'Apollo immensi regni,
Ove il diletto è prima legge e mille
Mondi il pensiero a suo voler si crea.
Rendi dunque ad Amor l'arco e gli strali, ioo
Rendi a Venere il cinto; ed essa il ceda
A te, divina Antonietta, a cui
(Meglio che a Giuno nel meonio canto)
Altra volta l'avea già conceduto
Quando novella Venere di tua 195
Folgorante beltà nel vago aprile
D'amor l'alme rapisti, e mancò poco
Che lungo il mar di Giano a te devoti
Non fumassero altari e sacrifìci.
Tu donna di virtù, che all'alto core 200
Fai pari andar la gentilezza e sei
Dolce pensiero delle Muse, adopra
Tu quel magico cinto a porre in fuga
Le danzanti al lunar pallido raggio
Maliarde del norte. Ed or che brilla 203
Nel tuo larario d'Imeneo la face,
Di Citerea le veci adempi, e desta
Ne' talami del figlio, allo splendore
Di quelle tede, gl'innocenti balli
Delle Grazie mai sempre a te compagne. 210
183. Da dive intelligenze : Dagli angeli, che, secondo Dante, muovono i cieli.
185. Dante chiamò il centro della terra il punto « al qual si traggon di
ogni parte i pesi ». S'accenna alla legge della gravitazione universale.
186. Di Sofia : Della scienza.
1SU. « Il poeta ha ragione di sostenere che la poesia deve essere rap-
presentata sotto imagini sensibili, ma erra affermando che queste possono
essere somministrate dalia mitologia soltanto, e che la poesia sia ribelle
alla verità scien tinca » (Mestica).
103. A Giuno nel meonio canto: Nell'Iliade (il meonio canto, v. la n. 122
a p. 62) Giunone, per vincere con le lusinghe l'animo di Giove, ottiene da
Venere il cinto che racchiude tutte le dolcezze e gli artifizi d'amore. Cfr.
anche la descrizione del cinto d'Armida che é nella Oer. Lib. del Tasso,
xvi, 21.
litè. Il mar di Giano: Il mar ligure, detto di Giano da Genova che si cre-
deva fondata da Giano.
200. Donna di virtù: Dante, Inf. n, 76, cosi chiama Beatrice.
205. Maliarde del norte : Le paurose streghe dei poeti romantici stranieri.
206. Larario : Era il tempietto ove eran riposti ì piccioletti dei Lari pro-
tettori della casa.
2D9. Di quelle tede: Delle faci nuziali.
PARTE III.
POEMETTI
In morte di Ugo Bassville
CANTICA
\J
Questo poemetto storico, che é senza dubbio V opera del M. più univer-
salmente nota e più ammirata, trae argomento da un luttuoso fatto avve-
nuto in Roma il 13 gennaio del 1793. Nicola Giuseppe Ilugou di Bassville,
nato in Abbeville nella Piccardia inferiore il 7 febbraio 1753 , studioso di
lettere e scrittore di varie opere in prosa e in versi, andato come isti-
tutore in Olanda, nel Belgio, in Germania e in Svizzera, ardente propu-
gnatore della monarchia agi inizi della rivoluzione e divenuto più tardi
non meno ardente repubblicano (come a non pochi accadde in quella tu-
multuosa età), travolto dalle vicende di questa sua vita fortunosa, era ve
nuto nell'estate del 1792 a Napoli segretario della legazione francese. Di là
di sua iniziativa andò a Roma, per farvi attiva propaganda repubblicana, e
si presentò insieme col vicemaggìore di vascello Carlo La Flotte al card.
Francesco Saverio Zelada, segretario di Stato, con una lettera del ministro
di Francia a Napoli, Makau, imponendogli di sostituire su gli editìzi fran-
cesi in Roma gli stemmi repubblicani a quelli regi. Ad un rifiuto del car-
dinale essi risposero con minacce e il giorno dopo ardirono in una città
di sentimenti antirivoluzionarii e, come egli stesso ebbe a dire e a scrivere
inèlevable, uscire in carrozza sul corso con un nastro tricolore sui cap-
pelli. La folla, inferocita li inseguì, il Bassville tentò di sfuggire all'ira di
quelli animi esasperati, riparando nella casa del banchiere Stefano Moutte,
*4n via Frattina, ma, assalita la casa, vi fu ucciso con un colpo di pugnale
' nel ventre.
Attinse il concetto fondamentale di questo suo poemetto dalla Mes-
siade del Klopstock , dove appunto é rappresentata 1* ombra di Giuda
che i demoni guidano a contemplare i luoghi ove si compie il suo tradi-
mento, poi da lungi le fanno vedere la beatitudine celeste e infine la spro-
fondono nell'abisso infernale. I primi due canti furono pubblicati nel mag-
gio del 1793, il terzo nel giugno, il quarto nell'agosto. Più tardi, cambiate
interamente le sue idee politiche, sconfessò questo suo poemetto repub-
blir.ano, arrivando perfino a chiamarlo, nella lettera a Francesco Saitì, « una
miserabile rapsodia ». Gir. l'Introduzione. Il 16 ottobre 1797 la Bassvil-
liana fu bruciata sulla piazza dei Mercanti per ordine del circolo della
Istruzione pubblica e si cantò: « Empio cantor, che i palpiti D'irrequieto
affanno Sei condannato a molcere Al sordido tiranno ».
CANTO PRIMO.
Contenuto. In questo primo canto il p. immagina che la divina giustizia
conceda all'anima di Bassville il suo perdono, a condizione che per ammenda
88 PARTE III.
vada a contemplare gl'infiniti' mali che la rivoluzione andava seminando in
Francia. Un angelo l'accompagna. Vedono sul tempio di S. Pietro un che
rubino che lo difende e a lui s' inchinano. Vanno a Marsiglia , dove con
orrore vedono un* empia scena di un carnefice ucciso perchè si era rifiu-
tato di decapitare Cristo sulla croce. Vanno poi a visitare altre regioni
della Francia e per tutto trovano lutto e nefandezze. Freme l' anima di Ugo ;
Ha l'angelo gii dice che più tremendi spettacoli dovrà ancora vedere.
Già vinta dell'inferno era la pugna,
E lo spirto d'abisso si partìa
Vota stringendo la terribil ugna.
Come lion per fame egli ruggia
Bestemmiando l'Eterno, e le commosse 5
Idre del capo sibilar per via.
Allor timide l'ali aperse e scosse
L'anima d'Ugo alla seconda vita
Fuor delle membra del suo sangue rosse;
E la mortai prigione ond'era uscita 10
Subito indietro a riguardar si volse
Tutta ancor sospettosa e sbigottita.
Ma dolce con un riso la raccolse
E confortolla l'angelo beato
Che contro Dite a conquistarla tolse. 15
E, Salve, disse, spirto fortunato,
Salve, sorella del bel numer una,
Cui rimesso è dal cielo ogni peccato.
Non paventar: tu non berai la bruna
Onda d'Averno, da cui volta è in fuga 20
1. La pugna: Fra un angelo e un demonio che immagina il p. si siano
prima disputati il possesso deU'anima di Ugo.
2. E lo spirto: Il demonio: Questa lotta fra l'angelo e il demonio per
il possesso d'un' anima é frequente nelle leggende medievali ed é materia
di versi bellissimi in Dante, Inf. xxvn, 112-129 e Purg. v, 103-129.
4. Come lion ecc.: Ariosto, Ori. Fur. xviii, 178: « Come impasto leone
. . . Che lunga fame abbia smacrato e asciutto », versi che risalgono a Vir
gilio, Aen. ix, 339: « Impastus ceu piena leo per ovilia turbans (Suadet
enim vaesana fames) manditque trahitque Molle pecus ... ».
5. E le commosse : « Tot Erynnis sibilat hydris » disse Virgilio [Aen. vii,
447] da cui sembra che il nostro poeta abbia preso il sibilo dei serpenti che
attribuisce al demonio in luogo ai crini, nel modo appunto che si dipin-
gono le Furie. Il movimento di queste serpi non é che la poetica espres-
sione dello sdegno di Satana nel vedersi tolta la preda, ed e imitazione di
Ovidio, che nel quarto delle Metam. [v. 491] cosi descrisse il moversi di
Tisifone : « . . . motae sonuere colubrae : Parsque iacent humeris, pars cir-
cum tempora lapsae Sibila dant, saniemque vomunt, linguasque coru-
scant ». (Mt.).
10. Mortai prigione: Il corpo che il Petrarca chiama in parecchi luoghi
ora terreno carcere, ora bella prigione, or&prigionc e il Varano, vis. vili :
« Usci dal career suo l'anima mia ».
11. Subito ecc.: Dante, Inf. 1, 22: « E come quei, che con lena affannata
Uscito fuor del pelago alla riva, si volge all'acqua perigliosa e guata. »
15. Dite: V. alla p. 20 la n. 41.
— Tolse: Si assunse.
17. Del bel numer una: Una delle anime beate. Petrarca, P. ii, canz. vili,
14 : « Vergine saggia, e del bel numer una ».
IN MORTE DI UGO BASSVILLE. 89
Tutta speranza di miglior fortuna.
Ma la giustizia di lassù, che fruga
Severa e in un pietosa in suo diritto,
Ogni labe dell'alma ed ogni ruga,
Nel suo registro adamantino ha scritto, 25
Che all'amplesso di Dio non salirai
Finché non sia di Francia ulto il delitto.
Le piaghe intanto e gl'infiniti guai,
Di che fosti gran parte, or per emenda
Piangendo in terra e contemplando andrai. 30
E supplicio ti fia la vista orrenda
Dell'empia patria tua la cui lordura
Par che del puzzo i firmamenti offenda;
Sì che l'alta vendetta è già matura,
Che fa dolce di Dio nel suo segreto 85
L'ira oad'ò colma la fatai misura.
Cosi parlava; e riverente e cheto
Abbassò l'altro le pupille, e disse:
Giusto e mite, o Signor, è il tuo decreto.
Poscia l'ultimo sguardo al corpo affisse 40
Già suo consorte in vita, a cui le vene
Sdegno di zelo e di ragion trafisse ;
Dormi in pace, dicendo, di mie pene
Caro compagno, infin che del gran die
L'orrido squillo a risvegliar ti viene. 15
21. Tutta speranza: Non andrai all'inferno, ove, come dice Dante, Inf, in,
9, si deve lasciare ogni speranza.
22. Fruga: Questo verbo può avere il doppio significato di castigare e di
stimolare: Dante, Inf. xxx , 70: « La rigida giustizia che mi fruga » e
Purg. ni, 3: « Rivolti al monte, ove ragion ne fruga ».
24. Tabe . . . ruga : Tabe vale macchia (lat.) : e non habentem maculanti
neque rugam », dice S. Paolo, e r Ariosto, Ori. Fur. xn, S2, dice che la
Virtù va attorno collo specchio, « Che fa veder nell'anima ogni ruga ».
25. Adamantino: Immutabile. V. la n. 124 a p. 75.
27. Ulto: Vendicato (lat).
29. Di che fosti ecc. : « Knea, raccontando i mali delia sua patria, disse,
Quorum pars magna fui |i«;n. n, 6'; e aveva ben ragione di dirlo. Ma che
ha egli fatto questo Bassv. per meritare l'onore di uri detto cosi magnifico 1
perché ingrandirlo a spese del vero 1 » (Mt.). Cosi il p. stesso si accorgeva
di questa sproporzione tra la realtà storica e V immagine poetica , diletto
frequente nei poemetti di lui.
33. Par che ecc. : Petrarca, son. Fiamma dal del, li : « Or vivi si, ch'a
Dio ne venga il lezzo ».
35. Che fa dolce ecc. : La quale, nel segreto della mente di Dio, ne placa
l'ira, perché é certo che il peccato sarà punito. È lo stesso concetto che ó
in questi versi di Dante, Purg. xx, 94 : « O Signor mio, quando sarò io lieto
A veder la vendetta, che nascosa Fa dolce l'ira tua nel tuo segreto? ».
30. Giusto e mite: Come nel Salmo cxviii, 137 :« Giusto se* tu, o Signore,
e retti sono i tuoi giudizi ».
40. Poscia l'ultimo ecc. in modo consimile il Varano, Vis. v, 513 fa da
un'anima guardare e salutare il corpo : « Die un guardo e dir addio parve
al suo frale ».
41. Gran die: Il giorno dei giudizio universale, cosi lo chiama anche
Dante, Purg. i, 75: « La veste che *1 gran di sarà si chiara ».
90 PARTE UL
Lieve intanto la terra e dolci e pie
Ti sian l'aure e le piogge, e a te non dica
Parole il passeggier scortesi e rie.
Oltre il rogo non vive ira nemica,
E nell'ospite suolo, ov'io ti lasso, 50
Giuste son l'alme, e la pietade è antica.
Torse, ciò detto, sospirando il passo
Quella mest'ombra, e alla sua scorta dietro
Con volto s'avviò pensoso e basso;
Di ritroso fanciul tenendo il metro, &>
Quando la madre a' suoi trastulli il fura,
Che il pie va lento innanzi e l'occhio indietro.
Già di sua veste rugiadosa e scura
Copria la notte il mondo, allor che di ero
Quei duo le spalle alle romulee mura. oc
E nel levarsi a volo ecco di Piero
Suir altissimo tempio alla ior vista
Un cherubino minaccioso e fiero;
Un di quei sette che in argentea lista
Mirò fra i sette candelabri ardenti G5
Il rapito di Patmo evangelista.
Rote di fiamme gli occhi rilucenti
E cometa che morbi e sangue adduce
Parean le chiome abbandonate ai venti.
Di lugubre vermiglia orrida luce 70
46. Lieve intanto ecc. : Antica classica deprecazione : Sit Ubi terra lcvis,
che soleva scriversi sui sepolcri colle iniziali S. T. T. L. Cfr. PaPvIni, iva*
Vinci. Nice, 119 : « Attenderò che dicami Vale passando e ti sia lieve il suol ».
49. Rogo: Gli antichi cremavano i cadaveri sul rogo: qui vale morte.
50. Nell'ospite suolo: a Roma.
51. E basso: Chi va pensando tiene il volto basso, cogli occhi cioè volti
a terra.
55. Il metro: Il modo.
57. Che il pie ecc.: Cosi il Petrarca, Trionf. d'Amore iv. 166: «Che *1
pie va innanzi, e l'occhio torna indietro », ripreso anche dal Tasso, Ger.
Lib. iv, 55. Nota anche la naturalezza di questa bella similitudine.
59. Copria ecc.: Virgilio, Aen. 11, 250: Vertitur interea coelum et ruit
oceano nox Involvens umbra magna terramque polumque » e Stazio, Tcb. in:
« Nox subiit . . . nigroque polos irivolvit amictu ».
62. Sull'altissimo ecc.: Sulla sommità del tempio di S. Pietro in Roma.
64. Un di quei ecc. : Apocalisse, i, 12 e sgg. : « Io Giovanni ... mi trovai
nell'isola che si chiama Patmos ... e rivolto che fui, vidi sette candelieri
d'oro, e in mezzo ai sette candelieri uno simile al Figliuolo dell'uomo,
vestito di abito talare, e cinto il petto con fascia d'oro: ed aveva nella de-
stra sette stelle ... le sette stelle sono i sette angeli delle chieso: . . . e i
sette candelieri sono le sette chiese ».
66. Il rapito ecc.: Giovanni evangelista relegato dall'imperatore Domi
ziano nell'isola di Patmo, una delle Sporadi nel mare Egeo. Rapito in estasi
ebbe la visione a cui qui si accenna.
67. Rote ecc. : Apocalisse, i, li: « occhi come fuoco fiammante » e Dante,
Inf. in, 99: « Intorno agli occhi avea di fin ni me rote ».
68. E cometa: Virgilio, Aen. x, 272: « Non secus ac liquida Si quando
nocte cometae sanguinei lugubre rubont ».
IN MORTE DI UGO BASSVILLE. 91
Una spada brandia, che da lontano
Rompea la notte e la rendea più truce;
E scudo sostenea la manca mano
Grande così, che da nemica offesa
Tutto copria colTombra il Vaticano, 75
Come aquila che sotto alla difesa
Di sue grand'ali rassicura i figli
Che non han l'arte delle penne appresa,
E, mentre la bufera entro i covigli
Tremar fa gli altri augei, questi a riposo so
Stansi allo schermo de' materni artigli.
Chinarsi in gentil atto ossequioso
Oltre volando i due minori spirti
Dell'alme chiavi al difensor sdegnoso.
Indi veloci in men che noi so dirti 85
Giunsero dove gemebondo e roco
Il mar si frange tra le sarde sirti.
Ed al raggio di luna incerto e fioco
Vider spezzate antenne, infrante vele,
Del regnator libecchio orrendo gioco, 00
E sbattuti dall'aspra onda crudele
Cadaveri e bandiere; e disperdea
L'ira del vento i gridi e le querele.
Sul lido intanto il dito si mordea
La temeraria Libertà di Francia,
Che il cielo e Tacque disfidar parea. 95
Poi del suo ardire si battea la guancia,
73. E scudo ecc. : Di questo sublime dinamico si ha un esempio in Ombro
II. vii, 268, ove é detto dello scudo d'Aiaee che era cosi grande da parere
« mobile torre ». Nel Tasso, Ger. Lib. vii, 82, lo scudo con cui un angelo
protegge Raimondo é « Grande che può coprir genti e paesi Quanti ve
n'ha fra '1 Caucaso e l'Atlante ». « La poesia ama molto di vestire le idee
astratte d'immagini allegoriche e sensibili ». (Mt.).
76. Com'aquila: Questa similitudine é tolta al Dcuteron. xxx, 11. «Allude
all'imperturbabile tranquillità delia Chiesa romana nei tempo che altrove
si tremava tanto al rumore delle armi francesi ». (Mt.).
83. Minori : Intendi del cherubino : essi fanno atto d'ossequio al difensore
dell'autorità pontificia (ai cherubino).
87. Sarde sirti: Le coste della Sardegna. Anche cjui col suoao delle si-
bilanti si cerca /l'imitare il rumore dell'onde che si frangono sul lido ; ma
ciò sente d'artif/zio.
90. Del regnator ecc.: « Anche I'Ariosto (xix, 51] disse: «E sol del mar
tiran libecchio resta ». Il che vale lo stesso che regnatore , per denotare
il predominio di questo vento sopra quel mare ». (Mt.).
93. I gridi e le querele : La Francia, prevedendo una guerra vicina colla
Spagna e coli' Inghilterra , aveva ordinato una spedizione contro la Sarde-
§na ; ma la fiotta, comandata dall'ammiraglio Truguet, tentò invano per
uè volte al principio del 1793 di prendere Cagliari, e , sempre costretta a
partire da furiose tempeste, ebbe a subire gravi perdite e dovette ripa-
rarsi a Tolone.
97. SI battea ecc. : Si pentiva dolorosamente d' aver tanto osato contro
l'Inghilterra. Battersi la guancia è frase efficace per significare disperata
pentimento, clic usò anche I'Ariosto, Ori. Fur. i, 6: « battersi ancor de*
92 PARTE IIL
Venir mirando la rivai Brettagna
A fulminarle dritta al cor la lancia.
E dal silenzio suo scossa la Spagna 100
Tirar la spada anch'essa e la vendetta
Accelerar d'Italia e di Lamagna:
Mentre il Tirren che la gran preda aspetta
Già mormora e si duol che la sua spuma
Ancor non va di franco sangue infetta, 105
E Tira nelle sponde invan consuma,
Di Nizza inulto rimirando il lutto
Ed Oneglia che ancor combatte e fuma.
Allor che vide la ruina e il brutto
Oltraggio la francese anima schiva, 110
Non tenne il ciglio per pietade asciutto;
E il suo fido condottier seguiva
Vergognando e tacendo, infin che sopra
Kur di Marsiglia alla spietata riva.
Di ferità, di rabbia orribil opra 115
Ei vider quivi, e Libertà che stolta
In Dio medesmo l'empie mani adopra.
Videro, ahi vista !, in mezzo della folta
Starsi una croce col divin suo peso
I e temmiato e deriso un'altra volta, 120
E a pie del legno redentor disteso
Uom coperto di sangue tuttoquanto,
folle ardir la guancia ». Dante con frase non meno pittorica disse: « bat-
tersi Tanca» e il Poliziano, personificando il Furore, fa che « si batta la
coscia ».
102. Lamagna: Aferesi di Alemagna; ma qui sta per l'Austria.
103. La gran preda: La flotta francese che dovrà distruggere.
107. Di Nizza il lutto: Il generale Anselmo nel 1792, aiutato dalla flotta
dell* ammiraglio Truguet, aveva assalito e conquistato Nizza e il suo
contado.
108. Ed Oneglia: Nello stesso anno queir ammiraglio bombardò Oneglia
sulla riviera ligure di ponente : « L'armata francese . . . cominciò a trarre
furiosamente contro la città. Quando poi per il fracasso, per la rovina, per
le ferite e per le morti l'ammiraglio credè che lo sgomento avesse fatto
fuggire i difensori , sbarcò le genti che aveva a bordo , le quali , unite ai
marinari, s'impadronirono della città, e la posero miserabilmente a sangue,
a sacco, ed a nioco ». (Botta, v, lib. 11, p. 54).
111. Schiva: Sdegnosa, non, come vuole il Bertoldi, « pudica ». Schiva
per sdegnosa è nel Tasso, Ger. Lib. x , 30: « Non sdegnar, gli rispondo,
anima schiva » : se ne ha esempio anche nel Petrarca.
113. Vergognando: V. la n. 13 a p. 8.
115. Di ferità : « Tra le molte scelleraggini nella Francia commesse prima
della morte di Bassvilie. quella per private lettere e pubblici avvisi fu di-
a tanta empietà, fosse da loro barbaramente trucidato » (M .).
— Folta: Folla, sostantivamente.
110. Col dlvin ecc.: Con Gesù Cristo.
120. Bestemmiato e deriso: Daxtk, Purg. xx, 88:* Vegfriolo (Cristo) un'al
tra volta esser deriso ... E tra nu »vi ladroni esser anciso ».
IN MORTE DI UGO BASSVILLE. 93
Da cento punte in cento parti offeso.
Ruppe a tal vista in un più largo pianto
L'eterea pellegrina; ed una vaga ito
Ombra cortese le si trasse a canto.
Oh tu cui sì gran doglia il ciglio allaga,
Pietosa anima, disse, che qui giunta
Se* dove di virtude il fio si paga.
Sostati e m'odi. In quella spoglia emunta 130
D'alma e di sangue (e l'accennò), per cui
Sì dolce in petto la pietà ti spunta,
Albergo io m'ebbi: manigoldo fui
E peccator, ma l'infinito amore
Di quei mi valse che morì per nui. 133
Perocché dal costoro empio furore
A gittar strascinato (ahi ! parlo taccio ?)
De' ribaldi il capestro al mio Signore,
Di man mi cadde l'esecrato laccio,
E rizzarsi le chiome, e via per l'ossa ho
Correr m'intesi e per le gote il ghiaccio.
Di crudi colpi allor rotta e percossa
Mi sentii la persona, e quella croce
Fei del mio sangue anch'io fumante e rossa;
Mentre a lui che quaggiù manda veloce us
Al par de' sospir nostri il suo perdono
Il mio cor si volgea più che la voce.
Quind'ei m'accolse Iddio clemente e buono.
Quindi un desir mi valse il paradiso,
Quindi beata eternamente io sono. 150
Mentre l'un si parlò, l'altro in lui fiso
Tenea lo sguardo, e sì piangea, che un velo
Le lagrime gli fean per tutto il viso;
Simigliante ad un fior che in su lo stelo
Di rugiada si copre in pria che il sole 155
Co' raggi il venga a colorar dal cielo.
Poi, gli amplessi mescendo e le parole,
De' propri casi il satisfece anch'esso,
130. Spoglia emunta: Il corpo privo della vita. Emunto di lena disse
Dante, zmunto di vigore, d'orgoglio, d'amore disse l'Ariosto.
137. Ahi parlo ecc.1 : Virgilio, Aeri. 111, 39: « Eloquar an sileamt 0.
140. E rizzarsi ecc. : Virgilio, 18: «ste te runtque comae » e iv, 280: « ar-
rectaeque horrore comae ».
— E via per l'ossa ecc. : Virgilio, Aen. 11, 120 : « gelidusque per ima cu-
currit Ossa treraor ».
142. Rotta e percossa ecc.: Dante, Purg. Ili, 118 : « Poscia ch'io ebbi rotta
la persona ».
151. Mentre l'un ecc. : Dante, Inf. v, 139: « Mentre che l'uno spirto que-
sto disse L'altro piangeva si ... ».
158. Anch'esso: Ugo Bassville.
94 PARTE III.
Siccome fra cortesi alme si suole.
E questi, e l'altro, e il cherubino appresso, igo
Adorando la croce e nella polve
In devoto cadendo atto sommesso,
Di Dio cantaro la bontà che solve
Le rupi in fonte ed ha sì larghe braccia
Ohe tutto prende ciò che a lei si voi ve. 165
Sollecitando poscia la sua traccia
L'alato duca, l'ombre benedette
Si disser vale e si baciaro in faccia.
Ed una si rimase alle vedette,
Ad aspettar che su la rea Marsiglia ito
Sfreni l'arco di Dio le sue saette.
Sovra il Rodano l'altra il voi ripiglia,
E via trapassa d'Avignon la valle
Già di sangue ci vii fatta vermiglia;
D'Avignon che, smarriti il miglior calle, 175
Alla pastura intemerata e fresca
Dell'ovile roman volse le spalle,
Per gir co' ciacchi di Parigi in tresca
A cibarsi di ghiande, onde la Senna,
Novella Circe, gli amatori adesca. iso
Lasciò Garonna addietro, e di Gebenna
Le cave rupi e la pianura immonda
Che ancor la strage camisarda accenna.
Lasciò l'irresoluta e stupid'onda
160. E l'altro: Il carnefice.
103. Solve le rupi ecc.: Allude al miracolo delle acque che al toccar della
verga di Mosé scaturirono dalla rupe del monte Horeb, miracolo che é
simbolo dell'infinito potere della grazia divina suir animo del peccatore.
Solve; Scioglie (lat.).
163. Ciò che ecc.: Dante, Purg. in , 122: « Ma la bontà infinita ha si
gran braccia, Che prende ciò , che si rivolge a lei »,
166. Traccia: Cammino, cosi in Dante, Par. vili, 148 :« Onde la traccia
vostra é fuor di strada », e nel Foscolo, A Luigia Pallavicini, 60, parlando
d'un cavallo: « Zampa che caccia Polve e sassi in sua traccia ».
169. Ed una: L'anima del carnefice.
171. Sfreni: scocchi.
174. Fatta vermiglia: Il territorio d'Avignone, dopo fiere contese fra i
>ppiata
gnata da terribile strage.
175. Il miglior calle: La via del bene sotto il dominio ecclesiastico.
17S. Ciacchi: Porci, cosi designa i rivoluzionari parigini.
180. Novella Circe: Parigi (la Senna) adesca con lusinghe i suoi amatori,
facendoli divenire porci, come già Circe fece tramutando in porci i suoi
amanti.
183. La strage camisardi: I Camisardi, specie di calvinisti, fra lo Qéven-
nes (Le cave rupi di Gebenna) e la Garonna, cioè nella Linguadoca infe-
riore, al principio del sec. xvin infierirono crudelmente contro i catto-
lici, ma p >i furono interamente disfatti dal maresciallo di Villars nel 1703.
IN MORTE DI UGO BASSVILLE. 95
D' Arari a dritta, e Ligeri a mancina, 185
Disdegnoso del ponte e della sponda.
Indi varca la falda tigurina,
A cni fé' Giulio dell'augel di Giove
Sentir la prima il morso e la rapina.
Poi Niverno trascorre, ed oltre move ìoo
Fino alla riva u* d'Arco la donzella
Fé* contra gli Angli le famose prove.
Di là ripiega inverso la Rocella
Il remeggio dell'ali, e tutto mira
li suol che Taquitana onda flagella. 105
Quindi ai celtici boschi si rigira
Pieni del canto che il chiomato bardo
Sposava al suon di bellicosa lira.
Traversa Normandia, traversa il tardo
Sbocco di Senna e il lido che si fiede 200
Dal mar britanno infino ai mar piccardo.
Poi si converte ai gioghi onde procede
La Mosa e al piano che la Marna lava,
185. Arari: Cosi i latini; oggi é la Saona, di cui chiama irresoluta e stu-
pida l'onda, perché Giulio Cksark {De Bello Gali. 1, cap. 3) la disse scor-
rente « incredibili lenitate ».
— Ligeri: Il Liger dei latini, oggi Loira.
156. Disdegnoso ecc. : Virgilio, Aen. vili , 728: « pontem indignntus
Araxes ».
157. La falda tigurina: Pagus tigurinus chiama Cksare nel De D. G. 1,
12 il luogo dove disfece l'esercito degli Elvezi. « Il poeta nostro adunque,
ragionevolmente supponendo che fosse l'Arar! medesimo il lermine di quel,
territorio, appella il campo di battaglia falda tigurina, che é quanto dire
lembo, estremità del tigurino distretto ». (Mt.).
158. L'augel ecc. : L'aquila che era sulle insegne dell'esercito romano e
che anche Virgilio, Aen. 1, 394 chiama: « Iovis àles ».
189. Il morso: Questa metafora é frequente nei poeti. Valga questo es.
di Dantk, Par. vi, 94: « E quando il dente longo Dardo morse La santa
Chiesa ».
190. Niverno: Lat. Nivernum, 0£gi Nivers.
191 . D'Arco ecc. Dove Giovanna d'Are nel 1 120 liberò Orleans dall'assedio
degl'Inglesi e fece incoronare re di Francia Carlo VII.
193. La Rocella: È citta con porto sull'Atlantico.
194. Il remeggio dell'ali: Frase virgiliana, Aen. 1, 300: « Volat ille per
aera magnum Remigio alarum ».
196. Il suol ecc. : Tutta la Francia occidentale fra la Brettagna e la Di-
scaglia, quella parte della Francia che é bagnata dal golfo che i latini dis
sero Sinus aquxtanicus.
197. Il chiomato bardo: Bardi si dissero i cantori presso gli antichi po-
poli celti. Essi eccitavano al valore , cantando le gesta degli eroi e perciò
dice « bellicosa » la lira a cui sposavano i loro canti. « L'epiteto poi di
chiomato é proprio di loro per due ragioni , e perché abitavano quella
parte della Gallia , che appellavasi cornata e perchè , scrive Burmanno ,
praecipue alebant comam ». (Mt.).
199. Il tardo ecc. : La foce della Senna all' Havre , per la quale questo
fiume lentamente entra nel mare.
200. E il lido : La costa settentrionale della Francia dalla Manica al mar
del Nord, che é battuta {si fiede, si ferisce) dall'onde del mare.
202. Si converte ecc. : Si volge ai monti Faueilles, da cui nasce la Mosa.
203. Al piano ecc. : Alla Sciampagna attraversata dalla Marna.
96 PARTE III.
E orror per tutto, e sangue e pianto "vede.
Libera vede andar la colpa, e schiava 205
La virtù, la giustizia, e sue bilancie
In man del ladro e di vii ciurma prava,
A cui le membra grave-olenti e rance v
Traspaiono da' sai sdruciti e sozzi,
Nò fur mai tinte per pudor le guance. 210
Vede luride forche e capi mozzi,
Vede piene le piazze e le contrade
Di fiamme, d'ululati e di singhiozzi.
Vede in preda al furor d'ingorde spade
Le caste chiese, e Cristo in sacramento 215
Fuggir ramingo per deserte strade,
E i sacri bronzi in flebile lamento
Giù calar dalle torri e liquefarsi
In rie bocche di morte e di spavento.
Squallide vede le campagne ed arsi 220
I pingui cólti, e le falci e le stive
In duri stocchi e in lance trasmutarsi.
Odi frattanto risonar le rive
Non di giocondi pastorali accenti,
Non d'avene, di zuffoli e di pive, 225
Ma di tamburi e trombe e di tormenti:
E il barbaro soldato al villanello
Le méssi invola e i lagrimati armenti.
E invan si batte l'anca il meschinello,
Invan si straccia il crin disperso e bianco 230
In su la soglia del deserto ostello:
Che non pago d'avergli il ladron franco
Rotta del caro pecoril la sbarra,
208. Grave - olenti : Puzzolenti: « Vocabolo latino, fratello del bene olenti ,
che con tanta grazia adoperò I'Ariosto in quel verso « Sparge per l'aria i
bene olenti spirti ». (Mt ).
213. D'ululati ec •. : Non giusta mi pare la censura che a questo verso
mosse Giovanni Della Valle nel suo commento al presente poemetto: « Gli
ululati e i singhiozzi non si vedono, ma si odono, si sentono ». AUo stesso
modo si dovrebbe trovare errato il verso dantesco: « Parlare e lagriniar
vedraimi insieme » ? che ognuno sa doversi intendere , come qui il v. del
Monti, per figura di zeugma.
21S. Liquefarsi ecc.: Fondersi in cannoni.
221. Colti: Campi coltivati.
— Stive: Manichi dell'aratro, qui per tutto le pai\i dell'aratro fatte
di ferro.
222. Trasmutarsi: Virgilio, Georg. 1, 508: « Et curvae rigidum falces con-
flantur in ensem ».
226. Tormenti: In lat. vale macchine da guerra, qui cannoni.
228. Lagrimati :« Perchè ad allevarli costan fatiche e sacrifizi ». (Bertoldi)»
229. Si batte ecc. : V. alla p. 91 la n. 97.
231. Deserto ostello: L'abituro vuoto, perché il ladron franco ha rapito
al pastore i figliuoli per la coscrizione militare.
IN MORTE DI UGO BASSVILLE. 07
I figli, i figli strappagli dal fianco;
E del pungolo invece e della marra 235
D'armi li cinge dispietate e strane,
E la ronca converte in scimitarra.
All'orbo padre intanto ahi ! non rimane
Chi la cadente vita gli sostegna,
Chi sovra il desco gli divida il pane. 210
Quindi lasso la luce egli disdegna,
E brancolando per dolor già cieco
Si querela che morte ancor non vegna;
Nò pietà di lui sente altri che l'eco,
Che cupa ne ripete e lamentosa zio
Le querimonie dall'opposto speco.
Fremè d'orror, di doglia generosa
Allo spettacol fero e miserando
La conversa d'Ugon alma sdegnosa,
E si fé' dei color ch'il cielo è quando 250
Le nubi immote e rubiconde a sera
Par che piangano il dì che va mancando.
' E tutta pinta di rossor com'era
Parlar, dolersi, dimandar volea,
Ma non usciva la parola intera; 255
Che la piena del cor lo contendea;
E tutta volta il suo diverso affetto
Palesemente col tacer dicea.
Ma la scorta fedeì, che dall'aspetto
Del pensier s'avvisò, dolce alla sua 260
Dolorosa seguace ebbe sì detto:
Sospendi il tuo terror, frena la tua
Indignata pietà, che ancor non hai
Nell'immenso suo mar volta la prua.
S'or sì forte ti duoli, oh ! che farai, 205
Quando l'orrido palco e la bipenne . . .
210. fili divide, ecc. Geremia, iv, 4 : « Nec erat qui frangeret eis panem ».
242. E brancolando: Dante, Inf. xxxiii, 72: « ond'io mi diedi Già cieco
a brancolar sovra ciascuno ».
245. Che cupa: Ariosto, Ori. Fur. xxvn, 117: « Ecco perla pietà che gli
n'avea Da' cavi sassi rispondea sovente », e il Parini, nel Giorno dice della
Vergine Cuccia : « . . . aita, aita Parea dicesse, e dall'aurate volte A lei l'im-
pietosita Eco rispose ». Con paròle simili anche nella Feron. i, 469.
250. E si fé' del color ecc. : Dante, Par ad. xxvn, 28 : « Di quel color, che
per lo sole avverso, Nube dipinge da sera e da mane ».
252. Par che piangano ecc. : Reminiscenza dantesca (Purg. vili, 6): « Che
paia il giorno pianger che si muore ».
257. lì suo diverso affetto : I suoi vari sentimenti.
255. La parola intera : In modo consimile già Virgilio, Aen. n, 790 :
« Lacrimantem et multa volente m Dicere deseruit ».
266. La bipenne : Scure a due tagli: la ghigliottina.
Monti. — Poesie. 7
03 PARTE III.
Quando il colpo fatai . . . , quando vedrai ? . . .
E non finì; che tal gli sopravvenne
Per le membra immortali un brividio,
Che a quel truce pensier troncò le penne; 270
Sì che la voce in un sospir morio.
CANTO SECONDO
Contenuto. — L'angelo ed il Bassville arrivano a Parigi la mattina del
21 gennaio. Tutto vi ò silenzio e squallore: le ombre de' Druidi vengono a
sbramare il loro feroce desio di sangue nello spettacolo del maggiore dei
delitti e stimolano i loro nipoti alla morte del re di Francia, il buono e
infelice Luigi xvi. Iddio libra LI fato della rea Parigi e il regicidio fa dalla
sua parte traboccar la bilancia. Il re é tratto al supplizio e le ombre di
quattro feroci regicidi lo spingano sotto la mannaia. La terra trema a si
grande delitto, solo i Francesi ne sono lieti. L'anima del re ucciso sale al
cielo ; ove le vanno incontro V anime dei beati che furono difensori deUa
religione e del trono , e fra l' altre l' anima del Bassville le si fa innanzi
piangendo. 11 re le domanda chi sia e perchè pianga.
Alle tronche parole, all'improvviso
Dolor che di pietà l'angel dipinse,
Tremò quell'ombra e si fé' smorta in viso;
E sull'orme così si risospinse
Del suo buon duca che davanti andava 5
Pien del crudo pensier che tutto il vinse.
Senza far motto il passo accelerava,
E l'aria intorno tenebrosa e mesta
Del suo volto la doglia accompagnava.
Non stormiva una fronda alla foresta, io
E sol s'udia tra' sassi il rio lagnarsi
Siccome all'appressar della tempesta.
Ed ecco manifeste ai guardo farsi
267. Quando vedrai : « Reticenze che preparano l' animo all' orribile ar-
gomento del secondo canto ». (Mt.).
270. Troncò le penne: Personifica il pensiero, come fa spesso Dante, ad
es. nel Piirg. ix, 9. Cosi il Nostro personificò la vista nel son. Sopra sé
stesso, 4 dicendo : « il valor visivo Già piega Tali alla sua sera addutto ».
2. Dipinse : Questo efficace verbo usa spesso Dante per significare un
improvviso mutarsi di colore sul volto per effetto d'un forte senso di pietà
o ai vergogna: Inf. xxiv, 132: « E di tanta vergogna si dipinse », e Inf. iv,
20 : « 1/ angoscia delle genti Che son quaggiù nel viso mi dipigne Quella
pietà che tu per tema senti ».
6. Il vinse : Virgilio, Aen. iv, 474 ha « evicta dolore » e Dante, Inf. ni,
33 « E che gent'é, che par nel duol si vinta 1».
7. Senta far motto : « Un gran dolore é sempre senza parole : Il silenzio
di quest'angelo che addolorato cammina dinanzi all'ombra senza far motto
rassomiglia molto a quello degli angeli di Milton, che dopo il fallo di Adamo
abbandonano la guardia del paradiso terrestre, e tornano in cielo taciturni
ìa nel-
mare
e il gorgogliare de'" torrenti e delle fonti : « Pare che in queir universale
quiete delle cose la natura mediti il suo dolore , che poi scoppia più vio-
lento » (Mt.)-
IN MORTE DI UGO BASS VILLE. 99
Da lontano le torri, ecco l'orrenda
Babilonia francese approssimarsi. 15
Or qui vigor la fantasia riprenda
E Tira e la pietà mi sian la Musa
Ohe all'alto e fiero mio concetto ascenda.
Curva la fronte e tutta in sé racchiusa 20
La taciturna coppia oltre cammina;
E giunge alfine alla città confusa^
Alla colma di vizi atra senTTna,
A Parigi, che tardi e mai si pente
Della sovrana plebe cittadina.
Sul primo entrar della città dolente 25
Stanno il Pianto, le Cure e la Follia
Che salta e nulla vede e nulla sente.
Evvi il turpe Bisogno e la restia
Inerzia colle man sotto le ascelle,
L'una all'altra appoggiati in sulla via. 30
Evvi l'arbitra Fame, a cui la pelle
Informasi dall'ossa e i lerci denti
Fanno orribile siepe alle mascelle.
Vi son le rubiconde Ire furenti,
E la Discordia pazza il capo avvolta 35
Di lacerate bende e di serpenti.
Vi son gli orbi Desiri, e della stolta
Ciurmaglia i Sogni e le Paure smorte
Sempre il crin rabbuffate e sempre in volta.
Veglia custode delle meste porte io
15. Babilonia francese : Parigi , che il p. chiama la Babilonia francese
dall'antichissima città della Meso pò tamia, che nella Bibbia ci appare come
una vera sentina d' ogni vizio. Si ricordi che il Petrarca chiama avara
Babilonia la Roma dei papi del tempo suo.
16. Riprenda : Dante, Purg. 1, 7 : « Or qui la morta poesia risurga ».
22. Sentina: Dicesi veramente il fondo della nave; ma si usa anche per
ricettacolo di delitti e di vizi.
23. Mal : A suo danno.
25. Sul primo entrar : Seguendo i canoni poetici d'allora, il p. usa frequenti
personificazioni, e talvolta ne abusa. Queste sono ricalcate su Virgilio, Aen.
VI, 273 : « Vestibulum ante ipsum primisque in faucibus Orci Luctuset ultri-
ces posuere cubilia Curae : Pallentesque nabitant Morbi, tristisque Senectus
Et Metus et malesuada Fames, et turpis P:jrestas : Terribiles visu formae :
Letumque, Labosque ; Tum consanguiueus Leti Sopor, et mala mentis Gau-
dia, mortiferumque adverso in limine BeUum, Ferreique Eumenidum tha-
lami, et Discordia demens, Vipereuin crines vittis innexa cruentis ».
30. L'uno all'altro, ecc. : Stanno in atto di disperato abbandono, perché il
bisogno é triste conseguenza dell'ozio.
31. L* arbitra Fame : Padrona dell' uomo che spinge al male. Ricorda il
Parini. che dice del Bisogno :« Oh tiranno signore De' miseri mortali, oh
male, on persuasore Orribile di mali », e Claudiano, In Rufinum 1, 31, che
la chiama « imperiosa fames », e Orazio, Od. 111, xxiv, 42, che dice : « Ma-
gnum pauperies opprobrium iubet Quidvis et facesse et pati ».
32. Informasi dall'ossa: Dante, Purg. xxm, 23: « Pallida nella faccia e
tanto scema Che dall'ossa la pelle s'informava ». È anche nella Bibbia.
39. In volta: In movimento.
100 PARTE III.
E le chiude a suo senno e le disserra
L'ancella e insieme la rivai di Morte;
La cruda, io dico, furibonda Guerra
Che nel sangue s'abbevera e gavazza
E sol del nome fa tremar la terra. 45
Starile intorno l'Erinni, e le fan piazza
E allacciando le van l'elmo e la^nmgìkr-"
Della gorgiera e della gran corazza;
Mentre un pugnai battuto alla tanaglia
De' fabbri di Oocito in man le caccia, 50
E la sprona e l'incuora alla battaglia.
Un'altra furia di più acerba faccia,
Che in Flegra già del cielo assalse il muro
E armò di Briareo le cento braccia;
E Diagora poscia e d'Epicuro 55
Dettò le carte ed or le franche scuole
Empie di nebbia e di blasfema impuro,
E con sistemi e con orrende fole
Sfida l'Eterno, e il tuono e le saette
Tenta rapirgli e il padiglion del sole. eo
Come vide le facce maledette,
Arretrossi d'Ugon l'ombra turbata,
Che in inferno arrivar la si credette:
E in quel sospetto sospettò cangiata
La sua sentenza, e dimandar volea 65
<i2. Ancella ... e rivai di Morte : La Guerra ben si dice ancella di Morte,
perché valida aiutatrice di lei nelle stragi, e rivale perché fa maggiore uc-
cisione che tutti gli altri mali.
16. Le Erinni : Le Furie.
50. Db' fabbri ecc. : Dei demoni. Il pugnale era stato fabbricato in Inferno.
52. Un'altra furia: L'empietà.
53. Che in Flegra: I giganti, figliuoli della Terra e di Titano, di cui il
più forte era quello che gli dei chiamarono Briareo e i mortali Egeone ,
si ribellarono a Giove, ma furono da lui vinti in Flegra, luogo della Tes-
saglia. Briareo aveva forza straordinaria, 100 braccia e 50 teste, come dice
Virgilio, Aen. x, 565: « Ae^aeon . . . centum cui brachia dicunt Centenas-
que man us, quinquaginta oribus igneis Pectoribus arsisse ».
55. Di Diagora ... ed Epicuro : Diagora di Melo (circa il 450 a C.) negò
l'esistenza di Dio, tanto che fu soprannominato l'Ateo: « perlochè gli Ate-
niesi, inorriditi di queste massime, lo cercarono a morte » (Mt.). Epicuro
(312 270 av. C.) relegava gli dei fuori del mondo in una completa impassi-
bilità e noncuranza delle cose dell'universo, il che equivale a sopprimerli
allatto : « La dottrina di questo filosofo é passata in un pessimo proverbio,
e, risuscitata nei dolci versi di Lucrezio e in tanti libri francesi , é dive
nuta una delle più fatali alla purità della morale evangelica »(Mt.). Cfr.
la fine dell' Invito d'un solitario ad un cittadino.
57. Blasfema : Bestemmia.
60. Il padiglione del sole : Frase biblica, Salmi, xviii, 5 : « ha posto nel
sole il suo padiglione ».
61. Sospetto sospettò : Non bello ; é modellato su infiniti esempi di poeti
di tutti i tempi. Cosi I'Ariosto disse : « Ma fu quell'avvertenza inavvertita »
e Dantk : « Io credo, ch'ei credette ch'io credesse », ripetuto dall'ARiosTO
cosi : lo creclea e credo, e creder credo il vero ».
IN MORTE DI UGO BASS VILLE. 101
Se fra l'alme perdute iva dannata.
Quindi tutta per téma si stringea
Al suo conducitor, che pensieroso
Le triste soglie già varcate avea.
Era il tempo che tolto al procelloso 70
Capro, il sol monta alla troiana stella
Scarso il raggio vibrando e neghittoso,
E compito del dì la nona ancella
L'officio suo, il governo abbandonava
Del timon luminoso alla sorella: 73
Quando chiuso da nube oscura e cava
L'angel coll'ombra inosservato e q ueto
Nella città di tutti i mali entrava.
Ei procedea depresso ed inquieto
Nel portamento, i rai celesti empiendo so
Di largo ad or ad or pianto segreto;
E l'ombra si stupia, quinci vedendo
Lagrimoso il suo duca e possedute
Quindi le strade da silenzio orrendo.
Muto de' bronzi il sacro squillo, e mute 85
L'opre del giorno, e muto lo stridore
Dell'aspre incudi e delle seghe argute:
Sol per tutto un bisbiglio ed un terrore,
Un domandare, un sogguardar sospetto,
Una mestizia che ti piomba al core; 90
67. Quindi tutta ecc. Dante, Inf. ix, 51: « Ch'i 'mi strinsi al poeta per
sospetto » ed anche Purg. vili, 41.
72. Vibrando ecc. : Perifrasi del 21 gennaio 1793 . giorno della decapita-
zione di Luigi xvi, avvenuta sette giorni dopo la morte del Iiassville.
« Quattro sono le circostanze che qui si toccano. La prima é, che in quel
giorno computasi dagli astronomi il passaggio del sole dal segno di Ca-
pricorno a quello d'Aquario : la seconda che, stando il sole sul Capricorno,
ì nostri mari sono, più che in altro tempo, agitati dalle tempeste; la terza
che nella costellazione d'Aquario favoleggiavasi collocato da Giove il ra-
pito troiano Ganimede ; onde troiana stella giustamente vien detta ... La
quarta finalmente si é che, dimorando il sole in questo segno, il clima no
stro é si freddo , che attenendoci alle nostre sensazioni , senza le quali il
criterio poetico sarebbe tradito , il raggio solare è più scarso e pigro> del
solito . . . » (Mt.) Cfr. Dante, Inf. xxiv, 1 : « In quella parte del giovinetto
anno Che il sole i crin sotto l'Aquario tempra, E già le notti a mezzo '1
di sen vanno ».
73. La nona ancella : U supplizio di Luigi xvi avvenne poco dopo le dieci,
ma « il poeta fa che l'angelo coll'ombra entri dentro Parigi poco dopo le
80. I rai celesti: S'intenda gli occhi dell'angelo: raggi per orchi non è
nuovo; ma non par bello il dire che i raggi si empiono di pianto.
S2. Quinci . . . quindi : Da una parte ... e dall'altra.
87. Seghe argute : Stridenti seghe, come già disse Virgilio, Georg. i, 143 :
« Tunc ferri rigor , atque argutae lamina serrae ». Arguto è proprio di
suoni acuti: l'Ariosto lo disse delle trómbe, il Sannazaro delle cicale, il
Caro delle spole e de' telai, il Parini lo disse delle sue commosse reliquie.
102 PARTE III.
E cupe voci di confuso affetto,
Voci di madre pie, che gl'innocenti
Figli si serran trepidando al petto;
Voci di spose, che ai mariti ardenti
Contrastano l'uscita e sulle soglie k»
Fan di lagrime intoppo e di lamenti.
Ma tenerezza e carità di moglie
Vinta è da furia di maggior possanza,
Che dall'amplesso coniugai gli scioglie.
Poiché fera menando oscena danza 100
Scorrean di porta in porta affacendati
Fantasmi di terribile sembianza;
De' Druidi i fantasmi insanguinati,
Che fieramente dalla sete antiqua
Di vittime nefande stimolati, 103
A sbramarsi venian la vista obliqua
Del maggior de' misfatti onde mai possa
La loro superbir semenza iniqua.
Erano in veste d'uman sangue rossa;
Sangue e tabe grondava ogni capello, no
E ne cadea una pioggia ad ogni scossa.
Squassan altri un tizzone, altri un flagello
Di chelidri e di verdi anfesibene,
Altri un nappo di tòsco, altri un coltello.
E con quei serpi percotean le schiene 115
E le fronti mortali, e fean, toccando
03. Trepidando ecc.: « Nessun atto in natura palesa tanto l'amor ma-
terno, siccome questo, e son pochi i poeti, che non siansi occupati di que-
sta delicata pittura » (Mt.). Virgilio, Aen. vii , 518 : « Et trepidae matres
presserò ad pectora natos », Ariosto, Ori. Fur. xxvn, 101 : « Si strinser le
madri i figli al seno ». Anche il M. nel Bardo, 1 dice: « Di Vertinga le
madri e di Gunsburgo si stringean trepidando i figli al seno ».
96. E di lamenti : Cosi nel vi dell'Iliade, ove Andromaca dissuade Ettore
dal tornare alla pugna e nel 11 dell'Eneide, ove simile tentativo fa Creusa
col marito.
07. Carità: Amore (lat.).
103. Druidi : « Adoravano il dio Eso e il Dio Teutate, che erano il Marte
e il Mercurio dei Romani; e le vittime più gradite erano i prigionieri ne-
mici, i cittadini, i fratelli e, qualche volta , le mogli e i figliuòli . . . Con
tutta ragione adunque ne vengono qui introdotti gli spettri a piangere ed
infiammare i non degeneri lor discendenti al maggior de* delitti di cui
potessero contaminarsi » (Mt.).
106. La vista obliqua: Occhio torvo, indizio di ferità d'animo. Orazio,
Ep. 1, xiv, 37: « Obliquo oculo mea commoda limat ».
108. Semenza : I loro discendenti. In tal senso V usò Dante , Inf. x, 94 :
e Deh, se riposi mai vostra semenza ».
109. Erano in veste ecc. : Simile descrizione Virgilio nel vi dell'Aera., 570
fa di Tisifone e delle altre Furie « le quali d'accordo percuotono le anime
de* condannati all'inferno nella guisa che fanno qui i Druidi le teste e le
schiene dei Francesi, onde porli in furore » (Mt.).
113. Chelidri . . . Anfesibene : I Chelidri sono serpenti velenosi che vanno
sempre diritti, le anfesibene sono serpentelli che gli antichi credevano aves-
sero due teste.
1
IN MORTE DI L'GO BASSVILLE. 103
Con gli arsi tizzi, ribollir le vene.
Allora delle case infuriando
Uscian le genti e si fuggia smarrita
Da tutti i petti la pietade in bando. 120
Allor trema la terra oppressa e trita
Da cavalli, da rote e da pedoni;
E ne mormora l'aria sbigottita;
Simile al mugghio di remoti tuoni,
Al notturno del mar roco lamento, 125
Al profondo ruggir degli aquiloni.
Che cor, misero Ugon, che sentimento
Fu allora il tuo, che di morte vedesti
L'atro vessillo volteggiarsi al vento?
E il terribile palco erto scorgesti, 130
Ed alzata la scure, e al gran misfatto
Salir bramosi i manigoldi e presti;
E il tuo buon rege, il re più grande in atto
D'agno innocente fra digiuni lupi,
Sul letto de* ladroni a morir tratto; 135
E fra i silenzi delle turbe cupi
Lui sereno avanzar la fronte e il passo
In vista che spetrar potea le rupi?
Spetrar le rupi e sciorre in pianto un sasso;
Non le galliche tigri. Ahi ! dove spinto ho
L' avete, crude ? Ed ei v'amava ! oh lasso !
Ma piangea il sole di gramaglia cinto,
E stava in forse di voltar le rote
Da questa Tebe che l'antica ha vinto.
121. Allor trema ecc. Virgilio, Aen. xn, 145: « tremit excita tellus ».
— Trita: Calpestata.
127. Che cor, misero ecc. : Cosi Virgilio, Aen. iv, 408: « Quis tibi tunc ,
Dido, cernenti talia sensusl », ripreso dall'ARiosio, Ori. Fur. xxxvi, 7:
« che cor, duca di Sora, che consiglio Fu allora il tuo . . . 1 » e 11 M. stesso
nel Prometeo 11, 837: « Misero Prometeo, che cor, che mente Fu allor la
tua che andar vedesti in nebbia Quelle care sembianza » , e anche nel
Bardo, iv.
130. Il terribile palco : Il palco della ghigliottina.
— Erto : Eretto : Dante, Inf. xxxiv, 13 : « Altre stanno a giacere, altre
stanno erte ».
135. Il letto ecc. : U palco infame ove i ladroni lasciano, diremo col Fo-
scolo, i loro delitti.
136. Sereno ... la fronte e il passo : Accus. di relazione. Rassegnato alla
sua triste sorte e con dignitosa calma Luigi xvi sali il patibolo.
137. In vista ecc. : Con un aspetto che potea commuovere dì pietà per
fino le rupi.
140. Le galliche tigri : I Francesi dai cuori di tigri.
142. Ma piangea ecc. : Cosi nella morte di Giulio Cesare, secondo Virgilio
Georg. 1, 467, il sole « caput obscura nitidum ferrugine texit ». « Sembra
legge tra i poeti ricevuta di non descrivere mai qualche grande ed orri-
bile avvenimento senza il soccorso dei deliqui solari » (Mt.).
141. Ha vinto : La moderna Tebe, Parigi, ha vinto per le sue nefandezze
l'antica, celebre per i delitti de' discendenti di Laio, re di quella città.
104 PARTE III.
Piangevan l'aure per terrore immote, 1*5
E l'anime del cielo cittadine
Scendean col pianto anch'esse in su le gote;
L'anime che costanti e pellegrine
Per la causa di Cristo e di Luigi
Lassù per sangue diventar divine. 150
Il duol di Francia intanto e i gran litigi
Mirava Iddio dall'alto, e giusto e buono
Pesava il fato della rea Parigi.
Sedea sublime sul tremendo trono;
E sulla lance d'or quinci ponea 155
L'alta sua pazienza e il suo perdono,
Dell'iniqua città quindi mettea
Le scelleranze tutte, e nullo ancora
Piegar de' due gran carchi si vedea.
Quando il mortai giudizio e l'ult un'ora ìeo
Dell'augusto infelice alfin v'impose
L'Onnipotente. Cigolando allora
Traboccar le bilance ponderose:
Grave in terra cozzò la mortai sorte,
Balzò l'altra alle sfere, e si nascose. 1G5
In quel punto al feral palco di morte
Giunge Luigi. Ei v'alza il guardo, e viene
Fermo alla scala, imperturbato e forte.
Già vi monta, già il sommo egli ne tiene,
E va sì pien di maestà l'aspetto ito
Ch'ai manigoldi fa tremar le vene.
E già battea furtiva ad ogni petto
La pietà rinascente, ed anco parve
146. L'anime ecc. : Le anime beate, che il Petrarca, P. ih, canz. n, 44
disse: « L'anime che lassù son cittadine »: anche Dante, V. N. xxxiv, 2
aveva detto : « questa donna era fatta de li cittadini del cielo ».
150. Diventar divine : Le anime di coloro che furono tratti a morte per
la loro costante fede in Cristo e per il loro incrollabile amore allamonar
chia. Queste ombre che vengono, mosse da pietà, ad assistere al regicidio
ricordano gli spiriti che nella Messìade del Klopstock vengono a vedere sul
Calvario l'agonia di Gesù Cristo.
155. Lance : Bilancia (lat.). Tutto questo passo é imitato da Omero, II. vili
87 e sgg. ed anche dal lib. xxn, 270 e sgg., ove, mentre Ettore ed Achille
combattono insieme, Giove ne bilancia le sorti. Cosi Virgilio, Aen. xii, 270
e sgg., fa che Giove bilanci le sorti di Turno e d'Enea pugnanti fra loro.
160. Il mortai giudizio : La condanna di morte.
163. Ponderose : Pesanti, aggravate dal peso.
164. La mortai sorte : Il cumulo delle colpe di Parigi.
165. L'altra: L'altro piattello della bilancia ove Iddio aveva postola sua
pazienza e il suo perdono.
169. Già il sommo ecc. : Già é in cima alla scala. Sommo come sostant.
é già in Dante, Inf. ni, 11 : « vid'io scritte al sommo d'una porta ».
173. La pietà rinascente : Quando Luigi xvi fu sul palco disse ai circo-
stanti : « Francesi, io muoio innocente ; perdono ai miei nemici , desidero
che la mia morte . . . , » e parve che il popolo a quelle parole incominciasse
i
' V0* -"W*»»
IN MORTE DI UGO BASSV1LLE. 105
Che del furor sviato avria l'effetto.
Ma fìer portento in questo mezzo apparve: 175
Sul patibolo infame all'improvviso
Asceser quattro smisurate larve.
Stringe ognuna un pugnai di sangue intriso;
Alla strozza un capestro le molesta;
Torvo il cipiglio, dispietato il viso, iso
E scomposte le chiome in su la testa,
Come campo di biada già matura
Nel cui mezzo passata è la tempesta.
E sulla fronte arroncigliata e scura
Scritto in sangue ciascuna il nome avea, 183
Nome terror de* regi e di natura.
Damiens l'uno, Ankastrom l'altro dicea,
E l'altro Ravagliacco; ed il suo scritto
Il quarto colla man si nascondea.
Da queste Dire avvinto il derelitto ìoo
Sire Capeto dal maggior de' troni
Alla mannaia già facea tragitto.
E a quel giusto simil che fra' ladroni
Perdonando spirava ed esclamando:
Padre, padre, perchè tu m'abbandoni? 195
Per chi a morte lo tragge anch'ei pregando,
Il popol mio, dicea, che sì delira,
E il mio spirto, signor, ti raccomando.
In questo dir con impeto e con ira
Un degli spettri sospingendo il venne 200
Sotto il taglio fatai; l'altro ve '1 tira.
Per le sacrate auguste chiome il tenne
a commuoversi; ma il generale Santerre fece coprire dallo strepito dei
tamburi le ultime parole del re.
181. Arroncigliata: Contratta, rugosa.
187. Damiens: Roberto Francesco Damiens attentò alla vita di Luigi xv
nel cortile di Versailles la sera del 5 gennaio 1757.
— Ankastrom : Gian Giacomo Ankastrom, ex capitano nell'esercito svedese,
uccise Gustavo in re di Svezia in una festa di ballo a Stockliolm la notte
dal 15 al 16 marzo 1792.
188. Ravagliacco: Francesco Ravaillac assassinò in Parigi Enrico IV, re
di Francia, il 14 maggio 1610.
ISO. Il quarto ... si nascondea : Questo che si nasconde colla mano la
scritta che ha sulla fronte, forse perché frate domenicano, è Giacomo Cle-
ment che il primo agosto 1589 uccise a Saint-Cloud Enrico III, re di Francia.
190. Dire : Appellativo delle Furie.
191. Sire Capeto: Luigi XVI, cosi detto perché discendente, ma non in
linea diretta, da Ugo Capeto. Era cosi chiamato , dopoché la Convenzione,
abolita la monarchia, ebbe vietato ai nobili di portare il loro nome genti-
lizio. Veramente egli apparteneva alla famiglia di Borbone.
195. Padre, padre: «E intorno all'ora nona sclamò Gesù ad alta voce, di-
cendo : « Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato ì * {Matteo, xxvii, 46).
198. TI raccomando : « E Gesù sclamando ad alta voce, disse : Padre, nelle
mani tue raccomando il mio spirito : e ciò dicendo spirò » [Luna xxiti, 46).
106 PARTE III.
La terza furia, e la sottil rudente
Quella quarta recise alla bipenne.
Alla caduta dell'acciar tagliente soó
S'aprì tonando il cielo, e la vermiglia
Terra si scosse e il mare orribilmente.
Tremonne il mondo, e per la meraviglia
E pel terror dal freddo al caldo polo
Palpitando i potenti alzar le ciglia. 210
Tremò levante ed occidente. Il solo
Barbaro celta, in suo furor più saldo,
Del ciel derise e della terra il duolo;
E di sua libertà spietato e baldo
Tuffò le stolte insegne e le man ladre 215
Nel sangue del suo re fumante e caldo;
E si dolse che misto a quel del padre
Quello pur anco non scorreva, ahi rabbia !,
Del regal figlio e dell'augusta madre.
Tal di l'ioni un branco, a cui non abbia 220
L'ucciso tauro appien sazie le canne,
Anche il sangue ne lambe in su la sabbia;
Poi ne' presepi insidiando vanne
La vedova giovenca ed il torello,
E rugghia, e arrota tuttavia le zanne; 223
Ed ella, che i ruggiti ode al cancello,
Di doppio timor trema, e di quell'ugne
Si crede ad ogni scroscio esser macello.
Tolta al dolor delle terrene pugne
AprivaC intanto la grand'alma il volo, 230
203. Rudente : Lat. corda di nave , qui per la corda che teneva la scure
sospesa sul capo del paziente.
208. Tremonne 11 mondo: Questa partecipazione di tutto il mondo al tre
mendo delitto é tolta dal poema ai Klopstock. « Ma », benissimo osserva
lo Zumbini, p. 15 e sgg., « quel prodigioso, quella partecipazione dell 1 uni-
verso ad uno spettacolo umano non si adattano cosi perfettamente al sog-
getto storico del poema italiano, come si adattavano ai soggetti veramente
colossali del Paradiso Perduto, e della Messiade ».
209. Dal freddo al caldo polo: Da una parte all'altra della terra. Fu già
osservato, che entrambi i poli sono freddi , ma il matematico Gioacchino
Pessu ti , allora professore nell'Archiginnasio romano, in una Nota alla
Bassvilliana , Roma, Salvioni, 1793, strenuamente direse questa frase del
M., che del resto anche altri poeti usarono.
212. Celta : Cosi chiama i Francesi dagli antichissimi abitatori della G al-
ila, i Celti.
215. Le stolte Insegne : Le insegne repubblicane , il berretto frigio e le
coccarde tricolori.
219. Figlio . . . madre : 11 delfino di Francia . . . Maria Antonietta.
223. Presepi : Stalle (lat.).
226. Ed ella: La giovenca, che trema di doppio timore, cioè per sé e
per il suo torello.
228.' Ad ogni scroscio ecc. : Reminiscenza ariostesca, Ori. Fur. i, 31: « Ad
ogni sterpo che passando tocca, Esser si crede air empia fera in bocca ».
230. La grand'alma : La grande anima di Luigi XVI.
IN MORTE DI UGO BASSVILLE. 107
Che alla prima cagion la ricongiugne.
E ratto intorno le si fea lo stuolo
Di quell'ombre beate, onde la fede
Stette e di Francia sanguinossi il suolo.
E qual le corre al collo e qual si vede 233
Stender le braccia, e chi l'amato volto
E chi la destra e chi le bacia il piede.
Quando repente della calca il folto
Ruppe un'ombra dogliosa, e con un rio
Di largo pianto sulle guancie sciolto, 2 10
Me, gridava, me me lasciate al mio
Signor prostrarmi. Oh date il passo. E presta
Al piò regale il varco ella s'aprio.
Dolce un guardo abbassò su quella mesta
Luigi: e, Chi sei? disse; e qual ti tocca 215
Rimòrso il core? e che ferita è questa?
Alzati, e schiudi al tuo dolor la bocca.
CANTO TERZO.
Contenuto. L'ombra del Bassville narra al re la sua line dolorosa, il suo
pentimento e chiede infine perdono della sua stolta audacia. Luigi volentieri
gli perdona, lo abbraccia e lo prega di portar notizia della sua beatitudine
alle sue regali congiunte e d raccomandare al papa la religione tanto com-
battuta in Francia. Ciò detto, sale al cielo, mentre una turba di spettri
paurosi vagola attorno al patibolo e fra gli altri i quattro regicidi ricor-
dati nell'altro canto, inoltre il Voltaire, il Diderot, l'Hélvetius, il Rousseau,
il D'Alembert, RaynaL ed altri ancora a cui qui il p. rimprovera d'aver se-
minato negli animi colle loro opere il dubbio che condusse poi all'ateismo.
Fiere parole rivolge contro i giansenisti per le divisioni colle quali tanto
avevano turbato la Chiesa.
La fronte sollevò, rizzossi in piedi
L'addolorato spirto, e, le pupille
Tergendo, a dire incominciò: Tu vedi,
Signor, nel tuo cospetto Ugo Bassville,
Della francese libertà mandato 5
Sul Tebro a suscitar le ree scintille.
Stolto, che volli coll'immobil fato
Cozzar della gran Roma, onde ne porto
Rotta la tempia e il fianco insanguinato;
231. Alla prima ragion: A Dio, che é, dice Dante nel Convivio, ni, 2 :
« prima cagione di ciascuna forma sustanziale ».
237. E chi le bacia ecc. : Ariosto, Ori. Fur., xliv, 97 : « Uno il saluta, un
altro se gl*incbina, Altri la mano, altri gli bacia il piede ».
239. Un'ombra dogliosa: L'ombra del Bassville.
241. Me, gridava ecc. : Virgilio, Aen. 11, 427 : « Me, me ; adsum qui feci. . . ».
1. La fronte sollevò : Cosi Dante incomincia l'episodio del conte Ugolino
nel xxxiii délVInf. : « La bocca sollevò ».
7. Coli* lrnmobU fato : Reminiscenza dantesca : « Che giova nella fata dar
di cozzo » [Inf. ix, 97).
9. Rotta ... la tempia : Rammenta il verso dì Dante, Par. xvii, 6C : « Ella,
non tu n'avrai rossa la tempia ».
103 PARTE III.
Che di Giuda il leon non anco è morto; io
Ma vive e rugge, e il pelo arruffa e gli occhi,
Terror d'Egitto e d'Israel conforto;
E se monta in furor, l'aste e gli stocchi
Sa spezzar de' nemici, e par che gridi:
Son la forza di Dio, nessun mi tocchi. 15
Questo leone in Vaticano io vidi
Far coll'antico e venerato artiglio
Securi e sgombri di Quirino i lidi ;
E a me, che. nullo mi temea periglio,
Fé' con un crollo della sacra chioma 20
Tremanti i polsi e riverente il ciglio.
Allor conobbi che fatale è Roma,
Che la tremenda vanità di Francia
Sul Tebro è nebbia che dal sol si doma,
E le minacce una sonora ciancia, 23
Un lieve insulto di villana auretta
D'abbronzato guerriero in su la guancia.
Spumava la tirrena onda suggetta
Sotto le franche prore, e la premea
Il timor della gallica vendetta; .30
E tutta per terror dalla scillea
Latrante rupe la selvosa schiena
Infìno all'Alpe l'Appennin scotea.
Taciturno ed umil volgea l'arena
L'Arno frattanto, e paurosa e mesta 33
Chinava il volto la regal Sirena.
Solo il Tebro levava alta la testa,
E all'elmo polveroso la sua donna
10. Di Giuda il leon : Espressione biblica : « Catulus leonis Iuda » {Genesi,
xlix, 97), e altrove.
12. Terror d'Egitto: Cioè dei nomici della Chiesa, perché dagli Egiziani
furono gl'Israeliti tenuti soggetti fino al tempo di Mosé.
16. Questo leone : Intendi il sommo pontefice Pio VI.
18. Di Quirino i lidi : Il Lazio, dal nome di Romolo quando fu assunto in
cielo.
20. Con un crollo, ecc. : È una reminiscenza poco opportuna del crollo
delle chiome di Giove nel 1 deìV Iliade: l'immagine che in Omero é sublime,
ha qui un effetto ben inferiore alla sua grandezza.
21. Tremanti i polsi, ecc. : Dante, Inf. i, 9: « Ch'ella mi fa tremar le vene
e i polsi », e Purff. i, 51 : « Riverenti mi le' le gambe e il ciglio ».
22. Allor conobbi, ecc. : « Egli non vi trovò , come sperava, la Roma di
Giugurta, e convinto, fino dai primi giorni di sua comparsa, deU 'insupera-
bile affezione del popolo aUa religione ed al pontefice, ebbe a dire e a scri-
vere che Rome était inélévable » (Vicchi, voi. I, p. 70).
31. Dalla Scillea, ecc. : Dallo stretto di Messina (ove gli antichi favoleg-
giarono che Scilla, amata da Glauco, fosse mutata da Circe, che n'era ri-
vale, in un mostro latrante spaventosamente) fino alle Alpi l'Appennino tre-
mava tutto alle minacce francesi.
35. L'Arno : Firenze.
36. La re gal Sirena : Napoli.
IN MORTE DI UGO BASSVILLE. 109
In Campidoglio rimettea la cresta:
E, divina guerriera in corta gonna, «u»
Il cor più che la spada all'ire e all'onte
Di Rodano opponeva e di Garonna ;
In Dio fidando, che i trecento al fonte
D'Arad prescelse, e al Madian ita altero
Fé* le spalle voltar, rotta la fronte; r
In Dio ridando, io dico, e nel severo
Petto del santo suo pastor, che solo
In saldo pose la ragion di Piero.
Dal suo pregar, che dritto spiega il volo
Dell'Eterno all'orecchio e sulle stelle 50
Porta i sospiri della terra e il duolo,
I turbini fur mossi e le procelle
Che del Varo sommersero l'antenne
Per le sarde e le còrse onde sorelle.
Ei sol tarpò del franco ardir le penne; 55
L'onor d'Italia vilipesa e quello
Del borbonico nome egli sostenne.
E cento volte sul destili tuo fello
l'agno di pianto i rai. Per lo dolore
La tua Roma fedel pianse con elio. 60
Poi, cangiate le lagrime in furore,
Corse urlando col ferro, ed il mio petto
Cercò d'orrende faci allo splendore;
E spense il suo magnanimo dispetto
Sì nel mio sangue, ch'io fui pria di rabbia, 65
Poi di pietade miserando obbietto.
Eran sangue i capei, sangue le labbia,
E sangue il seno; fé' del resto un lago
La ferita, che miri, in su la sabbia.
E me, cui téma e amor rendean presago 70
Di maggior danno, e non avea consiglio,
' 37. Di Rodano ... e di Garonna : Della Francia.
45. Rotta la fronte: Nel cap. VII del libro dei Giudici è detto che quando
eli Amolcciti e i Madianiti erano accampati nella valle di lezrael, Iddio or-
dinò a Gedeone che al fonte di Arad si scegliesse trecento guerrieri, i quali,
al grido : La spada del Signore e di Gedeone, ruppero le schiere nemiche.
47. Suo pastor : Pio VI, che difese i diritti della chiesa.
50. Porta i sospiri, ecc. : Reminiscenza tassesca, Ger. Lib. 7, Il : « al cielo
Riporta de' mortali i preghi e '1 zelo ».
53. Del Varo : V. la n. a p. 57.
57. Del borbonico nome : Pio VI difese l'onoro dei Borboni di Napoli.
62. Corse urlando, ecc. : V. V Introduzione al poema.
64. Magnanimo : Certo non fu magnanimo dispetto quello che guidò il po-
polaccio ad uccidere il Bassville, ma l'anima pentita dell'ucciso non poteva
parlare diversamente.
68. Un lago : Dante, Purg. v, 83 : « e li vid'io, Delle mie vene farsi in terra
laco ».
71. Majgior danno : La strage che temeva della moglie e del Aglio.
iJ
110 PARTE III.
»
Più che la morte combattèa l' immago
Deirinnocente mio tenero figlio
E della sposa, ahi lasso !; onde paura
Del lor mi strinse non del mio periglio.
Ma, come seppi che paterna cura
Di Pio salvi gli avea, brillommi il core
E il suo sospese palpitar natura.
Lagrimai di rimorso; e sull'errore
Che già lunga stagion l'alma travolse so
La carità poteo più che il terrore.
Luce dui ciel vibrata allor mi sciolse
Dell'intelletto il buio, e il cor pentito
Al mar di tutta la pietà si volse.
L'ali apersi a un sospiro; e l'infinito 85
Amor nel libro, dove tutto è scritto,
11 mio peccato cancellò col dito.
Ma giustizia mi niega al ciel tragitto,
E vagante ombra qui mi danna, intanto
Che di Francia non vegga ulto il delitto. 90
Questi me'l disse, che mi viene accanto
(Ed accennò '1 suo duca) e che m'ha tolto
Alla fiumana dell'eterno pianto.
Tutte drizzaro allor quell'alme il volto
Al celeste campion, che in un sorriso 5
Dolcissimo le labbra avea disciolto.
Or tu, per l'alto sir del paradiso
Che al suo grembo t'aspetta e il ciel disserra
(Proseguì l'ombra più infiammata in viso),
Per le pene tue tante in sulla terra, 100
Alla mia stolta fellonia perdona
Né raccontar lassù che ti fei guerra.
Tacque; e tacendo ancor dicea: Perdona;
E l'affollate intorno ombre pietose
71. E della sposa: Elisabetta Colson, da cui aveva avuto il figlio Orlando,
che terminò la sua bella carriera militare col grado di maresciallo di campo
avuto nel 1816 : costui mori nel 1857, cambiato il nome Hugou in quello
di 1 lussuri de Hassvillc.
77. Salvi li avea: Pio VI nella notte fatale del 13 gennaio 1793 fece con-
durre la Colson e il figlio Orlando sotto buona scorta a Napoli dopo averli
regalati di 7U scudi (Virciu, voi. I, p. 76).
81. La carità, ecc.. Verso foggiato su quello famoso di Dante: « Poscia
più che il dolor potè il digiuno ».
81. Al mar, ecc. : A Dio. Dantk (/>?f. vili, 7) chiama «mar di tutto il senno »
Virgilio. Si allude al pentimento dei Bassville sul punto di morte: avrebbe
«indie detto: « je meurs la viciimc d'un fou », alludendo al Makau o al
La Flotte che l'aveva accompagnato nella temeraria impresa.
93 Alla fiumana : All'Acheronte. Ricorda versi danteschi : « La fiumana
onde il mar non ha vanto » {Inf. n, 109) e « Della regina dell'eterno
pianto » (Inf. IX, 41).
IN MORTE DI UGO BASSVILLE. Ili
Concordemente- replicar: Perdona. 105
Allor l'alma regal con disiose
Braccia si strinse l'avversaria al seno,
E dolce in caro favellar rispose:
Questo amplesso ti parli, e noto appieno
Del re, del padre il core e dell'amico no
Ti faccia, e sgombri il tuo timor terreno.
Amai, potendo odiarlo, anco il nemico;
Or m'è tolto il poterlo, e l'alma spiega
Più larghi i voli dell'amore antico.
Quindi là dove meglio a Dio si prega 115
Il pregherò, che presto ti discioglia
Del divieto fatai che qui ti lega.
Se i tuoi destini intanto la tua voglia
Alla sponda giammai ti torneranno
Ove lasciasti la trafitta spoglia; 120
Pel» me trova le due che là si stanno
Mie regali congiunte, e che gli orrendi
Piangon miei mali ed il più rio non sanno.
Lieve sul capo ad ambedue discendi
Pietosa vision (se la tua scorta 125
Lo ti consente), e il pianto ne sospendi.
Di tutto che vedesti annunzio apporta
Alle dolenti: ma del mio morire
Deh ! sia l'immago fuggitiva e corta.
Pingi loro piuttosto il mio gioire, 130
Pingi il mio capo di corona adorno
Ohe non si frange né si può rapire.
Di' lor che feci in sen di Dio ritorno,
Ch'ivi le aspetto, e là regnando in pace
Le nostre pene narreremci un giorno. 135
Vanne poscia a quel grande, a quel verace
Nume del Tebro, in cui la riverente
105. Perdona: Si noti la ripetizione efficacissima della stossa rima.
111. Timor terreno : Il timore che hai di non esser perdonato per il male
che tu hai fatto in terra.
114. Dell'amore antico : In cielo non mi é dato più di odiare i miei nemici,
ma più vivo dell'amore che per loro sentii in terra é quello che ora sento
per essi.
117. Del divieto fatai : Il divieto di salire al cielo, prima che fosse punito
il regicidio.
110. Alla sponda, ecc. : A Roma.
128. Mie regali congiunte : Le due zie di Luigi XVI che fino dal 1791 ave-
vano trovato scampo in Roma.
123. Il più rio : La morte sul patibolo.
128. Ma del mio morire, ecc. : Pietoso e delicato pensiero questo di Luigi XVI
che vuole si accenni fuggevolmente della sua morte alle zie, perchè troppo
cocente dolore non le conturbi.
132. Né si può rapire : La corona de* beati che ne adornava il capo non
si poteva spezzare né rapire come quella che in terra aveva avuta.
112 PARTE III.
Europa affissa le pupille e tace;
Al sommo dittator della vincente
Repubblica di Cristo, a lui che il regno no
Sortì minor del core e della mente:
Digli che tutta a sua pietà consegno
La franca fede combattuta; ed egli
Ne sia campione e tutelar sostegno.
Digli che tuoni dal suo monte, e svegli 113
L'addormentata Italia, e alla ritrosa
Le man sacrate avvolga entro i capegli,
Sì che dal fango suo la neghittosa
Alzi la fronte, e sia delle sue tresche
Contristata una volta e vergognosa. 130
Digli che invan l'ibere e le tedesche
E Tarmi alpine e l'angliche e le prusse
Usciranno a cozzar colle francesche,
Se non v'ha quella onde Mosè percusse "
Amalecco quel dì che i lunghi preghi 153
Sul monte infino al tramontar produsse.
Salga egli dunque sull'Orebbe, e spieghi
Alto le palme; e, s'avverrà che stanco
Talvolta il polso al pio voler si nieghi,
Gli sosterranno il destro braccio e il manco ìeo
GÌ' imporporati Aronni e i Calebidi
De' quai soffolto e coronato ha il fianco.
Parmi de' nuovi Amaleciti i gridi
140. Repubblica di Cristo : La Chiesa.
147. Entro 1 capegli : Petrarca, P. Ili, canz. II, 14 : « Le man l'avess*io av-
volte entro i capegli ! ».
148. SI ohe dal fango, ecc. : Petrarca, tot ci. 23: « Si chela neghittosa esca
dal fango ».
151. L'ibere e le tedesche, ecc. : Allude ai collegati contro la repubblica
francese che invano, secondo il p. (e non fu cattivo profeta), avrebbero coz-
zato con Tarmi di Francia, se Pio VI non avesse pregato il Dio degli eserciti,
perché concedesse a loro la vittoria.
152. Le alpine : Piemontesi.
154. Quella onde Mosè, ecc. : Quella verga, colla quale Mosé, salito sul-
l'Or eh in compagnia di Aronne e di Hur , tenendo le mani alzate al cielo,
otteneva da Dio la vittoria per i suoi; ma, stancandosi egli, bisognava che
Aronne e Hur gli reggessero le braccia fino al tramonto del sole, quando
i nemici furono interamente sconfìtti (Esodo, xvn, 813). Anche il Filicaia,
nella canz. « E fino a quando inulti », adoperò la stessa immagine biblica per
Innocenzo XI pregante Iddio a sterminare i Turchi : « Ei dafl'Esquilio colle
Ambo in ruina deU'oryibil Geta Mosé novello estolle A te le braccia, che
da un lato regge Speme, e Fede dall'altro ».
155. Amalecco : Gli Amaleciti che in Raphidim assalirono gli Israeliti con-
dotti da Giosuè.
156. Produsse : Protrasse (lat.).
161. GÌ imporporati Aronni e i Calebidi : « S'intendono i cardinali, de' quali
sono immag ne Aronne e Hur ligi o di Caleb » (Mt.).
162. Sotfolto: Sorretto (lat.).
163. Nuovi Amaleciti : Intendi i nemici della Chiesa ; poiché per Israele an -
che altrove s'intende la Chiesa, i nuovi Amaleciti sono i rivoluzionari ne-
mici di essa.
IN MORTE DI UGO BASSVILLE. 113
Dall'Olimpo sentir, parmi che Pio
Di Francia, orando, ei sol gli scacci e snidi. ics
Quindi ver* lui di tutto il dover mio
Sdebiterommi in cielo, e, flnch'ei vegna,
Di sua virtù ragionerò con Dio.
Brillò, ciò detto, e sparve; e non è degna
Ritrar terrena fantasia gli ardori no
Di ch'ella il cielo balenando segna.
/ Qua! si solleva il sol fra le minori
Folgoranti sostanze, allor che spinge
V_. Sulla fervida curva i corridori!
Che d'un solo color tutta dipinge 175
L'eterea volta, e ogni altra stella un velo
Ponsi alla fronte e di pallor si tinge;
Tal fiammeggiava di sidereo zelo,
E fra mille seguaci ombre festose
Tale ascendeva la bell'alma al cielo. iso
Rideano al suo passar le maestose
Tremule figlie della luce, e in giro
Scotean le chiome ardenti e rugiadose.
Ella tra lor d'amore e di desiro
Sfavillando s'estolle, infin che, giunta iss
Dinanzi al trino ed increato Spiro,
Ivi queta il suo volo, ivi s'appunta
In tre sguardi beata, ivi il cor tace
E tutta perde del desio la punta.
Poscia al crin la corona del vivace 190
Amaranto immortai e su le gote
Il bacio ottenne dell'eterna pace.
r 173. Folgoranti sostanze : Stelle.
•sjt 174. Fervida curva : L'eclittica, lungo la quale spinge i suoi cavalli il Sole.
J Questa stessa similitudine ha usato più brevemente il Petrarca, P. ut,
canz. in. 69 : « Si come *1 sol co* suoi possenti rai Fa subito sparir ogni
altra stella ... ».
178. Sidereo zelo : Celeste ardore.
182. Le figlie . . . della luce : Le stelle.
183. Le chiome ardenti e rugiadose : 1 raggi delle stelle sono ardenti fin
che non arrivano alla rugiada, ma s'illanguidiscono quando passano attra-
verso a quella. Ha quindi ragione il Della Valle, p. Ili a dire : « Le parole
ardenti e rugiadose hanno un che di ripugnante tra loro , perché, se le
chiome delle steUe sono rugiadose, come possono essere ardenti ? La rugiada
che sta sopra un corpo, ne spegne l'ardore, se vi é ».
187. S'appunta : Si fissa nella contemplazione della Trinità (il tiHno e in
creato Spiro). Appuntarsi in tal senso é dantesco, Purg. xv, 49 :« Perché
s'appuntano 1 vostri desiri », e Par. xxvi, 7 «... e di' ove s'appunta L'a-
nima tua », e ancora Par. xxix, 12.
187. Del desio la punta : Dante, Par. xxn, 25 : « Io scava come quei che
in sé reprime La punta del desio ».
191. Amaranto immortai : I poeti chiamano immortale questo flore, perché
conserva a lungo il suo coloree* madefactus aqua revirescìt (Plinio, xxi, 8).
Nella Musog. 5, il p. cosi lo canta : « . . . quel che verno Unqua non teme,
l'amaranto eterno ».
Monti. — P csie. fi
114 PARTE III.
E allor s'udirò consonanze e note
D'ineffabil dolcezza, e i tondi balli
Ricominciar delle stellate rote. 195
Pia veloci esultarono i cavalli
Portatori del giorno, e di grand'orme
Stampar l'arringo degli eterei calli.
Gioiva intanto del misfatto enorme
L'accecata Parigi; e sull'arena 200
Giacea la regal testa e il tronco informe;
E il caldo rivo della sacra vena
La ria terra bagnava, ancor più ria
Di quella che mirò d'Atreo la cena.
Nuda e squallida intorno vi venia 205
Turba di larve di quel sangue ghiotte,
E tutta di lor bruna era la via.
Qual da fesse muraglie e cave grotte
Sbucano di Minèo l'atre figliuole,
Quando ai fiori il color toglie la notte, 210
Ch'ir le vedi e redire e far carole
Sul capo al viandante sovra il lago,
Finche non esce a saettarle il sole;
Non altrimenti a volo strano e vago
D'ogni parte erompea l'oscena schiera; 215
• Ed ulular s'udiva, a quell' immago
Che fan sul margo d'una fonte nera
I lupi sospettosi e vagabondi
A ber venuti a truppa in sulla sera.
Correan quei vani simulacri immondi 220
Al sanguigno ruscel, sporgendo il muso
L'un dall'altro incalzati e sitibondi.
Ma in guardia vi sedea nell'arme chiuso
200. E sull'arena giaoea, ecc. : Reminiscenza virgiliana (Aen. 11, 557) : « la-
cet ingens litore tremens, Avulsumque humeris caput, et sine nomine cor-
pus ».
204. DI quella, ecc.: Di Micene che vide il fiero pasto delle carni del figlio
di Tieste ammannite a lui dal fratello Atreo, per punirlo d'avergli sedotta
la moglie.
209. Di Mineo, ecc. : Le civette che gli antichi favoleggiarono figlie di
Mineo re di Tebe, convertite in nottole per aver dispregiato il culto di Bacco.
210. auando ai fiori, ecc. : Virgilio, Aen. vi, 271: « ubi caelum condidit
umbra iuppiter et rebus nox abstulit atra coiorem », e Ariosto, Ori. Fur. n,
54, e il Tasso, Ger. Lib. x, 5 : « Poi, quando l'ombra oscura al mondo toglie
I vari aspetti, e i color tinge in negro ».
211. Redire : Tornare indietro (lat.).
221. Correano, ecc.: Anche nell'Odissea xi intorno alla fossa scavata nel
l'Inferno da Ulisse, piena del sangue delle vittime, accorrono i morti, m;*
l'eroe colla spada in mano vieta loro di bere di quel sangue, come fa qui
il cherubino che colla spada caccia via le ombre dal sangue dei re. Ma più
che all'Odissea s'è ispirato al Parad. perà, del Milton, ii, 609 e segg.
Vani simulacri: Cosi Dante chiamò le ombre vane fuor che nell'aspetto,
e Virgilio, Aen. vi, 292: « tenues sine corpore vitas ».
IN MORTE DI UGO BASSYILLE. 115
Un fiero cherubin, che, steso il brando,
Quel barbaro sitar rendea deluso. 825
E le larve a dar volta, e mugolando
A stiparsi, e parer vento che rotto
Fra due scogli si vada lamentando.
Prime le quattro comparian che sotto
Poc'anzi al taglio dell'infame scure 230
L'infelice Gapeto avean tradotto.
Di quei tristi seguian l'atre figure
Che d'uman sangue un dì macchiar le glebe
Là di Marsiglia nelle selve impure.
Indi a guisa di pecore e di zebe 235
Venia lorda di piaghe il corpo tutto
D'ombre una vile miserabil plebe:
Ed eran quelli che fecondo e brutto
Del proprio sangue fecero il mal tronco
Che. dio di libertà sì amaro il frutto. 210
Altri forato il ventre ed altri ha cionco
Di capo il busto, e chi trafitto il lombo,
E chi del braccio e chi del naso è monco;
E tutti intorno al regio sangue un rombo,
Un murmurc facean, che cupo il fiume 213
Dai cavi gorghi ne rendea rimbombo.
Ma lungi li tenea la punta e il lume
Della celeste spada, che mandava
Su i foschi ceffi un pallido barlume.
Scendi, pì'eria dea, di questa prava 250
Masnada i più famosi a rammentarme,
Se l'orror la memoria non ti grava.
Dimmi, tu che li sai, gli assalti e l'arme
Onde il soglio percossero e la fede,
E di nobile bile empi il mio carme. 2:3
225. Sitir: Aver sete(lat).
229. La quattro : I quattro regicidi Ankastrom , Ravaillac , Damicns e
Clement.
234. Là di Marsiglia : Il più rinomato collegio druidico era quello di Mar-
siglia che fu distrutto da Cesare. Dei loro sacrifizi cruenti cosi disse Cesare,
De Bello Gali., \i x 16 : « Pro victimis homines immolant aut se immolaturos
vovent administrisque ad ea saci ificia druidibus utuntur , quod , prò vita
hominis nisi hominis vita reddatur, non posse deorum immortaiium numen
placari arbitrantur, publiceque eiusdem generis habent insti tuta sacrifteia ».
235. Zebe: capre.
238. Ed eran, ecc. : Bene osserva qui il Della Valle, p. 113, che questi fu-
rono i precursori della rivoluzione dell *89, che per esser morti tutti avanti
alla rivoluzione stessa, non poterono fecondare del loro sangue l'albero
della libertà. Meglio si sarebbe detto dei G rondini e dei Giacobini.
241. Cionco : Troncato. Si noti che simili a questa sono le pene de' semi
natori di discordie civili e domestiche e di scismi in Dante, Inf. xxvm.
250. Pierla dea : La Musa, cosi detta dal monte Pierio in Tessaglia, ove la
Muse nacquero da Giove e da Mnemosine.
110 PARTE III.
Capitano di mille alto si vede
Uno spettro passar lungo ed arcigno,
Superbamente coturnato il piede.
E costui di Ferney Tempio e maligno
Filosofante, ch'or tra' morti è corbo vgo
E fu tra' vivi poetando un cigno.
Gli vien seguace il furibondo e torbo
Diderotto, e colui che dello spirto
Svolse il lavoro e degli affetti il morbo.
Vassene solo l'eloquente ed irto 2(x>
Orator del Contratto, e al par del manto
Di sofo ha caro l'afrodisio mirto;
Disdegnoso d'aver compagni accanto
Fra cotanta empietà, che al trono e all'ara
Fé' guerra ei sì, ma non de' santi al santo. 270
Segue una coppia nequitosa e rara
Di due tali accigliate anime ree,
Che il diadema ne crolla e la tiara.
L'ima raccolse dell'umane idee
L'infinito tesoro e l'oceano 273
Ove stillato ogni velen si bee.
Finse l'altra del fosco americano
Tonar la causa, e regi e sacerdoti
Col fulmine ferì del labbro insano.
£.9. Di Ferney, ecc. : Francesco Maria Arouet di Voltaire (1694-1778), vis-
suto per lo più a Ferney presso Ginevra. Fra moltissime altre opere scrisse
anche tragedie, per cui ó qui detto che ha « coturnato il piede », dal co-
turno, calzare che portavano sulla scena gU attori greci. Lo dice empio e
maligno filosofante, perché fu ateo e preparatore della rivoluzione. IIPà-
rini, nel Giorno, 370, lo disse : « Della Francia Proteo multiforme . . . che
sai con novi modi Imbandir ne* tuoi scritti eterno cibo Ai semplici palati ».
261. Poetando un cigno : Il Voltaire compose anche dei poemi epici, VHèn
riade e la Pulcelle d'Orléans che il Monti tradusse.
263. Diderotto: Dionigi Diderot (1713- 1784) che dice furibondo per l'ardore
ch'ei pose soprattutto neir Enciclopedia, a cui per trenta anni lavorò coi
D'Alembert e con altri a promuovere le dottrine materialistiche. — Colui
ohe, ecc. : Hélvetius (1715-1771)di cui cosi dice il Monti: « Ne' suoi discorsi
De V Esprit si attribuiscono alla materia le operazioni deU 'anima, e si vuol
mostrare che gli uomini non sono retti che dalla voluttà e dall' tote-
266. Orator, ecc. : Gian Giacomo Rousseau (1712-1778), autore del Contratto
sociale. « Va solo, perché non fu propriamente degli Enciclopedisti; ha caro
il mirto di Venere {Afrodite), per le ardenti Lettere a Giulia; è disdegnoso
d'aver compagni cosi empi, perché fu tutt'altro che ateo, come mostra la
Professione di fede del vicario savoiardo » (Bertoldi).
267. Sofo: Filosofo.
271. Nequitosa: Malvagia.
273. Il diadema ... e la tiara : La monarchia ... e il papato.
274. L'una: Giovanni Le Rond d'Alembert (1717-1783), celebre matematico
e scrittore dell 1 Enciclopedia, in cui versò infinito tesoro di molta dottrina,
ma anche un oceano d'ateismo e di idee materialistiche.
277. L'altra: Guglielmo Tommaso Francesco Raynal (1713-1796), che nel
1770 pubblicò la stoì*ia filosofica, ove, presa la difesa degli Americani, inveì
contro re e sacerdoti.
IN MORTE DI UGO B A SS VILLE. 117
Dove te lascio, che per l'alto roti sso
Sì strane ed ampie le comete, e il varco
D'ogni delirio apristi a' tuoi nipoti ?
E te che contro Luca e contro Marco
E contro gli altri duo così librato
Scocchi lo strai dal sillogist'arco ? 2S5
Questa d'insania tutta e di peccato
Tenebrosa falange il fronte avea
Dal fulmine celeste abbrustolato;
E della piaga il solco si vedea
Mandar fumo e faville; e forte ognuno 2*.)o
Di quel tormento dolorar parea.
Curvo il capo ed in lungo abito bruno
Venia poscia uno stuol quasi di scheltri,
Dalle vigilie attriti e dal digiuno.
Sul ciglio rabbassati ha i larghi feltri, 2jò
Impiombate le cappe, e il pie sì lento,
Che le lumache al paragon son veltri.
Ma sotto il faticoso vestimento
Celan ferri e veleni; e qual tra* vivi,
Tal vanno ancor tra' morti al tradimento. 3-jo
Dell'ipocrite d'Ipri ei son gli schivai
Settator tristi, per via bieca e torta
Con Cesare e del par con Dio cattivi.
Sì crudo è il nume di costor, sì morta,
Sì ripiena d'orror del ciel la strada, :ix>
Che a creder nulla e a disperar ne porta.
280. Dove te lasci', ecc. : Come dimentico Pietro Bayle (1617-1706) che noi
l\'nsieri diversi a proposito d'una cometa apparsa nel 1680 sostenne dot-
trine scettiche e nel Dizionario storico e critico seminò Aere obbiezioni con-
tro ogni principio religioso 1
283. E te, ecc. : Nicola Fréret (16S8-1749), a cui si attribuirono, ma ingiu-
stamente, la Lettera di Trasibulo a Leucippo e l'Esame degli apologisti
nella religione cristiana, ove si combatte l'autenticità degli Evangeli.
291. Dolorar: Sentir dolore e al tempo, stesso esprimerlo. È usato come
neutro : Dante, Inf. xxvn, 131 : « La li anima dolorando si partio », e Fo-
scolo. Inno alla nave delle Muse, 21 : « Invan la Dea liti e montagne Do
tarando cercò ».
292. Curvo 11 capo : Bei verso che nella sua lentezza rappresenta il lento
muoversi della nuova schiera che s'avanza.
206. E 11 pie. ecc. : È facile capire che qui s'è ispirato a Dante che fa cam-
minare lenti sotto le cappe di piombo gr ipocriti {Inf. xxiii).
299. Celan ferri, ecc. : Cosi la Frode nell'Ariosto cela sotto la veste il col-
tello avvelenato.
301. DeU'lpocrito, ecc. : I Giansenisti, seguaci {settatori) di Cornelio Gian-
senio (1585-1638), vescovo d'Ipres in Francia, che s'allontanarono dalla fede
cattolica per alcune loro opinioni sulla Grazia. Li dice ribelli al principe
e a Dio {cattivi anche Dante chiama gli angeli ribelli a Dio).
304. Si crudo, ecc. : Dicevano i Giansenisti che alcuni precetti di Dio.
secondo le presenti forze degli uomini, sono impossibili ad osservarsi: tal
dottrina conduceva, dice il p., a non credere e a disperare della propria
salvazione.
118 PARTE III.
Per ior sovrasta al pastoral la spada,
Per lor tant'alto il soglio si sublima
Ch'aitine è forza che nel fango cada.
Di lor empia fucina uscì la prima 310
Favilla, che segreta il casto seno
Della donna di Pietro incende e lima.
Nò di tal peste sol va caldo e pieno
Borgofontana, ma d'Italia mia
oNe bulica e ne pute anco il terreno. 3:3
Ultimo al fier concilio comparia,
E su tutti gigante sollevarse
Coiromero sovran si discopria
E colle, chiome rabbuffate e sparse,
Colui che al discoperto e senza téma 320
Venne contro l'eterno ad accamparse;
E ne sfidò la folgore suprema,
Secondo Capaneo, sotto lo scudo
D'un gran delirio ch'ei chiamò sistema.
Dinanzi gli f uggia sprezzato e nudo 323
De' minor spettri il vulgo: anche Cocito
N'avea ribrezzo, ed abborria quel crudo.
Poich'ebber densi e torvi circuito
Il cadavere sacro, ed in lui sazio
Lo sguardo, e steso sorridendo il dito; 330
Con Aera dilettanza in poco spazio
Strinsersi tutti, e diersi a far parole,
Quasi sospeso il sempiterno strazio.
A me (dicea l'un d'essi), a me si vuole
Dar dell'opra l'onor, che primo osai 333
Spezzar lo scettro e lacerar le stole.
A me piuttosto, a me che disvelai
De' potenti le frodi (un altro grida)
E all'uom dischiusi sul suo dritto i rai.
Perchè l'uom surga e il suo tiranno uccida, 310
307. La spada: L'autorità temporale é superiore alla spirituale, come so
stenne il giansenista Pasquale Quesnel nel libro La sovranità dei re difesa.
312. Della donna, ecc. : Della Chiesa.
314. Borgofontana: Certosa nel bosco di Villers-Cotcrets, a 16 o 17 miglia
da Parigi, ove nel 1621 si raccolsero i Giansenisti a formulare le loro dot-
trine.
320. Colai, ecc. : Gian Battista Mirabaud a cui fu falsamente attribuito
il Sistema della natura, ove si nega audacemente resistenza di Dio : lo fa
giganteggiare fra gli altri per la maggiore empietà.
323. Secondo Capaneo : Chiama il Mirabaud secondo Capaneo dal primo
che fu uno dei sette re che assediarono Tebe, e di cui Dante, neìl'Inf. xiv,
68, fa punito e non domo l'animo superbamente empio e disdegnoso.
326. Anohe Cocito : Perfino l'inferno aveva ribrezzo della Bua empietà.
329. Il cadavere sacro : Di Luigi XVI.
310 il suo tiranno, ecc. : li principe che tiene soggetto tirannicamente
l'uomo.
IN MORTE DI UGO BASSVILLE. 119
UoVè (ripiglia un altro) in pria dal fianco
De l'eterno timor tòrgli la guida.
Questo fé* lo mio stil leggiadro e franco
E il sai samosatense onde condita
L'empietà piacque e l ? uom di Dio fu stanco. 345
Allor fu questa orribil voce udita:
F fei di più, che Dio distrussi: e tacque;
Ed ogni fronte apparve sbigottita.
Primamente un silenzio cupo nacque,
Poi tal s'intese un mormorio profondo, 350
Che lo spesso cader parea dell'acque
Allor che tutto addormentato è il mondo.
CANTO QUARTO.
Contenuto. — Continua la narrazione del viaggio del Bassville. A domanda
di questo, l'angelo gli spiega come Raynal, sebbene ancor vivo , sia tra le
ombre che volteggiano attorno al cadavere di Luigi XVI. Intanto dal cielo
scendono tre cherubini, angeli di terrore, di morte e di sventura, e si pon-
gono a fianco dell'altro cherubino che è a guardia del corpo del re ucciso. Le
ombre maledette fuggono. La Fede e la Carità vengono a raccogliere il san-
arne del re in vasi istoriati che rappresentano gli avvenimenti più terribili
della rivoluzione e li porgono ai cherubini. Questi, saliti in cielo, versano
piang,
dall'aspra tenzone. — Questo canto, straricco di personificazioni simboliche,
in cui é tutto un movimento di spiriti fra cielo e terra e una successione
di fatti prodigiosi, é ispirato più che gli altri alla Messiade di Klopstock.
Batte a voi più sublime aura sicura
La farfalletta dell'ingegno mio,
Lasciando la città della sozzura.
E dirò come congiurato uscio
A dannaggio di Francia il mondo tutto: 5
Tale il senno supremo era di Dio.
342. Dell'eterno, ecc. : La guida del timor di Dio. Perché l'uomo non ob-
bedisca più al suo principe, è d'uopo estirpargli daU 'animo ogni fede re-
ligiosa.
344. Il sai , ecc. : Lo, spirito che anima i festivi Dialoghi di Luciano di
Sani osata nella Siria. È chiaro che si allude al Voltaire che per l'arguzia
del suo stile si suol chiamare il Luciano moderno.
346. Allor fu questa, ecc. : Dante, Inf. y iv, 79: « Intanto voce fu per me
udita ».
347. I* fei di più, ecc. : Queste parole son dette dal più empio di tutti, il
Mirabaud.
1. Batte, ecc. : Si leva a volo più alto, attraverso a un aere più spirabile,
cioè passa a trattare argomenti meno terribili.
2. La farfalletta, ecc. : Dante, Purg. i, I : « Per correr miglior acqua alza
le vele Ormai la navicella del mio ingegno, Che lascia dietro a sé mar si
crudele ».
3. La città, ecc. : Parigi, sentina di vizi e di sozzure.
5. Dannaggio: Danno (Dante, Inf. XXX, 136: « E quale é quei che suo
dannaggio sogna » ). Allude alla coalizione delle nazioni contro la Francia
repubblicana con cui esse intesero , ma invano , di punirla del regicidio.
120 PARTE III.
Canterò Tira dell'Europa e il lutto,
Canterò le battaglie ed in vermiglio
Tinto de' fiumi e di due mari il flutto.
E d'atro pianto andar bagnato il ciglio io
La bell'alma vedrem, di che la diva
Mi va cantando l'affannoso esiglio.
Il bestemmiar di quei superbi udiva
La dolorosa; ed accennando al duce
La fiera di Renallo ombra cattiva, — 15
Come, disse, fra' morti si conduce
Colui? Di polpe non si veste e d'ossa?
Non bee per gli occhi tuttavia la luce?
E l'altro: la sua salma ancor la scossa
Di morte non sentì; ma la governa 20
Dentro Marsiglia d'un demón la possa;
E l'alma geme fra i perduti eterna-
mente perduta: né a tal fato è sola,
Ma molte che distingue ira superna.
E in Èrebo di queste assai ne vola 20
Dall'infame congrèga, in che s'affida
Cotanto Francia, ahi stolta!, e si consola.
Quindi un demone spesso ivi s'annida
In uman corpo, e scaldane le vene,
E siede e scrive nel senato e grida; 30
Mentre lo spirto alle cocenti pene
D'Averno si martira. Or leva il viso,
E vedi all'uopo chi dal ciel ne viene.
Levò lo sguardo: ed ecco all'improvviso,
Là dove il cancro il pie d'Alcide abbranca 35
9. Di due mari: Del Mediterraneo e dell'Atlantico. Questi argomenti non
furono trattati dal p. che abbozzò soltanto il quinto canto, ove avrebl o
dovuto parlarne.
11. La bell'alma: L'anima del Bassville. — La diva: La Musa.
12. Esiglio: V. il C. 1, 22-26 di questo poemetto.
13. Di quei superbi: Dei regicidi e degli scrittori rivoluzionari.
18. Non bee, ecc. : Dante, In£ x, 69: « Non fiere gli occhi suoi lo dolce
lomel ».
19. La sua salma, ecc. : Tutta questa invenzione , per cui é in Inferno
l'anima del Raynal ancor vivo, è dantesca. Cfr. Inf. xxxiii, 129 e sgg., ove
é detto che l'anima di Branca Doria é in Inferno mentre il corpo suo è sulla
terra governato da un diavolo.
22. Eterna . . . mente : Frequente é nei poeti questo spezzamento dell'av-
verbio. I poeti latini e greci dividevano cosi anche le parole non composte
per la figura che dicevano anastrofe.
24. Distingue ira superna: Lo sdegno di Dio punisce in modo speciale.
26. Dall'infame, ecc. : Dall'Assemblea nazionale.
31. Mentre, ecc. : Non pochi dei membri dell'Assemblea nazionale scri-
vono, gridano, s'agitano in quel consesso , mentre le anime loro gemono
nell'Inferno.
35. Là dove il canoro, ecc. : Fra la costellazione del Cancro e quella d'Er-
cole, cioè presso l'Orsa maggiore.
IN MORTE DI UGO BA.S8 VILLE. 121
E discende la via del paradiso,
Ecco aprirsi del ciel le porte a manca
Su i cardini di bronzo; e una virtude
Intrinseca le gira e le spalanca.
Risonò d'un fragor profondo e rude 40
Dell'olimpo la volta, e tre guerrieri
Calar fùr visti di sembianze crude.
Nere sul petto le corazze, e neri
Nella manca gli scudi, e nereggianti
Sul capo tremolavano i cimieri; 45
E furtive dell'elmo e folgoranti
Scorrean le chiome della bionda testa
Per lo collo e per l'omero ondeggianti.
La volubile bruna sopravvesta
Da brune penne ventilata addietro 50
Rendea rumor di pioggia e di tempesta
Del sopracciglio sotto l'arco tetro
Uscian lampi dagli occhi, uscia paura,
E la faccia parea bollente vetro.
Questi, e l'altro campion seduto a cura 55
Dell'estinto Luigi, angeli sono
Di terrore, di morte e di sventura.
Venir son usi dell'Eterno al trono,
Quando acerba a' mortai volge la sorte
E rompe la ragion del suo perdono. t>u
D'Egitto il primo l'incruente porte
Nell'arcana percosse orribil notte
Che fùr de' padri le speranze morte.
L'altro è quel che sul campo estinte e rotte
38. E una virtude, ecc. : E una forza eh 'è in loro le apre, come in Omkro,
II. v, 74tt e vili, 303, le porte del cielo si aprono da se stesse.
40. Nota l'ani ionia imitativa di questo bel verso.
50. Da brune, ecc. : Cosi in Dante, Purg. vili, 28 , sono descritti alcuni
angeli : « Verdi . . . Erano in veste, che da verdi penne Percosse traén die-
tro e ventilate ». Per queste e per altre apparizioni del poema si noti, come
dice lo Zumbini, p. 19. che: « Quel prodigioso e quella partecipazione del-
l'universo ad uno spettacolo umano non si adattano così perfettamente col
soggetto storico del poema italiano, come si adattavano ai soggetti vera-
mente colossali del « Paradiso Perduto » e del « Messia ».
53. Uscia a, ecc. : La descrizione di questi angeli di morte é modellata su
3uella degli angeli vendicatori che fa il Varano, nella Vis.. 1 : al v. 268 dice
'uno di questi : « Par che dalla fronte cada Gruppo di lampi al suol per
cencr farne ». .
51. Bollente vetro: Frase tolta a Danti:, Purg. xxvn, 40.
60. Rompe la ragion, ecc. : La sorte rende vana la misericordia di Dio.
61. D'Egitto, ecc. : È l'angelo che in una sola notte sterminò tutti i pri-
mogeniti dell'Egitto, perche Faraone lasciasse partire gli Ebrei. Questi, per
volere d'Iddio, avevano tinto le porte delle loro case col sangue dell'agnello,
per distinguerle da quelle degli Egiziani. Varano, Vis. 1. 562: « L'altro, che
agita in aria ì vanni arditi, E quel, che nella notte in Ciel segnata, Lo squal-
lor mise negli Egizi liti, E scannò i primi figli ... ».
64. L'altro: L'angelo che sterminò l'esercito di Sennacheribbo, re d'As-
122 PARTE III.
Lasciò le forze che il superbo Assiro 66
Contro Fumile Giuda avea condotte.
Dalla spada del terzo i colpi uscirò,
Che di pianto sonanti e di mina
Fischiar per l'aure di Sion s'udirò,
Quando la provocata ira divina 70
Al mite genitor fé' d'Absalone
Caro il censo costar di Palestina.
L'ultimo fiero volator garzone
Uno è de* sei cui vide l'accigliato
Ezechiello arrivar dall'aquilone, 75
In mano aventi uno stocco affilato
E percotenti ognun che per la via
Del Tau la fronte non vedean segnato.
Tale e tanta dal ciel se ne venia
Dei procellosi arcangeli possenti so
La terribile e nera compagnia;
Come gruppo di folgori cadenti
Sotto povero ciel, quando sparute
Taccion le stelle e fremon l'onde e i venti.
Il sibilo sentì delle battute 83
Ale Parigi; ed arretrò la Senna
Le sue correnti stupefatte e mute.
Vogeso ne tremò, tremò G-ebenna
ri il Bebricio Pirene, e lungo e roco
Corse un lamento per la mesta Ardenna. od
Al lor primo apparir dièr ratto il loco
Siria, che era andato ad assediare Gerusalemme. Varano, Vis. 1, 271: « L'al-
tro, cui scritto su le ciglia apparse Sterminator, colle man preste e fiere
Di Siloé in riva il sangue assiro sparse ».
70. Quando, ecc. David (il mite genitor d'Apsalonne) per orgoglio aveva
fatto il censo d'Israele e Iddio lo punì. « Mandò l'Angelo a Gerusalemme
per flagellarla ... E) alzando Davidde i suoi occhi, vide l'Angelo del Signore,
che stava tra cielo e terra, e aveva in mano la spada insanguinata volta
contro Gerusalemme » (Paralip. 1, cap xxi). Varano, Vis. cit. « Questo nella
Giudea, mentr'egli offerse In sacrifizio a Dio vittime tante, La strada all'aura
venenate aperse Del buon re sciolto in pianto agli occhi avante ».
74. Uno, ecc. : Ezechiele nel cap. ix della sua Visione narra che dalla
parte dell'aquilone, gli apparvero sei angeli portanti ciascuno in mano uno
strumento dì morte. In mezzo a loro era un altro angelo con un calamaio
appeso ai fianchi che per comando di Dio andava segnando con un Tau (T)
le fronti dei buoni che erano afflitti per le colpe della citta. Gli altri angeli
sterminavano tutti coloro che non eran segnati con questo T.
83. Sotto povero ciel: V. la n. al v. 35 del Sermone sulla Mitologia»
81. Taccion, ecc. : Le stelle pallide (sparute) son povere di luce. Catacresi»
come quella per cui Dante, Inf. i, 60, dice che « il sol tace ».
86. Arretrò: Con senso transitivo. Virgilio, Aen. vili, 240: « refluitque
exterritus amnis ».
88. Vogeso: I monti Vosgi.
89. Il Bebricio, ecc. : « Ai monti Pirenei il poeta dà l'aggiunto di Bebricio,
perché il loro nome vuoisi derivato da Pirene , figlia di Bebrice, la quale
ebbe in essi la tomba dopo di essere stata violata Uà Ercole e straziata dallo
fiere » (Mt.).
IN MORTE DI UGO BASSVILLE. 123
L'assetate del Tartaro caterve,
Un grido alzando lamentoso e fioco.
Come fugge talor delle proterve
Mosche lo sciame che alla beva intento 05
Sul vaso pastoral brulica e ferve,
Che al toccar della conca in un momento
Levansi tutte, e quale alla muraglia,
Qual si lancia alla mano e quale al mento;
Tal si dilegua l'infernal ciurmaglia; iod
Ed altri una pendente nuvoletta
D'ira sbulìando a lacerar si scaglia;
Sovra il mar tremolante altri si getta,
E sveglia le procelle; altri s'avvolve
Nel nembo genitor della saetta; 105
Si turbina taluno entro la polve,
E tal altro col guizzo del baleno
Fende la terra e in fumo si dissolve.
Dal sacro intanto orror del tempio useièno
Di mezzo all'atterrate are deserte 110
Due donne in atto d'amarezza pieno.
L'una velate e l'altra discoperte
Le dive luci avea, ma di gran pianto
D'ambo le gote si parean coverte.
Era un vei bianco della prima il manto, 115
Che parte cela e parte all'intelletto
Rivela il corpo immaculato e santo.
Una veste inconsutile di schietto •
Color di fiamma l'altra si cingea,
Siccome il peilican piagata il petto. 120
E nella manca l'una e l'altra dea
E nella dritta in mesto portamento
Una lucida coppa sostenea:
E sculto ciascheduna un argomento
Avea di duolo, in bei rilievi espresso 125
W. Come fugge, ecc. : Similitudine che ha at'.into a quella d 'Omero, II. ti,
614 (trad. M.), ove si descrive uno sciame di mosche che ronzano d'estate
intorno alle secchie del latte.
106. Si turbina: Si avvoltola come un turbine fra la polvere che solleva.
110. Atterrate, ecc. : Gli altari abbandonati dai fedeli e atterrati da-
gli atei.
112. L'una, ecc. : La Fede porta gli occhi velati, perché non tutte le ve-
rità del Dogma sono manifeste, porta un velo bianco per indicare la sua
purezza, e il velo le cela soltanto una parte del corpo, perché mentre al-
cune delle verità dogmatiche sono manifeste, altre invece sono inintelligibili
aU'uomo.
118. Inconsutile: Non cucita.
120. Siccome il peilican, ecc. : Erroneamente si credeva un tempo che il
pellicano si lacerasse il- petto per nutrire del suo sangue i figli. Il pellicano
e quindi simbolo della carità.
125. Espresso: Rilevato (lat.).
124 PARTE III.
Di nitid'oro e di forbito argento.
In una sculto si vedea con esso
11 Aglio e la consorte un re fuggire,
Pensoso più di lor che di so stesso;
E un dar subito all'arme ed un fremire 130
Di cruda plebe, e dietro al fuggitivo,
Siccome veltri dal guinzaglio, uscire;
Poi tra le spade ricondur cattivo
E tra Tonte quel misero innocente,
Morto al gioire ed al patir sol vivo. 135
Mirasi dopo una perversa gente
Cercar furendo a morte una regina,
Dir non so se più bella più dolente;
Ed ancisi i custodi alla meschina,
E per rabbia delusa, orrendo a dirsi! ho
. Trafitto il letto e la regal cortina.
V'era l'urto in un'altra ed il ferirsi
Di cinquecento incontra a mille e mille,
E dell'armi il fragor parea sentirsi.
Formidabile il volto e le pupille, 145
La Discordia scorrea tra l'irte lance,
Tra la polve, tra '1 fumo e le faville
E i tronchi capi e le squarciate pance,
Agitando la face che sanguigna
De' combattenti scoloria le guance. 159
Vienle appresso la Morte che digrigna
I bianchi denti, ed i feriti artiglia
1*27. Con esso : Pleonasmo.
128. Un re fuggire : « La fuga di Luigi XVI a Varennes tentata nella notte
del 21 giugno 1781. È noto eh egli e la sua famiglia furono riconosciuti a
Saìnte-Menehould, inseguiti e ricondotti a Parigi nel giorno 25 dello stesso
mese » (Mt.).
129. Pensoso, ecc. : Verso d'ispirazione petrarchesca, P. in, canz. 11, 101 :
« Pensoso più d'altrui che di sé stesso ».
130. Fremire : È il gridare delle bestie feroci , detto qui bene della plebe
inferocita contro il re.
132. Siccome veltri, ecc. : Dante, Jnf. xin, 126 : « Come veltri che uscisscr
di catena ».
133 Cattivo: Arrestato (lat.).
135. Morto, ecc. : Armida cosi risponde ad Eustazio innamorato nella Cher.
Lib. iv, 36 : « Cosa vedi, signor, non pur mortale, Ma già morta ai diletti,
al duol sol viva ».
136. Mirasi dopo, ecc. : « Nella giornata del 6 di ottobre 1789 una torma
di scellerati, uomini e donne, venuti a Versailles, entrarono nel castello
reale, uccisero le guardie, s'introdussero per una scaletta nella stanza in cui
poc'anzi dormiva la regina, e trovato il letto ancor tiepido, ma non lei, che
all'udire l'orrendo trambusto erasi occultamente sottratta, quello per atroce
rabbia trapassarono con più colpi di pugnale o di lancia » (Mt.).
142. V'era l'urto, ecc. : « La giornata del 10 agosto 1792, nella quale si se-
gnalarono per la loro fedeltà, di cui tutti rimasero vittime, i pochi Sviz-
zeri (900) "che erano a guardia delle Tuileries, combattendo contro alle mi-
gliaia di furibondi venuti ad assaltare quella regia abitazione » (Mt.).
IN MORTE DI UGO BASSVILLE. 125
Con la grand' unghia antica e ferrugigna;
E pria l'anime felle ne ronciglia
Fuor delle membra, e le rassegna in fretta 155
Fumanti e nude all'infernal famiglia;
Poi, ghermite le gambe, ne si getta
I pesanti cadaveri alle spalle,
Né più vi bada, e innanzi il campo netta.
Dietro è tutto di morti ingombro il calie: ico
IL sangue a fiumi il rio terreno ingrassa,
E lubrico s'avvia verso la valle.
Scorre intorno il Furor coll'asta bassa,
Scorre il Tumulto temerario, e il Fato
Ch'un ne percuote ed un ne salva e passa; 105
Scorre il lacero Sdegno insanguinato,
E TOrror co' capelli in fronte ritti,
Come l'istrice gonfio e rabbuffato.
Al fine in compagnia de' suoi delitti
Vien la proterva Libertà francese; no
Ch'ebbra il sangue si bee di quei trafitti.
E son sì vivi i volti e le contese,
Che non tacenti, ma parlanti e vere
Quelle immagini credi e quell'offese.
Altra scena di pianto, onde il pensiere 175
Rifugge e in capo arricciasi ogni pelo,
Nella terza scultura il guardo fere.
Sacro all'inclita donna del Carmelo
Apriasi un tempio, e distendea la nott<»
Sul primo sonno de' mortali il velo : iso
Se non che dell'oscure artiche grotte
Languian le mute abitatrici al cheto
Raggio di luna indebolite e rotte.
Strascinavasi quivi un mansueto
Di ministri di Dio sacro drappello, 185
Ch'empio dannava popolar decreto.
Un barbaro di lor si fea macello:
153. Ferruglgna: Del colore del ferro irrugginito.
151. Ronciglia: Trae fuori con un ronciglio o uncino ; lo usa Dante, I/if. xxi,
75 : « E poi di roncigliarmi si consigli ».
155. Rassegna: Consegna.
1G2. Lubrico: Sdrucciole vole.
174. Offesa: Ferite.
175. Saoro, ecc. : « La chiesa del Carmine in Parigi era stata convertita
in una prigione per rinchiudervi i vescovi ed i sacerdoti che avevan rifiu-
tato di prestare giuramento alla Costituzione. La maggior parte di essi fu
trucidata nel giardino annesso alla chiesa dagli emissari di coloro che reg-
gevano il Municipio dì Parigi, nel giorno 2 di settembre nel 1792 » (Mt.).
182. Le mute abitatrici: Le pallide stelle, che anche sopra ha detto che
tacevano, come chiama « cheto » il raggio della luna.
120 PARTE HI.
Ed ei, che schermo non avean di scudo
Al calar del sacrilego coltello,
Pietà, Signor, porgendo il collo ignudo, 193
Signor, pietà, gridavano: e venia
In quella il colpo inesorato e crudo.
Gadean le teste, e dalle gole uscia
Parole e sangue, per la polve il nome
Di Gesù gorgogliando e di Maria. 195
E l'un su l'altro si giacean, siccome
Scannate pecorelle; e fean ribrezzo
L'aperte bocche e le riverse chiome.
La luna il raggio ai visi esangui in mezzo
Pauroso mandava e verecondo, 200
A tanta colpa non ben anco avvezzo;
Ed implorar parea d'un vagabondo
Nugolo il velo ed affrettar raminga
Gli atterriti cavalli ad altro mondo.
Chi mi darà le voci ond'io dipinga 205
Il subbietto feral che quarto avanza,
Sì ch'ogni ciglio a lagrimar costringa?
Uom d'affannosa ma regal sembianza,
A cui, rapita la corona e il regno,
Sol del petto rimasta è la costanza, 210
Venia di morte a vii supplizio indegno
Chiamato, ahi lasso!, e ve '1 traevan quelli
Che fur dell'amor suo poc'anzi il segno.
Quinci e quindi accorrean sciolte i capelli
Consorte e suora ad abbracciarlo, e gli occhi 215
Ognuna avea conversi in due ruscelli.
Stretto al seno egli tiensi in su i ginocchi
Un dolente fanciullo; e par che tutto
Negli amplessi e ne* baci il cor trabocchi,
E sì gli dica: Da' miei mali istrutto 220
Apprendi, figlio, la virtude e cògli
Di mie fortune dolorose il frutto.
Stabile e santo nel tuo cor germogli
Il timor del tuo Dio, nò mai d'un trono
104. Parole e sangue : Dante, Inf. xin, 43 : « Cosi di quella scheggia usciva
insieme Parole e sangue ».
200. Verecondo: Vergognoso.
206. Che quarto, ecc. : Che resta ancora quarto. Perché lo spettacolo del
supplizio di Luigi XVI, che é il soggetto della quarta scultura, e più ter-
ribile degli altri, dubita il p. d'aver lena bastante per poterlo cantare.
218. Un dolente, ecc. : Il figlioletto di Luigi XVI. Commovente e bella è
questa scena, sebbene sia una ripetizione più particolareggiata dell'altra de-
scrizione del supplizio del re che e nel canto 11.
220. E sì ali dica, ecc. : « Il poeta in queste terzine pose in versi alcune
sentenze del testamento di Luigi XVI » (Mt.).
IN MORTE DI UGO BASSVILLE. 127
Mai lo stolto desir l'alma t'invogli. 225
E se l'ira del ciel si tristo dono
Faratti, il padre ti rammenta, figlio:
Ma serba a chi l'uccide il tuo perdono.
Questi accenti parea, questo consiglio
Profferir l'infelice, e chete intanto 230
Gli discorrean le lagrime dal ciglio.
Piangean tutti d'intorno: e dall'un canto .
Le fiere guardie impietosite anch'esse
Sciogliean, poggiate sulle lance, il pianto.
Cotai sul vaso acerbi fatti impresse 233
L'artefice divino; e, se vietato,
Se conteso il dolor non gliel avesse,
Il resto de' tuoi casi effigiato
V'avria pur anco, re tradito, e degno
Di miglior scettro e di più giusto fato. , 210
E ben lo cominciò: ma l'alto sdegno
Quel lavoro interruppe, e alla pietate
Cesse alfin l'arte ed all'orror l'ingegno.
Poiché, di doglia piene e d'onestate,
Si fùr l'alme due dive a quel feroce 215
Spettacolo di sangue approssimate,
Sul petto delle man fero una croce;
E, sull'illustre estinto il guardo fise,
Senza moto restarsi e senza voce,
Pallide e smorte come due recise 250
Caste viole due ligustri occulti
Cui né l'aura, né l'alba ancor sorrise,
Poi con lagrime rotte da' singulti
Baciar l'augusta fronte, e ne serraro
Gli occhi nel sonno del Signor sepulti; 255
Ed, il corpo composto amato e caro,
Vi pregar sopra l'eterno riposo,
Disser l'ultimo vale, e sospiraro.
E quindi in riverente atto pietoso
Il sacro sangue, di che tutto orrendo 260
Era intorno il terreno abbominoso,
Nell'auree tazze accolsero piangendo;
Ed ai quattro guerrier vestiti a bruno
Le presentar spumanti; una dicendo:
225. Mai lo stolto, ecc.: Virgilio, Georg. 1, 37: « Nec t ibi regnano i veniat
tam dira cupido ».
231. Discorrean: Scorrean giù (lat.).
213. Ed all'orror, ecc. : L'arte e l'ingegno del divino artefice furon vinti
dalla pietà dei casi del re infelice e dall orrore del terribile delitto.
245. Due dive: La Fede e la Carità.
251. Ligustri: Gigli.
263. Ai quattro guerrieri: Ai quattro angeli di morto.
• ,'-r
128 PARTE UT.
Sorga da questo sangue un quaicheduno sgs
Vendicator, che col ferro e col foco
In segua chi lo sparse: né veruno
Del delitto si goda, né sia loco
Che lo ricovri: i flutti avversi ai flutti,
I monti ai monti, e Tarmi all'armi invoco. ero
Il tradimento tradimento frutti:
L'esiglio, il laccio, la prigion, la spada
Tutti li pena e li disperda tutti.
E chi situi più sangue per man cada
D'una virago, ed anima funebre -275
A dissetarsi in Acheronte vada.
E chi, riarso da superba febre,
Del capo altrui si fea^sgabetttral soglio
Sul patibolo chiuda le palpebre,
E gli emunga il carnefice l'orgoglio : ssa
Né ciglio il pianga; né cor sia, che fuora
Del suo tardi morir, senta cordoglio.
La veneranda dea parlava ancora;
E già fuman le coppe, e a quei campioni
II cherubico volto si scolora; *s:>
Pari a quel della luna, allor che proni
Ruota i pallidi raggi e in giù la tira
Il poter delle tessale canzoni.
E Tocchio sotto Telmo un terror spira,
Che buia e muta l'aria ne divenne, 203
E tremò di quei sguardi e di quell'ira.
Dei quattro opposti venti in su le penne
Tutti a un tempo fèr vela i cherubini,
Ed ogni vento un cherubin sostenne.
Già il sol levava lagrimoso i crini 293
205. Sorga, ecc.: Virgilio, Aen. iv,625: « Exor.are aliquis nostris ex os-
sibus ultor, Qui face Dardanidos ferroque sequare colono» . . . Li torà lito-
ri bus contraria fluctibus undas Imprecor, arma armis ».
275. Una virago : La nobile fanciuUa Carlotta Corday di Caen in Norman-
dia, viscontessa d'Orfet, donna di virili sensi {virago] attinti alla storia e
ai forti esempi di Roma antica. Uccise 11 13 luglio 1793 Gian Paolo Marat,
il più sanguinario e ardente giacobino nel periodo del Terrore.
277. E ohi, ecc. : Massimiliano Robespierre (n. ad Arras nel 1759) che col
favore della plebe iniziò il Terrore il 10 marzo 1793. Accusato di aspirare
alla dittatura {al soglio), fu dalla Convenzione dichiarato fuori della legge
ed ebbe emunto l'orgoglio sul patibolo il 27 luglio del '01.
286. Proni: Inclinati, bassi.
288. Tessale canzoni: La Tessaglia, per ricordo della maga Medea, era
ritenuta dai poeti la sede delle più celebri incantatrici. Canzoni ha qui il
senso di carmina (incantesimi).
293. Fer vela: Immagine tolta dall'arte marinaresca: spiegaron le ali.
295. Già il sol. ecc. : Perifrasi del tramonto del sole: dai Mauri o Mau-
ritani, antichi abitatori delle coste dell'Affrica settentrionale, designa l'O-
ceano Atlantico in cui tramonta il sole. Nella Musog. 358 chiama 17 Oceano
Atlantico « Tonda in cui si corca il sole ».
Lagrimoso: Per le spaventose cose da lui visto nel suo corso,
IN MORTE DI UGO BÀSSVILLE. 129
Nell'onde maure, e dal timon. sciogliea
Impauriti i eorridor divini;
Che la memoria ancor retrocedea
Dal veduto delitto; e chini e mesti
Espero all'auree stalle i conducea; 300
Mentre la notte di pensier funesti
E di colpe nutrice e di rimorsi
Le mute riprendea danze celesti :
Quando per l'aria cheta erte levòrsi
Le quattro oscure vision tremende, 305
E Tuna all'altra teoea vólti i dorsi.
Giunte là dove la folgore prende
L'acuto volo e furibonda il seno
Della materna nuvola scoscende,
In versero le coppe; e in un baleno 310
Imporporossi il cielo e delle stelle
Livido fessi il virginal sereno.
In versero le coppe; e piobber quelle
11 fatai sangue, che tempesta roggia
Par di vivi carboni e di fiammelle. 315
Sotto la strana rubiconda pioggia
Ferve irato il terren che la riceve,
E rompe in fumo: e il fumo in alto poggia,
E i petti invade penetrante e lieve
E le menti mortali, e fa che d'ira 220
Alto incendio da tutte si solleve.
Arme fremon le genti, arme cospira
L'orto e l'occaso, l'austro e l'aquilone,
E tutta quanta Europa arme delira.
300. Espero : La stella di Venere che spunta la sera (inzipoì). — i: li, cioó
i cavalli del sole.
302. E di colpe, ecc. : Anche il PARiNinel Giorno la dice* di tenebre in-
volta e di perigli » {Notte, 4), alla sua ombra, aggiunge, passeggia le vie il
« sospettoso adultero ».
301. Leverai: Si levarono. Ertk, ritte in piedi (V. la n. a p. 103).
307. Là dove, ecc. : Nell'alta aria da cui parte il fulmine.
309. Scoscende: Dante, Inf. xiv, 133: « Se subito la nuvola scoscende ».
310. Inversero, ecc. : Rovesciarono le tazze effigiate. Anche il Varano,
Via. vii, Immagina che un Angelo salga al cielo, versi in un turibolo 1
lampi deirira divina e poi lo rovesci si che una strìscia dell'ira di Dio
scenda sulla terra a produrre il terremoto di Lisbona. Questa immagina-
zione, come forse anche quella del Monti, risale all'Apocalisse, cap. vili:
« Accepit Angelus thuribulum, et implevit illud de igne altaris, et misitin
terram ; et facta sunt tonitrua, et voces. et fulgura, et terremotus magnus ».
314. Roggia: Rossa infuocata: dal latino rubens e rubeus. L'usa spesso
Dante, come nel Pitrg. ni, 17 : « Fiammeggiava roggio », e nel Par. xiv, 87.
322. Arme fremon : V. la nota 53 alla p. 27.
324. Europa, ecc.: Le più forti nazioni d'Europa, Austria, Russia, Prus-
sia, Inghilterra, a cui si aggiunsero l'Annover, la Spagna e il Piemonte, nel
1794 si collegarono in armi contro la francese repubblica, temendone gli
eccessi. Delirare: E qui transit., noi senso che la in latino. Cfr. Orazio,
Monti. — Poesie.
130 PARTE ni.
QuincTescono del fier settentrione 325
L'aquile bellicose, e coll'artiglio
Sfrondano il franco tricolor bastone.
Quinci move dell'anglico coviglio
11 biondo imperator della foresta
Il tronco stelo a vendicar del giglio. 330
Al fraterno ruggito alza la testa
L'annoverese impavido cavallo
E il campo colla soda unghia calpesta.
D'altra parte sdegnosa esce del vallo
E maestosa la gran donna ibera 335
Al crudele di Marte orrido ballo;
E, scossa la cattolica bandiera,
In su la rupe pirenea s'aflaccia,
Tratto il brando e calata la visiera ;
E la celtica putta alto minaccia, 310
E l'osceno berretto alla ribalda
Scompiglia in capo e per lo fango il caccia.
Ma del prisco valor ripiena e calda
La sovrana dell'Alpi in su l'entrata
Ponsi d'Italia, e ferma tiensi e salda; 313
E alla nemica la fatai giornata
Di Guastalla e d'Assietta ella rammenta
E l'ombra di Beilisle invendicata,
Kp. in . 146 : « Quidquid delirant reges », e Carducci, Al Clitunno, 134 :
« Ei delirare- atroci Congiungimenti di dolor con Dio ».
326. L'aquile bellicose: « L'aquila é l'arme delle tre grandi monarchie del
nord, Austria, Russia e Prussia » (Mt.j.
327. Il franco, ecc. : L'albero della liberta che aveva tre colori , bianco,
rosso e azzurro.
329. Il biondo, ecc. : Il p. si piace di riprendere qui il v. 87 della Bellezza
dell'Universo: « L'arme dell'Inghilterra é un leone, quella dell 'Eie Morato,
ora regno di Annover, é un cavallo. Il p. chiama fraterno il ruggito del
Leone d'Inghilterra, rispetto al Cavallo d 'Annover, perché ambedue questi
stati appartengono alla casa di Brunsviek » (Mt.).
330. A vendicar del giglio A vendicare la monarchia di Francia la cui
arma erano i gigli d'oro.
333. Colla soda unghia, ecc.: Virgilio, Aen. vili, 596: « Quadrupedante
putrem sonitu quatit ungula campum ».
335. La gran donna, ecc. : La Spagna.
337. Cattolica: I re di Spagna, da Ferdinando d'Aragona in poi, si dissero
C*Q.ttOl\PÌ
310. Celtica putta: Cosi con efficace dispregiativo designa la Repubblica
francese.
311. L'osceno berretto: Il berretto frigio.
314 La sovrana ecc * Il Piemonte.
347. Di Guastalla e d'Àssietta: « Nella battaglia che avvenne il giorno 19
di novembre dell'anno 1734 a Guastalla, i Francesi, in quell'anno medesimo
già _
rotta
gna
Nel 1747 il cavaliere di Belle-IsJe, fratello del maresciallo di questo nome,
volendo segnalarsi con qualche impresa, tentò di penetrare in Italia per le
Alpi dalla parte di Susa. Ma giunto al passo dell'Assietta s'incontrò coi Pie-
IN MORTE DI UGO BASSVILLK. 131
Che rabbiosa s'aggira e si lamenta
In vai di Susa e arretra per paura 350
Qualunque la vendetta ancor ritenta.
Mugge fra tanto tempestosa e scura
Da lontan Tonda della sarda Teti,
Scoglio del franco ardire e sepoltura.
Mugge Tonda tirrena irrequieti 353
Levando i flutti, e non aver si pente
Da pria sommersi i mal raccolti abeti.
Mugge Tonda d'Atlante orribilmente,
Mugge Tonda britanna; e al suo muggito
Rimormorar la baltica si sente. 3G0
Fin dall'estremo americano lito
Il mar s'infuria, e il lusitan n'ascolta
Nel buio della notte il gran ruggito.
Sgomentassi, ristette, e a quella volta
Drizzò l'orecchio di Bassville anch'essa 3G3
L'attonit 'ombra in suo dolor sepolta.
Palpitando ristette: e alla convessa
Region sollevando la xjupilla
Traverso all'ombra sanguinosa e spessa,
Aide in su per la truce aria tranquilla ero
Correr spade infocate; ed aspri e cupi
N'intese i cozzi ed un clangor di squilla.
Quindi gemere i boschi, urlar le rupi
E piangere le fonti e le notturne
Strigi solinghe, e ulular cagne e lupi; 373
E la quiete abbandonar dell'urne
Pallid'ombre fur viste, e per le vie
montcsi die lo attendevano, difesi da altissime e ben munite trincee La
pugna fu micidiale e disperata ; i Piemontesi, quantunque minori di numero,,
avevano il vantaggio dei luo«o, e per ben due ore fecero macello dei Fran-
cesi, a' quali soprastavano. Il cavaliere di Belle-Isle diede non ordinarie
prove di valore e Analmente ricevette l'ultimo colpo ...» (Mt.).
350. Arretra . In senso transit., fa tornare indietro.
353. La sarda Teti: Il mar di Sardegna. Per la terza volta accenna alla
distruzione della flotta francese sulle coste di Sardegna avvenuta nel 17W2.
357. I mal raccolti abeti: Le navi raccolte a suo danno. Mal, come spesso
in Dante, vale con lor danno. Cfr. anche Parini, A Silvia, 53: « Poi che la
spola e il frigio Ago e gli studi cari Mai si recaro a tedio ».
360. La baltica: L'onda del mar Baltico.
302. Il lusitano: 11 Portoghese, così detto dai Lusitani, antichi abitatori
del Portogallo.
367. Alla convessa region: Al cielo.
370. Vide, ecc. : In questo passo imita Virgilio che nelle Georg, i, 476 e
sgg., enumera i portenti che seguirono la morte di Cesare : « Vos quoque
por lucos vulgo exaudita silentes Ignes, et simulacra modis pallencia miris,
Visa sub obscurum noctis pecudesque locutae Infandum ! sistunt amnes
tcrraeque deniscunt Et maestum illacrimat templis ebur aeraque sudane ».
372. Clmgor di squilla : Suono di tromba. %
374. E le notturne strigi, ecc. : Le strigi sono i gufi : Virgilio, Geora. i,
470: « Obscenaeque canes importunaeque volucres Signa dabant ... ».
132 PARTE III.
Vagolar sospirose e taciturne;
Starsi i fiumi, sudar sangue le pie
Immagini de' templi, ed involato 3so
Temer le genti eternamente il die.
pietosa mia guida, che campato
M'hai dal lago d'Averno, e che mi porti
A sciogliere per gli occhi il mio peccato ;
Certo di stragi e di sangue e di morti 3S3
Segni orrendi vegg'io : ma come ? e d'onde ?
E a chi propizie volgeran le sorti ?
Al suo duca sì disse, e avea feconde
Di pianto la francese ombra le ciglia.
Vienne meco, e il saprai, l'altro risponde;
Ed amoroso per la man la piglia.
378. Vagolar : Vale andar vagando e si disse sempre di spiriti. Il Foscolo
l'usò anche a proposito di persona viva nei Sepolcri^ 71 : « Forse tu fra
plebei tumuli guardi Vagolando ove dorma il sacro capo Del tuo Parini 1 ».
384. Sciogliere ... il mio pecoato : Come il solvere poenam dei latini vale
qui scontare il peccato commesso.
391. Qui rimase interrotta la cantica, probabilmente per le fortunose vi
cende politiche d'allora che rendevano ormai impossibile al p. di continuare
a rampognare la novella repubblica di Francia, che invece era riuscita vit-
toriosa. Di questa interruzione ecco che cosa dice in una lettera del primo
ottobre 1794 a Francesco Torti: « Ho anche voglia di mandarvi un saggio
già stampato della, min Musogonia succeduta al sonno forse eterno del poema
Bassvilliano.. Dico eterno, perché il rovescio delle vicende d'Europa distrugge
tutto il mio piano, e non lascia più veruna speranza di fine al Purgatorio
del mio povero eroe (Epist. ed. , Resnati , p. 86) e in un' altra lettera al
Galeani Napione dice: « Quando io considero d'aver cacciato il povero
Bassville in un Purgatorio, ove non é più redenzione, m'assale un timore
che anche questa volta mi manchi l'acqua sotto la barca » (Lettere ined. e
sparse, ed. Bert. e Mazz., I, p. 230).
In morte di Lorenzo Mascheroni.
CANTICA
La cantica, che ha anche il nome di Mascheronìana, fu composta nel 1800
e trae occasione dalla morte del Mascheroni avvenuta il 19 luglio di quel-
l'anno, appena un mese dopo la battaglia di Marengo. — Lorenzo Macche-
roni nacque a Castagneta in quel di Bergamo il 13 maggio 1750. Fattosi sa-
cerdote, insegnò belle lettere e filosofia nel seminario di Bergamo, poi ma-
tematiche nell'Università di Pavia. Nel 1797 fece parte del corpo legislativo
in Milano, e nel '98 della Commissione universale di pesi e misure che si
adunò a Parigi. Quando gli Austro-Russi occuparono la Lombardia, cadde
in bassa fortuna, nella quale generosamente lo sovvenne il celebre matema-
tico francese Lagrange. Mori, come abbiamo detto, in Francia ove si era
rifugiato, senza poter rivedere l'Italia che Napoleone colla battaglia di Ma-
rengo aveva liberato dagli Austro- Russi. Scrisse non poche opere di mate-
matica e una bella cantica. L'invito , ch'egli mandò alla poetessa arcade
Lesbia Cidonia, sotto il qua! nome si celava la contessa Paolina Secco -Suardo
Grismondi di Bergamo, perché si ricordasse che aveva promesso al p. di
andare a visitarlo a Pavia, ove le avrebbe fatto vedere le rarità scientifiche
che erano racchiuse in quei ricchi musei universitari (11 poemetto insieme
con altre poesie e prose inedite del Mascheroni é stato recentemente ristam-
pato da C. Caversazzi, Bergamo, Arti Grafiche, 1903. In questo libro sono
anche molte e buone notizie sul Mascheroni e sulla Grismondi). Il Monti
preludendo a questa cantica, cosi dice del Mascheroni : « Insigne matema-
tico, leggiadro poeta ed ottimo cittadino, egli ha giovato alla patria illu-
strandola co' suoi scritti, conquistando nuove e pei egrine verità all'umano
intendimento, provocando con gli aurei suoi versi il buon gusto sulla pri-
mogenita e più sacra di tutte le arti, nella quale son pochi tuttavia i sani
di mente e molti i farnetici e ciurmadori } egli ha giovato finalmente alla
patria lasciandole l'esempio delle sue virtù ». Ma il compianto del Masche-
roni gli serve anche d'occasione per fare un doloroso quadro delle sciagure
d'Italia che i falsi repubblicani laceravano : « Guai a colui che a' di nostri
ha occhi per vedere e non ha cuore per fremere o lagrimare ! Lettore, se
altamente ami la patria e sei verace italiano , leggi : ma getta il libro, se
per tua e nostra disavventura tu non sei che un pazzo demagogo o uno
scaltro mercatante di libertà », e in una lettera del 18 agosto 1800 scriveva
all'amico Bernardini : « Molti ne rimarranno scottati ; ma é giunto il tempo
d'una onorata vendetta : e per Dio ! me la voglio prendere per istruzione
della mia patria lacerata da tanti birbanti » (Epistolario Resnati, p. 100). Lo
Zumbini, p. 76, ne diceva : « Si vede bene ch'egli dovette esser commosso
più fortemente che mai dal suo soggetto, e posseduto da un dolore e da
uno sdegno assai più veri, che non quelli di cui fece pompa per i delitti
della rivoluzione francese e il supplizio di Luigi XVI » e giusto é il giudi-
zio che ne dà (p. 189) :«.... questo poema a me sembra migliore della
Bassvilliana ... ». In questa . . . é sempre minore l'esuberanza, minore il
rimbombo, più castigatezza e temperanza in tutto. Nonostante tali ed altri
più squisiti pregi, la « Mascheroniana » levò minor grido, ed ancor oggi e
meno letta dell'altra cantica ».
Contenuto. — S'apre il canto colla descrizione della morte del Mascheroni.
Intorno al cadavere di lui stanno dolenti le sue pregiate virtù. L'anima sua,
levatasi a volo verso il cielo, riceve invi o dalle più fulgenti stelle, ma, in-
contrato lo spirito del matematico francese Borda, vien da quello condotta
nella costellazione della Lira. Là trova lo Spallanzani e il Parini. il quale
narra doglioso le sciagure che affliggono l'Italia e per le quali bramò morire.
134 t*ARTE III.
CANTO PRIMO.
Come face al mancar dell'alimento
Lambe gli aridi stami, e di pallore
Veste il suo lume ognor più scarso e lento ;
E guizza irresoluta, e par che amore
Di vita la richiami, intìn che scioglie r>
L'ultimo volo e sfavillando muore:
Tal quest'alma gentil, che morte or toglie
All'italica speme e su lo stelo
Vital, che verde ancor fioria, la coglie,
Dopo molto affannarsi entro il suo velo io
E anelar stanca su l'uscita, alfine
L'ali aperse e raggiando alzossi al cielo.
Le virtù, che diverse e pellegrine
La vestir mentre visse, il mesto letto
Cingean, bagnate i rai, scomposte il crine, 13
Della patria l'Amor santo e perfetto,
Che amor di figlio e di fratello avanza,
Empie a mille la bocca, a dieci il petto:
L'Amor di libertà, belio se stanza
Ha in cor gentile, e, se in cor basso e lordo, 23
Non virtù, ma furore e scelleranza :
L'Amor di tutti, a cui dolce è il ricordo
Non del suo dritto, ma del suo dovere,
E l'altrui bene oprando al proprio è sordo:
Umiltà, che fa suo l'altrui volere: 25
Amistà, che precorre al prego e dona,
1. Come face: ecc.: Questa similitudine ha versi cosi belli che in un
pranzo a cui era presente anche il Byron, furono ritenuti 1 più belli elio
da un secolo si fossero composti in ogni lingua; ma non é nuova E già il
Petrarca, Trionfo d. Morte, 1, 162 : « Se n'andò in pace l'anima contenta;
A guisa d'un soave e chiaro lume Cui nutrimento a poco a poco manca ... »,
il Tasso, Ger. Lib. xiv, 22: « Come face rinforza anzi l'estremo Le fiamme
e luminosa esce di vita », e Lorenzo de Medici, son. xxvi : « Come lucerna
all'ora mattutina, Quando manca l'umor che '1 fuoco tiene, Estinta par, poi
si raccende, e viene, Maggior la fiamma, quando al fin più inchina », il Va-
rano, Vis., v, 510, I'Ariosto, Ori. Fm\, xxvt, 85, e il Marino, Ad., vii, 51.
7. Quest'alma: L'anima del Mascheroni.
9. Verde, ecc. : Aveva appena cinquanta anni.
10. Velo: Il corpo che ben si dice velo dell'anima.
13. Le virtù, ecc. : Le virtù del morto personificate cingono meste il
letto.
17. Avanza : Supera.
21. AJ proprio è sordo: Bene é qui designato l'amore filantropico, che più
che i diritti ricorda i doveri e sacrifica il proprio bene per quello degli
altri.
26. Precorre., ecc. : Dante dice della Madonna : « La tua benignità non pur
soccorre A chi dimanda, ma molto fiate Liberamente al dimandar precorre ».
IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 135
E il dono asconde con un bel tacere:
Poi le nove virtù che in Elicona
Danno al muto pensier con aurea rima
L'ali, il color, la voce e la persona : :ìo
Colei che gl'intelletti apre e sublima,
E col valor di fìnte cifre il vero
Valor de' corpi immaginati estima:
Colei che li misura, e del primiero
Compasso armò di Dio la destra, quando 35
Il grand'arco curvò dell'emispero,
E spinse in giro i soli, incoronando
L'ampio creato di fiammanti mura,
Contro cui del caosse il mar mugghiando
E crollando le dighe entro la scura io
Eternità rimbomba e paurosa
Fa del suo regno dubitar natura.
Eran queste le dee che lamentosa
Fean corona alla spoglia che d'un tanto
Spirto di vita nel cammin fu sposa. r>
Ecco il cor, dicea l'uria, in che sì santo
Sì fervido del giusto arse il desiro:
E la man pose al core, e ruppe in pianto.
Ecco la dotta fronte onde s'aprirò
Sì profondi pensieri, un'altra disse: 50
E la fronte toccò con un sospiro.
Ecco la destra, ohimè !, che li deferisse.
Venia sclamando un'altra: e baci ardenti
Su la man fredda singhiozzando affisse.
Poggia intanto quell'alma alle lucenti 55
Sideree rote, e or questa spera or quella
Di sua luce l'invita entro i torrenti.
Vieni, dicea del terzo ciel la stella:
27. Con un bel tacere: Bene oppresse questo concetto il Manzoni n.'lla Pen-
tecoste: « A cui fu dato in copia Doni con volto amico Con quel tacer pu-
dico Che accetto il don ti fa », come dice la Bibbia, Matteo, vi, 2 : « Quando
fai limosina, non far sonar la trombi dinanzi a te ».
28. Le nove Virtù: Lo nove Muse.
29. Danno al muto, ecc. : Fissano e danno vita al pensiero, come con versi
ugual mento belli aveva detto della scrittura nelle Nozze di Cadmo e d'Er-
mione.
31. Colei : La matematica.
34. Colei : La geometria.
35. Armi di Dio, ecc. : Questi versi sono imitati dal Parad. Perd. de* Mil-
ton, e. vii, 210 e sgg. Cfr. coi versi assai simili della Bell, deiruniv. 84 e s<rg.
40. Crollando : Usato attivamente, come in Dante, Purg., v, M : « Sta come
torre fermo che non crolla Giammai la cima uer soffiar di venti ».
52. Li descrisse : Descrisse i pensieri delia ciotta fronte nelle sue opero
scientifiche e letterarie.
55. Poggia: Si leva a volo verso lo rotanti sfere celesti, ciascuna delle
quali a sé l'invita.
38. Del terzo oiel la stella : Venero, che secondo il sistema tolemaico é il
terzo cielo e sede degli spiriti amanti, come vuole Dante.
136 PARTE III.
Qui di Valchiusa è il cigno, e meno altera
La sua donna con seco e assai più bella; 60
Qui di Bice il cantor, qui l'altra schiera
De' vati amanti ; e tu, cantor lodato
D'un'altra Lesbia, ascendi alla mia spera.
Vien, di Giove dicea l'astro lunato:
Qui riposa quel grande che su l'Arno 65
Me di quattro pianeti ha coronato.
Vien quegli occhi a mirar che il ciel spiamo
Tutto quanto, e, lui visto, ebber disdegno
Veder oltre la terra e s'oscurarno.
Tu, che dei raggi di quel divo ingegno 70
Filosofando ornasti i pensier tui,
Vien; tu con esso di goder se' degno.
Ma di rincontro folgorando i sui
Tabernacoli d'oro apriagli il sole;
E, vieni, ei pur dicea, resta con nui. 75
Io son la mente della terrea mole,
Io la vita ti diedi, io la favilla
Che in te trasfuse la giapezia prole.
Rendimi dunque l'im mortai scintilla
Che tua salma animò; nelle regali so
Tende rientra del tuo padre, e brilla.
D'italo nome troverai qui tali
Che dell'uman sapere archimandriti
59. Di Va chiusa il cigno : il Peti arca clic amò Laura e. di lei innamorato,
dimorò a limerò nella solitudine di Valchiusa presso Avignone.
60. E assai più bella: Petrarca, P. ii, son. 34: « Ivi fra lor che il terzo
cerchio serra La rividi più bella e meno altera ».
61. Di Bice il cantor: Dante.
63. D'un'altra Lesbia : Lesbia Cidonia. Cosi si chiamava in Arcadia la Gri-
smondi, che qui dice seconda Lesbia, dalla prima che fu cantata da Ca
tulio.
64. L'astro lunato : Il pianeta Giove ha quattro satelliti o lune scoperte
da Galileo {quel grande che su l'Arno Me di quattro pianeti ha coronato).
67. Spiamo: Spiarono, investigarono. In tal senso l'usò il Foscolo nelle
Grazie, Inno, 1, 12, pure di Galileo che sedeva a spiar l'astro Della loro
regina.
69. S'oscurarno : I suoi occhi ebbero a sdegno di vedere ancora di più a
terra e divenne cieco.
76. La mente: L'anima della terra.
78. La Giapezia prole : Prometeo ed Epimeteo . tìgli di Giapcto , furono i
creatori degli animali e il primo, tolta una favilla al sole, ne animò il corpo
de .l'uomo, come il p. cantò nel Prometeo.
80. Tua salma animò: « Il p. sc^ue u dottrina di Platone ... il quale pen-
sava che le anime fossero state distribuite da Dio nei pianeti, donde per
primi
'81. Nelle regali tende: Nelle lucenti plaghe del sole che sopra ha chiamato
con immagine simile : « tabernacoli d oro ».
83. Archimandriti: Propriamente capi di mandria, ma qui vale principi,
capi. Nella canz. Per un dipinto dell'Agricola rappree. te guattito donne
IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 137
Al tuo pronto intelletto impennar Tali.
Colui che strinse nei suoi specchi arditi 85
Di mia luce gli strali e fé' parere
Cari a Marcello di Sicilia i liti;
Primo quadrò la curva dal cadere
De* proietti creata, e primo vide
li contener delle contente sfere. oo
Seco è il Calabro antico, che precide
Alle mie rote il giro e del mio figlio
La sognata caduta ancor deride.
Qui Cassin, che in me tutto affisse il ciglio
Fortunato così, ch'altri giammai 05
Non fé' più bello del veder periglio;
Qui Bianchin, qui Riccioli, ed altri assai
. Del ciel conquistatori, ed Orfano
L'amico tuo qui assunto un dì vedrai;
Lui che primiero dell'intatto Urano 100
Coi numeri frenò la via segreta,
Orian degli astri indagator sovrano.
Questi dal centro del maggior pianeta
Uscian richiami, e: Vieni, anima dia,
amate da Dante, Petrarca, ecc., chiama questi : « Dell'italiche Muse archi-
mandriti ».
84. Impennar l'ali : Dante, Par., xv, 54 : « All'alto volo ti vestir le piume ».
85. Colui: Archimede siracusano, celebre matematico e fisico che in-
ventò gli specchi ustorii, coi quali potè bruciare le navi dei Romani e ho
assediavano Siracusa.
87. Maroello: M. Claudio Marcello ebbe molto a penare per prendere Si-
racusa che solo dopo tre anni d'assedio cadde in potere dei Romani nel 212 av . e.
8S. Primo quadrò la curva : Archimede per primo trovò la quadratura
della parabola.
89. Primo vide: Primo trovò il rapporto fra il cilindro e la sfera iscritta.
— Contente : è sincope di contenute, come in Dante, Inf., n, 77 e altrove.
91. Il Calabro antico : Filolao, filosofo vissuto verso il 475 av. C. nella Ma-
gna Grecia, di cui faceva parte l'odierna Calabria. — Precide : Tronca (lat.):
Dante, Par., xxx, 28 : « Non é il seguire al mio cantar preciso ».
92. AUe mie rote : Filolao primo insegnò il moto annuo de la terra in-
torno al sole. — Del mio figlio: Uno scienziato non poteva che farsi bello
della caduta di Fetonte che mal seppe « carreggiar » il carro di suo padre,
il Sole.
94. Cassin: Gian Domenico Cassini di Nizza (1625-1712), studiò le mac-
chine solari e le parallassi del sole.
96. Periglio: Prova, esperimento, nel senso quindi che talvolta ha in la-
tino periculum.
97. Bianchin : Monsignor Francesco Bianchini (1662-1729) di Verona, scien-
ziato illustre, autore della Istoria universale provata con monumenti e
figurata con simboli degli antichi. — Riociòli: Giambattista Riccioli (1598-
1671) di Ferrara, astronomo insigne e autore della Cronologia reformata*
opera eruditissima.
98. Orlano: Barnaba Oriani (1762-1833), astronomo milanese, amico del
Monti e del Mascheroni.
100. Lui , che , ecc. : Con questi versi rese il p. la dovuta giustizia al-
l'Oriani che per primo stabili la legge del moto di Urano, della quale sco-
perta, approntandosi della sua modestia, si giovò, dandola per sua, l'astro -
nomo francese Delhambre.
101. Dia: Lucente: « Luce più dia, spera più dia, region dia, usò
138 PARTE III.
Par ch'ogni stella per lo ciel ripeta. 105
Sì dolce udiasi intanto un'armonia,
Che qual più dolce suono arpa produce
Di lavoro mortai mugghio saria.
E il sol sì viva saettò la luce,
Che il più puro tra noi giorno sereno 110
Notto agli occhi saria quando è più truce.
Qual tra mille fioretti in prato ameno,
Vago parto d'aprii, la fanciulletta,
Disiosa d'ornar la tempia e il seno,
Or su questo or su quel pronta si getta, 115
Vorria tutti predarli, e li divora
Tutti con gli occhi ingorda e semplicetta;
Tal quell'alma trasvola, e s'innamora
Or di quei raggio ed or di questo, e brama
Fruir di tutti, e niun l'acqueta ancora: 120
Perocché più possente a so la chiama
Cura d'amore di quei cari in traccia
Che amò fra' vivi e più fra gli astri or ama.
Ella di Borda e Spallanzan la faccia
E di Par in sol cerca; ed ogni spera 125
N'inchiede, e prega che di lor non taccia.
Ed ecco a suo rincontro una leggiera
Lucida fiamma, che nel grembo porta
Una dell'alme di cui fea preghiera.
Qual fu suo studio in terra, ivi l'accorta 130
Misurando del cielo alle vedette,
L'arco che l'ombra fa cader più corta.
— Oh mio Lorenzo ! — Oh Borda mio! — Fur detto
Dante, xiv [3i|, xxin [ 107], xxvi ( lo] del Paradiso^ e dias luminis auras
disse Lucrezio, lib. 1, v. 22 e altrove dia pabulo,, dia otia » (Mt.).
107. Che qual, ecc. : Dante, Par., xxiii, 07 : « Qualunque melodia più dolce
suona Quaggiù . . . Parrebbe nube che squarciata tuona ? Comparata al so
nar di quella lira ». Qual indefinito é frequente nei poeti : Petrarca canz.
alV Italia: « Qual io mi sia per la mia lingua s'oda ».
118. Trasvola: Passa innanzi volando.
122. Di quei cari, ecc. : L'anima del Mascheroni sente forte desiderio di
rivedere fra gli astri coloro che tanto ebbe cari in terra, gli scienziati e i
letterati a lui più amici.
124. Borda: Bartolomeo Borda (1733-1799), matematico francese, amicissimo
del Mascheroni che ne pianse la morte in una bella elegia composta nel 1799.
— Spallanzan: Lazzaro Spallanzani (1729-1799), della provincia di Reggio Emi-
lia, celebre naturalista, professore e direttore del museo dell'uni versila di
Pavia.
125 Parin: Giuseppe Parini (1729-1799), il celebrato autore delle Odi e del
Giorno.
128. Luoida fiamma: Si noti che anche per il modo di fare apparire queste
anime il p. imita Dante che nel Paradiso raffigura le anime dei beati chiuso
in lucenti fiammelle.
131. Del cielo, ecc. : Dalle regioni più alte del cielo.
132. L'arco, ecc. : Il meridiano.
IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 139
Queste, e non più, per lor, parole : il resto
Disser le braccia al collo avvinte e strette. 133
— Par ti trovo. — Pur giungi. — Io piansi mesto
L'amara tua partita, e su latino
Non vii plettro il mio duol fu manifesto. —
— Io di quassù Tintesi, pellegrino
Canoro spirto ; e desiai che ratto 110
Fosse il voi che dovea farti divino. —
— Anzi tempo, lo vedi, fu disfatto
Laggiù il mio frale. — Il veggo, e nondimeno
« Qual di te lungo qui aspettar s'è fatto ! —
Così, confusi l'un dell'altro in seno, 113
E alternando U parlar, spinser le piume
Là dove fa la lira il ciel sereno ;
D'Orfeo la lira, che il paterno nume
D'auree stelle ingemmò, mentre volgea
Sanguinosa la testa il tracio fiume, 150
E, misera Euridice, ancor dicea
L'anima fuggitiva, ed Euridice,
Euridice, la ripa rispondea.
Conversa in astro quella cetra elice
Sì dolci suoni ancor, che la dannata 153
Gente gli udendo si faria felice.
Giunte a quell'onda d'armonia beata
Le due celesti peregrine, un'alma
Scoprir che grave al suon si gode e guata;
131. Par lor: Da loro.
135. Questo incontro affettuoso farà subito ricordare al lettore rincontro
di Virgilio e Bordello nel vi del Purg.
137. E su latino, ecc. : Allude all'elegia latina, che, come abbiamo detto, il
Mascheroni compose per la morte del Borda. 11 plettro era una verghetta
colla quale si suonavano le corde della lira. Qui vale per metonimia la lira
stessa.
141. Il vol^ La morte.
142. Disfatto: Morto. Dante, Inf., vi, 42: « Tu fosti, prima ch'io disfatto,
fatto ».
148. D'Orfeo la lira: Orfeo fu mitico poeta di Tracia, amò la ninfa Euri-
dice, mortala quale non volle cedere alle lusinghe delle altre donne tracio,
le quali per vendetta lo fecero a brani in un'orgia bacchica e questi getta-
rono neh'Ebro. Apollo collocò la sua lira fra gli astri e la Lira infatti è
una costellazione che nasce tra settentrione e greco. — Il paterno nume:
Apo lo che dalla musa Calliope aveva avuto Orfeo.
149. Mentre volgea. ecc. : Virgilio, Georg., rv, 523 : « Tum quoque, mar-
morea caput a cervice revulsum Gurgite quum medio portans Oeagrius
Ilebrus volveret ... ».
151. E misera Euridic3, ecc. : Virg., 1. e. « Enrydiccn vox ipsa et frigida
lingua, Ah miseranti Eurydicen ! anima fugiente vocabat, Eurydicen toto
referebant flamine ripae ».
154. Elice : Trae fuori ,(lat.), Parini, Eduraz., 65 : « Quindi l'alta rettrice
Somma virtude elice ». È pure frequente nel Petrarca , nel Tasso e nel
Redi, son. x : « Forse dal volo a maggior volo elice ».
158. Le due, ecc. : Il Mascheroni e ii Borda.
140 PARTE III.
Sovra un lucido raggio assisa in calma, 160
L'un su l'altro il ginocchio e su i ginocchi
L'una nell'altra delle man la palma.
Torse ai due che veniéno i fulgid'occhi,
Guardò Lorenzo, e in lei del caro aspetto
Destarsi i segni dall'oblio non tocchi. igó
Non assurse però ; ma con diietto
La man protese, e balenò <T un riso
Per la memoria dell'antico affetto.
E ben giunto, lui disse: alfin diviso
Ti se' dal mondo, da quel mondo u' solo 170
Lieta ò la colpa ed il pudor deriso.
Dopo il tuo dipartir dal patrio suolo,
Io misero Parini il fianco venni
Grave d'anni traendo e più di duolo.
E poich'oltre veder più non sostenni 173
Della patria lo strazio e la ruina,
Bramai morire e di morire ottenni.
Vidi prima il dolor della meschina
Di cotal nuova libertà vestita,
Che libertà nomossi e fu rapina. iso
160. Calma : Voce spagnuola, che entrò nell'uso della nostra lingua nel
cinquecento: veramente indica la tranquillità del mare, ma per traslato
significò anche la tranquillità dell'animo.
162. Delle man la palma: Nobile e bella ci é presentata dal p. la figura
del Parini e tale si conserva in tutto il poema : « Il Parini . . . v'e atteggiato
cosi da farci rammentare delle pagine che allo stesso consacrò il Foscolo
nelT « Jacopo Ortis » : e nell'una dipintura come nell'altra quella immagine
veneranda par che nobiliti tutto ciò che la circonda » (Zu.mmni, p. 195).
163. Torse : Volse.
166. Assurse: Si alzò.
167. Balenò d'un riso : I poeti paragonano spesso il riso al lampo e al ba-
leno. Il Petrarca nel son. Gli occhi dì ch'io ha « il lampeggiar dell'ange-
lico riso », e nel Trionf. d. Morte, ti, 86, e il Tasso neìVAminta , 2: cosi
Dante, Par. x vii, 17, ha: « raggiandomi d'un riso », e Pttrg., xxi, 114, ha:
« il lampeggiar del riso », il Parini, nel Messaggio, 61 : « I labbri onde il
sorridere Gratissimo balena », e woWEducaz., 10: « il riso saltella quasi
lampo ardente fra i muscoli del viso ».
169. Lui : A lui. È frequentissimo in Dante.
170. D': dove.
172. Il tuo dipartir: Nel 1798, dopo lo vit orie degli Austro-Russi in Italia,
il Mascheroni esulò in Francia.
174. Grave d'anni traendo : Il Parini soffri da vecchio gravi dolori alle
gambe per cui a stento camminava e di questa sua infermità si duole special-
mente nell'ode La caduta. Vien traendo il fianco chi per malattia o per
fatica durata è affranto : Orazio, Ep. I, i, 9 : « . . . ridendus et ilia ducat »,
e Virgilio, Aen., v, 468 : « genua aegra trahentem » : il Petrarca nel son.
Movesi il vecchierel, 6 : « Indi traendo poi l'antico fianco » , Tasso , Gcr,
Lib., xn, 19 : « E per l'orme di lui l'antico fianco D'ogni intorno traendo »,
e ancora xn, 55 e xix, 28.
177. Di morire ottenni : Mori infatti il 15 -agosto 1799 a Milano.
180. Che libertà, ecc.: « Io amava la liberta (echi non l'amai), ma l'og-
getto dell'amor mio era la libertà dipintami negli scritti di Cicerone e di
Plutarco. Quella che trovai su gli altari in Milano mi parve una prostituta
e ricusai d'adorarla » {Lett. al Bettinelli, p. 517, cit. dal Card.), e secondo
quel che ne riferisce il primo biografo, il Cassi {Not. del Monti, p. 18 del
IS MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 141
Serva la vidi, e, ohimè !, serva schernita,
E tutta piaghe e sangue al ciel dolersi
Che i suoi pur anco, i suoi Tavean tradita.
Altri stolti, altri vili, altri perversi,
Tiranni molti, cittadini pochi, 185
E i pochi o muti o insidiati o spersi.
Inique leggi, e per crearle rochi
Su la tribuna i gorgozzuli, e in giro
La discordia co' mantici e co* fuochi,
E l'orgoglio con lei, l'odio, il deliro, 190
L'ignoranza, l'error, mentre alla sbarra
Sta del popolo il pianto ed il sospiro.
Tal s'allaccia in senato la zimarra,
Che d'elleboro ha d'uopo e d'esorcismo;
Tal vi tuona, che il callo ha della marra; 195
Tal vi trama, che tutto è parossismo
Di delfica mania, vate più destro
La calunnia a filar che il sillogismo;
Vile 1 e tal altro del rubar maestro
A Caton si pareggia, e monta i rostri 200
Scappato al remo e al tiberin capestro.
Oh iniqui ! E tutti in arroganti inchiostri
Parlar virtude, e se dir Bruto e Gracco,
Genuzii essendo, Saturnini e mostri.
voi. vili delle Opere del M. % Bologna, 1S2S) avrebbe detto: « sognai d'es-
sere venuto alle nozze d'una bella e casta vergine, e mi sono svegliato nelle
braccia d'una laida meretrice ».
•187. Rochi : Quei demagoghi diventavano rochi per sostenere le inique
leggi. Nello stesso senso nell'ode al Montgolfier, 51, disse: « rauche ipotesi ».
191. Sbarra: La tramezza che separa ~i membri dell'assemblea dal pub
blico degli spettatori.
192. Cir. colla descrizione che fa nel Pericolo della demagogia repubbli
cana nella Cisalpina.
193. La zimarra: La 'toga di senatore.
194. Che d'elleboro, ecc.: Che é pazzo, perché si credeva che l'elleboro
guarisse la pazzia. — D'esorcismo : D'incantesimi, come si usano per gl'in-
demoniati.
196. Tal, ecc. : Abbastanza chiara é (ini l'allusione all'emulo del p., l'im-
provvisatore romano Francesco Gianni (1750 -1822), gobbo, che da giovinetto
lavorò di sarto. Più volte fra il gobbo improvvisatore, che pur aveva non
comune ingegno, e il Monti di tanto superiore, arse aspra guerra (V. Intro-
duzione, passim). Costui addentò il p. nel suo Proteone allo specchio, ove
anche morse disonestamente la moglie dell'emulo; ma il Monti l'aveva as-
salito con questo pungente epigramma: « Se sei sartore, come sci poeta,
Poveri panni e disgraziata seta » , col quale epigramma rispondeva a un
altro del Gianni non meno pungente : « Se canti in coro , come in Pindo
canti, Povero Cristo e disgraziati santi ».
197. Delfica mania: Era il Gianni preso da infrenabile mania di far versi.
193. Tal altro: Giuseppe Lattanzi, nato a Nemi nel 1762 e morto a Roma
nel 1822. Fu condannato a sette anni di galera per falsificazione di carte :
cambiatagli la pena nella relegazione a Corncto, fuggì di là in Toscana. Per
loschi favori fu nominato segretario dell'Accademia Virgiliana di Mantova.
Ardente repubblicano, fu spia ed ebbe perciò un annuo" assegno dal Melzi.
« Vero giornalista nel peggior significato della paro'a », come disse il Cantù,
cambiati i tempi, lodò in un poema Napoleone.
201. Genazii . . . Saturnini : Furono sanguinari tribuni di Roma antica.
142 PARTE HI.
Colmo era in somma de' delitti il sacco; 205
In pianto il giusto, in gozzoviglia il ladro,
E i Bruti a desco con Ciprigna e Bacco.
Venne il nordico nembo, e quel leggiadro
Viver sommerse; ma novello stroppio
La patria n'ebbe e l'ultimo soqquadro. 210
Udii di Cristo i bronzi suonar doppio,
Per laudarlo, che giunto era il tiranno:
Ahi ! che pensando ancor ne fremo e scoppio.
Vidi il tartaro ferro e l'alemanno
Strugger la speme dell'ausonie glebe 215
Sì che i nepoti ancor ne piangeranno.
Vidi chierche e cocolle armar la plebe,
Consumar colpe che d' Atreo le cene
E le vendette vincerian di Tebe.
Vidi in cocchio Adelasio ed in catene 220
Paradisi e Fontana. Oh sventurati !
Virtù dunnu'ebbe del fallir le pene?
Cui non duol di Caprara e di Moscati ì
Lor ceppi al vile detrattor fan fedo
207. Con Ciprigna e Bacco : 1 falsi repubblicani (1 Bruti) gozzovigliavano
con donne (Ciprigna é la dea Venere cosi detta perché aveva templi in Ci
prò) e s'inebriavano.
208. Il nordico nembo : Allude all'invasione degli Austro-Russi del 1798 che
fece cessare quelle infami tresche repubblicane (quel leggiadro vivere dice
il p. con bella ironia).
209. Stroppio : Danno, rovina.
210. Udii di Cristo, ecc.: Le campane suonavano a festa per l'entrata de
rono tra vili contumelie abbattuti gli stemmi della Cisalpina, saccheggiati
edifici pubblici, violati i domicili dei caporioni decaduti, confiscati i beni dei
fuorusciti, requisiti burro, grano e bestie, proibite le mode francesi, ristabi-
lita la censura, bruciate in piazza le pubblicazioni irreligiose, espulsi dagli
impieghi quei che giurarono fede alla repubblica cisalpina » ( Vicchi, vi, p. 706).
21 L Tartaro : il Russo. — L'alemanno : L'Austriaco.
217. Chierche e cocolle : Preti e frati.
218. D'Atreo le cene: Atreo, figliuolo di Pelope e d'Ippodamia, fu fratello
di Tieste che gli rapi la moglie. Per vendicarsi Atreo diede a mangiare al
fra cello i figliuoli di lui.
220. Adelasio: Costui fu di Bergamo e membro del Direttorio Cisalpino.
221. Paradisi e Fontana: Il conte Giovanni Paradisi di Reggio Emilia,
membro anch'esso del Direttorio, allora deportato dagli Austriaci vincitori
a Cnttaro. e il padre Gregorio Fontana delle Scuole Pie, filosofo e matema-
tico inaiane, che fu membro del Consiglio Legislativo nella Cisalpina e perciò
deportato anch'esso a Cantaro nel 1799.
222. Virtù, ecc. : La virtù ebbe dunque le pene che erano invece dovute
ai malvagi \
223. Caprara: Il conte Carlo Caprara di Bologna che fu pure condotto a
Cattavo per aver fatto parte del Direttorio Cisalpino. — Moscati: 11 milanese
Pietro Moscati (1739-1821), illustre medico e fisico , professore di anatomia
all'università pavese, relegato anch'esso a Cattaro.
IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 143
Se amar la patria o la tradir comprati. 225
Containi I Lamberti ! oh ria mercede
D'opre onorate I ma di re giustizia
Lo scellerato assolve e il giusto flede.
Nella fiumana di tanta nequizia,
Deh! trammi in porto, io dissi al mio Fattore; 230
Ed ei m'assunse ali'immortai letizia.
Né il guardo vinto da veduto orrore
Più rivolsi laggiù, dove soltanto
S'acquista libertà quando si muore.
Ma tu, che approdi da quel mar di pianto, 233
Che rechi? Italia che si fa? L'artiglia
L'aquila ancora? pur del suo gran manto
Tornò la madre a ricoprir la figlia?
E Francia intanto è seco in pace? in rio
Ci vii furore ancor la si periglia? 210
Tacquesi; e tutta la pupilla aprio
Incontro alla risposta alzando il mento,
Compose l'altro il volto, e quel desio
Fé' del seguente ragionar contento.
CANTO SECONDO
Contenuto. — 11 Mascheroni risponde al Par ini clic la patria é salva
un'altra volta per opera di Napoleone, che dall'Egitto, ove di novelli allori
s'era cinto la chioma, era ritornato in Francia e, riordinatala, aveva rido
nato la libertà agli Italiani , vincendo i nemici a Marengo ; ma il Parin
accigliato interrompe : Libertà, Di che guisa? Il poeta di Bergamo gli ri
sponde che, se tanti malvagi ci sono, ci son pure dei buoni nella Cisalpina
Intanto appare agli occhi de' poeti sbigottiti una mirabile visione : Dio in
trono, fra mezzo a due cherubini, libra il fato degli uomini chiedenti pace.
La bilancia ancora oscilla incerta, quando si levano a parlare la Giustizia
e la Pietà.
Pace, austero intelletto. Un'altra volta
Salva è la patria: un nume entro le chiome
La man le pose, e lei dal fango ha tolta.
228. E il giusto, ecc. : Il p. coll'animo afflitto scriveva allora al Consta-
bili : « Non é più possibile sortire dalla voragine di mali in cui siamo in
solfati. Non comanda più altro che la forza, ed é l'avidità che dirige la
lorza » (Due lett. ined. del Monti, Ferrara, Taddci, 1865).
230. Al mio Fattore : a Dio.
236. L'aquila: L'Austria che per arme ha l'aquila.
238. La madre : La Repubblica francese tornò a proteggere la figlia, cioè
la Repubblica cisalpina i
239. Seoo : Con sé stessa.
242. Alzando il mento : Si noti quest'atto che mostra il vivo desiderio di
udire la risposta del Mascheroni sullo stato dell'Italia al tempo della sua
morte. Ci piace di chiudere le note a questo canto colle seguenti parole
dello Zumuini, p. 184: « Le . . . dipinture . . . diparti politiche, di nequizie
e di miserie pubbliche, e specialmenie di personaggi che assunti in cielo
non parlano di a'tro che dell'Italia, sono realtà viva, immediatamente colta
e convertita in arte ».
2. Un nume : Napoleone Bonaparte.
144 PARTE III.
Bonaparte . . . Rizzossi a tanto nome
L'accigliato Parini, e la severa 5
Fronte spianando balenò, siccome
Raggio di sole che, rotta la nera
Nube, nel fior che già parea morisse
Desta il riso e l'amor di primavera.
Il suo labbro tacea; ma con le fisse io
Luci e con gli atti dell'intento volto
Tutto, tacendo, quello spirto disse.
Sorrise l'altro; e poscia in sé raccolto,
Bonaparte, seguia, della sua figlia
Giurò. la vita, e il suo gran giuro ha sciolto. 15
Sai che col senno e col valor la briglia
Messo alla gente avea che si rinserra
Tra la libica sponda e la vermiglia.
Sai che il truce ottomano e d'Inghilterra
L'avaro traditor, che secco il fonte 20
Già dell'auro temea ch'India disserra,
Congiurati in suo danno alzar la fronte;
E denso di ladroni un nembo venne
Dall'Eufrate ululando e dall'Oronte.
Egli mosse a rincontro, e no '1 rattenne 2-5
Il mar della bollente araba sabbia;
I vertici sfìdonne, e li sostenne.
Domò dèi folle assalitor la rabbia:
Jaifa e Gazza crollarno, e in Ascalona
II britanno fellon morse le labbia. 30
0. L'amor, ecc. : L'amore in chi lo vede si bello in primavera.
12. Tacendo . . . disse : Petrarca. P. i, canz. vi : « La qua! tacendo io
grido ».
11. Della sua figlia : Della repubblica Cisalpina.
17. Alla gente, ecc. : Con questa perifrasi designa gli Egiziani posti fra il
mar Rosso (la sponda vermiglia) e il mare Affricano o dei Libi (antichi
abitatori del nord-ovest dell'Affrica). « Qui l'autore accenna la spedizione
in Egitto fatta da Napoleone affine di avere, colonizzando quel ricco paese,
il vero punto d'appoggio onde rovesciare il dominio politico e mercantile
degl'Inglesi nell'India » (Mg.). Questa spedizione vedila più ampiamente nar-
rata nel e. v del Bardo.
22. Congiurati, ecc. : L'Inghilterra si strinse in lega coi Turchi, non ap-
pena Napoleone ebbe effettuato il suo viaggio in Egitto.
24. Eufrate . . . Oronte : Fiumi, il primo d.lla Mesouotamia, il secondo della
Siria, di là vennero in Egitto contro il Bonaparte due forti eserciti turchi,
l'uno condotto da Gezzar pascià, l'altro da Mustafà pascià.
26. Il mar, ecc. : Il gran deserto libico che Napoleone attraversò partendo
dal Cairo con soli diecimila uomini, nonostanie le sofferenze che egli e i
suoi soldati dovevano patire in quella marcia pericolosa, tormentati soprat-
tutto dai terribili vortici del simoun.
29. Jaf fa e Gazza crollarno : Passato il deserto e penetrato nelle fertili pia-
nure di Gaza, questa gli si arrese e pochi giorni dopo anche Jaffa fu presa
d'assalto e passato a fll di spada il presidio turco. — In Asoalona: Ascalona,
dove Gezzar pascià si era chiuso nonostante i soccorsi che gli Inglesi (1/
britanno fellon) le portavano dal mare, fu strettamente assediata da Na-
poleone.
IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 145
Ciò che il prode fé* poi sallo Esdrelona,
Sallo il Taborre e Tonda che sul dorso
Sofferse asciutto il piò di Bariona.
Sallo il fiume che corse un dì retrorso,
E il suol dove Maria, siccome è grido, 35
Dell'uomo partorì l'alto soccorso.
Doma del Siro la baldanza, al lido
Folgorando tornò che al doloroso
Di Cesare rivai fu sì mal fido.
E di lunate antenne irto e selvoso 10
Del funesto Abukir rivide il flutto
E tant'oste che il piano avea nascoso.
Ivi il franco Alessandro il fresco lutto
Vendicò della patria, e l'onde infece
Di barbarico sangue, sì che tutto 45
Coprì la strage il lido, e lido fece:
Quei che il ferro non giunse il mar sommerse,
E d'ogni mille non campar li diece.
Ahi gioie umane d'arfarezza asperse!
Suonò fra la vittoria orrendo avviso 50
Che in doglia il gaudio al vincitor converse.
31. Esdrelona: Nei piani di Esdrelona aJe laide del Tabor, Napoleone
sconfisse l'esercito di Damas pascià.
32. E l'onda, ecc. : Il lago di Genezaret. sul quale Simone Bariona, che
fu poi Pietro, il capo degli Apostoli, passò a piedi asciutti per muovere in-
contro a Gesù [Matteo, xiv, 28 e sgg.). Là Napoleone mise in rotta un altro
esercito turco.
34. Sallo il fiume, ecc. : Il Giordano che gli Ebrei passarono a piedi
asciutti, perchè le sue acque di sopra tornarono indietro (retrorso, lat.) e
queUe di sotto entrarono nel Mar Morto (Giosuè, in, 14 e sgg.). Ivi pure
Napoleone disfece altre schiere turche.
35. Il suol, ecc.: Betlemme, ove Maria partorì Valto soccorso dciruma-
nità, Gesù. Veramente non a Betlem ma a Nazareth Napoleone sconfisse un
esercito turco.
37. Al lido folgorando, ecc. : All'Egitto, ove l'avversario di Cesare, Pompeo,
fu ucciso dai sicari di Tolomeo. Ve qualche reminiscenza dantesca, Par. vi,
70 : « Da onde venne folgorando a Giuba », e tutto questo brano arieggia in
qualche modo alla storia dell'aquila che Cacciaguida fa in questo canto del
Paradiso.
40. Lunate antenne Le navi turche hanno nelle loro bandiere la mezza-
luna. — Irto e selvoso : Di navi era ispido e denso il golfo di Abukir ove
l'ammiraglio inglese Nelson fra il 1.° e il 3 agosto 1798 aveva disfatto la flotta
francese condotta dall'ammiraglio Bruyes.
42. B tant'oste, ecc. : Cosi numeroso esercito che aveva coperto tutta la
pianura. Questo esercito turco e inglese, comandato da Mustarà pascià, e da
Sydney Smith, sbarcato sul lido, fu sterminato da Napoleone il 26 lu-
glio 1799.
43. Il franco Alessandro : Cosi per antonomasia chiama Napoleone dal nome
del conquistatore dell'Asia, Alessandro Magno di Macedonia.
41 Infece: Tinse (lat.).
46. E lido fece : E i cadaveri formarono un lido al mare.
47. Sommerse : Ben quindicimila turchi si annegarono nella confusione
che nacque per salvarsi dalla strage.
48. E d'ogni mille, ecc. : Dantb, Inf. t xxv, 33 : « Gliene die cento e non
senti le diece ».
Moktt. — Poesie, 10
146 PARTE III.
Narrò l'infamia di Scherer conquiso,
E dal Turco, dall'Unno, e dallo Scita
Desolato d'Italia il paradiso.
Narrò da pravi cittadin tradita 55
Francia, e senza consiglio e senza polo
Del governo la nave andar smarrita.
Prima assalse l'eroe stupore e duolo,
Poi dispetto e magnanimo disdegno;
E ne scoppiò da cento affetti un solo: eo
La vendetta scoppiò, quella che segno
Fu di Camillo all'ire generose
E di lui che crollò de' trenta il regno.
Così partissi; e al suo partir si pose
Un vel la sorte d'oriente, e l'urna <s
Che d'Asia i fati racchiudea nascose.
Partissi: e di là dove alla diurna
Lampa il corpo perd'ombra, la fortuna
Con lui mosse fedele e taciturna,
E nocchiera s'assise in su la bruna 70
Poppa, che grave di cotanta spene
Già di Libia fendea l'ampia laguna.
Innanzi vola la vittoria, e tiene
In man le palme ancor fumanti e sparse
Della polve di Mentì e di Siene. 75
La sentir da lontano approssimarse
Le galliche falangi, ed ogni petto
Dell'antico valor tosto riarse.
Ella giunse, e a Massena, al suo diletto
52. L'infamia di Soherer : Scherer, comandante dei Francesi in Italia , fa
vinto a Verona dall'esercito degli Austro-Russi e, per ordine del Direttorio,
fu costretto a cedere il comando a Moreau.
53. Turco. . . Unno . . . Scita : 1 Turchi; gli Austriaci {Unni, propriamente
Ungheresi) e i Russi, detti Sciti dal nome degli antichi abitatori dell'odierna
Russia.
55. Pravi cittadin : I cinque membri del Direttorio, inetti reggitori.
56. Senza polo : Senza direzione.
62. Di Camillo, ecc. : Camillo vendicò Roma, sconfiggendo quelli che poco
anzi l'avevano vinta.
63. E di lui, ecc. : Trasibulo che, presa Atene, pose fine al governo ari-
stocratico dei Trenta.
64. Si pose un vel : Si velò di mestizia la fortuna di Oriente, e veramente
Kléber, che vi rimase, non fu pari alla grande impresa di difendervi le fatte
conquiste.
68. Perd'ombra : Dante, Purg. t xxx, 89 : « Pur che la terra, che perde om-
bra spiri », e il Petrarca : « La 've il Sol perde non pur l'ombra o l'auro ».
70. E nocchiera : Anche nel e. vii del Bardo immagina che la Fortuna
segga sulla poppa della nave che porta dall'Egitto in patria Napoleone.
72. Laguna : Qui per « mare », designando il mare Affricano.
75. Menfi ... : Siene : A Mentì , citta del medio Egitto, e a Siene (oggi
Assuan) dell'alto, Napoleone sconfisse i turchi.
79. Ba Massena: Al generale Andrea Massena, che fronteggiava gli Au-
striaci in Svizzera, riuscì a batterli nei Grigioni e a disfare a Zurigo i ge-
nerali rus<*i Korsakoff e Suwaroff.
IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 147
Figlio gridò: Son teco. Elvezia e Francia so
Udir quel grido e serenar l'aspetto.
L'Istro udillo, e tremò. La franca lancia
Ruppe gli ungari petti, e si percosse
Il vinto Scita per furor la guancia.
L'udir le rive di Batavia, e rosse 85
D'ostil sangue fumar; e nullo forse
De' nemici rediva onde si mosse;
Ma vii patto il fiaccato Anglo soccorse:
Frutto del suo valor non colse intero
Gallia, ed obbliquo il guardo Olanda torse. 90
Carca frattanto del fatai guerriero
Il lido afferra la felice antenna:
Ne stupisce ogni sguardo, ogni pensiero.
Levossi per vederlo alto la Senna,
E mostrò le sue piaghe. Egli sanolle, to
Né il come lo diria lingua nò penna.
Ei la salute della patria volle,
E potè ciò che volle, e al suo valore
Fu norma la virtù che in cor gli bolle.
Fu di pietoso cittadin dovere, 100
Fu carità di patria, a cui già morte
Cinque tiranni avean le forze intere.
Fine agli odi promise: e di ritorte
Fu catenata la discordia, e tutte
Della rabbia civil chiuse le porte. 105
Fin promise al rigore; e ricondutte
Le mansuete idee, giustizia rise
82. L'Istro : li Danubio, inteso qui per l'Austria.
84. La guancia : V. la n. a p. 91.
85. Batavia : L'Olanda, dove gl'inglesi, condotti dal duca di York, furono
battuti a Bergen dal generale francese Brune e, circondati nella palude del
Zyp, furono costretti a capitolare.
89. Non colse intero, ecc. : Gl'Inglesi, nonostante la stipulata capitolazione,
non mantennero i patti e non consegnarono ai Francesi la flotta olandese
di cui si erano impadroniti, per cui gli Olandesi si alienarono da loro.
96. Lingua nò penna: Dante, Par., vi, 63: « Che noi seguiteria lingua
né penna ».
108. Cinque tiranni: « I membri del Direttorio esecutivo erano cinque; e
sedevano allora Barras, l'abate Sieyès, Moulins , Roger-Ducos e Gonier ;
l'uno più dell'altro incapaci di governare una nazione qual era allora la
Francia » (Mg.).
106. « La prima bisogna di Napoleone , fu , appena salito al consolato,
peggiore
fine di riordinare gli eserciti ...» (Mg.). Questi ratti e soprattutto l'opera
del xrx Brumaio in cui Napoleone stabili il consolato, vedila narrata nel
C. vi del Bardo.
107. Giustizia rise : Nel e. vi del Bardo dice : « Giustizia racconciò le
sperse Rotte bilancio, e dal furor segnate Cancellò le rubriche insangui-
nate ».
148 PARTE III.
Su le sentenze del furor distrutte.
Verace saggia libertà promise:
E i delirii fui* quieti, e senza velo no
Secura in trono la ragion s'assise.
Gridò guerra; e per tutto il franco cielo
Un fremere, un tuonar d'armi s'intese
Che al nemico portò per Tossa il gelo.
Invocò la vittoria: ed ella scese 115
Procellosa su l'Istro, e l'arrogante
Tedesco al piò d'un nuovo Fabio stese.
Finalmente, d'un dio preso il sembiante,
Apriti, alpe, ei disse: e Talpe aprissi,
E tremò dell'eroe sotto le piante. 120
E per le rupi stupefatte udissi
Tal d'armi, di nitriti e di timballi
Fragor, che tutti ne muggian gli abissi.
Liete da lungi le lombarde valli
Risposero a quel mugghio, e fiumi intanto 125
Scendean d'aste, di bronzi e di cavalli.
Levò la fronte Italia; e, in mezzo al pianto
Che amaro e largo le scorrea dal ciglio,
Carca di ferri e lacerata il manto,
Pur venisti, gridava, amato figlio, 130
Venisti, e la pietà delle mie pene
Del tuo duro cammin vinse il periglio.
Questi ceppi rimira e queste vene
Tutte quante solcate. E sì parlando,
Scosse i polsi, e suonar fé' le catene. 135
Non rispose Teroe, ma trasse il brando,
E alla vendetta del materno affanno
In Marengo discese fulminando.
Mancò alle stragi il campo ; l'alemanno
Sangue ondeggiava; e d'un sol dì la sorte 140
Valse di sette e sette lune il danno.
117. A pie d'un nuovo Fabio : Di Giovali Vittorio Moreau, che in Germani?-
{sull'Istro) batté più volte il maresciallo austriaco Kray, e alla fine, vinti
i tedeschi alla battaglia di Hoenlinden il 2 dicembre, li costrinse ad accet-
tare la pace di Lune ville. Lo paragona a Fabio Massimo, il vincitore di A 11
nibale.
120. Dell'eroe sotto le piante: Si allude alla discesa dell'Alpi , cantata dal
p. nell'ode Alla liberazione d*ltalia ì ov'é anche una strofe assai simile a
questi versi : « Treman l'Alpi e stupefatte Suoni umani replicar, B reterne
nevi intatte D'armi e armati fiammeggiar ».
122. Timballi : Tamburi.
123 GU abissi : Le profonde val'ate alpine.
131. E la pietà delle mie pene: Virgilio, Aen. vi, 687: « Venisti tandem,
tuaque expectata parenti Vicit iter durum pietas ! ».
137. Del materno affanno : Della dolorosa servitù della sua madre Italia.
141. E d'un sol di la sorte, ecc. : E la grande vittoria di Marengo risarei
il danno di molti mesi (sette e sette lune deve intendersi come numero in-
determinato).
IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 149
Dodici ròcche aprir le ferree porte
In un sol punto tutte, e ghirlandorno
Dodici lauri in un sol lauro il forte.
Così a noi fece libertà ritorno. — 145
— Libertade? interruppe aspro il cantore
Delle tre parti in che si parte il giorno:
Libertà? di che guisa? Ancor l'orrore
Mi dura della prima, e a cotal patto
Chi vuol franca la patria è traditore. 150
A che mani è commesso il suo riscatto?
Libera certo il vincitor lei vuole,
Ma chi conduce il buon volere all'atto?
Altra volta pur volle, e fùr parole;
Che con ugna rapace arpie digiune 155
Fero a noi ciò che Progne alla sua prole.
Dal calzato allo scalzo le fortune
Migrar fùr viste, e libertà divenne
Merce di ladri e furia di tribune.
Veran leggi; il gran patto era solenne; 100
142. Dodloi rooohe : Per l'armistizio concluso dopo La battaglia di Marengo,
dodici fortezze dovevano esser consegnate subito a Napoleone.
145. Alla fine di questa bellissima apoteosi delle vittorie napoleoniche fatta
dal Mascheroni, mi piace di riferire le seguenti parole dello Zumbini, p. 184:
« Quei loro discorsi {dei patriota italiani) . . . , rivelano un amor patrio
quasi dantesco ; come sono eziandio di stampa dantesca quelle, direi, ras-
segne di città italiane e quei particolari geografici che comunicano la mas-
sima evidenza alle- cose descritte ».
146. Il cantor, ecc. : Con questa perifrasi si designa il Parini, autore del
Giorno, che, secondo l'idea prima del p., usci diviso nelle tre parti, il Mat-
tino, il Mezzogiorno e la Sera, poi invece della Sera pose il Vespro e la
Notte. Nota il bisticcio non bello del parti . . . parte. In compenso di ciò,
osserva con (manta verità storica sia posta questa nobile invettiva contro
gli eccessi della sfrenata libertà repubblicana in bocca di quell'austero spi-
rito*
149. Della prima : Della libertà delle repubbliche italiane prima dell'inva-
sione degli Austro Russi, già sfolgorata dal p. nel e. 1.
155. Arpie : Uccelli favolosi, simboli dell'ingordigia. Si allude ai falsire-
{mbblicani. che con ugna rapace, rubarono, arricchirono, uccidendo cosi
a Repubblica, come Progne, moglie di Tereo, pazza di gelosia, aveva uc-
ciso il figlio Iti.
159. « Milano s'era trasformata ; non pareva più la buona città d'una volta ;
alla schiettezza subentrava lo spirito di raggiro, alla modestia la vanteria ;
la marea, detta libertà, alterava la flsonomia del vivere ambrosiano » (De
Castro, op. cit., p. 203). Un sonetto , uscito in un giornale del tempo, si
chiudeva cosi : « Del pubblico la robba va in rovina, Briccon, falliti, coman-
dan le feste, La repubblica é questa Cisalpina ».
160. Il gran patto : Intendi la Costituzione della Repubblica Cisalpina, che
fu calpestata dal Direttorio francese : « il quale trattava l'Italia più da paese
di conquista che da federata repubblica » (Mg.). Il modo violento con cui
fu cambiata la Costituzione, vedilo narrato dal Franchetti, op. cit., p. 364
e sgg. Si era cercato anche un po' prima di concludere un trattato di al-
leanza fra la Repubblica madre (cosi si diceva allora la Repubblica di Fran-
cia), e la Repubblica figlia (la Cisalpina) a condizioni onerosissime per que-
sta, tanto che il Consiglio dei Seniori della Cisalpina l'aveva respinta. Ma
colla violenza si costrinse quel Consiglio ad accettarla il 1.° giugno 1798. Cfr.
Franchetti, op. cit., p. 299.
150 PARTR III.
Ma fu calpesto. Si trattò; ma franse
L'asta il trattato, e servi ne ritenne.
Pietà gridammo; ma pietà non transe
Al cor de' cinque; di più ria catena
Ne gravarno i crudeli, e invan si pianse. ics
Vota il popol per fame avea la vena;
E il viver suo vedea fuso e distrutto
Da' suoi pieni tiranni in una cena.
Squallido, macro il buon soldato, e brutto
Di polve, di sudor, di cicatrici, 170
Chiedea plorando del suo sangue il frutto;
Ma Tinghiottono l'arche voratrici
Di onnipossenti duci e gl'ingordi alvi
Di questori, prefetti e meretrici.
Or di': conte all'eroe che ancor n'ha salvi 175
Son queste colpe? e rifaran gl'Insubri
Le tolte chiome andran più mozzi e calvi?
Verran giorni più lieti o più lugubri?
Ed egli, il gran campione, è come pria
Circuito da vermi e da colubri? 180
Sai come si arrabatta està genia,
Che ambiziosa, obliqua, entra e penetra
E fora e s'apre ai primi onor la via.
163. Transe : Passa (lat.). Veramente questo latinismo non bello v*é per
necessità di rima.
164. De' oinque : De 1 cinque membri del Direttorio francese sopra ri-
cordati.
166. La vena : Le vene del popolo erano vuote di sangue, perché lo tor-
mentava Ja fame.
)71. Il fratto : Il soldo.
172. Arche : Gli scrigni.
173. Alvi : Ventri.
174. Di queste diiapidazioni parla con italica fierezza il Botta, v, lib. xii,
e meglio ancora il Franchetti, op. cit, p. 160, da cui togliamo le notizie
sgg. : « Facciam che l'Italia vada superba (scriveva l'ammiraglio Truguet)
di aver cooperato allo splendore della nostra marina ». Il Letourneur (uno
dei cinque del governo, manda vagli una memorietta sugli immensi tesori
della santa Gasa di Loreto, facile Dottino per un diecimila partigiani, ed
aggiungeva : « Tentate l'impresa, se vi piace, e se trovate nell'esercito uno
da ciò ». Ed il Garnot (che pur aveva mente ed animo più nobile di tutti)
ingiungeva: € Con ogni rigore trattisi il Milanese. Vi si mettano taglie da
pagarsi immediatamente nel primo terrore che incuterà il sopravvenire
delle armi nostre e s'invigili che ne sia fatto buon uso ... ». Ed ancora :
« Le milizie repubblicane restino ... a vivano in quel paese cosi fertile . . .
Vi giungerete alla stagione dei raccolti: fate che all'esercito italico non oc-
corrano sussidi da casa ». Infatti entrati in Milano il Massena, il Bonaparte
e il Saliceti, vuotarono le casse non solo dello Stato, ma anche dell'Ospedale
Maggiore, del Capitolo, della Metropolitana, dei Luoghi Pii ; manomisero
perfino i depositi del Monte di Pietà ... ».
175. Conte : Conosciute. Anche il Foscolo, nella sua oraz. a Bonaparte
per il Congresso di Lione (§ 4), a proposito della violenza usata ai Cisalpini
costretti ad accettare il trattato d'alleanza colla Francia, dice: « Dov'eri tu,
liberatore, quando assediato da armati il Consiglio de' Seniori, fu astretto
a scrivere la sentenza capitale della Repubblica , ratificando il Trattato di
Alleanza perfidamente dai 5 despoti imposto ?...».
IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 151
Di Nemi il galeotto, e di Libetra
Certo rettile sconcio che supplizio 185
Di dotti orecchi cangiò l'ago in cetra,
E quel sottile ravegnan patrizio
Sì di frodi perito che Brunello
Saria tenuto un Mummio ed un Fabrizio,
Come in alto levarsi e fùr flagello im
Della patria! Oh Licurghil oh Cisalpina,
Non matrona, ma putta nel bordello 1
Tacque; e l'altro riprese: La divina
Virtù, che informa le create cose
Ed infiora la valle e la collina, ivo
D'acute spine circondò le rose,
Ed accanto al frumento e al cinnamomo
L'ispido cardo e la cicuta pose.
Vedi il rio vermicel che guasta il pomo,
Vedi misti i sereni alle procelle 200
Alternar l'allegrezza e il pianto all'uomo.
Penuria non fu mai d'ani .ie felle:
Ma dritto guarda, amico, ed abbondante
Pur la patria vedrai d'anime belle.
Ve' quante Olona ne fan lieta, e quante 205
Val-di-Pado, Panaro e il picciol Reno;
Picciolo d'onde e di valor gigante.
Reggio ancor non obblia che dal suo seno
La favilla scoppiò d'onde primiero
Di nostra libertà corse il baleno. 210
Mostrò Bergamo mia che puote il vero
Amor di patria, e lo mostrò Tardità
Brescia sdegnosa d'ogni vii pensiero.
Nò d'onorati spirti inaridita
In Emilia pur anco è la semenza; 215
Sterpane i bronchi, e la vedrai fiorita.
Molti iniqui fùr posti in eminenza,
E il saran altri ancor: ma chi gli estolle
Forse ò quei che vede oltre all'apparenza?
Mira l'astro del dì. Siccome volle 220
Il suo fattore, ei brilla, e solve il germe
Or salubre, or maligno, entro le zolle.
218. Gli estolle : Lì fa salire agli alti uffici.
220. Mira: « Con questa similitudine esplica il concetto anteriore: chi
fermandosi alle apparenze, elesse alle cariche dello stato molti cattivi in
mezzo a* buoni, operò come il sole , che non ha colpa se , abbassando gli
stessi sguardi su le sostanze buone e cattive , fa nascere qua il flore, là il
verme. La colpa é nella cattiva disposizione della materia a ricevere il rag-
gio fecondatore, come fu nella cattiva disposizione dell'uomo, in apparenza
onesto , ma in fatto malvagio , ad essere posto in eminenza » (Bertoldi).
152 PARTE III.
Su le sane sostanze e su le inferme
Benefico del par gli sguardi abbassa;
E s'uno al fior dà vita e l'altro al verme, 225
Ciò vien dal seme che la terrea massa
Diverso gli appresenta: egli sublime
E discolpato lo feconda e passa.
Or procede alle tue dimande prime
La mia risposta. Di saper ti giova 230
Se fia scevra d'affanno e senza crime
La nuova libertade, se per prova
Sotto il sacro suo manto un'altra volta
Rapina, insulto e tirannia si cova.
Dirò verace. E dir volea: ma tolta 235
Da portentosa vision gli fue
La voce che dal labbro uscia già sciolta.
Il trono apparve dell'Eterno; e due
Gli erano al fianco cherubin sospesi
Su le penne, già pronti a calar giue. 240
L'uno in sembianti di pietade accesi,
Sì terribile l'altro alla figura
Che n'eran gli astri di spavento offesi.
Verde qual pruna non ancor matura
Cinge il primo la stola, e qual di cigno 215
Apre la. piuma biancheggiante e pura.
Ondeggiavano all'altro di sanguigno
Color le vestimenta, e tinto avea
11 remeggio dell'ali in ferrugigno.
Quegli d'olivo un ramoscel tenea, 250
Questi un brando rovente; e fisso i lumi
In Dio ciascun palpebra non battea.
Dal basso mondo alla città de' numi
Voci intanto salian gridando pace,
Col sonito che fan cadendo i fiumi. 233
Pace la Senna, pace l'Elba, pace
Iterava l'Ibèro; ed alla terra
Rispondean pace i cieli, pace, pace.
228. Discolpato : Senza colpa.
233. Un'altra volta : Dopo la battaglia di Marengo , che della Cisalpina .
prima dell'invasione Austro Russa, aveva fatta ben dolorosa descrizione il
Parini nel e. 1.
241. L'uno . . . l'altro : L'un cherubino è angelo di pietà, l'altro di giu-
stizia e di morte.
249. In ferrugigno : Nel color del ferro arrugginito.
250. D'olivo un ramoscel: Simbolo di pace.
253. Alla città, ecc. : Al cielo.
255. Sonito : Fragore (lat.).
256. Senna . . . Elba . . . Ibero : Come altre volte, designa dal nome dei fiumi
principali la Francia, la Germania e la Spagna .
257. Iterava: Ripeteva (lat,).
IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 153
Ma guerra i lidi d'Albione, e guerra
D'inferno i mostri replicar s'udirò, 2C0
E l'inferno era tutto in Inghilterra.
Sedea tranquillo l'increato Spiro
Su l'immobile trono, e tremebondo
Dal suo cenno pendea l'immenso empirò.
La gran bilancia, su la qual profondo 253
E giusto libra l'uman fato, intanto
Iddio solleva; e ne vacilla il mondo.
Quinci i sospiri, le catene, il pianto
De' mortali ponea, quindi versava
De' mortali i delitti ; e a nessun canto £70
La tremenda bilancia ancor piegava.
Quando due donne di contrario affetto
Levarsi, e ognuna di parlar pregava.
Chi si fùr elle, e che per lor fu detto
Se mortai labbro di ridirlo è degno, 275
L'udrà chi al mio cantar prende diletto
Nel terzo volo dell'acceso ingegno.
CANTO TERZO.
Contenuto. — La Giustizia, innanzi al trono dell'Eterno, chiede vendetta
sulla Francia e sull'Inghilterra, perchè questa compra coll'onore il sangue e
procede di tradimento in tradimento, quella cangiò in furia terribile la li-
bertà e permise che Robespierre la struggesse con orribili stradi. Sorge a
parlare la Pietà ed essa vuole tregua ai furori e alle stragi e implora da
Dio il perdono e la pace. E Dio commotte a Napoleone la pace la guerra.
Intanto due cherubini scendono dal cielo a dare all'eroe la spada e l'olivo.
Nella costellazione della Lira sopraggtungono il Verri e il Beccaria e s'av-
viano ad un luogo verdeggiante e odorato, ove si stringono a colloquio col
Parini e col Mascheroni, intorno ai mali che affliggono la patria.
Duo virtù, che nimiche e in un sorelle
L'una grida rigor, l'altra perdono,
Care entrambe di Dio figlie ed ancelle,
Ritte in piò, dell'Eterno innanzi al trono
264. Empirò : Per empireo , cielo. Altrove ha detto deliro per delirio.
e. 1, 190.
2G5. La gran bilancia : Di questa immaginazione, attinta ad Omero, si com-
piaceva assai il p. che, come abbiamo veduto, l'aveva usata anche nel e. 11,
della Bas8vil., 151 e sgg.
266. Libra : Pesa (lat )'.
272. Due donne : La Pietà e la Giustizia , perciò dette « di contrario af-
fetto ».
277. Nel terzo volo : Nel terzo canto. E anche qui mi piace di chiudere
le note a questo canto, che é tutta una magnifica pagina della storia d'Italia
d'allora, colle parole dello Zumbini, p. 186 : « Sono caratteri e scene che
tengono di quell'eterno storico, a cui il Monti attinse di rado, fu poeta
insigne ; Dante attinse sempre, e fu grandissimo. Ad ogni modo nella « Ma-
scheroniana » riesce più felicemente dantesco che non sia stato in altri suoi
poemi ».
2. L'una , . . l'altra : La Giustizia , . , la Pietà,
154 TARTE III.
Ecco a gran lite. Ad ascoltarle intenti 5
Lascian l'arpe i celesti in abbandono:
Lascian le sacre danze, e su lucenti
Di crisolito scanni e di berillo
Si locar taciturni e riverenti.
D'ogni parte quotato era lo squillo 10
Delle angeliche tube, il tuon dormiva,
E il fulmine giacea freddo e tranquillo.
Allor Giustizia, inesorabil diva,
Incominciò: Sire del ciel, che libri
Nell'alta tua tremenda estimativa 13
Le scelleranze tutte e a tutte vibri
Il suo castigo, e fino a quando inulti
Fian d'Europa i misfatti e di ludibri
Carco il tuo nome ? Ve' tu come insulti
L'umano seme a tua bontade, e ingrato 23
Del par che stolto nella colpa esulti ?
Vedi sozzi di strage e di peccato
I troni della terra e dalla forza
II delitto regal santificato.
Vedi come la ria ne' petti ammorza 25
Di ragion la scintilla, e i sacri, eterni
Dell'uom diritti cancellar si sforza:
Mentre nuda al rigor di caldi e verni
Getta la vita una misera plebe
Che sol si ciba di dolor, di scherni; 30
E a rio macello spinta, come zebe,
Per l'utile d'un solo, in campo esangue
L'itale ingrassa e le tedesche glebe.
Di propria man squarciata intanto langue
La peccatrice Europa, ed Anglia cruda 35
L'onor ne compra, e coll'onore il sangue.
Per lei Megera nell'inferno suda
Armi esecrate, per lei tòschi mesce;
Suo brando è l'oro; ed il suo Marte, Giuda.
Che di Francia direm? A che riesce 40
De' suoi sublimi scotimenti il frutto ?
8. Crisolito . . . berillo : Pietre preziose.
15. Estimativa : Giudizio.
17. E fino a quando, ecc. : Filicaia Cam. per V assedio di Vienna : « E
(Ino a quando inulti Fian, Signore, i tuoi servi ì ».
31. Zebe : Capre. Dante, Inf., XXXII, 15 : « Me' foste state qui pecore o zebe ! ».
37. Megera : Furia infernale. — Suda : Con significato attivo, apparecchia
con sudore.
39. Suo brando è l'oro, ecc. : Vuol significare che l'Inghilterra combatteva
con eserciti assoldati ed anche corrompendo coir oro e col tradimento, di
cui é simbolo Giuda.
il. Sublimi scotimenti : Sublimi rivoluzioni, « Parola di cui non so se la
IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 155
Mira che agli altri e a sé medesma incresce.
Pot^a col senno e col valor far tutto
Libero il mondo, e il fece di tremende
Follie teatro e lo coprì di lutto. 43
Libertà che alle belle alme s'apprende,
Le spedisti dal ciel, di tua divina
Luce adornata e di verginee bende;
Vaga sì che nò greca uè latina
Riva mai vista non l'avea, giammai 50
Di più cara sembianza e pellegrina.
Commossa al lampo di que' dolci rai
Ridea la terra intorno, ed io t'adoro, —
Dir pareva ogni core, io ti chiamai. —
Nobil fierezza, matronal decoro, 55
Candida fede, e tutto la seguia
Delle smarrite virtù prische il coro;
E maestosa al fianco le venia
Ragion d'adamantine armi vestita,
Con la nemica dell'error Sofia. 60
Allor mal ferma in trono e sbigottita
La tirannia tremò; parve del mondo
Allor l'antica servitù .finita.
Ma tutte pose le speranze al fondo
La delira Parigi, e libertate 05
In Erinni cangiò, che furibondo
Spiegò l'artiglio; e prime al suol troncate
Cadder le teste de suoi figli, e quante
Fùr più sacre e famose ed onorate.
Poi, divenuta in suo furor gigante, 70
L'orribil capo fra le nubi ascose,
E tentò porlo in ciel la tracotante,
moderna poesia italiana abbia in questo proposito proferito mai una più
bella » (Zumbini, p. 17»).
46. Libertà, ecc. : Verso foggiato su questo di Dante, Inf.. v, 100 : « Amor
che al cor gentil ratto s'apprende ». Il M. nel suo Inno per il 21 gennaio 1799
aveva cantato : « Oh soave dell'alme sospiro Libertà, che del Cielo sei figlia ».
49. Né greca né latina riva : Né la libertà greca né la romana furono cosi
vaghe come la libertà che Iddio donò alla Francia e all'Italia.
60. Sofia : La sapienza.
65. La delira Parigi : La pazza Parigi distrusse coi suoi eccessi rivolu-
zionari le speranze che aveva destate la libertà.
66. la Erinni : < Ecco la libertà che ho tanto vilipesa nella Bassvilliana.
La Convenzione Nazionale era in quei miseri tempi una congrega, non di
uomini, ma di furie, e la Francia tutta un inferno. Spento Robespierre,
spenti quei codardi che spinsero al patibolo i più generosi, la Francia mutò
fisonomia, e la Cantica fu interrotta ... Oh imbecilli 1 Chi siete voi che tac-
ciate di schiavo il libero autore dell'Aristodemo f Lo conoscete voi bene ì Sa-
pete voi che al pari della tirannide che porta corona, egli abborre quella
che porta berretto ? » (Mt.).
71. L'orribil capo, ecc. : Cosi in Omero, II. iv, 443, la Discordia nasconde
il capo nel cielo e cammina sulla terra.
156 PARTE III.
E gli sdegni imitarne e le nembose
Folgori e i tuoni, e culto ambir divino
Fra le genti d'orror mute e pensose. 75
Tutta allor mareggiò di cittadino
Sangue la Gallia; ed in quel sangue il dito
Tinse il ladro, il pezzente e l'assassino,
E in trono si locò vile marito
Di più vii liberta, che di delitti so
Sitibonda ruggia di lito in lito.
Quindi proscritte le città, proscritti
Popoli interi, e di taglienti scuri
Tutte ingombre le piazze e di trafìtti.
voi che state ad ascoltar, voi puri 85
Spirti del ciel, cui veggio al rio pensiero
Farsi i bei volti per pietade oscuri;
Che cor fu il vostro allor che per sentiero
D'orrende stragi inferocir vedeste
E strugger Francia un solo, un Robespiero? 90
Tacque, e al nome crudel su l'aure teste
Si sollevar le chiome agl'immortali,
Frementi in suon di nembi e di tempeste.
Gli angeli il volto si velar coll'ali,
E sotto ai piedi onnipossenti irato 05
Mugulò il tuono e fiammeggiar gli strali. ,
E già bisbiglia il ciel, già d'ogni lato
Grida vendetta; e vendetta iterava
Dell'Olimpo il convesso interminato.
Carca d'ire celesti cigolava 100
De' fati intanto la bilancia; e Dio,
74. Culto . . . divino : Allude al culto della Dea Ragione^ decretato dalla
Convenzione nazionale.
76. Mareggiò: Ondeggiò come il mare.
82. Proscritte le città : « I Lionesi, sospettati d'aver preso le armi, veni-
vano ghigliottinati o moschettati a cinquantine e sessantine per giorno. Il
terrore regnava in quella sfortunata città ; i commissari, spediti per punirla,
resi fanatici, imbriacati dai versamenti di sangue, ad ogni grido comandato
dall'angoscia, credeano veder rinascere la ribellione e scrivevano all'assem-
blea convenzionale che gli aristocratici non erano per anco ridotti, che
questi non aspettavano so non un'occasione per rialzare la testacene biso-
gnava, per non aver più nulla a temere, t * "~ ^
zione e distruggere l'altra ... A Marsiglia
giaciute. Ma tutta l'ira dei rappresentanti
si continuava l'assedio » (Thiers, op. cit., xvn, p. G7). Simili eccessi avven-
nero a Bordeaux e altrove.
83. Taglienti scuri : Le ghigliottine.
85. voi: Dante, Purg., 11, 1 : « O voi, che siete in piccioletta barca,
Desiderosi d'ascoltar ... ».
88. Che cor, ecc. : V. la n. a p. 102.
90. Un Robespiero ? : V. la n. a p. 128.
«4. Si velar coll'ali : Come nel son. a Giuda, gli angeli si velano colle ali,
quando vedono il traditore. Cfr. anche colla « Mcssiade » del Klopstock, vii.
06. Gli strali : I fulmini.
101. La bilanoia : V. la n. a p. 10 1.
IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 157
Dio sol si stava immoto e riguardava.
Surse allor la Pietade; e non aprio
Il divin labbro ancor, che già tacea
Di queir ire tremende il mormorio, 105
Col dolce strale d'un sol guardo avea
Già conquiso ogni petto. In questo dire
La rosea bocca alfln sciolse la dea:
Alte in mezzo de' giusti odo salire
Di vendetta le grida, ed io domando 110
Anch'io vendetta, sempiterno Sire.
Anch'io cacciata dai potenti in bando,
Batto indarno ai lor cuori, e inesaudita
Vo scorrendo la terra e lagrimando.
Ma, se i regnanti han mia ragion tradita, 115
Perchè la colpa de' regnanti, padre,
Negl'innocenti popoli è punita?
Perchè tante perir misere squadre
Per la causa de' vili ? Ahi ! caro i crudi
Fanno il sacro costar nome di madre. 120
Peccò Francia, gli è ver; ma, spenti i drudi
D'insana libertà, perchè in suo danno
Gemono ancora le nimiche incudi ?
Dunque eterne laggiù Tire saranno?
E solo al pianto in avvenir le spose, 125
Solo al ferro e al furor partoriranno?
Dunque Europa le guance lagrimose
Porterà sempre? E per chi poi? Per una,
Per due, per poche insomma alme orgogliose.
Taccio il nembo di duol che denso imbruna 130
Tutto d'Olanda il ciel; taccio il lamento
Della prostrata elvetica fortuna.
Ma l'affanno non taccio e il tradimento
Che Italia or grava, Italia in cui natura
Fé' tanto di bellezza esperimento. 133
Duro il servaggio la premea; più dura
Una sognata libertà la preme,
Che colma de' suoi mali ha la misura.
Su i cruenti suoi campi più non freme
Di Marte il tuono; ma che vai, se in pace no
115. Han mia ragion, ecc. : Non ascoltano la pietà.
120. Di madre : Perché le misere madri vedevano sterminati dalle guerre
i loro figli. Non credo che debba intendersi, come vuole il Bertoldi, che ma-
dre sia qui la patria, anche perchè mi pare che questo verso sia bene spie-
gato dai w. 125-6.
123. Le nimiche inoudi: Le incudini su cui 1 nemici fabbricavano armi
contro la Francia.
158 PARTE IH.
Pur come in guerra si sospira e geme?
Prepotente rapina alla vorace
Squallida fame spalancò le porte,
E chi serrarle le dovea si tace.
Meglio era pur dal ferro aver la morte. 145
Che spirar nudo e scarno e derelitto
Tra i famelici figli e la consorte.
Deh sia fine al furor, fine al delitto ,
Fine ai pianti mortali, e della spada
Péra una volta e de' tiranni il dritto! 150
Paghi di sangue chi vuol sangue, e cada;
Ma l'innocente viva, e dell'oppresso
Il sospiro, Signor, ti persuada.
La dea qui ruppe il suo parlar con esso
Le lagrime sul ciglio; e chi per questa, 153
Chi per quella fremea l'alto consesso,
Qual freme d'aquilon chiuso in foresta
Il primo spiro, allor che ciechi aggira
I sussurri forier della tempesta.
Mentre vario il favor ne' petti ispira igo
Desia nze diverse, incerto ognuno
Qual fia vittrice, la clemenza l'ira;
Del ciel cangiossi il volto e si fé' bruno,
E caligine in cerchio orrenda e folta
II trono avvolse dell'Eterno ed Uno. 165
E una voce n'uscì che l'ardua vòlta
Dell'Olimpo intronava. Attenta e muta
Trema natura e la gran voce ascolta.
Cieli, udite, odi, terra, l'assoluta
Di Dio parola. Tu che l'alto spegni 170
Patrio delirio, e Francia hai resti tuta;
Tu che vincendo moderanza insegni
All'orgoglio de' re, cui tua saggezza
Tolse la scusa di cotanti sdegni;
142. Prepotente rapina : « Si comportavano nella Cisalpina come in un
paese di conquista. Ne maltrattavano gli abitanti, ne esigevano gli alloggi
che, in forza dei trattati, non erano ad essi dovuti, devastavano i luoghi
ove abitavano, si facevano sovente lecite le requisizioni come in tempo di
guerra^ carpivano danaro dalle amministrazioni locali , attignevano nelle
casse civiche senza allegare alcuna specie di pretesto, eccetto il loro bene-
placito » (Thiers, xl, p. 268).
153. Ti persuada: A venire in suo soccorso.
154. Con esso: pleonasmo.
158. Spiro: Soffio. — Cleoni aggira: Qua e là volge in giro i suoi sussurri
annunzianti vicina tempesta.
161. Desianze diverse : Desideri diversi suscitano ne' cuori favore ora alla
Pietà, ora alla Giustizia.
170. Tu : Napoleone Bonaparte.
171. Hai restituta: Hai ristorata la Francia nel suo buono stato.
IN MORTB DI LORENZO MASCHERONI. 159
Fa cor: quel Dio che abbatte ogni grandezza, 175
Guerra e pace a te fida, a te devolve
Il castigo d'Europa e la salvezza.
Tu sei polve al mio sguardo, ed io la polve
Strumento fo del mio voler. Qui tacque
Colui che immoto tutto move e volve. i8f
Qui sparve l'aita vision : poi nacque
Per entro al negro vortice un confuso
Romor d'ali e di pie, che di molt'acque
Parea lo scroscio. Ma repente schiuso
Fiammeggiò quel gran buio, e folgorando 185
Due cherubini si calaro in giuso;
Que' due medesmi del divin comando
Esecutori, che nel pugno aviéno
L'un d'olivo la fronda e l'altro il brando.
Ratti a paro scendean come baleno, 100
E due gran solchi di mirabil vista
Parallelli traean per lo sereno.
L'uno è pura di luce argentea lista;
L'altro è. turbo di fumo che lampeggia,
E sangue piove che le stelle attrista. itf5
Di qua tutto sorriso il ciel biancheggia;
Di là son tuoni e nembi, e in suon di pianto
L'aria geme da lungi e romoreggia.
Seguian coli'ali del vedere un tanto
Prodigio stupefatti i due lombardi 200
Coll'altro spirto di che parla il canto;
Quando si vide a passi gravi e tardi,
Dalla parte ove rota il suo viaggio
La terra e obliqui al sole invia gli sguardi,
Pensierosa salir l'ombra d'un saggio, 205
176. Devolve: Affida.
180. Tutto move : Dante, Par., i, 1, chiama Dio : « Colui che tatto move ».
184. Parea lo soroscio : Immagine ossianesca. La ripete anche nella Palin-
genesi politica : « con fracasso Simigliante di molte acque al fragore », e
altrove.
196. Di qua ... di là: Dalla parte ove passa il cherubino di pace . . . dal-
l'altra ove passa quello di sterminio.
199. Coli'ali, ecc. : Con gli occhi.
200. I due lombardi : Il Mascheroni e il Parini.
201. Coll'altro spirto : Col Borda.
202. A passi gravi, ecc.: Dante, In/*., iv, 112: « Genti v'eran con occhi
tardi e gravi ». Le anime di questi illustri lombardi che si stringono a col-
loquio nel recesso verdeggiante e odorato ricordano i grandi dell'antichità
che nel primo cerchio dell'Inferno dantesco si raccolgono in un « prato dì
amena verzura ».
203. Dalla parte, ecc. : Dalla parte del polo. « La terra inclinata ai poli di
ventitré gradi e mezzo sull'eclittica, nella sua rotazione guarda appunto
obliquamente il sole » (Mg.).
206. D'un saggio: Di Pietro Verri di Milano (1728 1707), che scrisse lodate
opere d'economia politica e di filosofìa.
160 pàrtk m.
Che, il dito al mento e corrugata il ciglio,
Uom par che frema di veduto oltraggio.
Dalla fronte sublime e dal cipiglio
Nobilmente severo si procaccia
Testimonianza il senno ed il consiglio. 210
Come trasse vicino, alzò la faccia,
Gl'insubri ravvisò spirti diletti,
E mosse, prima che il parlar, le braccia.
Allor si vide con amor tre petti
Confondersi e serrarsi, ed affollarse 215
Gli uni su gli altri d'amicizia i detti.
Lo stringersi a vicenda e il dimandarse
Tra quell'alme finito ancor non era,
Che di note sembianze altra n'apparse;
E corse anch'ella, ed abbracciò la schiera 220
Concittadina. 11 volto avea negletto,
Negletta la persona e la maniera;
Ma la fronte, prigion d'alto intelletto,
Ad ora ad or s'infosca, e lampi invia
Dell'eminente suo divin concetto. 223
Scrisse quel primo l'alta economia
Che i popoli conserva, e tutta svolse
Del piacer la sottile anatomia.
Intrepido a librar l'altro si volse
I delitti e le pene, ed al tiranno 230
L'insanguinato scettro di man tolse.
Poscia che le accoglienze, onde si fanno
Lieti gli amici, s'iterar fra questi
Che fur primieri tra color che sanno,
2(W. Si procaccia, ecc. : La, fronte alta e la severità dell'aspetto fanno fede
del senno dell'economista e filosofo lombardo.
' 211. Come trasse vicino : Appena si avvicinò. Trarre per muoversi, avvi-
cinarsi é già in Dante, Purg., 11, 70: « E come a messaggier che porta olivo,
Traggo la gente ».
219. Altra : L'ombra di Cesare Beccaria (1738-1784), milanese, autore del
famoso libro Dei delitti e delle pene.
223. Prigion, ecc. : Il Petrarca, P. I, canz. in, 7, chiama la mente « torre
d'alto intelletto ».
226. Quel primo : Il Verri. — L'alta economia : Il Verri scrisse le Medita-
zioni su l'Economia politica.
228. Anatomia: Scrisse anche un Discorso su l'indole del piacere e del
dolore: chiama anatomia quest'opera per il minuto esame che vi fece del
dolore , colla diligenza che usa chi studia minutamente la compagine del
corpo umano.
231. Di man, ecc. : Il Beccaria col libro Dei delitti e delle pene tolse ai
re il potere di vita e di morte, perché per primo levò alto la voce contro
la pena capitale e la tortura.
232. Poscia che, ecc. : Dante, Purg., vii, 1 : « Poscia che l'accoglienze
oneste e liete Furo iterate tre e quattro volte ... ».
234. Tra color, ece. : Dante, Inf., iv, 131, chiama Aristotile « il maestro
di color che sanno ».
IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 161
Disse Parini: Perchè irati e mesti 235
Son tuoi sguardi, mio Verri? Ed ei rispose:
Piango la patria; e chinò gli occhi onesti.
E anch'io la piango, anch'io, con sospirose
Voci soggiunse Beccaria; poi mise
Su la fronte la mano, e la nascose. sio
Di duol che sdegna testimon conquise
Vide Borda quell'alme, e in atto umano
Disse a tutte: Salvete; e si divise.
Col salutar degli occhi e della mano
Risposer quelle, e in preda alla lor cura 215
Mosser tacendo per l'etereo piano.
Come gli amici in tempo di sventura
Van talvolta per via, né alcun domanda
Per temenza d'udire cosa dura;
Tale andar si vedea quell'onoranda 250
Di sofl compagnia, curva le fronti,
Aspettando chi primo il suo cor spanda.
Luogo è d'Olimpo su gli eccelsi monti
Di piante chiuso che non han qui nome,
E rugiadoso di nettarei fonti, 255
Ch'eterno il verde educano alle chiome
Degli odorati rami, e i più bei fiori
Di colei che fa il tutto e cela il come;
Poi cadendo precipiti e sonori
Tra scogli di smeraldo e di zaffiro 200
Scendono a valle per diversi errori;
E là danzando del beato empirò
A inebriar si vanno i cittadini
Dell'ambrosia che spegne ogni desiro.
A quest'ermo recesso i peregrini 265
Spirti avviarsi; e qui, seduti al rezzo
Tra color persi, azzurri e porporini,
237. Piango la patria : « 1 grandi spiriti italiani , stretti fra loro, hanno
per unico pensiero, per unica passione la patria , e nemmeno il paradiso
vale a mitigarne il dolore di vederla oppressa » (Zumbini, p. 186).
243. Bene qui lo Zumbini, ib., fa notare la delicatezza dell'atto del Borda
che « si ricordava di esser pur sempre uno straniero in mezzo ad Italiani,
e che, pur amando l'Italia, non poteva amarla come questi. Intendeva quanto
ci fosse di solenne, di santo, e, direi di geloso nel dolore dei figliuoli che
piangevano il danno della madre comune ».
251. Sofi: Sapienti.
255. Rugiadoso, ecc. : Irrigato da fonti di nettare.
256. Edùoano : Nel senso etimologico di far crescere, coltivare : Catullo,
carme lxii : « . . . tamquam mitem educat uvam », e il Foscolo, Sepolcri, 55 :
« Nel suo povero tetto educò un lauro », e al v. 125 : « Amaranti educavano
e viole ».
266. Rezzo : Ombra ove spira una fresca aria.
267. Persi : Di colore scuro, tra il rossiccio e il n^ro.
Monti. — Poesie, 11
162 PARTE III.
Fèr di so stessi un cerchio. tu che in mezzo
Di lor sedesti, olimpia dea, nò Tira
Temi del forte né del vii lo sprezzo, 270
Tu verace consegna alla mia lira
L'alte loro parole; e siano spiedi
A infame ciurma che alle forche aspira
Nò vale il fango che mi lorda i piedi.
CANTO QUARTO.
Contenuto. — U Verri racconta che l'amor di patria l'aveva spinto a ri v e
dere la sua Milano e dei mali di questa fa una dolorosa descrizione. E quali
rimedi poteva opporre a quei mali l'autorità, se essa era sfornita d'ogni
potenza) chiede il Mascheroni. Deporsi, grida la fiera anima dei Parini. I]
Verri riprende la sua narrazione, dicendo che, contristato dallo spettacolo di
tanti mali, aveva lasciato Milano, non prima però di avere abbracciato, non
visto, i suoi. Passa poi soipra le città lombarde. Pavia, Como, e a Bosisio
vede il ricordo funeore che al Parini aveva inalzato il Marliani. Di là pas-
sando sopra Bergamo ed altri paesi ancora e per tutto udendo il pianto
delle afflitte genti, scende a Ferrara, ove vede presso una tomba un'ombra
mesta, l'ombra dell'Ariosto, a cui chiede la cagione de' suoi sospiri. Anche
questo canto spira tutto amor di patria e nobili sono le parole dì quei ma-
gnanimi spiriti. Il p. ha saputo ritrarre con efficacia dantesca le qualità
del loro animo e dei loro ingegno : cosicché la Mascher. ha tale contenuto
morale e civile che per questa parte é certamente superiore ad ogni altro
componimento del Monti.
Sacro di patria amor, che forza acquista
Ed eterno rivive oltre Favello
(Cominciò l'alto insubre economista);
Desio che pure ne' sepolti è bello
Di visitar talvolta ombra romita 5
Le care mura del paterno ostello,
E con gli affetti della prima vita
Le vicende veder di quel pianeta
Che l'alme al fango per partir marita,
Mi fean poc'anzi abbandonar la lieta 10
Regì'on delle stelle: e il patrio nido
Fu dolce e prima del mio voi la mèta.
Per tutto armi e guerrier, tripudio e grido
Di libertà; per tutto e danze e canti,
Ed altari alle Grazie ed a Cupido, 13
26U. Olimpia dea : La Verità cosi detta perché discesa dal cielo.
272. Spiedi : E siano le loro parole armi per trafiggere ecc.
274. Mi lorda i piedi: De' suoi nemici il p. cosi disse nel son. Padre Qui-
riti: « Squadrali tutti ad uno ad uno, e vedi Ch'ei sono infami, non aventi
il prezzo Neppur del fango che mi lorda i piedi ».
3. L'alto, ecc. : Il Verri.
8. Di quel pianeta : Della terra.
9 Al fango, ecc. : Che unisce le anime al corpo.
11. Patrio nido: Milano.
15. Ed altari, ecc. : Cioè amori e adorazioni della bellezza muliebre.
IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 163
E operose officine, e di volanti
Splendidi cocchi fervida la via,
E care donne e giovinetti amanti,
Sclamar mi fenno a prima giunta: Oh mia
Gentil Milano, tu sei bella ancorai 20
Ancor bella e beata è Lombardia!
Poi nell'ascoso penetrai (che fuora
Sta le più volte il riso e dentro il pianto),
E venir mi credei nell'Antenòra,
Nella Gaina, o s'altro luogo è tanto 23
Maledetto in inferno ove raccoglia
Tutte insieme le colpe Radamanto.
Dell'albergo fatai guardan ia soglia
Le Cabale pensose e l'Impostura
Che per vestirsi la virtù dispoglia, 30
La Fraude che si tocca il petto e giura,
La fallace Amistà che sul tuo danno
Piange e poi t'abbandona alla ventura.
Carezzanti negli atti in volta vanno
Le bugiarde Promesse accompagnate 35
Dalle garrule Ciance e dall'Inganno.
Sta fra le valve a piò profan vietate
Il Favor, che bifronte or apre, or chiude,
E dice all'un: Non puossi; e all'altro: Entrate.
Su e giù sospinte le Speranze nude 40
Van zoppicando, e inseguele per tutto
Colei che tutte le speranze esclude.
Con umil carta in man lurido e brutto
Grida il Bisogno, e sua ragione apporta;
Ma duro niego de' suoi gridi è il frutto: 45
Che voce di ragion là dentro è morta,
16. Di volanti . . cocchi fervida la via : Reminiscenza virgiliana, Georg,, in,
107 : « volat vi fervidus axia ».
22. Nell'ascoso, ecc.: Penetrai più addentro, non accontentandomi delle
apparenze esteriori.
24. Antenora . . . Caina : I due ultimi scompartimenti del ix cerchio del-
l'Inferno dantesco, ove si puniscono i traditori della patria e dei parenti.
27. Radamente- Con Minosse ed Eaco era, secondo gli antichi (Virgilio,
Aen., vi, 566), giudice delle anime che scendevano all'Inferno.
28. Dell'albergo fatai : Della funesta sede del governo.
29. Le Cabale pensose : La cabala era una scienza chimerica dei rabbini
ebrei, qui vale, come spesso nell'uso moderno, raggiro. È pensosa, perchè
pone ogni suo studio e pensiero a ingannare.
36. Garrule: Loquaci.
37. Valve: Imposte d'una porta (lat.).
38. Bifronte : A due facce. Sebbene anche (jui si debba notare che troppo
frequenti sono nel nostro p. le personificazioni, si veda però quanto sia
bella e vera questa personificazione del Favore.
42. Colei: La. disperazione, la quale insegue per tutto le nude speranze
zoppicanti (perché non arrivano a raggiungere la meta).
46. Là dentro: Cioè nel palazzo del governo.
ì
^n/
164 PARTE III.
/ E de' meni scaffali tra le borre
U DormeUiustizia in gran letargo assorta;
^ Nò dall'alto suo sonno la può sciórre
Che il sonante cader di quella piova 50
Che fé* lo stupro dell'acrisia torre.
Quest'io vidi nell'antro in cui si cova
Della patria il dolor, che con grand'arte
Tutto giorno si affina e si rinnova;
Tal che, guasta il bel corpo d'ogni parte, 55
Trae già l'ultimo fiato e muore in culla
La figlia del valor di Bonaparte.
Circuisce la misera fanciulla
Multiforme di mostri una congrega,
Che la sugge, la spolpa e la maciulla: oj
Il furto, ch'ai poter fatto è collega;
Tirannia che col dito entro gli orecchi,
Scostati, grida alla pietà che prega;
Ignoranza che lósca fra gli specchi
Banchetta, e l'osso che non unge arcigna 65
Getta al merto giacente in su gli stecchi.
E la patria frattanto, empia matrigna
Nega il pane a' suoi figli, e a tal lo dona
Stranier cui meglio si daria gramigna.
Mossi più addentro il piede: e in logra zona 70
Vidi l'inferma che Finanza ha nome,
Che scheletro pareva e non persona.
Colle man disperate entro le chiome
Guarda i vuoti suoi scrigni, e stupefatta
Cerca e non trova dell'empirli il come. 75
Or la forza le invia fusa e disfatta
La pubblica sostanza; or la meschina
Perdendo merca e supplicando accatta.
47. Borre : È ben detto delle carte dimenticate negli scaffali. Borra vera-
mente si dice della cimatura del pelo de' pannilani degli ammassi di peli
che servono ad imbottire cuscini, sedie odf altro.
50. Quella piova, ecc. : La pioggia dell'oro. Giove, trasmutatosi in pioggia
d'oro, potè entrare nella torre ove Acrisio, re d'Argo, aveva chiuso la figlia
Danae di cui il dio s'era invaghito.
52. Si oova: Si medita, si prepara. L'usò più volte i Parini. Caduta, 62:
« colà dove nel muto Aere il destin de' popoli si cova », e il Nostro nella
Mu8og onici, 45: < Necessità che brame Cova malvage sotto al tetro fonte », e
anche i Petrarca, nel son. Fiamma del ciel: « Nido di tradimenti in
\ cui si cova Quanto mal ... ».
60. Maciulla : La stritola, verbo preso metaforicamente dalla maciulla o
gramola che serve a dirompere il lino o la canapa.
64. Fra gli speochi banchetta : Gavazza fra il lusso.
65. L'osso che non unge : L'osso spolpato.
70. Zona: Veste.
76. Or la fona, ecc. : Ora la forza le riempie gli scrigni - colla ricchezza
pubblica, per mezzo delle tasse che cosi distruggono la ricchezza.
78. Supplicando aocatta : Chiede dei prestiti che le fanno perdere molto. Allude
alle disastrose operazioni finanziarie t z. cui ricorrono i governi per far denari.
IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 165
Scorre a fiumi il danaro, e la rapina
Di color mille e cento man l'ingozza so
E giù nell'ampio ventre lo ruina
Con sì gran fretta, che talor la strozza
Tutto no 1 cape, e il vome, e vomitato
Lo ricaccia nell'epa e lo rimpozza;
Né del pubblico sazia anco il privato 85
Aver divora; e il vede e lo consente
Suprema e muta autorità di stato.
Chiusa e stretta la forza prepotente,
(Dolce interruppe allor Lorenzo) e in forse
Di maggior danno, e inerme e dependente, oo
Che far poteva autorità? — Deporse,
Gridò fiero Parini: e, steso il dito,
Gli occhi e la spalla brontolando torse.
Strinse allora le labbia in sé romito
Dei delitti il sottil ponderatore; 95
E, Fu giusto, poi disse, il tuo garrito.
Forza li vinse: e che può forza in core
Che verace virtute in so raduna?
Cede il giusto la vita e non l'onore; 100
L'onor, su cui nò strale di fortuna,
Né brando, né tiranno, nò lo stesso
Onnipossente non ha possa alcuna.
Qual madre, che del figlio intende espresso
Grave fallo, si tace e non fa scusa, 105
Ma china il guardo per dolor dimesso
E tuttavolta col tacer l'escusa;
Tal si fece Lorenzo, mansueta
Alma cortese a perdonar sol usa.
Ma col cenno del capo il fier poeta no
Plause a quel dir, che il generoso fiele
De' bollenti precordii in parte acqueta.
84. Lo rimpozza : Lo rimette nei pozzo (metaf.) , cioè nel ventre (epa).
< L'estimo censuario dello stato era di 157 milioni di scudi e la sua rendita
di 21,800,000 scudi, pari a 179 milioni di lire milanesi. A norma dell'estimo
i tributi della Cisalpina non avrebbero dovuto eccedere 64 milioni di lire
milanesi, cioè 48 milioni di franchi. L'Austria medesima non soleva ritrarre
più di 18 milioni di lire milanesi. Invece in due soli mesi, luglio e agosto
del 1800, noi avevano dato 18 milioni » (De Castro, op. cit., p. 100).
91. Daporse: Nobile e fiero grido questo, che ben s'addice a quell'altera
e disdegnosa anima lombarda che sappiamo avere avuto il Parini.
94. Romito: Tutto raccolto in sé stesso. Dante, Purg., vi, 72: € E l'om-
bra tutta in sé romita ... ».
95. Il sottil, ecc. : Il Beccaria.
96. Garrito: Rimprovero.
104. Espresso: Raccontato.
107. Si noti quanta verità è In questa bella similitudine.
112. Precordii : Le parti immediatamente vicine al cuore, ma qui 11 cuore
stesso.
166 * PARTE in.
Aprì dì nuovo al ragionar le vele
Verri frattanto, e, non ancor, soggiunse,
Tutto scorremmo questo mar crudele. 115
Poiché protetta la rapina emunse
Del popolo le vene, e di ben doma
Putta sfacciata il portamento assunse;
La meretrice, che laggiù si noma
Libertà depurata, iva in bordello 120
Coi vizi tutti che dier morte a Roma.
Alla fronte lasciva era cappello
Il berretto di Bruto, ma di serva
Avea gli atti, il parlare ed il mantello.
E la seguia di drudi una caterva, 125
Che da questa d'Italia a quella fogna
A fornicar correa colla proterva.
Altri, perduta nel peccar vergogna,
Fuggi la patria no, ma il manigoldo;
Altri è resto di scopa, altri di gogna: 130
Qual repe e busca ruffianando il soldo;
Qual è spia; qual il falso testimonio
Vende pel quarto e men d'un leopoldo.
Quei chiede un Robespier che il sangue ausonio
Sparga, e le funi e la Senavra impetra 135
Con questo che biscazza il patrimonio.
V'ha chi ventoso raschiator di cetra,
Il pudor caccia e sé medesmo in brago,
E segnato da Dio corre alla Vetra.
11G. Mar crudele: Dei mali affliggenti la patria. Dantjs, Purg., 1,3: «Che
lascia dietro a sé mar si crudele ».
120. Libertà depurata : Depurare significava in bocca dei furiosi demagoghi
d'allora levare dalle pubbliche cariche tutti quelli che non erano sfrenati
repubblicani come loro.
183. Il berretto, ecc. : Il berretto frigio.
126. Fogna: Cosi per dispregio chiama le altre parti d'Italia, dove « for-
nicavano » colla sfacciata libertà 1 falsi amatori della repubblica.
130. Resto, ecc. : Vili malfattori, avanzo de la soopa, cioè della fustiga-
zione che s'infliggeva ai condannati, o avanzo della gogna o berlina, pena
infamante per cui i rei sono esposti al pubblico, stretti da un collare di
ferro.
131. Repe : Striscia a guisa di serpente (lat.).
133. Un leopoldo : Moneta austriaca coll'effigie dell'imperatore d'Austria,
Leopoldo I.
131. Ausonio : italiano.
135. Le funi e la Senavra, ecc. : Divenuto pazzo, merita di essere mandato
alla Senavra che era un manicomio fuori di Milano ove sarebbe, per do-
mare il suo furore, legato con funi. Sì noti l'endiadi di funi e la Senavra
per le funi della Senavra.
136. Biscazza : Scialacqua al giuoco.
137. Ventoso, ecc. : Anche qui balestra il Gianni che chiama ventoso per
la sua burbanza.
139. Segnato da Dio : Sì ricordi che il Gianni era gobbo. — Vetra: € Piazza
In Milano ove sì faceva giustizia de' malfattori » (Mg.).
IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 167
V'ha chi saita in bigoncia dallo spago; 140
V'ha chi versuto ciurmador le quadre
Muta in tonde figure, e non è mago.
Disse rea d'adulterio altri la madre,
E di vile semenza di convento
Sparso il solco accusò del proprio padre. 145
Altri è schiuma di prete, e fraudolento
De* galeotti arringator, per fame
Va trafficando Cristo in sacramento.
Tutto è strame, letame e putridame
D'intollerando puzzo, e. lo fermenta 150
Tutto quanto de' vizi il bulicame.
E questa ciurma ell'è colei che addenta
I migliori, colei che tuona e getta
D'itala libertà le fondamenta?
Oh inopia di capestri ! oh maladetta 155
Lue cisalpina! oh patria! oh giusto Iddio!
Perchè pigra in tua mano è la saetta?
Terror mi prese a tanto; e, nell'oblio
Del mio stato immortale, al patrio tetto,
Per celarmi, tremante il pie fuggio. 160
Oh mia dolce consorte! oh mio diletto
Fratello! oh quanto nell'udir mi piacqui
Da voi nomarmi coll'antico affetto,
E ricordar siccome amai uè tacqui
La pubblica ragion, sin che, già franta 165
De' buon la speme, addio vi dissi, e giacqui!
Piansi di gioia nel veder cotanta
Carità della patria, e come intera
De' miei figli nel cor la si trapianta.
Ed io vana allor corsi ombra leggera, no
l'IO. V'ha chi, ecc. : Ve chi di ciabattino diventa tribuno.
141. Versuto ciurmadore: Astuto (lat. versutus) ingannatore.
142. Muta, ecc. : Cambia le carte in mano, anche non essendo mago.
145. Il solco : La via alla generazione : taccia qualcuno di quei demagoghi
di bastardo, figlio di frate.
146. altri, ecc. : « Fu in quei tempi di depravata libertà in cui si videro
preti e frati apostatare tra le oscene danze intorno all'albero della libertà;
o predicare intolleranti e feroci principii d'irreligione e di scostumatezza »
(Mg.).
151. De* vizi il bulicame: Tutto il bollente fiume dei vizi. Il Bulicarne era
propriamente una fonte d'acqua bollente a Viterbo. Dante usò questa pa-
rola nel senso di lago di sangue bollente {Inf. xn, 128, e xiv, 179).
155. Oh inopia, ecc. : Oh scarsezza di funi da impiccare questi uomini cosi
meritevoli della forca, il Foscolo nella orazione a Bonaparte (§ iv) aiferma
che tutto in auella Repubblica era oro, briga x tremore, e sferza con ro
venti parole i vizi, l'ignoranza, la malvagità di quei legislatori.
158. Nell'oblio, ecc. : Dimentico di essere immortale.
164. Siccome amai : Come amai il bene pubblico, né tacqui mai in sua
difesa.
166. Giacqui: Morii.
108 PARTE III.
E gli strinsi, e sentii tutta in quel punto
La dolcezza di padre e più sincera.
Ma il tenero lor petto al mio congiunto
Ahi! quell'amplesso non intese, e invano
Vivi corpi abbracciai spirto defunto. 175
Mi staccai da' miei cari : e di Milano
Ratto fuggendo, a quel sordo mi tolsi
Delle lagrime altrui gonfio oceano.
Città discorsi e campi ; e pria mi volsi
Al longobardo piano ove superbe ìso
Strinser catene al re de* Franchi i polsi,
E il villan coll'aratro ancor tra l'erbe
Urta le gallic'ossa, e quell'aspetto
Par che '1 natio rancor gli disacerbe.
\idì '1 campo ove Scipio giovinetto is5
Contro i punici dardi allo spirante
Padre fé' scudo del roman suo petto.
Vidi l'uftiil Agogna intollerante
Del suo fato novel: vidi la valle
Cui nome ed ubertà fa la sonante 190
Sesia. Di là varcai per arduo calle
L'alpe che il nutritor di molte genti
Verbano adombra colle verdi spalle.
Quindi del Lario attinsi le ridenti
Rive e la terra ove alla luce aprirsi 105
I solerti di Plinio occhi veggenti;
p]d or l'odi di Volta insuperbirsi.
Che vita infonde pe' contatti estremi
175. Spirto defunto : Nota quanto delicata immaginazione é questa del p.
che fa che il Verri , inorridito da ciò che ha veduto, corra alla sua casa
ad abbracciare i suoi cari.
180. Al longobardo piano : A Pavia, ove il 21 febbraio 1525 il re di Francia,
Francesco I, in aspra battaglia, fu fatto prigioniero dai soldati di Carlo V.
184. Gli disaoerbe : Gli raddolcisca quell'odio che ebbe dalla nascita contro
i vicini stranieri, Il Bertoldi intende « rancore » per « rozzezza di senti-
menti », ma a torto mi pare.
185. Il campo : Il luogo presso il Ticino ove avvenne la battaglia in cui
il console Paolo Emilio rimase ucciso , sebbene gli facesse scudo del suo
corpo il Aglio adottivo P. Cornelio Scipione.
188. Agogna : Fiume che passi presso Novara (lo chiama umile per la sua
piccolezza). Novara era stata distaccata dalla repubblica cisalpina e annessa
alla Francia, come parte del dipartimento della Sesia.
180. La valle, ecc. : La Val Sesia che é resa fertile e prende il nome
dalla Sesia che l'attraversa.
193. Verbano : Cosi i latini dicevano il lago Maggiore.
194. Lario : Il lago di Como che gli antichi chiamavano Lario, celebre per
le sue ridenti rive.
195. La terra, ecc. : Como, ove nacque il grande naturalista Plinio il vec-
chio (23-79 d. C), che dice avere avuto « occhi solerti », perché bene ad-
dentro scrutò nei segreti della natura.
197. Volta: In Como nacque anche il sommo fisico Alessandro Volta
(1745-1827).
IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 169
Di due metalli (maraviglia a dirsi!)
Nei membri già di pelle e capo scemi £00
Delle rauche di stagno abitatrici,
E di Galvan ricrea gli alti sistemi.
I placidi cercai poggi felici
Che con dolce pendio cingon le liete
Dell'Eupili lagune irrigatrici ; 205
E nel vederli mi sclamai: Salvete,
Piagge dilette ai ciel, che al mio Parini
Foste cortesi di vostr'ombre quete,
Quando ei fabbro di numeri divini,
L'acre bile fé' dolce e la vestia 210
Di tebani concenti e venosi ni.
Parea de* carmi tuoi la melodia
Per quell'aure ancor viva, e l'aure e Tonde
E le selve eran tutta un'armonia.
Parean d'intorno i fior, l'erbe, le fronde 215
Animarsi e iterarmi in suon pietoso:
Il cantor nostro ov'è ? chi lo nasconde ?
Ed ecco in mezzo di ricinto ombroso
Sculto un sasso funebre che dicea:
Al SACRI MANI DI PAR1N RIPOSO. . 220
199. Di due metalli : 11 Volta perfezionò la teoria del magnetismo animale
per mezzo dell'invenzione della pila, che sprigiona l'elettricità col contatto
di due metalli, lo zinco ed il rame.
201. Di stagno abitatrici : Le rane, che vivono nelle acque stagnanti, scor-
ticate e prive del capo, al contatto della pila saltano come se fossero vive.
Questa esperienza di magnetismo animale fu fatta da Luigi Galvani (1737-
1798).
205. Eupili : Il lago di Pusiano in Brianza che gli antichi dissero Eupili
e i cui ridenti dintorni cosi cantò il Parini, che era nato li presso, a Bosi-
sio : « Colli beati e placidi Che il vago Eupili mio Cingete con dolcissimo
lasensibil pendio. . . ».
208. Cortesi, ecc.: Il Foscolo nei Sepolcri, 69, d'un tiglio che avrebbe
dovuto ombreggiare l'urna del Parini, dice che va fremendo : « Perchè non
copre . . ., l'urna del vecchio Cui già di calma era cortese e d'ombra ». Il
Parini, Od. i, 41, dice che all'ombra degli alberi di quelle piagge dilette
trovava « un caro albergo sereno ».
209. Fabbro di numeri, ecc. : Artefice di versi divini. Numeri (lac.) vale
armonie. Fabbro è usato dai poeti in senso nobile per artefice. Dante,
2urg.,x, 99 : « E per lo fabbro loro a veder care », e xxvi, 117 : « Fu mi-
glior fabbro del parlar materno ».
210. L'acre bile : Raddolcì nei versi armoniosi l'ira contro la mollezza
degli aristocratici che flagellò nel Giorno.
211. Di tebani, ecc. : Di armonie pindariche (che Pindaro fu di Cinocefale
presso Tebe) e oraziane (Orazio naca uè in Venosa).
212. Tuoi : Perché fra le ombre che l'ascoltavano era anche quella del
Parini.
220. Ai sacri mani. ecc. : L'avv. Rocco Marliani in una sua villa, detta
Amelia, ad Erba presso il lago di Pusiano, fece erigere un monumento fu-
nebre al Parini, amico suo. La tomba era ombreggiata da lauri, e da un
organo sotterraneo usciva un mesto suono che empieva di melanconici pen-
sieri l'animo del passeggiere. Sul monumento erano incisi i versi dell ode
pariniana, II Messaggio: « Qui ferma il passo, e attonito Udrai del tuo can-
tore Le commosse reliquie Sotto la terra argute sibilar ».
170 PARTE III.
E donna di beltà che dolce ardea
(Tese l'orecchio, e fiammeggiando il vate
Alzò l'arco del ciglio, e sorridea)
Colle dita venia bianco-rosate
Spargendolo di fiori e di mortella, 225
Di rispetto atteggiata e di pietate.
Bella la guancia in suo pudor; più bella
Su la fronte splendea l'alma serena,
Come in limpido rio raggio di stella.
Poscia che dati i mirti ebbe a man piena, 230
Di lauro, che parea lieto fiorisse
Tra le sue man, fé* ai sasso una catena ;
E un sospir trasse affettuoso, e disse :
Pace eterna air amico: e te chiamando
I lumi al cielo sì pietosi affisse, 235
Che gli occhi anch'io levai, certa aspettando
La tua discesa. Ah qual mai cura quale
Parte d'olimpo ratteneati, quando
Di que' bei labbri il prego erse a te l'ale ?
Se questa indarno l'udir tuo percuote, 210
Qual altra ascolterai voce mortale?
Riverente in disparte alle devote
Ceremonie assistea colle tranquille
Luci nel volto della donna immote
Uom d'alta cortesia, che il ciel sortille, 245
Più che consorte, amico. Ed ei, che vuole
II voler delle care alme pupille,
Ergea d'attico gusto eccelsa mole,
Sovra cui d'ogni nube immacolato
Raggiava immemor del suo corso il sole. 250
E Amalia la dicea dai nome amato
Di costei, che del loco era la diva
E più del cor che al suo congiunse il fato.
Al pio rito funebre, a quella viva
221. Donna ut beltà : Amalia, moglie del Marliani.
222. Tese l'orecchio : « Per mezzo di questi atti vuole il p. significare
l'ammirazione vivissima che della bellezza femminile ebbe sempre il Pa-
nni » (Bertoldi).
826. E di pietate: Dante, Purg., x,78: « Di lagrime atteggiata e di do-
lore ».
230. A man piena : Virgilio, Aen, vi, 883 : « Manibus date lilla plenis »,
ripetuto da Dante, Purg., xxx, 21.
215. Uom, ecc. : Il Marliani.
216. Che vuole, ecc. : che ha la stessa volontà espressa dalle care pupille
di lei.
218. D'attioo gusto: Di gusto squisito, perché i Greci, di cui gli Attici
erano i più colti, ebbero innato il gusto dell' eleganza. — Mole : La villa
Amelia.
253. Del oor : Del marito.
IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 171
Gara d'amor mirando, già di mente 255
Del mio gir oltre la cagion m'usciva.
Mossi al fine; e quei colli ove si sente
Tutto il .bel di natura abbandonai,
Vorme segnando al cor contrarie e lente.
Vagai per tutto: nel tugurio entrai 260
Dell'infelice e il ricco vidi in grembo
Dell'aure case più infelice assai.
Salii, discesi, e risalii lo sghembo
Sentier di balze e fiumi; e, il mio cammino
Oltre l'Adda affrettando ed oltre il Brembo, 265
Alla tua patria giunsi, o pellegrino
Di Bergamo splendor che qui m'ascolti;
E mesta la trovai del repentino
Tuo dipartire e lagrimosi i volti
Su la morta di Lesbia illustre salma, . 270
Che al cielo i vanni per seguirti ha sciolti.
Brillò di gaudio a quell'annunzio l'alma
Dell'amoroso geometra, e uscire
Parve alcun poco dell'usata calma.
E già surto partia, per lo desire 275
Di riveder quel volto che le penne
Di Pindo ai voli gli solea vestire;
Ma dignitosa coscienza il tenne
E il narrar grave di quell'altro saggio,
Che, precorso un sorriso, così venne sso
Seguitando il suo dir: Dritto il viaggio
Di là volsi al terren che il Mella irriga,
Ricco d'onor, di ferro e di coraggio.
Quindi al Benàco che dal vento ha briga
Pari al liquido grembo d'Amfitrite 285
259. L'orme segnando, ecc. : Partendo di là , sebbene il core volesse che
rimanessi ivi. Cfr. il v. 57 della Bassvill. 1 e la nota appostavi.
263. Sghembo : Tortuoso.
266. Pellegrino: Insigne, raro : Tasso, Oer. Lib., vi. 26: « Quando in leg-
giadro aspetto e pellegrino », e Petrarca, P. I, son. 159 : « Leggiadria sin-
gulare e pellegrina ». Questi a cui si rivo 1 gè é il Mascheroni.
270. Lesbia: V. la n. 63 a p. 136 e V Introduzione a questo poemetto.
276. Che le penne, ecc. : Che gli destava l'estro poetico. 11 Pindo in Tes -
saglia era sacro ad Apollo , dio della poesia. Anche Dantk, Par., xv, 53,
dice di Beatrice : « colei Ch'all'altó volo ti vesti le piume ».
278. Ma dignitosa, ecc.: Cosi Dante, Purg., in, 8: « Odi gnitosa coscienza
e netta ».
280. Precorso un sorriso : Avendo prima sorriso.
282. Al terren, ecc. : Il bresciano che é attraversato dal Mella.
284. Benàco: Gli antichi chiamarono Benàco il lago di Garda. Questo lago
é non di rado agitato da fiere tempeste (Virgilio, Georg, n, 160). — Ha
briga : Reminiscenza dantesca, Par., vin, 68 : « il golfo Che riceve da Euro
maggior briga ».
2S5. Grembo d'Amfitrite : Il mare : Amfltrite era la consorte di Nettuno.
172 PARTE ITI.
Quando irato Aquilon Tonde castiga.
Quindi al fiume ove tardi diffinite
Fur l'italiche sorti, e non del duce
Ma de' condotti il cor vinse la lite..
E l'Adige seguii Ano alia truce 200
Adria, ove stanchi già del lungo corso
Trenta seguaci il re de' fiumi adduce.
Tutto insomma il paese ebbi trascorso
Che alla manca del Po tra '1 mare e '1 monte
Sente de' freni cisalpini il morso. 295
E di dolore, di bestemmie e d'onte
Per tutto intesi orribili favelle,
Che le chiome arricciar ti fanno in fronte :
Pianto di scarna plebe a cui la pelle
Si figura dall'ossa, e per le vie 300
Famelica suonar fa le mascelle:
Pianto d'orbi fanciulli e madri pie
D'erba e d'acque cibate, onde di mulse
E d'orzo sagginar lupi ed arpie;
Pianto d'attrite meschinelle avulse 303
Ai sacri asili e con tremanti petti
Di porta in porta ad accattar compulse:
Pianto di padri, ahi lassi!, a dar costretti
L'aver, la dote, e tutto, anche le poche
Care memorie de' più sacri affetti : 3io
Cupi sospiri e voci or alte or fioche
Di tutte genti, per gridar pietade
E per continuo maledir già roche.
D'orror fremetti; e venni alla cittade
Che dal ferro si noma. dalle Muse 315
Abitate mai sempre alme contrade,
887. Al fiume, ecc. : All'Adige, ove lo Scherer, generalissimo de* Francesi in
Italia, nel 1799 fu sconfitto dagli Austro-Russi presso Verona. V. al v. 52 del
canto ii.
288. E non del duce : La vittoria non l'ottennero gli Austriaci per merito
del duce, ma per il valore dei soldati.
290. Truce Adria: Tempestoso Adriatico.
292. Trenta seguaoi : Il Po, massimo dei fiumi italiani, e per ciò detto « re
de* fiumi » (V. la n. 38 a p. 31), porta al mare trenta affluenti. Anche Dante,
Inf. v, chiama gli affluenti del Po : « i seguaci sui ».
294. Tra '1 mare e '1 monte : A sinistra del Po, tra le Alpi e l'Adriatico.
295. De' freni, ecc. : Cosi é circoscritto il territorio della Repubblica ci-
salpina.
299. A cui la pelle, ecc. : V. la n. 31 al e. n della Bassvilì.
303. Mulse: Acque con miele.
304. Sagginar: Ingrassare.
305. Avulse : Strappate (lat.).
306. Ai sacri asili: Ai monasteri.
307. Compulso: Spinte (lat.).
314. Alla oittade, ecc. : A Ferrara.
316. Alme: Alimentatrici d'illustri uomini.
IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 173
Onde tanta pei mondo si diffuse
Itala gloria e tal di carmi vena
Che non Ascra, non Ohio la maggior schiuse,
D'onor, di cortesia nutrice arena, 320
Come giaci deserta ! e dal primiero
Splendor caduta, e di squallor sol piena!
Questi sensi io volgea nel mio pensiero,
Quando un'ombra m'occorse alla veduta
Mesta sì, ma sdegnosa e in atto altero. 325
Sovresso un marmo sepolcral seduta
Stava l'afflitta, e della manca il dosso
Era letto alla guancia irta e sparuta.
Ombrata avea di lauro non mai scosso
La spaziosa fronte e sui ginocchi 330
Epico plettro, che dall'aura mosso
Dir fremendo parea: Nessun mi tocchi.
Ver' lei mi spinsi, e dissi: tu che spiri
Dolor cotanto e maestà dagli occhi,
Soddisfami d'un detto a' miei desiri; 335
Parlami '1 nome tuo, spirto gentile,
Parlami la cagion de' tuoi sospiri;
Se nulla puote onesto prego umile.
CANTO QUINTO.
Contenuto. — In questo ultimo canto 1 ombra dell'Ariosto, parlando al
Verri, rimprovera all'Italia i suoi vizi. Intanto una spaventosa inondazione
dei fiumi Reno e Panaro devasta le campagne di Ferrara, e le popolazioni
spaventate fuggono, ma i loro lamenti non ascolta il governo che solo prov-
vede ad arricchire sé stesso. L'ombra dell'Ariosto, contristata da si terribile
vista, manda un grido e sparisce, e il Verri continua il suo viaggio e passa
per Bologna, Modena e Reggio. Mentre egli narra il suo viaggio agli altri
spiriti lombardi, le sue parole gli sono troncate sul labbro da una voce che
srida : « Pace ai mondo ». Questo grido viene da un eroe che, cinto di splen-
dida luce, esce dalla Senna, colla spada nel fodero e un ramoscello d'olivo
in mano che olire all'Inghilterra, l'implacabile nemica dell Europa. Ne esul-
tano le divinità del mare e a una nuova vita si ridesta il Commercio.
310. Asora . . . Chio : Ascra in Beozia fu patria di Esiodo, Chio nell'isola
omonima fu una delle sette città (per altri undici) che si disputarono la
gloria di aver dato i natali ad Omero. Allude alla splendida corte degli
Estensi a Ferrara ove poetarono i nostri massimi poeti, l'Ariosto e il Tasso.
324. Un'ombra: Lodovico Ariosto.
327. E della manca, ecc.: Dante, Purq., vii, 107: « L'altro vedete che ha
fatto alla guancia Della sua palma, sospirando letto ».
329. Non mai soosso : Intatto , perché sempre verde é rimasta la gloria
dell'Ariosto.
331. Dall'aura, ecc. : I plettri che suonano mossi dall'aura sono remini-
scenza ossianesca.
335. Soddisfami, ecc.: Dante, Inf., x, 6: Parlami e satisfami a' miei
desiri ».
336. Parlami il nome tuo : Parlare é qui usato transit. Cosi nel Petrarca,
canz. Di pensier in pensier: « e parlo cose manifeste e conte », e nel Fo-
scolo, Sepolcri, 259 : « Le fea parlar di Troia il di mortale ».
338, Se nulla, ecc. : Se qualche cosa può ottenere ... ».
174 PARTE III.
Non mi fece risposta quell'acerbo,
Ma riguardommi colla testa eretta
A guisa di leon queto e superbo.
Qual uomo io stava che a scusar s'affretta
Involontaria offesa, e più coll'atto &
Che col disdirsi umil fa sua disdetta.
£ lo spirto parea quei che distratto
Guata un oggetto e in altro ha l'alma intesa,
Finché dal suo pensier sbattuto e ratto
Gridò con voce d'acre bile accesa: io
«Oh d'ogni vizio fetida sentina,
«Dormi, Italia imbriaca, e non ti pesa
Ch'or questa gente or quella è tua reina
Che già serva ti fu? Dove lasciasti,
Poltra vegliarda, la virtù latina? 15
La gola e '1 sonno ti spogliar de' casti
Primi costumi, e fra l'altare e '1 trono
Co' tuoi mille tiranni adulterasti;
E mitre e gonne e ciondolini e suono
Di molli cetre abbandonar ti fenno 20
Elmo ed asta e tremar dell'armi al tuono.
Senza pace tra' figli e senza senno,
Senza un Camillo, a che stupir, se avaro
Un'altra volta a' danni tuoi vien Brenno?
Or va' ! coltiva il crin, fatti riparo 25
Delle tue psalmodie; godi, se puoi,
D'aver cangiato in pastoral l'acciaro !
Tacque ciò detto il disdegnoso. I suoi
Liberi accenti e al crin gli avvolti allori,
De' poeti superbia e degli eroi, 30
1. Acerbo : Superbo : in tal senso é usato da Dante, Inf\ t xxv, 1S : « Ov'é,
ov'è l'acerbo ? »
3. A guisa di leon, ecc. : Reminiscenza dantesca, Purg. t vi, 66 : « A guisa
di leon quando si posa ».
6. Disdetta: Ritrattazione.
9. Sbattuto e ratto : Scosso e rapito (lat.).
11-12. Son due versi dell'ARioSTO, Ori. Fin*., xvn, 76.
13. Ch'or questa gente, ecc.: Lo stesso concetto é nel son. All'Italia del
Guidiccioni : « Vedrai, che quei che i tuoi trionfi ornaro , T'han posto il
giogo e di catene avvinta ».
15. Poltra vegliarda : Pigra vecchia.
16. La gola . ecc. : Petrarca, P. ih, son. I : « La gola e '1 sonno e l'o-
ziose piume Hanno dal mondo ogni ver tu sbandita ».
19. E mitre e gonne, ecc. : Enumera le varie cagioni che divezzarono dal
l'armi gl'Italiani.
24. Brenno : Un invasore straniero, con allusione ai novelli invasori fran-
cesi discendenti dal gallico Brenno vinto dal romano Camillo.
26. Psalmodie : Canti dei salmi. « Pur troppo », cosi narra il De Castro
(p. 38), « un invasore straniero, il Suwaroff , ai parroci che si lamentavano
delle ruberie commesse dai soldati nella Cisalpina rispose : « Inezie, cantate
un tedeum e tatto é finito ».
30. De* poeti , ecc. : È con leggiera alterazione il v. del Petrarca, P. I,
son. 205 : « Onor d'imperatori e di poeti ».
IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 175
M'eran già del suo nome accusatori,
All'intelletto mio manifestando
Quel grande che cantò Tarmi e gli amori.
Perch'io, la fronte e '1 ciglio umil chinando,
gran vate, sclamai, per cui va pare 35
D'Achille -all'ira la follia d'Orlando !
Ben ti disdegni a dritto, e con amare
Parole Italia ne rampogni, in cui
Dell'antico valore orma non pare.
Ma dimmi, padre: chi da' marmi bui 40
Suscitò l'ombra tua ? — Concittadino
Amor, rispose; e dirò come il fui.
Fra i boati di barbaro latino
Son tre secoli ornai ch'io mi dormia
Nel tempio sacro al divo di Cassino. 43
Pietosa cura della patria mia
Qui concesse più degna e taciturna
Sede alla pietra che il mio fral copria.
Fra il canto delle Muse alla diurna
Luce fui tratto; e la mia polve anch'essa 50
Riviver parve e s'agitò nell'urna.
Ma desto non foss'io, che manomessa
Non vedrei questa terra e questi marmi
Molli del pianto di mia gente oppressa !
Oh qualunque tu sia, non dimandarmi 55
Le sue piaghe, per Dio!, ma trar m'aita
Di lassù la vendetta a consolarmi.
31. Del suo nomò, ecc. : Dante, Inf. x, 61 : « Le sue parole e il modo della
pena M'avevan di costui già detto il nome ».
33. L'armi e gli amori: Cosi comincia l'Orlando Furioso: « Lo donne, i
cavallier, l'armi, gli amori, Le cortesie, l'audaci imprese io canto ».
35. Va pare: Non é inferiore ['Orlando (che canta la follia d'Orlando)
ali 1 Iliade (che canta l'ira d'Achille).
37. A dritto : A ragione.
40. Da' marmi bui : Dalla tomba.
41. Concittadino amor: Amor di patria.
42. Come il fui : Sott. suscitato.
43. I boati, ecc. : Chiama boati per dispregio i canti latini dei frati.
45. L'Ariosto nel 1533 fu sepolto nella chiesa de' Benedettini in Ferrara :
la dice sacra al divo di Cassino x perchè ognun sa che S. Benedetto, isti
tutore dell'ordine dei Benedettini, fondò il monastero di Monte Cassino.
47. Taciturna sede: Nel 1801, nel giorno anniversario della morte del-
l'Ariosto, le sue ossa furono solennemente trasportate dalla Chiesa di S. Bene-
detto allo Studio pubblico, dove furono collocate in faccia alla seconda sala
della Biblioteca.
48. JPral: Sincope di fragile, corpo. È agg. usato in forza di sostantivo.
49. Fra il canto, ecc. : Per due giorni si solennizzò quel trasporto delle
ossa dell'Ariosto e si ebbero in quell'occasione non poche prose e poesie.
54. Molli, ecc. : « Dantesco più felicemente che altrove, come già dissi, il
Monti assume qui eziandio quella forma di sdegno più moderna, che nelle
nostre memorie nazionali fa cosi venerati e cari i nomi di Michelangelo e
dell'Alfieri » (Zumbini, p. 18S).
176 PARTE III.
Di ragion, di pietade hanno schernita
I tiranni la voce; e fu delitto
Supplicare e mostrar la sua ferita. co
Fu chiamato ribelle ed interditto
Anche il sospiro, e il cittadin fedele
Or per odio percosso, or per profìtto:
E le preghiere intanto e le querele
Derise e storpie gemono alle porte 63
Inesorate di pretor crudele.
Mentr'egli sì dicea, ferinne un forte
Muggir di fìumi che tolte le sponde
S'avean sul corno, orror portando e morte.
Stendean Reno e Panar le indomit'onde 70
Con immensi volumi alla pianura;
E struggendo venian le furibonde
La speranza de' campi già matura.
Co' piangenti fìgliuoi fugge compreso
Di pietade il villano e di paura; 70
Ed, uno in braccio e un altro per man preso,
Ad or ad or si volge e studia il passo
Pel compagno tremando e per lo peso;
CJ^alto il flutto l'insegue, e con fracasso
Le capanne ingoiando e i cari armenti so
Fa vortice di tutto e piomba al basso.
Ed allora un rumor d'alti lamenti,
Un lagrimare, un domandar mercede,
Con voci che farian miti i serpenti.
Ma non le ascolta chi in eccelso siede 83
Correttor delle cose, e con asperso
Auro di pianto al suo poter provvede.
Mentre che d'una parte in mar converso
59. E fu delitto, ecc. : Molti reclami si fecero a Napoleone ; ma i domina
tori se ne irritarono fortemente : « (Napoleone) delle parole assai brusche
rivolse .... all'Aldini e al Serbelloni (che gli avevano portato i reclami degli
Italiani), quando li ammise alla sua presenza; venne ripetendo che tutto
noi dovevamo alla Francia , che la Cisalpina era sorta e si conservava per
inerito suo ; e ciò valeva molti milioni » (De Castro, p. 100).
61. Interditto: Vietato (lat.).
66. Inesorate: Che non si lasciano smuovere dalle preghiere. — Pretor:
Magistrato in genere, giudice.
69. Sul corno : « « La ragione di attribuir le corna di toro ai numi, si
ha nello Scoliaste di Sofocle , il quale dice che rappresentansi i fiumi col
capo taurino per significare il muggito con cui sboccano nel mare » (Mt.).
Il Testi, nell'ode al Montecuccoli, dice d'un fiume che « estolle il corno
torbido obliquo », Orazio, Od., IV, xiv, 25 : « tauriformis volvitur Au-
ndus ».
78. Pel compagno tremando, tee: Virgilio, Aen.II, 729: « parit rque co-
ìnitique onerique timentem ».
85. In eccelso : In alto, i governanti.
86. Con asperso, ecc.: Provvede al suo poter • coll'oro bagnato del pianto
dei miseri a cui e stato tolto dalle tasse esorbitanti.
IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 177
Geme il pian ferrarese, ecco un secondo
Strano lutto dall'altra e più diverso. so
In terra, in mare e per lo ciel profondo
Ecco farsi silenzio; il sol tacere
All'improvviso e parer morto il mondo.
Le nubi in alto orribilmente nere,
Altre stan come rupi, altre ne miri od
Senza vento passar basse e leggere.
Tutti dell'aure i garruli sospiri
Eran queti, e le foglie al suol cadute
Si movean roteando in presti giri.
D'ogni parte al coperto le pennute iou
Torme accorrono, e in téma di salvarse
Empion il ciel di querimonie acute.
Fiutan l'aria le vacche, e immote e sparse
Invitan sotto alle materne poppe
Mugolando i lor nati a ripararse. 105
Ma con muso atterrato e avverse groppe
L'una all'altra s'addossano le agnello,
Pria le gagliarde e poi le stanche e zoppe.
Cupo regnava lo spavento; e in quelle
Meste sembianze di natura il core ilo
L'appressar già sentia delle procelle:
Quando repente udissi alto un rumore
Qual se a tuoni commisto giù da' monti
Vien di molte e spezzate acque il fragore.
Quindi un grido: Ecco il turbo: e mille fronti 115
Si fan bianche; e le nebbie e le tenèbre
Spazza il vento sì ratto, che più pronti
Vanno appena i pensier. S'alza di crebre
Stipe un nembo e di foglie e di rotata
Polvere che serrar fa le palpebre. 120
Mugge volta a ritroso e spaventata
Dell'Eridano l'onda, e sotto i piedi
Tremar senti la ripa affaticata.
Ruggiscono le selve; ed or le vedi
00. E pia diverso : Più orribile. Cfr. Dante, Inf., vi, 13 : « Cerbero, fiera
crud le e diversa », e il Tasso, Oer. Lib. t xv, 47 : « Fiera, serpendo, orribile
e diversa ».
92. Il sol tacere : V. la n. 219 a p. 45.
100. Le pennute torme : Le schiere degli uccelli.
103. Fiutan, ecc. : Anche Virgilio, Georg., 1, 375, dice che la vacca annusa
Tariti all'avvicinarsi della tempesta : « bucula castani Saspiciens patulis cap-
tavit naribus auras »:
106. Avverse : Rabbuffate.
113. Di crebre, ecc. : Un nuvolo di dense legna secche.
119. Di rotata polvere : Di polvere aggirata dal turbine.
123. Affaticata: Battuta dalle onde inturiate del fiume.
Mojrn. — fresie. H
178 PARTE III.
Come fiaccate rovesciarsi in giuso 123
E inabissarsi se allo sguardo credi:
Or gemebonde rialzar diffuso
L'enorme capo, e giù chinarlo ancora,
Qual pendolo che fa l'arco aU'insuso.
Batte il turbo crudel l'ala sonora, 130
Schianta, uccide le messi e le tra voi ve,
Poi con rapido vortice le vora;
E tratte in alto le diffonde e solve
Con immenso sparpaglio. Il crin si straccia
Il pallido villan, che tra la polve 135
Scorge rasa de' campi già la faccia
E per l'aria dispersa la fatica
Onde ai figli la vita e a so procaccia,
E percosso l'ovil, svelta l'aprica
Vite appiè del marito olmo, che geme uo
Con tronche braccia su la tolta amica.
Oh giorno di dolor ! giorno d'estreme
Lagrime ! E crudo chi cader le vede
E non le asciuga, ma più rio le spreme !
E chi le spreme? Chi in eccelso siede 145
Correttor delle cose, e con ór lordo
Di sangue e pianto al suo poter provvede.
Poi che al duol di sua gente ogni cor sordo
Vide il cantore della gran follia
E di pietà sprezzato ogni ricordo, 150
Mise un grido e sparì. Mentre fuggia,
Si percotea l'irata ombra la testa
Col chiuso pugno e mormorar s'udia.
Già il sol cadendo raccogliea la mesta
Luce dal campo delia strage orrenda; 155
Ed io, com'uom che pavido si desta
Nò sa ben per timor qual via si prenda,
127. Diffuso : Colle frondi sparpagliate dalia forza del turbine.
129. Qual pendolo, ecc. : Come un pendolo che, oscillando intorno al pro-
prio asse, segna un arco airinsù.
130. Batte, ecc. : Bella descrizione dello strepito che fri impetuosa bufera.
132. Vora: Divora, trascina con sé (lat.). Virgilio, Georg., il, 441: « Quas
animosi Euri franguntque feruntque », e Dante, Inf. f ix, 69 dico d un vento
impetuoso : « Che IL r la selva e senza alcun rattento Li rami schianta, ab-
batte e porta fuori ... ».
135. Il pallido villan : Dante, Inf. 9 xxiv, 7 : « Lo villanallo a cuilaroba
manca Si leva e guarda, e vede la campagna, Biancheggiar tutta, ond'ei si
batte Tanca, Ritorna a casa e qua e là si lagna ».
139. Peroosso: Ucciso. In tal senso l'usò il Petrarca, TrUmf. d. Fani., i,
64: « Poi quel Torquato che *1 flgliuol percusse ».
145. Chi in eocelso : Ripete i vv. 85-87.
118. Di sua gente : Del popolo ferrarese.
119. Il cantore, eco. : L* Ariosto.
IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 179
Smarrito errava, e alla città giungea
Che spinge obliqua al ciel la Garisenda.
Cercai la sua grandezza; e non vedea ico
Che mestizia e squallor, tanto che appena
Il memore pensier la conoscea.
Ne cercai l'ardimento; e nella piena
De' suoi mali esalava ire e disdegni
Che parean di lion messo in catena. 1C5
Ne cercai le bell'arti e i sacri ingegni
Che alzar sublime le facean la fronte
E toccar tutti del sapere i segni;
Ed il felsineo vidi Anacreonte
Cacciato di suo seggio; e da profani no
Labbri inquinato d'eloquenza il fonte.
Vidi in vuoto liceo spander Paicani
Del suo senno i tesori, e in tenebroso
Ciel la stella languir di Canterzani;
E per la notte intanto un lamentoso 175
Chieder pane s'udia di poverelli
Che agli orecchi toglieva ogni riposo.
Giacean squallidi, nudi, irti i capelli,
E di lampe notturne al chiaror tetro
Larve uscite parean dai muffi avelli. iso
Batte la fame ad ogni porta, e dietro
Le vien la febbre e l'angoscia e la dira
Che locato il suo trono ha sul feretro.
Mentre presso al suo fin l'egro sospira,
158. Alla oittà : A Bologna, designata dal nome della sua torre Garisenda,
antichissima torre pendente che porta il nomo di coloro che nel U10 la
costruirono, Filippo e Oddo Garisendi.
164 Esalava * Alosta*av&
169. Il felsineo . . . Anacreonte : Da Felsina, antico nome etrusco di Bolo-
gna, chiama felsineo il bolognese conte Lodovico Savioli (172U-18U1) senatore
e poeta pregiato delle canzonette intitolate Amori, per le quali é paragonato
ad Anacreonte, dolcissimo poeta, autore di eleganti odi amorose. Ardente
repubblicano, fu privato dell'insegnamento della storia universale che aveva
in quello studio. Fu poi mandato dalla Cisalpina come deputato a Parigi e
nel 1803 ai comizi di Lione. Fu membro del corpo legislativo e poi profes-
sore di diplomazia a Bologna ovo mori nel 1804.
172. Liceo : L'università di Bologna, cosi detta dal famoso Liceo ove in-
segnò Platone. — Paicani : Luigi Paicani Caccianemici (1748-1802), professore
di logica e poi di fisica e di matematica nell'università di Bologna. Andò
deputato al comizi di Lione e mori a Milano nel 1803.
174. Canterzani: Sebastiano Canterzani (1731-18iy) professore d'anatomia,
poi di ottica e di tìsica nell'università di Bologna.
175. « Il bisogno batteva alle porte delle nostre case. U frumento era sa-
lito a 160 lire la soma, e 150 il grano turco, e in Milano si fecero delle col-
lette in ciascuna parrocchia onde tenere il pane ad un prezzo limitato p.r
i poveri » (De Castro, p. 98).
182. La dira, ecc. : La morte.
184. L'egro: L'infelice. Bella dipintura deUe prepotenti spogliazioni di
quei tempi di sfrenata libertà. « Il protettorato francese continuò a pagarsi
con buoni milioni. La tassa mensile di due milioni per il mantenimento
180 PARTE III.
Entra la forza e grida: Cittadino, i&
Muori, ma paga: e il miser paga e spira.
Oh virtù ! come crudo è il tuo destino l
Io so ben che più bello è mantenuto
Pur dai delitti il tuo splendor divino:
So che sono gli affanni il tuo tributo: 190
n Ma perchè spesso al cor che ti rinserra.
Forz* è il blasfema proferir di Bruto ?
Con la sventura al fianco su la terra
Dio ti mandò, ma inerme ed impotente
De* tuoi nemici a sostener la guerra; 195
E il reo felice e il misero innocente
Fan sull'eterno provveder pur anco
Del saggio vacillar dubbia la mente.
Come che intorno il guardo io mova e '1 fianco,
Strazio tanto vedea, tante ruine, 800
Che la memoria fugge e il dir vien manco.
Langue cara a Minerva e alle divine
Muse la donna del Panar, né quella
Più sembra che fu invidia alle vicine :
Ma sul Crostolo assisa la sorella 205
Freme, e Tira premendo in suo segreto
Le sue piaghe contempla e non favella.
Freme Emilia; e col fianco irrequieto
Stanca del rubro fiumicel la riva
delle truppe venne man mano crescendo a quattro milioni e mezzo. Per
sopperirvi si decretarono nuove sovraimposte ; la fondiaria sali a cenfotto
denari per fondo ! Otto milioni furono levati fra i ricchi . . . (Dk Castro,
pag.98).
192. Il blasfema, ecc. : La bestemmia di Bruto che la virtù é un nome
vano. Secondo Cassio Dione, avrebbe dotto : « virtù miserabile, eri una
parola nuda io ti seguiva come tu fossi una cosa ; ma tu sottostavi alla
fortuna ». Il Leopardi, nel Bruto minore, gli fa dire : « Stolta virtù , Je
cave nebbie, i campi Dell'inquiete larve Son le tue scole , e ti si volge a
t2rgo II pentimento ».
193. Con la sventura, ecc. : Socrate disse : « Gli Dei hanno mandata la
virtù sulla terra accompagnata dalla sventura », sentenza che il p. riporta
anche in una Lett. al Bettinelli, consolandosi delle persecuzioni che sof
friva.
197. Pan. ecc. : Fanno dubitare perfino al sapiente che esista la prov-
videnza di Dio.
199. Come che, ecc.: Da qualunque parte. Dante, Inf. vi, 5: « come
ch'io mi mova, E come ch'io mi volga e ch'io mi guati ».
201. E il dir, ecc. : Dante, Inf., iv, 147: « Che molte volte al fatto il dir
vien m no ».
203. La donna, ecc. : Modena. Fu centro di cultura e vi fiorì una scuola
di buoni poeti nel sec. xvin.
205. Crostolo : Fiume che scorre presso Reggio Emilia, detta qui sorella
di Modena.
209. Stanca : Affatica, percuotendola t la riva del Rubicone {Il rubro fiu-
micel), che scorre tra Ravenna e Rimini. Al tempo del dominio romano,
segnava il confina delle Gallie e Cesare lo varcò, sebbene il senato gli avesse
assegnato il governo d >lle Gallie, e non potesse quindi passarlo. .
IN" MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 181
Che Cesare saltò, rotto il decreto. 210
£ de' gemiti al suon che il ciel feriva,
D'ogni parte iracondo e senza posa
L'adriaco flutto ed il tirren muggiva.
Ripetea quel muggir l'Alpe pietosa,
E alla Senna il mandava, che pentita 215
Dell'indugio pareva e vergognosa.
E spero io ben che la promessa aita
Piena e presta sarà, che la parola
Di lui che diella non fu mai tradita:
Spero io ben che il mio Melzi, a cui rivola «co
Della patria il sospiro ... E più bramava
Quel magnanimo dir; ma nella gola
Spense i detti una voce che gridava:
Pace al mondo: e quel grido un improvviso
Suon di cetere e d'arpe accompagnava.
Tutto quanto l'olimpo era un sorriso 225
D'amor; nò dirlo né spiegarlo appieno
Pur lingua lo potria di paradiso.
Si rizzar tutte e quattro in un baleno
L'alme lombarde in piedi; e ver' la plaga,
D'onde il forte venia nuovo sereno, 230
Con pupilla cercàro intenta e vaga
Quest'atomo rotante ove dell'ire
E degli odii sì caro il fio si* paga.
E largo un fiume dalla Senna uscire
Vider di luce, che la terra inonda 235
E ne fa parte al ciel nel suo salire.
Tutto di lei si fascia e si circonda
Un eroe, del cui brando alla ruina
Tacea muta l'Europa e tremebonda.
Ed ei l'amava: e, nella gran vagina 210
217. La promessa aita : Descritti i mali di ogni parte della repubblica ci-
salpina, il p. implora l'aiuto pronto e sicuro della Francia.
219. Di lai : in Napoleone , che aveva dato promessa di aiutare la Ci-
salpina.
220. Il mio Malzi : « Francesco Melzi d'Eril (1753-1816), in appresso duca
di Lodi, fu uno dei più saggi e più illuminati cittadini di Milano. Ripara-
tosi a Parigi per l'invasione degli Austro-Russi, fu dopo la battaglia di Ma-
rengo nominato da Bonaparte vicepresidente della Repubblica Italiana, che
governò per quattro anni con molto senno e prudenza * (Mgj.).
229. Vèr 'la plaga, ecc. : Verso la regione del ciclo da cui veniva tutto
quello splendore.
231. vaga : Desiderosa.
232. Quest'atomo, ecc. : La terra che è un atomo nell'immensità dell'universo
e che pure é teatro di tante ire e di tanti odii. Anche Dante, sorridendo della
piccolezza della terra veduta dai cieli, ne chiamala parte emersa : « l'aiuola
che ci fa tanto feroci» (Air., xxn, 151), e il Tasso, Ger. Lib., xni, 10 : « Quanto
ò liv la cagion ch'a la virtude Umana é colà giù premio e contrasto ! ».
238. Del oui brando, eco. : Al veloce e possente vibrar della cui spada.
182 PARTE III.
Rimesso il ferro, offrì l'olivo al crudo
Avversario maggior della meschina;
E col terror del nome e coll'ìgnudo
Petto e col senno disarmollo, e pose
Fine al lungo di Marte orrido ludo. 215
Sovra il libero mar le rugiadose
Figlie di Dori uscir, che de' metalli
Fluttuanti il tonar tenea nascose:
Drimo, Nemerte, e Glauce de' cavalli
Di Nettuno custode, e Toe vermiglia 250
Di zoofiti amante e di coralli;
Galatea che nel sen della conchiglia
La prima perla invenne, e Doto e Proto,
E tutta di Nereo l'ampia famiglia:
Tra cui confuse de' Tritoni a nuoto 255
Van le torme proterve. In mezzo a tutti
Dell'onde il re da' gorghi imi commoto
Sporge il capo divino, e, al carro addutti
Gli alipedi immortali, il mar trascorre
Su le rote volanti e adegua i flutti. 2go
Cade al commercio, che ritorte abborre.
Il britannico ceppo; e per le tarde
Vene la vita che languia ricorre.
Al destarsi, al fiorir delle gagliarde
Membra del nume, la percossa ed egra «35
Europa a nuova sanità riarde;
Nuova lena le genti erge e rintegra.
241. Al crudo, ecc. : Ali Inghilterra, a cui Napoleone aveva off rta la pace
che fu conclusa col trattato d'Amiens il 27 marzo 1802, ma per breve tempo.
245. Di Marte, ecc. : Alla guerra. Ludo è parola lat. e vale giuochi, eser-
cizi. Poliziano, Stanze, I, 1 : « Le magnanime pompe e i neri ludi », e il
Foscolo, A Luigia Pallavicini, 42, ha: « i ludi aspri di Marte ». Anche un
altro poemetto del M., il Bardo, incomincia col verso : « Quando al terzo
di Mart » orrido ludo ».
247. Tiglie di Dori: Le Nereidi; v. alla n. 14 a p. 8. — Metalli fluttuanti:
I cannoni delle navi da guerra.
249. Drimo. Nemerte e Glauce : Son tutte divinità del mare.
250. Toe : Ninfa marina, come Galatea che più sotto ricorda.
251. Zoofiti: Corpi appartenenti in parte al regno animale e in parte al
vegetale.
253. Invenne : Trovò (lat.). — Doto e Proto : Altri dei marini.
256. Proterve : Audaci.
257. Dell'onde U re : Nettuno. — Da' gorghi, ecc. : Richiamato dal fondo
delle acque.
258. Sporge : Virgilio, Aen., 1. 125 e sgg. «... imis Stagna refusa vadis
graviter commotus . . . summa placidum caput extulit unda ».
259. Gli alipedi : V. la n. 15 a p. 8.
260. Adegua : Splana. Cfr. Virgilio , Aen., i, 146 : « et temperat aequor
Atque rotis summas levibus perlabitur undas ».
262. Tarde: Affievolite, perché povere di sangue.
265. Del nume : Del commercio.
267. Rintegra: Riporta nel loro stato primiero.
IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 183
E tu di questo, o patria mia, se saggio
Farai pensiero, andrai più ch'altri allegra;
E le piaghe tue tante e l'alto oltraggio 270
Emenderai, che fòrti anime ingorde
Di libertà più ria che lo servaggio,
Anime stolte, svergognate e lorde
D'ogni sozzura. Or fa che tu ti forba
Di tal peste, e il passato ti ricorde, 275
E voi che in questa procellosa e torba
Laguna di dolore il piò ponete,
Onde il puzzo purgarne che n'ammorba;
Voi ch'alia mano il temo vi mettete
Di conquassata nave (e tal vi move 2S0
Senno e valor, che in porto la trarrete) ;
Voi della patria le speranze nuove
Tutte adempite ; e di giustizia il telo
Animosi vibrando, udir vi giove
Che disse in terra e che poi disse in cielo 885
Lo scrittor dei delitti e delle pene:
Ei di parlarvi, e voi, rimosso il velo,
D'ascoltar degni il ver che v'appartiene.
271. Anime ingorde : Cosi chiama i demagoghi che rovinarono la Cisalpina,
anime avide d'una libertà peggiore assai della servitù.
274. Ti forba : Ti pulisca. Uguale espressione in Dante, Inf mì xv, 69 : « Da'
lor costumi fa che tu ti forbì ».
276. B voi, ecc. : Rivolge la parola a' nuovi magistrati che governarono
la Cisalpina dopo la battaglia di Marengo.
278. Onde . . . purgarne : Costruzione non buona ; v. la n. 206 a p. 77.
279. Il temo : 11 timone (lat.).
283. Il telo: Il dardo (lat.). Il dardo della giustizia é la pena.
284. Vi giove : Vi piaccia. In tal senso latino è frequente nei nostri poeti
e prosatori : Petrarca, canz. xxn, 24 : « e il rimembrar mi giova », e
Dante, Inf., xvi, 84 : « Quando ti gioverà dicere : « lo fui », e Boccaccio,
Dee. } g. V, nov. 5: « A me per quella similmente gioverà d'andare alquanto
spaziandomi ».
286 Lo scrittor, ecc. : Il Beccaria.
287. Rimosso il velo. Tolti gl'impedimenti che vi vietavano d'udire la ve-
rità. Anche questo poemetto, come gli altri del nostro p., rimase, non si sa
perché, interrotto.
La Feroniade.
Ora/io nella Hatira V del lib. 1, 24. dice che in compagnia di dolci amici
lavò ora manusque nelle pure acque della fonte di Feronia nei dintorni di
Terracina (l'antica Anxur). In quella stessa fonte il Monti, andando un giorno
a caccia col principe Luigi Braschi-Onesti, si lavò, e di qui ebbe origine
questo bellissimo poemetto epico-idillico tutto spirante sapore virgiliano.
Intendimento del p., che assai spesso nel 1784 accompagnava il papa Pio VI
e il suo nipote, principe Braschi, nelle frequenti visite alle paludi pontine,
fu di celebrare Popera veramente grande iniziata da quel papa, il prosciu-
gamento delle paludi pontine. « Si mostrava Pio VI coi pittori, cogli scultori,
cogli antiquari e con altri artisti, sovranamente munifico ; ma le grandiose
fabbriche, i porti di mare e le strade larghe, interminabili , costituivano
la sua vera passione . . . Ek ttrizzavasi . . . per le 0[ ere colossali, p r i pro-
getti audaci e per ciò che sembrava impossibile, o non era mai stato ten-
tato o non si era mai potuto compire. II genio quindi lo persuase ad in-
traprendere il prosciugamento delle paludi pontine e cioè di quella pesti -
1 nte laguna di 180 miglia quadrate , intorno e dentro alla quale, a' tempi
dei Volsci, innalzavansi 23 città di cui non sono rimaste adesso che Terra-
cina, Segni, Anzio, Piperno e altre poche dei circondari di Roma e di Vel-
letri » (Vicchi, ii, p. 245). Diresse i lavori l'ingegnere bolognese Gaetano
Rappini; ma, venuta la bufera repubblicana, i lavori rimasero interrotti.
Insigni pregi di forma ha il poemetto, sicché ben meritò di essere detto dal
Carducci: « lavoro squisito della florida gioventù e della vecchiezza ro-
busta del gran poeta, la più vivace fronda che mano italiana cogliesse dalla
pianta del sempre fiorente Omero » {Le poesie liriche di V. AT, p. V). Lo
Zumbini (p. 20V) notò giustamente al Carducci che più che da Omero sono
evidenti le imitazioni frequentissime dalle Georg, di Virgilio, il poemetto
che più si confaceva per l'argomento al contenuto del poemetto montiano.
E il sottile critico continua : « Cosi dicendo , ho presenti al pensiero non
solo le moltissime reminiscenze virgiliane e le qualità conformi d'immagini
e di stile, ma ancor quella certa somiglianza d'intendimenti e di affetti, che
il poeta italiano volle avere col sommo Latino . . Senza dubbio, line im-
ebbe sempre sulle labbra e sul cuore. Se qualche difetto vi si vuol trovare,
questo é soltanto di contenuto: il fatto moderno, il prosciugamento delle
galudi, non ha alcun rilievo e la mitologia a piene mani diffusa, le esu-
eranti descrizioni tolgono al lavoro il pregio delle giuste proporzioni, di»
fetto questo comune a quasi tutti i poemetti del Monti ». Il metro è il verso
sciolto, magistralmente usato, tantoché lo Zumbini (p. 217) disse : « Certa-
mente ... il Monti si dimostra qui non pure il miglior fabbro di versi
sciolti, ma uno altresì dei più delicati artisti che siano stati in tutti i secoli
della nostra letteratura ».
Contenuto. — Il p., che si é proposto di cantar della ninfa Feronia,
cosi viveva giocondamente Feronia, quando Giove , invaghitosene e, presa
forma di fanciullo, ne gode i favori. Il dio, presago delle sventure che do
vranno coglierla, in compenso la fa immortale e dea adorata dai popoli
circonvicini. Giunone gelosa s'accorge di questi furtivi amori di Giove con
Feronia, scende in preaa al furore dal cielo e assale con minacce ed ingiurie
la. ninfa infedele. Poi prega i fiumi Ufente, Astura, Ninfeo, Amaseno ed al-
tri a fare la sua vendetta, ed essi, con orribile fragore, straripano e deva-
stano tutto il paese ali intorno, uccidendo molti degli abitanti, altri costrin-
gendo a fuggire: perirono nella spaventosa inondazione, infelici amanti,
Timbro e Larìna.
LA FERONIADE 185
CANTO PRIMO.
I lunghi affanni ed il perduto regno
Di Feronia dirò, Diva latina
Che del suo nome fé' beata un giorno
Di Saturno la terra. Ella per fiere
Balze e foreste errò gran tempo esclusa 5
Da' suoi santi delubri, e molto pianse
Dai superbi disdegni esercitata
D'una diva maggior che Tinseguia,
Finché novelli sacrifìci ottenne
Sugli altari sabini e le fùr resi io
Per voler delle Parche i tolti onori.
Ma qual de' numi l'infelice afflisse,
E lei, ch'era pur diva, in tanto lutto
Avvolgere potéo ? Fu la crudele
Moglie di Giove e un suo furor geloso. 15
Tu che tutte ne sai l'alte cagioni,
Tu le mi narra, o Musa, e dall'oblio
Traggi alla luce il memorando fatto
Non ancor manifesto in Elicona.
E, se dianzi di nuove itale note 20
2. feronia : « È fama che , alloi quando Licurgo ebbe date agli Spartani
quelle sue famose leggi, alcuni di essi non potendone sostenere l'asprezza,
si mettessero in nave e partissero per ricercare altrove un'altra patria. E
vuoisi che stanchi del lungo e infruttuoso viaggiare per mare, facessero
voto agli dei, che, su qualunque spiaggia lor fosse accaduto di metter piede,
ivi avrebbero fermata la propria stanza. Quindi portati in Italia ai campi
Pometini, pigliarono terra; dissero Feronia il suolo su cui erano sbarcati,
poiché per mare era loro avvenuto di essere qua e là trasferiti {ut huc uiuo.
f'errcntur) ; ed alla divinità di Feronia eressero un tempio. Queste sono
presso a poco le parole colle quali Dionigi d'Alicarnasso (A. R. II, 49) rac-
conta l'origine di questa divinità. Il tempio, di cui fa menzione lo storico,
sorgeva in vicinanza del fiume Ufente, verso il monte Circeo o di Terra
cina . . . Oltre la fontana vi aveva un lago ed un bosco assai celebre, i cui
alberi racconta vasi che non fossero mai tocchi dal fulmine » (Mg.).
4. Di Saturno, ecc. : L'Italia, che anche Virgilio, Georg. , 11, 173 chiama :
« Saturnia tellus ».
7. Esercitata: Perseguitata (lat.). Virgilio, Aen. t v, 725: « Care magis,
nate, Iliacis exercite fatis », e Ariosto, Ori. Pur., xxxiv, 39.
8. D'una diva, ecc. : Di Giunone.
12. Ma qual, ecc. : Omero, IL, 1, 10 (trad. M.) : « E qual de' numi ini-
micoUH ».
15. E un suo, ecc. : « Veramente nelle peripezie che seguitano, si vede
sempre la mano di quella implacabile, che, proprio come neir « Eneide » e
specie nel primo libro, ricorre all'aiuto di altri dei, e muove terra e cielo
per vendicarsi di Feronia. E Feronia rende quasi immagine di Enea, pre-
destinata com'era, nonostante l'indefessa persecuzione di tanta nemica, a
far grandi cose in quel Lazio, la cui fama durerebbe quanto il mondo »
(ZUMBINI, p. 20G).
19. Non ancor, ecc.: Non ancora cantato da altri poeti.
20. Se ... di nuove itale note, ecc. : Anche nella canz. Per Vonom. della
mia donna, 11, aveva chiamato sé stesso: « llcantor che di care itale note
Vesti l'Uà di AchUle ».
186 PARTE III.
L'ira vestendo del Pelide Achille
Alcuna meritai grazia o mercede,
Su questi carmi, che tentando or regno,
Di quel nettare, o dea, spargi una stilla
Che dal méonio fonte si deriva ; 25
Non già quando con piena impetuosa
Gl'iliaci campi inonda, e tal che gonfi
Dell'alta strage Simoenta e Xanto
Al mar non ponno ritrovar la via,
Ma quando lene mormorando irriga 30
] feacii giardini; e dolce rendi
Su le mia labbra la pimplea favella.
Là dove impósto a biancheggianti sassi
Su la circèa marina Ansuro pende,
E nebulosa il piede aspro gli bagna 35
La pomezia palude, a cui fan lunga
Le montagne lepine ombra e corona,
Una ninfa già fu delle propinque
Selve leggiadra abitatrice, ed era
11 suo nome Feronia. I laurentini io
Boschi e quei che la fulva onda nudrisce
Del sacro fiume tiberin, quantunque
25. Meonio fonte : Omero, detto meonio, dalla Meonia, che fa parte della
Lidia o da Meone suo padre.
27. Gl'iliaci, ecc. : Cioè quando canta le fragorose cruenti battagli©.
28. Simoenta e Xanto : Fiumi scorrenti nella pianura a pie dei colle ove
fu Troia.
29. Ritrovar la via : Impedita la corrente dai cadaveri degli uccisi, non
potevano i corpi correre al mare. Virgilio, Aen., v, 807 : « gemerentque
repleti Amnes, nec reperire viam atque evolvere posset In mare se Xantus ».
31. I feaoii giardini: Allude al giardino d'Alcinoo, re dei Feaci, ove, dice
Omero, Od., vii, 172, scaturivano « due fonti Che non taccion giammai:
luna per tutto Si dirama il giardino, e l'altra corre, Passando dal cortil
sotto la soglia, Sin davanti ai palagio » (trad. del Pindem.).
32. Pimplea : Poetica, che le Muse avevano anche il nome di Pimplee dal
monte Pimpla nella Macedonia, alle falde del quale scorreva una fontana
a loro sacra.
33. Imposto, ecc.: Traduce letteralmente il verso oraziano {Sat., 1, 1, 2G):
« Impositum saxis late candentibus Anxur ».
31. Ansuro : Oggi Terracina presso il monte Circello {Circeo). Secondo la
tradizione, fu detta Marina Circèa dall'incantatrice Circe che ivi dimorava
in un'isola, come dicono Omero (0^., x, 135), e Virgilio (Aen., 111, 386) ;
maun'altra tradizione vuole che il promontorio Circello fosse prima un'isola,
congiunta poi, per le alluvioni, alla terraferma.
35. Aspro : Roccioso.
36. La pomezia palude : « Palude pontina, da Pometia, citta che ora chia-
masi- Affera, la quale diede il nome di pometina alla vasta pianura che è cir-
condata a settentrione dalle montagne lepine, e si stende fino al mare to-
scano e al monte Circeo. Questa pianura coll'andare del tempo fu detta
pomptina, pontina » (Mg.).
40. Laurentini : Di Laurento, antichissima città del Lazio, oggi Torre di
Paterno, a sedici miglia da Roma.
41. La fulva onda, ecc.: Gli antichi poeti chiamavano il Tevere biondo,
fiavus o fulvus, dalle sue acque limacciose.
1
LA FER0N1ADE. 187
Di Canente superbi e di Pomona,
Non videro giammai forme più care.
Qual verno fiore che segreto nasce O
In rinchiuso giardin , né piede il tocca
Di pastor nò di greggia; amorosetta
L'aura il molce, di sue tremule perle
L'alba l'ingemma, e lo dipinge il sole
Di sì vivo color, che il crine e il seno 50
D'ogni donzella innamorata il brama;
Tal di Feronia la beltà crescea.
Era diletto suo di peregrine
Piante e di fiori in suolo estranio nati
L'odorosa educar dolce famiglia, 55
Propagarne le stirpi, e cittadina
Dell'ausonio terren farne la prole.
Sotto la mano della pia cultrice
Ricevean nuove leggi e nuova vita
Le selvatiche madri, e, il fero ingegno 00
Mansuefatto e il barbaro costume,
Del ciel cangiato si godean superbe.
Ed essa la gentil ninfa sagace
Con lungo studio e paziente cura
I tenerelli parti ne nudria, C3
Castigando i ritrosi e a culto onesto
Traducendo i malnati. Essa il rigoglio
Ne correggeva ed il non casto istinto;
Essa gli odii segreti e i morbi e i sonni
E gli amor ne curava e i maritaggi, 70
Securo a tutti procacciando il seggio
E salubri ruscelli ed aure amiche;
43. Canente : Moglie di Pico, re del Lazio, figlio di Saturno. Per la sua
derivazione da cano, Canente vale « la ninfa che canta il futuro ».
41. Forme, ecc. : Il Tasso, Ger.. Lib. t iv, 29, dice d'Armida : « Argo non
inai, non vide Cipro Delo D'abito o di beltà forme .si care ».
45. Verno: Primaverile (lat.). Orazio, Od., II. xix.9: «verni flores ».
51. Il brama : Questa bella similitudine è attinta a Catullo, lxii, 39: « Ut
flos in saeptis secretus nasci tur hortis, Tgnotus pecori, nullo contusus ara-
tro, Quem mulcent aurae, iirmat sol, educat imber; Multi illum pueri,
multae optavere puellae ..., imitato, come ognun sa, dall'ARiosTO, Ori.
Fur.y I, 42.
54. In suolo, ecc. : Fiori esotici.
55. rami glia : V. la n. 84 a p. 41.
60. Le selvatiche madri : Le piante silvestri.
64. Studio: Si dice bene spesso dell'attenzione profonda dell'animo nel
fare alcunché.
67. Essa il rigoglio, ecc. : « Ella é lina vaghissima creatura , quando va
pei campi, educatrice di piante e di fiori, e anche più quando col suo sor-
riso, cresce beatitudine al padre degli uomini e degli dei. Una creatura
siffatta é di ogni tempo, e il poeta moderno, pur guardando ad esempi an-
tichi, può riuscire, come di ratto é riuscito al Monti, a farne una tutta
nuova e tutta sua » (Zumbini, p. 209).
183 PAUTK III.
Nò vìoalrli ardia co* morsi acuti
D'Orizia il rapitor, che irato altrove
Volgea le furie e con le forti penne 73
L'antiche flagellava àppule selve
di Lucrino i risonanti lidi.
Ma chi potria di tutti a parte a parte
11 sesso riferir, la patria, il nome?
V'era la rosa, che mandar primieri so
Di Damasco i giardini e di Mileto;
Quella rosa che poi, nel fortunato
Grembo traslata dell'ausonia terra,
Fu pestana nomata e prenestina.
Sua sorella minor, ma di più grido, 83
Le fioriva da canto la modesta
Licnide figlia delle ambrosie linfe,
Di chele Grazie un dì le belle membra
Lavar di Citerèa, quando dai primi
Ruvidi amplessi di Vulcan si sciolse. oo
Altro amor di Ciprigna in altra parte
L'amaraco olezzava. In su la sponda
L'avean del Xanto le sue rosee dita
Piantato ; e il petto e le divine chiome
Adornarsi di questo ella solea, 93
Quando desire la pungea di farsi
Al suo fero amatore ancor più bella.
Ecco prole gentil d'egizia madre
Vivace aprirsi su l'allegro stelo
74. D'Orizia il rapitor, ecc.: Borea, il vento gelido di tramontana, di cui
v. la n. 89 a p. 11.
76. Appule selve: I boschi della Puplia.
77. Di Lucrino: Del lago Lucrino presso Baia nella Campania, nell'in-
terno del golfo di Pozzuoli. Sul molo che Augusto vi aveva fatto costruire,
con grande fragore, battevano lo onde del mare sospinte dal vento.
81. Damasco: La città, principale della Siria. — Mileto: Capitale riol-
l'Ionia.
84 fu pestana nomata, ecc.: « Le rose di Pesto, paese della Terra di La-
voro nel regno di Napoli, sono andate in proverbio. Di quelle di Prenesw,
città del Lazio, ora Palestrina, scrive Plinio {St. Nat., xxi, 4), che erano
state fatte celeberrime da' Romani e che erano l'ultime a cessar di fio-
rire . . . Virgilio nel quarto della Georg. , v. 119, vorrebbe avere spazio di
cantare i rosai di Pesto due volte fecondi : « canerem biferique rosaria Pac-
sti » (Mg.).
87. Lionide : La licnide dioica dai bianchi fiori e dall'alto fusto. — ri-
glia, ecc. : « La circostanza qui toccata dal poeta é registrata da Ateneo,
nel lib. xv dei suoi Dipnosofisti nel modo seguente : « . , . Ex aqua natam
esse in qua Venus lavit postquam cum Vulcano concubuisset » (Mg.).
92. L'amaraco: « Che chiamavasi persa o maggiorana, colla quale gli
antichi componevano l'unguento detto amaracino, tenuto in grandissima
pregio . . ., era singolarmente caro a Venere, non solamente per essere a lei
dedicati tutti i profumi, ma anche perchè questo aveva la facoltà di volgere
in fuga l'animale uccisore di Adone » (Mg.).
97. Al suo fero amatore : A Marte.
LA FEROmADH. 189
Il sonnifero loto, e il molle acanto 100
Che alla soave colocasia gode
Intrecciar le sue fronde. Ecco il portento
Dell'arte che talor vince natura,
Il superbo ranuncolo; un dì vile
Mal noto flore, ed or per l'opra e il senno 105
Di Feronia, che molto amor gli pose,
Fatto sì bello, che il diresti rege
Degl'itali giardini. Aleppo e Cipro,
Candia, Rodi e Damasco in umil pompa
Il mandàro alla diva; ed ella, esperta iii>
De' botanici arcani immantinenti
Di variate polveri ne sparse
L'ima radice, che le bebbe, e a lui
Di ben cento color tinse le chiome.
E tale or questo di bell'arte tiglio 115
Di donzelle non solo e di fiorenti
Spose, a cui lode è la beltà nudrirc,
Ma di matrone ancor cura e desio,
Ne' romani teatri, e ne' conviti
Alle antiche patrizie il petto adorna, 120
Ove Amor spegne la sua face e ride.
Ma più cara alle Grazie ed alla casa
Man di Feronia, con più pio riguardo
Educata tu cresci, mammoletta;
Tu, che negli orti cirenei dal fiato 120
100. Loto : « La descrizione del loto può vedersi in Plinio. ... il qua 1^ ne
fa, sapere ch'esso sorge in Egitto allorché si ritirano le aeque del Nilo. 11
Sonno rappresentasi ordinariamente dagli scultori e dai pittori con questo
liore sopra la testa. Il medesimo Plinio rammenta la colocasia e la dice
Aegypto nobilissima. Anche Vacamo é pianticella egiziana » (Mg.). Anche
Virgilio, Egl., x, 20. dice la colocasia « mixta ridenti acantho ».
L'acanto non é qui l'albero che, per quel che sembra dal v. 119, 11 della
Georg, di Virgilio, corri>ponderebbe all'odierna acacia, ma quell'erba sil-
vestre che volgarmente si chiama brancorsina.
104. Banuncolo : « L'autore con uno dei consueti anacronismi, di cui gio-
vasi la poesia, trasporta all'età di Feronia ciò che avvenne assai dopo i
tempi della mitologia. I primi ranuncoli furono portati in Europa dai cro-
ciati nei secoli XII e XIII, ma vi rimasero negletti e quasi incogniti ... Il
sultano Maometto IV fece venire da Candia, da Cipro, da Rodi, d'Aleppo,
da Damasco, le radici ed i semi di tutte le più belle varietà di ranuncoli,
che da Costantinopoli inviate qui in varie parti d'Europa divennero l'orna-
mento dei giardini ...» (Mg.).
109. Pompa: È qui nel suo senso etimologico di processione, corteo:
Tasso, Ger. t,ib. t in, 12: «Seguir la pompa fonerai poi volle », e il Parini,
Alla Musa, 11 : « Né donna che d'amanti osi gran pompa ».
119. Rei romani teatri : Intendi del tempo del poeta, ove le aristocratiche
signore si facevano mirare col petto ornato di bellissimi ranuncoli e seb-
bene ormai « antiche », e quindi abbia per loro Amore spenta la face, cioè
non destino più amore, stringono intorno a loro liete amicizie.
125. Negli orti cirenei : Il Mg. cita a questo proposito un passo di Ateneo
(Dipnosofisti, lib. xv) : « le rose che nascono presso Cirene sono odorosissime,
onde colà è pur molto soave l'unguento rosato : anche l'odore delle viole e
degli altri fiori vi é esimio e divino ».
100 PARTE ITT.
Generata d'Amore e dallo etesso
Amor sul colle pallantèo tradutta,
Di Zefiro la sposa innamorasti,
E del suo seno e de* pensier suoi primi
Conseguisti l'onor. Pudica e cara 139
Nunzia d'aprii, deh ! quando per le siepi
Dell'ameno Cernobbio in sul mattino
Isabella ed Emilia alme fanciulle
Di te fan preda e festa, e tu beata
Vai fra la neve de' virginei petti 133
Nuove fragranze ad acquistar, deh ! movi,
Mammoletta gentil, queste parole:
Di primavera il primo fior saluta
Di Cernobbio le rose, onde s'ingemma
Della regale Olona il paradiso 110
Che di bei fior penuria unqua non soffre.
Felice l'aura che vi bacia e tutta
Di ben olenti spirti in voi s'imbeve,
E felice lo stelo onde vi venne
Sì schietta leggiadria: ma mille volte 115
Più felice e beato, al par de' numi,
Chi con man pura da virtù guidata,
Dispicciarvi saprà dalla natia
Fiorita spina e d'Imeneo sull'ara
Con amoroso ardor farvi più belle: 150
Che senza amor non è beltà perfetta,
Né mai perfetto amor senza virtude.
127. Sul colle pallantèo : Sul colle Palatino di Roma, cosi detto da Pallante
antenato degli Arcadi, seguaci di Evandro.
128. Di Zefiro la sposa : Flora.
130. Conseguisti l'onor: Ciò significa che la mammoletta é il primo dei
fiori a spuntare a primavera, cosicché subito dopo la dice « nunzia d'aprii»,
come nell'ode « In occasione del parto della vice regina d'Italia », 41, l'aveva
detta « prima de' fiori », e « bruna . . . nunzia d'aprii ».
132. Cernobbio : Villa presso Como del cav. Carlo Londonio che vi ospitò
il p. Il Londonio, direttore de' ginnasi lombardi e president dell'Accademia
di belle Arti in Milano, fu valente letterato. Scrisse una Storia delle colo-
nie inglesi in America ed entrò, strenuo combattente, nella lotta fra Clas-
sici e Romantici, quando usci alle stampe la lettera semiseria di Crisostomo
del Berchet. Fu amicissimo del p. e questi in alcuni suoi versi lo salutava
« re dell'onore e senno antico ». Ebbe due figlie, Isabella ed Emilia, che mo-
rirono in giovine età appena divenute madri.
139. DI Cernobbio le rose : Cosi leggiadramente chiama le due belle figlie
dell'amico Londonio.
140. Olona : Fiume che, nato dalle colline della Brianza, passa per il ter-
ritorio di Como. Chiama quel fertilissimo e ridente paese il « paradiso »
dell'Olona.
143. Olenti : Olezzanti. Olire (lat.) é usato solo per alcune voci dai buoni
scrittori. Cfr. Dante, Purg., xxvm, 6 : « Su per lo suol che d'ogni parte
oliva ».
144. Lo stelo : Cosi il p. fa un grazioso complimento anche alla loro
madre.
147. Chi, ecc. : Lo sposo futuro di quelle leggiadre giovinette.
LA FERONIADB.
191
Dove te lascio nei meonii campi
Sì lodato, o d'incanti e di malie
Possente domator, tu che dai numi 1:5
Moly sei detto con parola al volgo
Non conceduta e sol dal saggio intesa?
(Che al volgo corruttor d'ogni favella
Parlar la lingua degli dèi non lice).
Se là di Circe fra le mandre Ulisse ico
Non stampò di ferine orme il terreno,
Di questa erbetta e del suo latteo fiore
Alla virtù si dee: parlante emblema,
Del cui velo copria l'antico senno
La temperanza, che de' turpi affetti 105
Doma il poter. Di questo portentoso
Vegetante, fra noi, siccome è grido,
Di Maia il figlio dal natio Cillene
La tenera portò bruna radice ;
E dell'accorto dio fu degno il dono: no
Con questa ei tutti della maga i filtri
Contra l'itaco eroe fece impotenti.
E il suo bel fior, che da non casta mano
Sdegna esser tocco, di Feronia poscia
Dolce cura divenne, che di mille 175
Felici erbette gli fé' siepe intorno;
Altre d'eterno verde, altre dotate
Di medica virtude, onde il furore
Placar de' morbi, addormentar le serpi
E sanarne i veleni; altre che il sonno iso
Inducono benigne, il dolce sonno
Degli afflitti sì caro alle palpebre.
E tal di tutte un indistinto uscia
Soave olezzo che apprendeasi al core.
Che di mille dirò scelti arboscelli 1S5
Lieti a dovizia di nettarei frutti
153. Ne' meonii campi : Ne* poemi omerici.
156. Moly: H flore Moly servi ad Ulisse per vincere gl'incanti della
maga Circe che con essi convertiva i suoi uomini in bestie. Cfr. Omlko,
Od., x, 395, ove é detto che i Numi lo chiamavano Moli.
162. Latteo fiore, ecc.: Omkro, Od., 1. e. lo chiama « bianco di latte ».
163. Emblema : Simbolo della temperanza delle passioni.
168. Di Maia il figlio, ecc. : Mercurio, figlio di Giove e di Maia, si dice
portasse il moly dal monte Cillene in Arcadia, dove era nato.
182. Degli afflitti,ecc. : Ovidio, Met., xi, 623 : « Romne, quies rerum pla-
cidissime sonine deorum, Pax animi quem cura fugit, qui corpora duris
Fessa ministeriis mulces reparasque labori », Tasso, Ger. IAb. % vii, 4
«... il sonno che de' miseri mortali È co '1 suo dolce oblio posa e quiete, e
vili, 57, e anche il son. Al sonno del Della Casa.
183. Un indistinto . . . olezzo : Ricorda V « incognito indistinto » di Dante,
Purg., vm, 81.
v » •
102 PARTE IIL
E di fiori e di chiome, in cui natura
Per infinite variate guise
Spiegò la pompa della sua ricchezza?
Alle ben nate piante peregrine, 190
Qual d'arabo lignaggio e qual d'assiro,
Qual dall'Indo venuta e qual dal Nilo!
L'italo suolo arrise e sue le fece;
Sì che in lor della patria e della prima
Origine il ricordo oggi è perduto. 193
Tanto è l'amor del nuovo cielo, e tanta
Fu la cura di lei, che nel ben chiuso
Suo viridario ad educarle prese,
Or con arte confuse, ed or disposte
In bei filari come strai diritti, eoe
Rallegrando di molli ombre i sentieri.
Ecco schiuder dai seno i bei rubini,
A Minerva e a Giunon pianta gradita
E a Cerere cagion d'alto disdegno,
Il coronato melagrano, e tutti 203
Adescar gli occhi ed invitar le mani.
Ecco il melo cidonio alle gibbose
Sue tarde figlie di lasciva e molle
Lanugine vestir le bionde gote,
Del cui fragrante sugo hanno in costume 210
Le amorose donzelle in oriente
Nudrir la bocca ed il virgineo fiato,
Quando la face d'Imeneo le guida
Di bramoso garzone ai caldi amplessi.
Vedi il perso arboscel che i rosei frutti 215
Ne mostra di lontan; vedi il fratello
D'armena stirpe, che con gli aurei figli
198. Viridario: Giardino (la t.).
205. Melagrano: « L'uso della melagrana era interdetto nelle feste di Ce-
rere . . . perché questo frutto era stato cagione che Cerere non avesse ri-
avuta sua figlia Proserpina, rapita da Plutone. Che. accordata la restitu-
zione di lei, a patto che all'inferno non avesse gustato cibo, Ascalafo appa-
lesò di averla veduta inghiottire alcuni semi di melagrana onde dovette
rimanersi col rapitore ... Di qui l'odio di Cerere per questa pianta, la quale
per altro era consacrata a Giunone ed a Minerva » (Mg.).
207. Il melo cidonio, ecc. : La mela cotogna, detta cidonia da Cidone, città
di Creta. «Ateneo nel terzo de' Dipnosofisti racconta, sulla fede di Filarco,
che la cotogna colla soavità del suo odore ha la facoltà di render nullo l'ef-
fetto de' veleni. Gli antichi ne usavano per dar fragranza al fiato : onde So-
lone . . . aveva ordinato nelle sue leggi che gli sposi nel primo giorno delle
nozze mangiassero di questa mela prima di coricarsi ...» (Mg.).
215. Il perso arboscel : Il pesco, che si disse malus persica, perché si cre-
deva originario della Persia.
216. Il fratello, ecc.,: « È quello che si chiamò Meliaco, e che i La-
tini dicevano Malus armeniaca dall'Armenia d'onde ci é provenuto » (Mg.).
217. Oli aurei figli : I suoi pomi del color dell'oro.
LA FBROrflAD*. 193
Gli contende superbo i primi onori;
Perocché dai regali orti sconfitti
Dell'atterrata Cerasunte ancora 220
Quel fiammante rivai giunto non era,
Che, di corpo minor ma di più viva
Porpora acceso, avria lor tolto un giorno
E di bellezza e di dolcezza il vanto.
Ma stillante più ch'altri ibleo sapore 225
L'onor dispiega di sue larghe chiome
Il calcidico fico; il cui bel frutto,
Se verace è la fama, alle celesti
Mense sol noto, fra' mortali addusse
E a Fitalo donò la vagabonda 230
Cerere, allor che tutta iva scorrendo
La terra in traccia della tolta figlia.
All'apparir della divina pianta
Di molte forme e molti nomi altera
Tutte esultar le rive; e Cipro e Chio 235
E gli orti ircani e i misii e il verde Egitto
E la gran madre d'ogni bella cosa,
L'itala terra, con attento amore
La colti varo; e de' suoi dolci pomi,
Solo a Serse e a Cartago agri e funesti, 240
Fèr gioconde le mense anche più vili.
Nò te, quantunque umil pianta vulgare,
Lascerò ne* miei carmi inonorato,
221. Quel fiammante rivai : 11 ciliegio che si credette portato per la prima
volta in Italia da Lucullo. Anzi si disse che avesse preso il suo nome, che
in latino snona cerasua, dall'atterrata città di Cerasunte nel Ponto, ove Lu-
cullo guerreggiò contro quel re, Mitridate.
225. Ibleo : Dolce come il miele. Il miele del monte Ibla in Sicilia fu ce-
lebrato dagli antichi poeti.
227. Il oalcldieo floo : Ricorda il fico di Calcide nell'Eubea, perchè, come
dice Plinio, era preferibile agli altri, fruttificando tre volte all'anno.
228. Alle celesti, ecc. : « Cerere, nelle sue lunghe e penose peregrinazioni
in traccia della figlia, fu accolta ospitalmente in un borgo dell'Attica, detto
de* Lacidi, da un certo Fitalo, al quale essa in ricompensa dell 'ospizio fece
dono dell'albero del fico, le cui frutta prima erano note soltanto alle mense
degli dei » (Mg.).
236. GU orti, ecc. : Ricorda i luoghi ove allignò la nuova pianta del fico.
L'Ircania era nell'Asia, a mezzogiorno del Caspio, e la Misia era nella parte
nord-ovest dell'Asia mmore.
Il verde Egitto : È il « viridis Aegyptus » di Virgilio.
240. A Serse e a Cartago, ecc. : « Serse, figlio di Dario, volendo vendicare
le sconfitte che suo padre aveva ricevuto dai Greci, giurò che non avrebbe
mai gustato de* fichi dell'Attica che portavansì a vendere in Persia, finché
non avesse in suo potere la terra che li produceva (Plutarco, Apophteg).
Temistocle ed Aristide gli fecero però costar care le sue millanterie » (Mg.).
Quanto a Cartagine, ognun sa che Catone il Censore, per provare che biso-
gnava distruggerla, portò in Senato un fico primaticcio che tre giorni prima
era stato colto in quella, città, facendo cosi toccar con mano la pericolosa
vicinanza di quella odiata rivale di Roma.
Monti. — Poesie 13
104 PARTE ni.
Babilonico salcio, che piangente
Ami nomarti, e or sovra i laghi e i fonti &&
Spandi la pioggia de' tuoi lunghi crini,
Or su le tombe degli amati estinti,
Che ne' cupi silenzii della notte
Escono sconsolate ombre a raccòrrò
Sul freddo sasso degli amici il pianto. 250
Tu non vanti dei lauri e delle querce
11 trionfale onor, ma delle Muse,
Che di tenere idee pascon la mente,
Àgli studi sei caro: e da' tuoi rami
Pendon l'arpe e le cetre onde si sparge 255
Di pia dolcezza il cor degl'infelici.
Salve, sacra al dolor mistica pianta;
E l'umil zolla che i mortali avanzi
Del mio Giulio nasconde, in cui sepolto
Giace il sostegno di mia stanca vita, 860
Della dolce ombra tua copri cortese.
E tu, strazio d'amore e di fortuna,
Tu derelitta sua misera sposa,
Che del caldo tuo cor tempio ed avello
Pesti a tanto marito, e quivi il vedi, 265
E gli parli, e ti struggi in vóti amplessi
Da trista e cara illusion rapita,
Datti pace, meschina; e ti conforti
Che non sei sola al danno. Odi il compianto
D'Italia tutta; i monumenti mira 270
Che alla memoria di quel divo ingegno
Consacrano pietose anime belle.
E, se tanto d'onore e di cordoglio
244. Babilonico salcio : Salmo cxxxvi : « Sulle rive di Babilonia sedemmo,
e piangemmo in ricordarsi di te, o Sìonne : A' salci appendemmo in mezzo
a lei i nostri strumenti ».
250. Quanta dolcezza in questi versi che ricordano i Sepolcri del Foscolo!
« Nelle descrizioni . . . dei fiori e delle piante c'è spesso un non so che di
molle e di affettuoso, che non parrebbe indegno neanche delle dipinture,
dove Virgilio fa cosi gentili gli alberi stessi , dando loro affetti simili ai
nostri. E c'è pure una temperanza, insolita nel Monti, che qui cresce bellezza
alla forma, e la rende anche più squisitamente classica. Né minore é il pregio
della varietà in quell'ampia dipintura, che comprende tutte le varie famiglie
del giardino ; dalla mammola che « fra la neve dei virginei petti », acquista
«nuove fragranze », al salcio che desta sentimenti foscoliani» (Zumbini,p. £11).
251. Tu non vanti, ecc. : Con rami di quercia si proni i ava dai Romani il
merito civile, coi rami d'alloro i trionfatori de' nemici di Roma.
858. I mortali, ecc.: Le ossa del conte Giulio Perticari di Savignano,
(1770-1822) letterato valentissimo che fino dal 1812 aveva sposata Costanza, la
bella figlia del p. Mori di soli 43 anni. Anche nell'ode Per nozze illustri ve-
ronesi il Monti pianse la morte del genero.
£61. Cortese : V. la 208 a p. 169.
865 Quivi : Nel tuo cuore.
270. I monumenti : Veramente il monumento al Perticari fu fatto assai più
tardi, noi 1851.
J
LA FERONIADE. 195
Argomento non salda la ferita
Che ti geme nel petto, e tuttavia 275
Il lacrimar ti giova, e forza cresce
Al generoso tuo dolor l'asciutto
Ciglio de' tristi, che, alla voce sordi
Di natura e del ciel, né d'un sospiro
Nò d'un sol flore consolar l'estinto, 280
Dolce almeno ti sia, che su l'avaro
Di quell'ossa sacrate infando obblio
Freme il pubblico sdegno e fa severa
Delle lacrime tue giusta vendetta.
Ma dove, o Musa, di sentiero uscita 285
Ti tragge ira e pietà? Deh torna al riso
Del cantato giardin, torna ai profumi,
Alle fragranze, che l'erbette e i fiori
Ti esalano d'intorno. A sé ti chiama
Principalmente ed il tuo canto aspetta 290
L'odorato de' Medi arbor felice,
Di cui non avvi più possente e pronto
(Se fede acquista di Maron la Musa)
Medicarne verun contra i veneni
Delle dire matrigne, allor che seco 205
Scellerate parole mormorando
Empion le tazze di nocenti sughi.
Chioma e volto di lauro ha l'almo arbusto;
E, se diverso e vivo in lontananza
Non gittasse l'odor, lauro saria.
Candidissimo è il fior di che s'ingemma,
Né per molto soffiar che faccia il vento
L'onor mai perde della verde fronda.
Ora etrusco limone, or cedro ed ora
Arancio lusitan l'appella il vulgo, 305
Sotto vario sembiante ognor lo stesso.
Questa è la pianta che nel ciel creata
277. L'asciutto, ecc. : Si allude ai parenti di Giulio che non solo non si
afflissero molto per la morte del loro illustre congiunto, ma con atroci ca-
lunnie ne perseguitarono la vedova.
291. L'odorato, ecc. : (1 cedro che Virgilio canta nelle Georg., n, 186.
relice : Salubre. Anche Virgilio (ib.) dice : « Media fert tr stes succos . . .
tardumque saporem Felicls mali ».
291. Contra, ecc.: Infatti Virgilio, Georg. , ii, 127 dice: « quo non prae-
sentius ullum, Pocula si quando saevae intecere novercae, Miscueruntque
nerba* et non innoxia verba, Auxllium venit ac membri» agit atra ve-
nena ».
300. Lauro, ecc. : Questi versi traducono letteralmente i sgg. versi di Vir-
gilio, Georg., n, 130 : « Ipsa ingens arbos faciemque simillima lauro ; Et,
si non alium late iactaret odorem, Laurus erat ».
306. L'osar* ecc. : Virgilio, 1. e. : « folia haut ullls labentia ventis ».
305. Lusitan: Portoghese.
307. Nel del creata: Si favoleggiò che 11 cedro fosse nato in cielo nel di
degli sponsali di Giunone con Giove.
300
196 PARTE IH.
L'aureo pomo fatai lassù produsse
Ch'Ilio in faville fé' cader: con questo
L'ardito Aconzio e Ippòmene già fero 310
(Che non insegni, Amor?) alle lor crude
Belle nemiche il fortunato inganno.
E fu pur questa che ad immane drago
Die negli orti a vegliar d'Esperetusa
Il sospettoso mauritano Atlante; 315
Finche di là la svelse il forte Alcide,
Spento il fero custode, e peregrino
Seco l'addusse nell'ausonio lito,
Quando di Spagna vincitor tornando
Nel Tevere lavò l'armento ibero 320
E fé' sopra il ladron dell'Aventino
Delle tolte giovenche alta vendetta.
Poi, com'egli d'Evandro abbandonate
Ebbe le mense e l'ospitai ricetto
E a quel giogo pervenne ove nascoso 325
Agl'Itali mostrò la prima vite
Il ramingo dal ciel padre Saturno,
Ivi sul dorso edificò del monte
306. L'aureo pomo: 11 pomo della Discordia. Giunone, non invitata alle
nozze di Peleo e Teti, gettò sulla tavola ove banchettavano gli dei un pomo
SII. Che non Insegni, ecc. : Tasso, Ger. Lib., i, 57 : * Ne le scole d'Amor
che non s'apprende 1 » come Amore dice nel Petrarca « Per quel ch'egli
imparò nella mia scuola ».
312. Il fortunato inganno : L'inganno che Aconzio, innamorato di Cidippe,
fece a lei, scrivendo sopra un cedro queste parole : Io giuro a Diana di
non essere che cT Aconzio, e lo gettò ai piedi di Cidippe che era nel tempio
di Diana. Essa lo raccolse e fu cosi costretta, per obbedire alla volontà della
dea, ad unirsi ad Aconzio. — Ippòmene vinse al corso 1' amata Atalanta, get-
tandole tra i piedi, durante le corse, tre arance che la giovinetta si fermò
a raccogliere e perciò fu sua sposa, che tale era stato pattuito dover esser
il premio del vincitore.
315. Il ... . mauritano . . . Atlante : Atlante, che stava sui confini del mondo
presso lo stretto di Gibilterra, sulle frontiere della Mauritania, fece custo-
dire gli aranci del suo giardino dalle sue tre figlie Esperidi di cui una era
Esperetusa : stava sempre a guardia di quelli un terrìbile drago.
316. Alcide : Ercole uccise il drago e portò quei frutti al fratello Euri-
steo in Italia.
380. L'armento ibero : Dicono che Ercole, ucciso Gerione nella Spagna, ne
portasse i buoi nel Lazio e li lavasse nel Tevere. Virgilio, Aen. vii, 661 :
« postquam Laurentia Victor, Geryone extincto, Tirynthius attigit arva, Tyr-
rhenosque boves in flumine lavit B iberna ».
321. E fé' sopra il ladron, ecc.: Caco che abitava sull'Aventino rubò ad
Ercole i buoi di Gerione, ed egli lo uccìse coll'astusia narrata da Virgilio,
Aen., vili, 190 e sgg.
323. Evandro : Secondo la tradizione, Evandro, re d'Arcadia, si era stan-
ziato coi suoi Arcadi nel Lazio e là lo visitò Ercole.
325. Quel giogo : I monti Laziali, sui quali sì rifugiò Saturno, quando,
cacciato dal cielo dal figlio Giove, venne esule in Italia, e, accolto da Giano,
insegnò ai popoli del Lazio l'agricoltura e piantò la prima vite.
LA FERODIADE. 197
Sezia, un'umil città, donde Setina
Fu nomata la rupe; e qui di Giove 330
L'errante figlio alla saturnia terra
Primiero maritò l'arbor divino,
Che tutti empiè di meraviglia i colli
E d'invidia le selve. Al primo spiro
Del suo celeste odor vinta temette 335
(E fu giusto il timor) la sua fragranza
Di Preneste la rosa: al primo aspetto
Di quel candido fior vinte temette
Le sue vergini tinte il gelsomino.
A baciarlo lascive, a carezzarlo .3 io
D'ogni parte volar l'aure tirrene,
Desiose d'aver carchi del caro
Effluvio i vanni rugiadosi: corsero
A fregiarsene il crine e il colmo seno
D'Alba le ninfe e di Laureato e quelle 315
Del Volturno arenoso e del Taburno.
Corser da tutte le propinque rive
Gli Egipani protervi, e, saltellando
E via gittando ognun l'ispido pino,
Di questo ramo ghirlandar le fronti. 350
Lo volle il dio d'Arcadia, e lo prepose
Agli ebuli sanguigni ed ai corimbi;
E lo volle Silvan, dimenticate
Le ferule fiorenti e i suoi gran gigli.
Venne anch'essa del Sol Circe la figlia, 355
E di sua mano un ramuscel spiccando
Della scesa dal ciel pianta diletta
In grembo al sacro suo terreno il pose.
Così crebbe il divin bosco odorato,
Che di soave olezzo intorno tutte 360
329. Sesia: Oggi Sezze presso la palude pontina, celebre per i suoi vini.
330. Di Giove, ecc. : Ercole che sui monti Setini piantò il cedro, detto
« arbor divino », perché noto fino allora alle mense degli dei.
345. Alba : Antichissima città latina sui colli Albani presso Roma. — Lau-
reino : V. la n. 40 a p. 186.
348. Taburno : Monte sui confini del Sannio, della Campania e dell'Apulia.
348. Gli Egipani protervi : Gli audaci Egipani che erano divinità dei monti
e dei boschi con gambe e corna di capra. Portavano una corona di foglie
di pino.
350. Di questo ramo : Del ramo del cedro.
351. Il dio d'Arcadia: Il dio Pane di cui Virgilio, Ed., x, 26, dice : « Pan
deus Arcadiae venit, quem vidimus ipsi Sanguineis ebuli naccis minioque
rubentem ».
352. EbuU : « L'Ebulo, detto anche ebbio in italiano, e un frutice che so-
miglia al sambuco ... La ferula é un frutice anch'essa, che ha le foglie
come il finocchio ed il gambo somigliante alla canna ...» (Mg.).
353. E lo volle Silvan : Virgilio, 1. e. , 24 : « Venit et agresti capitis Syl •
ranus honore, Florentes ferulas et grandia lilia quassans »,
198 PARTE III.
Della maga spargea le rilucenti
Tremende case; ov'ella ognor, cantando
E con l'arguto pettine le tele
Percorrendo, facea dolce da lungi
E periglioso ai naviganti invito; 365
Mentre pel buio della tarda notte
Lamentarsi e ruggir s'udian leoni
Disdegnosi di sbarre e di catene,
Urlar lupi, e grugnire ed adirarsi
Nelle stalle cinghiali ed orsi orrendi, 370
Che fùr uomini in prima e della cruda
Incantatrice sventurati amanti.
Queste ed altre infinite eran le piante
E l'erbe e i fiori, che godea l'attenta
Di Feronia educar mano pudica; 375
Di tutti quanti i fiori ella il più bello.
Ma, sotto vago aspetto alma chiudendo
Superbetta, d'amor tutte parole
La ritrosa fanciulla ebbe in dispregio.
Nò la vinse il pregar di madri afflitte, 3so
Che la chiedeano in nuora e per la schiva
Vedean languire i giovinetti figli:
Né mai lusinghe la piegar di quanti
Dèi le latine ad abitar contrade
Dai pelasghi confini eran venuti: 3S3
Ch'ella a tutti s'invola, e non si cura
Conoscere d'amor l'alma dolcezza.
Ma di Giove non seppe un'amorosa
Frode fuggir. La vide; e da' begli occhi
Trafitto, il nume la sembianza assunse 300
D'un imberbe fanciullo, è sì deluse
L'incauta ninfa e la si strinse al seno
3G3. Le tele percorrendo: Virgilio, Aen., vii, 11: « Dives inaccessos ubi
Solis Alia lucos Assiduo resonat cautu, tectisque superbis Urit odoratali)
nocturna in lumina cedrum, Arguto tenues percurrens pectine telas ».
365. Periglioso invito : Circe allettava col canto i naviganti per mutarli
poi in bestie, come fa capire coi versi seguenti.
376. « Educando (Feronia) cose tutte graziose, i suoi atti diventano gra-
zie e vezzi ; e cosi (il p.) fa con l'opera propria una specie di georgica, cor-
rispondente a quella che è come la parie più delicata dell'ampia descrizione
virgiliana » (Zumbini, p. 211 \
385. Dal pelasghi. ecc. : Si credeva che i Pelasgi fossero venuti dalla Gre-
cia in Italia e unitisi cogli Aborigeni del Lazio avessero portato la loro an-
tica religione e i loro patrii dei nella nuova terra.
386. Ch'ella : Tasso, Qer. Lib., n, 14 : « E de* vagheggiatori ella s'invola
alle lodi, agli sguardi, inculta e sola ».
391. D'un imberbe, ecc. : « Di qui la denominazione di Ansuro : perocché
vogliono che cosi fosse chiamato Giove da aveu (sine) e Zopou (novacula), cioè
dai non aver usato rasoio ; il che può equivalere ad imberbe. Sotto questo
nome egU era adorato in Terracina, come marito di Feronia » (Mg.).
LA FERONIADE. 1U9
Con divino imeneo. L'ombra d'un elee
Del Dio protesse il dolce furto: e lieta
Sotto i lor fianchi germogliò la terra 395
La violetta il croco ed il giacinto,
Ed abbondanti tenerelle erbette
Che il talamo fornirò; e le segrete
Opre d'amore una profonda e sacra
Caligine coprio: ma di baleni 100
Arse il ciel consapevole, ed i lunghi
Ululati iterar su la suprema
Vetta del monte le presaghe ninfe.
Questi fùr delle nozze inauspicate
I cantici, le faci, i testimoni; io:>
Questo alla nuova del Tonante sposa
De' suoi mali il principio, e noi conobbe
L'infelice. Ma ben di Giove il vide
L'eterno senno; né potendo il duro
Fato stornar, nel suo segreto il chiuse, 410
E, la doglia che solo il cor sapea
Premendosi nel petto, a far più mite
II funesto avvenir volse il pensiero.
Primamente quel bosco e quella rupe
Sì gli piacque onorar dove la ninfa 415
Dell'occulto amor suo gli fu cortese,
Che per loro obbliò Dodona ed Ida
E men care di Creta ebbe le selve;
Tal che le genti la presenza alfine
Sentir del nume, e l'inchinar devote tzo
E Giove imberbe l'invocar sull'are;
Ch'egli loro così mise in pensiero
304. E lieta, ecc. : Cosi in Omero. II., xiv, 347, la terra somministra un
talamo di erbe e di fiori a Giove che s'addormenta sull'Ida in braccio a
Giunone. Cfr. anche la Musog., 181 e sgg.
385. Germogliò : Usato transit., uso assai raro.
400. Ma di baleni, ecc. : Eran per gli antichi segni di cattivo augurio. Ogni
festa nuziale terminava con canti e con una fiaccolata con cui si accompa-
gnava la sposa alla nuova dimora ; ma qui sono canti gli ululati delle ninfe
e fiaccole 1 baleni. Cfr. Virgilio, Aen. f iv, 166 : « Prima et Tellus et pronuba
Iuno dant signa : fulsere ignes et conscius aether Connubiis ; summoque
ulularunt vertice nymphae ».
404. Inauspicate : Di cattivo augurio.
400. Né potendo, ecc. : Neppure Giove, il padre degli uomini e degli dei,
poteva cambiare ciò che stava ne* Fati ; ma conosceva quello che i Fati ce-
lavano a tutti gli altri dei.
417. Dodona : Città nell* Epiro , ove in una foresta era il celebre oracolo
di Giove Pelasgico. — Ida : Monte dell'isola di Creta, ove Giove bambino fu
nutrito col miele delle api.
421. L'Invocar, ecc. : Come abbiam detto, Giove imberbe aveva un tempio
a Terracina col nome di e luppiter Anxurus », ove era adorato insieme con
Feronia: Virgilio, Aen., vii, 709: «quia luppiter Anxurus arvis Praesidet
et viridis gaudens Feronia luco ».
200 PARTE III.
Per la memoria del felice inganno.
Qui del culto novel consorte ei volle
La dolce amica sua; qui degli eterni tg>
In aura tazza il nettare le porse,
E la fece immortal. Poscia tonando
Del monte il fianco Occidental percosse;
E una sùbita fonte cristallina
Scaturì mormorando: e dalla balza 430
Comandò che perenne ella scorresse
E da Feronia si nomasse: ed oggi
• Serba quel nome ed il ricordo ancora
Dell'antico prodigio. Allor le volsche
Genti lor diva Tadoraro, e lei 135
Antefora chiamaro e Filostefana
E Persefone ; e tutte a lei de* campi
Fùr sacre le primizie. Ad inchinarla
Sovrana e diva i numi adunque tutti
Corser d'Ausonia; che il voler tal era no
Del supremo amator: e non pur quelli
A cui per valli e campi e per montagne
Fuman l'are latine e di plebeo
Rito van lieti e di Minori han nome,
Ma mossero frequenti ad onorarla 445
Di cortese saluto anche i Maggiori.
Primo il padre Lieo, ch'indi non lungi
In un temuto e per antico orrore
Sacro delubro raccogliea benigno
Dal timor de' mortali incensi e voti ; 450
E la bionda inventrice era con lui
Dell'aure spiche e delle sante leggi,
Cerere, che solea le pometine
Spesso anteporre alle trinacrie mèssi.
436. Antefora : « Dionigi d'Alicarnasso ne ha conservati questi nomi, coi
quali veniva appellata Feronia (A. R. III. 38). — Antefora e quanto dire
fiorigena, ossia Portatrice de' fiori. — filostefana vale Andante delle corone.
— Persefone é In greco lo stesso che in latino Pro&erpinu » (Mg.).
441. Del supremo, ecc. : Di Giove.
444. Di Minori, ecc. : Gli antichi avevano gli Dei massimi, detti anche dii
maiorum gentium, e i minori o dii minorimi gentium. Erano minori quelli
che possedevano la divinità, ma imperfettamente, erano la plebe degli dei,
come i fiumi, le nebbie, i venti, ecc.
447. Lieo: Uno dei nomi di Bacco.
449. Saoro delubro : Bacco aveva un tempio a lui dedicato presso Sezze ,
nel luogo detto Forum Appii.
451. E la bionda Inventrice : « Anche 11 culto di Cerere era stato portato
dagli Arcadi nel Lazio e nei paesi circonvicini, ove quella dea fu poi sem-
pre grandemente onorata. L'invenzione delle leggi venne attribuita a questa
dea. del pari che il ritrovamento delle biade » (Mg.).
454. AÙe trinacrie messi: Alle messi siciliane [Trinacria si disse la Sici-
lia) preferiva le messi di Pomezia.
LA FERONIÀDK. 201
Nò te d'Aricia il bosco e il nemorense 455
Lago trattenne, vergine Diana;
Che tu pur, del lunato argenteo carro
Al temo aggiunte le parrasie cerve,
Con gli altri divi ad abbracciar venisti
La novella immortale; e di te degna 460
Fu l'alta cortesia che ti condusse.
Col favor di Feronia iva frattanto
Scorrendo i campi l'Abbondanza, e, tutto
Versando il corno, ben compiuta e ricca
Fea dell'avaro agricoltor la speme. 4G3
Ogni prato, ogni colle, ogni foresta
Di pastorali avene e di muggiti
E nitriti e belati alto risuona;
E prigioniera dall'opposte rupi
Le dolci querimonie Eco ripete. 170
Venti e quattro cittadi, onde l'immensa
Fertile valle si vedea cosparsa,
S'animar, s'abbellirò; e, strette in nodo
Di care parentele, in mezzo al sangue
De' torelli giurar dell'alleanza 475
Il sacramento; e l'invocata diva
Le dilesse, e su lor piovve la piena
Di tranquilla ricchezza. Incontanente
Crebbero i lari, crebbero le mura:
Di maestà, di forza e di rispetto 4so
Le sante leggi si vestir : f ùr sacri
I reverendi magistrati; sacra
La patria carità; sacro l'amore
Della fatica e dell'industria. Quindi
Tutte piene di strepito le vie ds&
E i teatri e le curie; e dappertutto
Un gemere di rote, un picchio assiduo
Di martelli e d'incudi, un suonar d'arme
Buone in pace ed in guerra; onde si crebbe
La feroce de' Rutuli potenza, 400
455. Arloia : Ora la Riccia, era presso il lago di Nemi.
457. Del lunato, ecc. : Del carro lunare in cielo.
458. Parrasie : Della Parrasia, che era una parte dell'Arcadia.
460. Degna : Perché anche Diana, come figlia di Latona, era perseguitata
da Giunone.
464. Il oorno : L'Abbondanza é rappresentata con un corno in mano da
cui versa ogni bene.
471. Venti e quattro cittadi : .Tante erano le città che un tempo fiorirono
in quella oggi tanto desolata regione.
474. In mezzo al sangue : Quando si stringevano alleanze solevano gli an-
tichi popoli del Lazio fare sacrifizi di tori.
479. I lari : Le case. I LatH erano piccoli dei, protettori della casa.
490. Ferooe : Guerriera, nel senso latino : Orazio, Od., IV, ix, 21 : « ferox
Hector », e I, xxxn, 6 « ferox bello ».
202 PARTB 111.
Che ai pietoso Troian tanto fé' poscia
Sotto il cimiero impallidir la fronte,
Quando gli disputar Camilla e Turno
Di Lavinia e d'Italia il grande acquisto.
Eran le genti pometine adunque 495
Molte e forti e felici; e manifesta
Di Feronia apparia per ogni parte
La presenza, il favor, la possa e l'opra,
Però da cento altari a lei salia
Delle vittime il fumo; e ne godea 500
Il tonante amator, che stanco e carco
Delle cure del mondo, a serenarle
Scendea sovente ne' segreti amplessi
Della diva fanciulla. Un aureo nembo
Li copriva; e oziosa al sole aprico 505
Col rostro della folgore ministro
L'aquila sacra si pulia le piume;
Mentre sicure dal furor di Giove
Tacean d'Ato e di Rodope le rupi,
E avea Bronte riposo in Mongibelio. 510
Erasi intanto la saturnia G-iuno
Fatta accorta del dolo; e i suoi grand'occhi,
Che gelosia più grandi anche facea
Non fallibili segni avean già scorto
Di nuova infedeltà. Raro il soggiorno 513
Del marito in Olimpo: alto il silenzio
Dei talami divini: inoltre mute
Della foresta dodonea le querce,
Cheti i tuoni dell'Ida, e dissipato
Il denso fumo che facea palese 520
La presenza del nume. Onde, turbata
In suo sospetto, alle nevose cime
Dell'Olimpo salita, in giù rivolse
L'attento sguardo, e ricercò l'infido
Sul mar sidonio, sul nonacrio giogo, 525
491. Al pietoso Troian : A Enea a cui Virgilio dà cosi spesso l'epiteto di
pius per la sua scrupolosa religiosità.
493. Camilla e Turno : Camilla, la forte figlia del re de' Volsci, e Turno,
il re de' Rutuli e rivale di Enea, a cui Latino aveva dato in moglie la figlia
Lavinia già, promessa a Turno.
494. Il grande acquisto: Cfr. Tasso, Ger. Lib., i, 4: « glorioso acquisto. »
506. Col rostro : L'aquila di Giove è rappresentata colle folgori nel becco.
509. D'Ato : Il monte Athos nella penisola calcidica sul mare Egeo. —
Rodope : Monte della Tracia. Questi alti monti non erano colpiti dal fulmino
di Giove che riposava in braccio a Feronia.
510. Bronte : Uno dei ciclopi nella fucina di Vulcano in Mongibelio.
518. Della foresta dodonea : Dove Giove dava gli oracoli.
525. Sul mar sidonio : Sul mai* di Sidone, una delle principali città della
Fenicia. Sul nonaorlo giogo : Sui monti ov' é la città di Nonacre in Arcadia,
LA FBRONIADB. 203
SulTIsmen, sulTAsopo, ove sovente
Delle vaghe mortali amor lo prese,
Indi in Ausonia declinando i lumi
D'Ansuro nereggiar sul balzo vide
Tale un nugolo denso che per vento 530
Non si movea di loco, ancorché tutta
Fosse in moto la selva. A cotal vista
Le si restrinse il cor; le corse un gelo
Per le membra immortali, e si fèr truci
I neri sopraccigli. Immantinente 535
Iri a sé chiama, e: Prestami, le dice,
Su via prestami, fida, il tuo piovoso
Arco d'gro e di luce. E, sì dicendo
Nò risposta aspettando, entro si chiude
De' taumanzii vapori, e taciturna 510
Su le rupi setine si precipita.
Tocca pur anco non avea la terra
Co' leggeri vestigi, che levarsi
L'invisibile dea l'aquila vide,
L'aquila testimon del dio marito; 515
E sotto l'ombra delle grandi penne
Furtiva e cheta camminar la nube
E tra le piante dileguarsi. A lei
Dovunque passa riverenti e curvi
Dan loco i rami della selva; e l'aure 550
Non osano di far rissa e bisbiglio.
Volse indi l'occhio addietro, e donde tolta
S'era la nube in pie rizzarsi mira
Cosi bella una ninfa, che alla stessa
Cornicciosa Giunon bella parea. 553
Sventurata beltà ! L'ira e il dispetto
Tu crescesti nel cor della gelosa,
Che spiccossi qual lampo e rabbuffata
Con questi accenti alla rivai fu sopra:
E qual ti prese insania ed arroganza, 569
Insolente mortai, che una cotanta
A me far osi ingiuria, e non mi temi?
526. Ismen . . . Asopo : Fiumi della Beozia.
528. Declinando i lami : Abbassando gli occhi.
536. Iri : Iride, la vaga dea messaggera de' celesti.
537. Il piovoso, ecc. : L'arcobaleno.
540. Taumanaii : Di Iride, figlia del centauro Tau mante (0«u/*a prodigio).
Nota la rapidità di questo sdrucciolo che bene rappresenta la celerità del
volo di Giunone.
546. Sotto l'ombra : Dante, Par,, vi, 7 : « E sotto l'ombra delle sac re
penne », imitato anche dal Tasso, Oer. Lib. t x. 75 : « E sotto l'ombra degli
argentei vanni », e aal Parini, Od., I, vili, 19.
204 PARTE III.
Ravvisami, proterva; io degli dei
Son l'eterna reina, io la sorella,
10 la sposa di Giove. Scolorossi, 565
Tremò, si sgomentò, non fé' parola
La misera Feronia; e, siccome era
Scomposta i veli e le bende e le chiome
Dell'amplesso celeste accusatrici,
Mise in tutto furor la sua nemica. 570
La qual, su lei di rinnovar bramosa
Di Callisto la pena, ad un vincastro
Die rabbiosa di piglio e la percosse.
Attonito restò l'occhio e la mano
Dell'acerba Giunon, quando dell'altra 575
Vide al colpo divino inviolata
Resistere la salma e le primiere
Sembianze rimaner: tosto conobbe
Che di tempra immortai fatta l'avea
L'onnipossente nume : onde sdegnosa 5S0
Che a vóto mira uscito il suo disdegno,
E terribile e ria più che mai fosse,
Questo, disse, al mio scorno anco mancava,
Adultera impudente, che dovesse
Farlosi eterno ! Semele ed Alcmena 5S5
Eran poca vergogna all'onor mio,
E i due figli di Leda, e Ganimede;
Ch'altra ancor ne s'aggiunge, e di malnati
Mi si fan piene le celesti mense.
Ma inulta non andrò, se Giuno io sono; 590
Né tu senza castigo. Via di qua,
Via di qua, svergognata! E in questo dire
11 bianco braccio fieramente stese,
S'aggrandì, si scurò: gli occhi mandaro
Due fiamme a guisa di baleni in mezzo 593
Di tenebrosa nube; e la grand'ira,
Che il senno ancor degl'immortali invola,
Quasi obbliar di diva e di reina
568. I veU, ecc. : Accus. di relazione.
572. Di Callisto, ecc. : Giunone, sdegnata contro quella ninfa amata da
Giove, la rimproverò e la percosse, gettandola a terra, come dice Ovidio
nelle Met.> 11, 476 e sgg.
577. Salma : Corpo, v. la n. 83 a p. 11.
585 Farlosi eterno : Che questo scorno dovesse rimanere eterno, essendo
Feronia immortale. — Semele ed Alomena : Semele , figlia di Cadmo e d'Er-
mione. amata da Giove generò a lui Bacco : Alcmena, amata da Giove, gli
nartori Epoole
587. 1 due figli, ecc. : I gemelli Castore e PoUuce, che Giove, trasformato
in cigno, ebbe da Leda, moglie di Tindaro, re di Sparta. — Ganimede : Il
bellissimo garzone coppiere di cui era innamorato Giove.
LA FHRONIADK. 205
Le fé' modi e costumi. E di rincontro
Di Giove allor la dolorosa amante, eoo
Ohe di rimorso trema e di rispetto,
Con basso ciglio e con incerto piede
Lagrimando partissi. Ella per monti
E per valli e per fiumi si dilunga,
E sempre a tergo ha la tremenda Giuno, C05
Che con minacce e dure onte e rampogne
Stimola e incalza l'infelice. Ah ! dunque
Era da tanto un amoroso errore?
E già varcate avea le veliterne
Pendici e gli ardui sassi ove costruisse dio
Cora la sua città, Cora il fratello
Di Catillo e Tiburte ; e non lontano
Era di Cinzia il sacro lago, e il bosco,
Ove a Stige ritolto e della ninfa
Egeria in cura Ippolito traeva 615
Cangiato in Virbio la seconda vita.
Qui di Saturno l'adirata figlia
Sostenne i passi, e in balze aspre e deserte
Qui lasciò la meschina; e, desiosa
Di vendetta maggior, dio volta addietro. oso
Tra le priverne rupi e le setine
S'apre immane spelonca, a cui di sopra
Grava il dosso una negra orrida selva,
E per lo mezzo la rinfresca un rivo
Che con grato rumor casca e zampilla 625
Dalle fesse pareti. Ha di sedili
In vivo marmo una corona intorno;
E tal dalle muscose erbe si spande
Una fragranza, che da lungi avvisa
Veramente di dei stanza e ricetto. 630
Qui da tutta la volsca regione
COI. Che di rimorso : Somiglia assai per la forma al v. delTARiosTO, Ori.
v àl !> S 4 « E di paura trema e di sospetto ».
608. Con basso ciglio : Virgilio, Aen.. i- 561 : « Vultum demissa », e Pa-
rini, A Silvia, 26 : « Col guardo al suol dimesso ».
607. Ahi I dunque, ecc. : Virgilio, Aen., i : « Tantaene animis caelestibus
irae? ».
609. Veliterne: Di Velletri {Velitrae).
610. Ardui sassi : Virgilio, Aen., in, 271 : « Ardua saxis ».
611. Cora : Figlio di Anflarao (v. la n. 9 a p. 2) , che non fondò , ma ri-
costruì Cori.
613. Di Cinzia, ecc. : Il bosco d'Arieia sul lago Aricino, ora di Nemi.
615. Ippolito : Amato dalla matrigna Fedra, fu ucciso da cavalli infuriati
per le maledizioni del padre Teseo ; fu poi risuscitato da Diana e, sotto il
nome di Virbio, fu affidato alle cure della ninfa Egeria. Cosi narrano Vir
gilio, Aen., vii, 765, e Ovidio, Met., xv, 497.
621. Priverne : Di Piperno {Privernum), città, del Volsci, poi del Lazio.
631. (tal, ecc. : Questa caverna, ove vengono a raccogliersi i fiumi volsci,
Fur
20rt PARTE ni.
Per cento cave sotterranee vie
Vengon sovente a visitarsi i fiumi ;
Il freddo Ufente, il lamentoso Astura,
Il sonoro Ninfeo, che tra le sacre 635
Sue danzanti isolette ad Annitrite
Rapido voi ve e cristallino il flutto;
E il superbo Amasen che le gran corna
Mai non si terge e strepitoso e torbo
Empie di loto i campi e di paura. 6io
E cent'altri v'accorrono di fama
Poveri e d'onda fiumicei seguaci,
E cento ninfe che il cader degli astri
Conoscono e del sole e della luna
Le armoniche vicende, e sanno venti 013
E le piogge predire e le procelle.
Colà bieca sbuffando s'incammina
La di vendetta sitibonda dea:
Simile a nembo di gragnuole gravido,
Che bruno il ciel viaggia e orrendo stendesi o
Su la bionda vallea, quando le Pleiadi,
Che d'Orlon la spada incalza e stimola,
Negli atlantici flutti si sommergono,
E tutto ferve per burrasca il pelago.
è una reminiscenza dell'altra caverna, ove Eolo tien chiusi i suoi venti nel-
l'Ann., 1, 52 e sgg.
631. Il freddo Ufente : Nasce dai monti diSezze, passa attraverso le paludi
pontine e sbocca in mare a Terracina come dice Virgilio, Aen. vii, 801:
« gelidusque per imas Quaerit iter vallis atque in mare conditur Ufens » —
L' Astura passa per il territorio di Anzio, presso il borgo che anche oggi
dicesi Astura, e il p. lo dice lamentoso per i luttuosi casi che avvennero
suUe sue rive, l'uccisione di Cicerone e l'arresto di Corradino dì Svevia fug-
gente dopo la sconfitta di Tagliacozzo.
635. Il sonoro Ninfeo : Il Ninfeo, che oggi ha nome Storace, proviene dai
monti di Norba dal lago omonimo.
636. Danzanti isolette: Plinio {St. iV., n, 94) dice che nel lago di Norba
erano certe isolette che si muovevano sotto i piedi di chi vi danzava e si
chiamarono per ciò Saltuares.
638. Il superbo Amasen : Passa per Priverno e il territorio dei Volsci e lo
ricorda Virgilio, Aen'., xi, 547 : « Ecce, fugae medio, summis Amasenus
abundans Spumabat ripU ».
614. Del soie e della luna, ecc.: Il corso annuale del sole, le stagioni eie
fasi della luna di cui si credettero esperte le Ninfe. Cfr. Ovidio, Met., n,
638 e sgg.
651. Su la bionda vallea : Sulla valle biondeggiante di messi mature. Val-
lea è di Dante, in/., xxvi, 89: « Vede lucciole giù perla vallea » e da lui
passò all'Ariosto, al Manzoni e ad altri poeti ancora, ma è parola di forma-
zione francese.
652. D'Orion, ecc.: Orione, cacciatore gigantesco, tiglio di Nettuno, fu
ucciso da Artemide e assunto fra le stelle. Quando sorge alla metà d'estate
e quando tramonta inseguendo le ninfe Pleiadi (da pluo, un'altra costella
zione, nunzia di pioggie), si credeva che fossero imminenti furiose tera-
Deste
654. Il pelago : Si notino questi sdruccioli co' quali il p., studioso ricer-
catore di effetti armonici, cerca di rendere il suono d'una burrasca di
grandine.
LA FERONIADE. 207
Tal terribile in vista ella s'avanza; 055
E, giunta al mezzo dello speco, in atto
Di maestà, di cruccio e dipreghiera,
Fa dal labbro volar questeparole:
Fiumi, a cui delle volsche acque l'impero
Dio degli uomini il padre e degli dei, eco
E voi le correggete e a vostro senno
Le mandate a nudrir Tonda tirrena;
Una vii mia nemica, una spregiata
Di boschi abitatrice, il cor mi tolse
Del mio consorte; e non è tutto. A lei, 663
A costei l'immortal vita è concessa,
Privilegio avvilito, e dea l'adora
La bagnata da voi terra pontina.
Vendicate l'offesa; e, s'io dall'etra
Vi dispenso le pioggie, ite, abbattete, ero
Distruggete, spegnete. Altari e templi
E città rovesciate: io le vi dono,
E saran vostro regno: orma non resti
Dell'abborrito culto, e raddolcisca
La mia giust'ira di Feronia il pianto. 073
Disse: e per tutti a lei tosto l'Ufente
Diserto e chiaro parlator rispose:
— A te l'esaminar conviensi, diva,
Il tuo desire, e l'adempirlo a noi.
Delle piove e de' nembi genitrice 680
Tu ne riempi l'urne, tu ne fai
Giove propizio e ne concedi a mensa
Su l'Olimpo seder con gli altri eterni.
Ciò detto, frettolosi e furiosi
Si dileguar per la caverna i fiumi, 6S5
Chi qua, chi là ciascuno alla sua sede;
E partendo ne fèr tale un tumulto,
Tale un fracasso, che tremonne il monte.
N'udirono il fragor le pometine
Valli da lungi, e ne mandar muggiti 690
665. A lei, a costei: Questa ripetizione del pronome esprime eia conci-
tazione dell'animo di Giunone e il disprezzo che sentiva per la rivale.
667. Privilegio avvilito : Privilegio questo dell'immortalità reso di nessun
valore, perché ormai concesso da Giove a tante indegne mortali.
671. Distruggete, ecc. : Anche Giunone in Virgilio, Aen., 1, 69, dice ad
Eolo : « Incute vim ventis submersasque obrue puppes, Aut age diversos et
dissice corpora ponto. »
677. Diserto: Elegante (lat.).
679. E l'adempirlo a noi: Cosi risponde Eolo a Giunone in Virgilio, Aen. 1
76 : « Tuus, o regina, quid optes Esplorare labor ; mihi iussa capessere fas
est. Tu mini quodeumque hoc regni, tu sceptra Iovemque Concilias, tu das
epulis accumbere divum ».
208 t»ATlTfE III.
Di mina presaghe; e palpitanti
Strinser le madri i pargoletti al seno.
Mentre corrono quelli il rio precetto
A compir della diva, e ai duri sassi
Aguzzano per via le corna e Tira; «5
Levossi Giuno in aria, e spiegò il manto
In cui ravvolge le tempeste e i nembi*
E subito gonfiar le bocche i venti
E le nubi aggruppar, che cielo e luce
Ai mortali rapirò, e si fé* notte, 700
Orrenda notte dal guizzar de' lampi
Rotta al fero de' tuoni fragor cupo.
Carco d'atre caligini la fronte
Vola Tumido Noto, ed, afferrate
Con le gran palme le pendenti nubi, 705
Le squarcia risonante; e tenebrosa
Sgorga la piova; il rotto aere ne rugge;
E il suol ne geme e le battute selve.
Scende un mar dalle rupi. Allora i fiumi
Versano l'urne abbeverate e colme ; 710
E quattro di maggior superbia e lena
Da quattro parti sul soggetto piano,
Svelte, atterrate le tremanti ripe,
Con furor si devolvono. Spumosa
E fragorosa la terribil piena 715
Le capanne divora, e i pingui cólti,
E gli armenti e i pastori. E già le mura
Delle cittadi assalta e le percote,
Di cadaveri ingombra e della fatta
Strage ne' campi : già delle bastite tso
Crollano i fianchi; già sfasciati piombano
602. Strinser, ecc.: V. la n. 93 a p. 108.
690. Che oielo e lnoe, ecc.: Virgilio, Aen. t i, 88: « eripiunt subito nubes
caelumque diemque ».
701. Guizzar de' lampi, ecc. : Virgilio, 1. e. : « Nox incubat atra: Intorniare
poli et crebris micat ìgnibus aether ».
702. Bel verso onomaiopeico.
704. Vola, ecc.: Ovidio, Met., i, 264: « madidis Notus evolat alis . . . Ut-
que marni late pendentia nublla pressit, Fit fragor, hinc densi funduntur
ab ai there nimbi ». Anche Virgilio, Georg., i, 462 chiama l'Austro « hu-
midus ».
710. L'urne : Si ricordi che i Fiumi sono rappresentati con grandi urne
in mano.
717. E gli armenti, ecc. : Ovidio, 1. e. : « Cumque satis arbusta simul pe-
cudesque virosque Tectaque cumque suis rapiunt penetralia sacris ». « Come
i più leggiadri, cosi egli sa dipingere i più terribili aspetti del mondo esterno
e il sublime orrore delle tempeste . . . Com'è magnifica quell'immensa marea
di tutti i fiumi latini ! » (Zumbini, p. 213).
720. Bastite : Steccati rinforzati da terra per far argine alle acque.
721. Già sfasoiati, ecc. : Virgilio, Aen., i, 122 : < laxis laterum compagf-
bus omne8 (naves) accipiunt inimicum imbrem, rimisque fatiscunt », versi
imitati anche dall'ARiosTO, Ori. Fur^ xli, 14.
LA FERONIADE. 209
E dan la porta all'inimico flutto.
S'alza allora un compianto, un ululato
Di vergini, di vegli e di fanciulli :
Corrono ai templi; ed invocar Feronia 725
E Feronia gridar odi piangenti
Le smorte turbe; e non le udia la diva,
Che maggior' diva il vieta. Essa, la Aera
Moglie di Giove, di sua man riversa
Dell'esule nemica i simulacri, 730
Ne sovverte gli altari; e la soccorre
Ministra al suo furor Tonda crudele,
Che tutte attorno le cittadi inghiotte.
Tre ne leva sul corno infuriando
Il veloce Ninfeo, che lutulenti 735
Spinse quel di la prima volta i flutti,
L'umil Trapunzio e Longula e Polusca:
Tre la ferocia del possente Astura,
L'opima Mucamite, e l'alta Ulubra,
E la vetusta Satrico a cui nulla 740
Il nume valse della dia Matuta.
E per te cadde, strepitoso Ufente,
Pomezia, la più ricca e la più bella.
Pianse il giogo circèo la sua caduta,
E la pianser le ninfe a cui commessa 745
De' suoi vaghi giardini era la cura.
Il tremendo Amaseno avea frattanto
Sotto i vortici suoi sepolti intorno
I barbarici campi, e fatto un lago
Della misera Ausonia, e l'alte mura 750
D'Aurunca percotea, la più guerriera
784. Di vergini, ecc. : Virgilio, Aen., xn, 131 : « effusae matres et volgus
inermum, Invalidique senes ... ».
728. Maggior diva : Giunone.
731. I simulacri : Le statue nel tempio sacro a Feronia. — Lutulenti : Fan-
gosi (lat.).
797. Trapanalo , Longula e Polusoa : Trapunzio era sulla via Appìa , Lon-
gula fra il monte Circeo e Sezze, Polusca presso Longula.
739. Mucamite e l'alta Ulubra : Mucamite. detta opima per la fertilità dei
suoi dintorni, era fra Anzio e Longula, e ulubra, detta alta per la sua al-
titudine, tra velletri e Pomezia.
740. Satrioo : Antichissima città fra Anzio e Velletri. V era un tempio
dedicato alla dea Matuta (Aurora).
743. Pomezia : V. la n. 36 a p. 186.
749. I barbarici campi : « Cosi chiamavasi una vasta pianura intorno a
Regeta, luogo vicino airufente, celebre per la sconfitta che vi ebbero i Galli
dai Romani sotto il console Furio Camillo ... I Goti nell'anno 536 dopo G.
C, diedero anch'essi fama a questi campi per relezione che vi fecero di
Vitìge loro re » (Mg.).
750. Ansona : Citta vicina al monte Circeo, che si diceva fondata da Ausono,
figlio di Ulisse.
751. Aurnnoa : Città fra l'Ufente e il monte Circeo. Gk antichi identiflca-
Monti. — Poesie. 14
210 PARTE III.
Delle volsche cittadi e la più antica.
Oltre gli anni di Lardano e Pelasgo
La sua fama ascendeva, e degli Aurunci
Venerevoli padri alto suonava 755
E glorioso tira le genti il grido.
L'avea quel fìer divelta e conquassata
Dai fondamenti. Alle vicine rupi
Traggonsi in salvo gli abitanti; e il fiume
Li persegue mugghiando, e ne raggiunge 760
Altri al tallone e li travolge, ed altri,
Ohe più pronti afferrar già la montagna,
Con l'immenso suo spruzzo li flagella
E di paura li fa bianchi in viso.
Ben mille ne contorse entro i suoi gorghi 765
Quell'orribile dio ; ma di due soli,
Timbro e Larina, il miserando fato
Non tacerò, se a tanto il cor resiste
E pietoso il pensier non mi rifugge.
Amavansi così quegl'in felici, no
Ch'altro mai tale non fu visto amore:
E d'Imeneo già pronte eran le tede,
E consentian gioiosi al casto affetto
. I genitori. Ahi brevi e false in terra
Le speranze e le gioie ! In riva al mare 775
Cui d'Anzio regge la Fortuna, avea
Pochi dì prima all'afrodisia madre
Porti suoi voti il giovinetto amante
E abbracciato l'aitar. Letta nel fato
Del misero la sorte avea la diva; 7S0
E della diva il santo simulacro
Tremò, e sudante (maraviglia a dirsi !)
Torse altrove il bel capo, e non sostenne
Tanta pietà. Ma ben di G-iuno il crudo
Cor la sostenne : e la virtude umana 783
rono i suoi abitanti cogli antichissimi Ausoni. Cfr. Virgilio, Aen.. vii,
206 e 727.
753. Bardano e Pelasgo : Dardano nacque di Giove e d'Elettra in Cortona
nell'Etruria^ e di là venne a Samo e poi nella Frigia, ove fondò Troia :
Pelasgo fu il capo dei Pelasgi, antichissimi abitatori della Grecia.
767. Timbro e Larina: Come fece Virgilio al termine del lib.' iv delle
Georg., anche il nostro chiude questo canto con un pietoso episodio, quello
di Timbro e Larina.
768. Se a tanto, ecc. : Virgilio, Aen. , 11 , 12 : « Quamquam animus me-
minisse horret, luctuque refugit ».
776. Cui d'Anzio, ecc. : In Anzio era un famoso tempio della Fortuna, che,
come dice Orazio, Od., I, xxxv, 1, proteggeva la città : « Piva, gratum
auae regia Antium ». V'era anche un altro tempio dedicato a Venere Afro-
dite e dal culto di questa dea la città stessa fu detta Afrodisia.
782. Tremò, ecc. : V. la n. al v. 379 del C. IV della Bassvill.
LA FER0N1ADE. 211
Abbandonata si velò la fronte.
Nella comun sventura erasi Timbro,
Dopo molti in cercar la sua fedele
Scórsi perigli, l'ultimo su l'erta
Spinto in sicuro, e fra i dolenti amici 790
Di Larina inchiedea : Larina intorno,
Larina iva chiamando, e forsennato
Con le man tese e co 1 stillanti crini
Per la balza scorrea; quando spumosa
L'onda, che n'ebbe una pietà crudele, 703
La morta salma gliene spinse al piede.
Ahi vista ! ahi, Timbro, che facesti allora ?
La raccolse quel misero ed in braccio
La si recò; né pianse ei già, che tanto
Non permise il dolor; ma freddo e muto 800
Pendè gran pezza sul funesto incarco,
Poi mise un grido doloroso e disse:
Così mi torni ? e son questi gli amplessi
Che mi dovevi? e questi i baci? e ch'io,
Ch'io sopravviva ?.. E non seguì : ma stette 805
Sovr'essa immoto con le luci alquanto;
Poi sull'estinta abbandonossi, e i volti
E le labbra confuse; e così stretto
Si versò disperato entro dell'onda,
Che li ravvolse e sovra lor si chiuse. 810
CANTO SECONDO.
Contenuto. — Ma non ancora è compiuta la vendetta di Giunone né
sazia la sua ira. Essa va alla fucina di Vulcano che trova intento a fabbri-
care un piedistallo di bronzo e d'oro a Diana Nemorensc, sul quale fra altre
meravigliose figure aveva raffigurato i casi di Luigi Costanza Braschi.
Giunone lo prega a compiere la distruzione di quella infelice regione con
terremoti e incendi. Vulcano acconsente, lieto di far cosa ingrata a Giove
che un tempo l'aveva gettato giù dall'Olimpo: va nella valle pontina, dà
fuoco alle materie infiammabili che s'ascondono nelle viscere della terra e
un orribile terremoto abbatte le volsche città, tranne Ansuro che Giove
protegge. Nella spaventosa rovina incontra la morte anche il vecchio e giu-
sto Alcone, sepolto sotto le rovine della sua casa insieme con la sua fami-
glinola.
Già* tutto di Feronia era il bel regno
In orrenda converso atra palude
Che pelago parea; se non che rara
795. Una pietà crudele : Pietà del dolore di Timbro, ma pietà crudele
perchè spinse ai suoi piedi il cadavere di Larina.
803. E son questi, ecc.: Tasso, Qer. Lib., 11, 30: « Questo dunque é que
laccio ond'io sperai Teco accoppiarmi in compagnia di vita 1 ».
810. B sovra lor, ecc. : Reminiscenza dantesca, Inf., xxvi, lii : « Inftn che
'1 mar fu sopra noi richiuso ».
10
212 parte in.
Dell'ardue torri e dell'aeree querce
Non vinte ancor l'interrompea la cima.
E già su le placate onde leggieri
Spiravano i iavonii, e in curvi solchi
Arandole frangean sovra le molli
Crespe dell'acque la saltante luce:
Quando di Circe la scoscesa balza
L'aspra Giuno salì. L'occhio rivolse
Alla vasta laguna, e, tutta intorno
La misurando con superbo sguardo,
Sorrise acerba su la sua vendetta. 15
Ma, vista su la rupe in lontananza
Dall'incremento delie spume ultrici
Pur anco intatta alzar la fronte alcuna
Delle volsche città, che ree del culto
Deil'abborrita sua rivai si fero,
Ed illeso agitar l'argute frondi so
Non lungi il bosco di Feronia, il bosco
Che prestò l'ombra ai mal concessi amori ;
Risorger si sentì Tire nel petto
Già moribonde: e poi che v'ebbe alquanto
Fisso il torbido sguardo, in cor sì disse: 23
Io desister dall'opra, e del mio scorno
Patir che resti un monumento ancora ?
Già non fui sì pietosa inverso Egina
E la stirpe di Cadmo abbominata:
Che per quella mandai carca di Aera 30
Pèste la morte su l'enopia terra,
E sostenni per questa entro le case
Scendere io stessa dell'eterno pianto,
E di là contra d'Atamante e d'Ino
4. Ardue torri : Non torri, nel senso stretto della parola, ma alti edifizi
in generale, nel senso in cui usa questa parola Ovidio, Met.> 1, 290 : » pres-
saeque latent sub gurgite turres ».
7. Pavonii : Leggieri venti di primavera.
9. La saltante luce : Nota quanta verità d' osservazione ci sia in questi
versi. AH* incresparsi leggiero delle acque mosse dai Favoni! oscilla sopra
quelle la luce del sole.
17. Inoremento : Accrescimento (lat.).
18. Che ree, ecc.: Che avevano la colpa d'avere adorato Feronia.
20. Argute: V. la n. 87 a p. 101.
26. Io desister, ecc. : Virgilio, Aen. t 1, 87 : « Mene incepto desistere
victam 1 ».
28. Egina : cosi si chiamò risola di Enopia dal nome di Egina che da
Giove aveva avuto Eaco. Giunone gelosa devastò queirisola sfortunata.
29. E la stirpe, ecc. : Europa, sorella di Cadmo. V. la n. 4 a p. 71.
32. Le case: ecc. : Il Tartaro.
31. D'Atamante e d'Ino : Giunone volle punire Ino , moglie d'Atamante,
della sua superbia, facendole impazzire il marito. Costui le uccise il figlio
Learco ed essa si gettò in mare colTaltro figlio, Melicerta.
LA FERONIADE. 213
Tisifone invocar. Quei due superbi 35
Co' sonori serpenti ella percosse,
E allor nel figlio dispietate e crude
Fur le mani paterne, e de' suoi vanti
Ino furente mi scontò l'offesa.
E pur avola a Bacco era colei 40
E a Venere nipote; e non m'avea,
Come questa malnata itala druda,
Tolti i miei dritti, e dei maggior de' numi
Aspirato alle nozze. Oh mia vergogna!
Potè Gradivo la feroce schiatta 45
Sterminar de' Lapiti : aver da Giove
Potò Diana al suo disdegno in preda
I Calidonii : e meritò poi tanto
Be' Calidòn la colpa e de' Lapiti?
Ed io, progenie di Saturno ed alta • 50
De' celesti reina, a mezzo corso
Ratterrò gli odi e l'ire, e dovrò tutte
Non consumarle ? Oh mei contrasta il fato 1
E una fama pur or s'è sparsa in cielo,
Che al volgere de' lustri il senno e l'opra 55
D'italici potenti al mio furore
E all'impero dell'onde questi campi
Ritoglierà. Ritolgali : men giusta
men dolce uscirà forse per questo
La mia vendetta? Se cangiar non lice 00
Delle Parche il decreto, e chi ne vieta
L'indugiarlo e tentar nuove ruine?
35. Tisifone : Una delle tre Furie.
40. E por avola a Bacco : Ino era avola di Bacco, perché sorella di Se-
mele, madre di lui ; era nipote di Venere, perché la madre sua Ermione era
figlia di quella dea. Di tale parentela andava superba Ino e la sua superbia
punì irata Giunone.
45. Potè Gradivo, ecc. : Traduce i sgg. vv. di Virgilio, Aeri., vii, 304: « Mars
perdere gentem Immanem Lapitum valuit ; concessit in iras Ipse deum anti-
3uam genitor Calydona Dianae; Quod scelus aut Lapithas tantum, aut Caly-
ona merentem % ». Marte, solo tra gli dei dimenticato da Piritoo, re dei La-
piti, nelTinvito al banchetto per le sue nozze con Ippodamia, si vendicò su-
scitando tra i Lapiti e i Centauri presenti alla festa una fiera rissa. Eneo, re
dei Calidonii, abitanti di Calidona, città dell'Etolia, sacrificava a tutti gli
dei, meno che a Diana, la quale mandò un terribile cinghiale a devastarne
il territorio. M
50. Ed io, ecc. : Virgilio, Aen. , i, 46 : « Ast ego , quae divom incedo
regina, Iovisque Et soror et coniux ... ».
53. Oh mei contrasta, ecc. : Virgilio, Aen. f i, 39 : « Quippe vetor fatis ! ».
55. Al volgere, ecc. : Virgilio, Aen„ i, 283 : « lustris labentibus ».
58. Ritoglierà : Allude a' tentativi di prosciugare le paludi pontine fatti
da consoli, imperatori, papi e fino da re barbari e soprattutto airopera di
Pio VI, sulla quale v. YJntroduzione al presente poemetto.
61. Delle Par ohe, ecc. : Le Parche erano ministre del Fato di cui immuta-
bili erano i decreti, come dice Ovidio, Met., v, 532: « Nam sic Parcarum
foedere cantum est «.
214 PARTE III.
Del tuo delitto dolorose e care
Le pene pagherai, ninfa superba:
Anche il Lazio s'avrà la sua Latona. &
Non selva lascerò, non antro alcuno
Che ti riceva ; scuoterò le rupi ;
Crollerò le città dal tuo vii nume
Contaminate, e ne farò di tutte
Cenere e polve che disperda il vento. :o
Nel turbato pensier seco volgendo
Queste cose la dea, giunse d'un volo
Nell'eolie spelonche, orrendo albergo
Degli adusti Ciclopi di Vulcano.
Stava questo dell'arti arbitro sommo 70
Intento a fabbricar per la pudica
Nemorense Diana un d'oro e bronzo
Gran piedestallo, su cui l'alma effige
Collocar della diva. E sulle quattro
Fronti v'avea l'artefice divino so
D'ammirando lavoro impresse e sculte
Di quell'almo paese avventurato
Le trascorse memorie e le future.
Era a vedersi da una parte il lago
Tutto d'argento. Tremolar diresti S5
L'onde e rotte spumar dai bianchi petti
Delle caste Amnisidi, a cui venute
Già son men care le gargafle fonti
E d'Eurota le sponde. In su la riva
Della sacra laguna abbandonati 00
Giaccion gli archi e le freccie, onde famosi
Suonar di caccia fragorosa un giorno «
Del Tai'geto e d'Eri manto i boschi,
65. La sua Latona : Anche il Lazio avrà in te, o Feronia, una dea perse-
guitata da me, come già fu Latona.'
71. Nel turbato pensier, ecc. : Virgilio, Aen., 1, 30: «Talia fiammato se-
cum dea corde volutans, Aeoliam venit ».
73. Nell'eolie spelonche : « Discordano ì poeti neirassegnare a Vulcano la
sua fucina : perocché altri la pongono nelle isole denominate Eolie : altri
sotto l'Etna, altri in Lenno, altri neirEubea. Omero la pone in cielo
Io mi sono attenuto a Virgilio (En. vili, 416 e sgg.) » (Mt.). .
74. Adusti: Abbrustoliti (lat.).
77. Nemorense Diana : Il territorio nemorense fu dagli antichi chiamato,
quasi per eccellenza, nemus Dianae ed ebbe questo nome dalle selve (ne-
mora) che erano alle falde del monte Albano presso ad Aricia.
79. Della Diva : Di Diana. '
87. Amnisidi : Erano venti ninfe ministre di Diana nella caccia. Secondo
Apollonio Rodio (Arp., in, 887 e 822) presero il nome dal fiume Amnisio
in cui di solito si bagnava Diana.
88. Gargafie fonti : Gargaflaera un fiume nel territorio di Platea nella Beozia.
89. Eurota : Il celebre fiume della Laconia su cui era Sparta.
93. Del Talgeto e d'Eri manto : Omero, Odisa. y vi, 102, dice che Diana so-
leva cacciare pei boschi del Taigeto (catena di monti fra la Messenia e la
Laconia) e l'Erimanto (catena di monti nell'Arcadia).
LA PBRONIADK. 215
Ed or la nemorense ne rimbomba,
E la selva arìcina. Indi non lunge 95
Stassi il carro lunato ; e per la rupe
Sciolte dal giogo le parrasie cerve
Erran pascendo il tenero trifoglio,
Gradita erbetta, che gradir suol anco
Ai destrieri di Giove ed alle caste 100
Di Minerva cavalle polverose.
Alto a rimpetto fra pudichi allori
Di Trivia il tempio signoreggia ; ed essa
La placabile diva in su la soglia
Del grande Atride ad incontrar vien oltre 105
I pellegrini fl gli, Ifigenia
Sacerdotessa ed il fratello Oreste,
Pietoso Oreste e scellerato insieme;
Che per molti del mare, e della terra
Duri perigli salvo le recavano no
II fatai simulacro insanguinato
Dalle tauriche sponde alle tirrene.
In altro lato avea l'ignipotente
Sculti i novelli sacrifici e l'are
Di Diana cruente, e i lagrimosi 115
Riti latini, e un contro l'altro armati
Di barbaro coltello i sacerdoti.
Mirasi altrove il miserando caso
94. Ed or, ecc. : Allude alla viva passione per la caccia che aveva il prin-
cipe Braschi per cui riempiva quei luoghi del rumore delle sue caccie.
97. Le parrasie oerve : V. la n. 458 a p. 201.
08. Erran pascendo, ecc. : Nell'Inno a Diana di Callimaco, 462, le ninfe
Amnisidi sciolgono dal carro di Diana le cerve e danno loro a mangiare il
trifoglio, erba, aggiunge il poeta, di cui si pascono anche i cavalli di
Giove,
101. DI Minerva, ecc. : Minerva andava in battaglia sopra un carro tirato
da cavalle. V. nel Prometeo, i,701. Anch'esse mangiavano il trifoglio.
103, Trivia : Luna o Diana in cielo.
104. Placabile : II culto di Diana Aricina non era cosi feroce come quello
di Diana Taurica (in Tauri, sul mar Nero), a cui s'immolavano vittime
umane e perciò Virgilio, Aen., vii, 764 chiama il suo altare : « placabilis
ara Dianae ».
106. Del grande Atride: D'Agamennone, figlio di Atreo, i cui figli, Ifigenia
ed Oreste, venuti dalla Tauricfe nel Lazio si dice che colà portassero il si-
mulacro di Diana (v. Ili), chiuso in un fascio di legna.
106. Pietoso Oreste, ecc.: Accenna al giudizio che l'Areopago di Atene dovè
fare del matricidio di Oreste. Ovidio, Trista IV, iv, 69: « Dubium piusan
sceleratus Orestes ». Si può dir pietoso (nel senso del pius latino, osservante
della religione, perche vuol punito un delitto) per avere vendicata l'ucci-
sione del padre commessa da Egisto per istigazione di Clitennestra, e scel-
lerato per il delitto d'aver uccisa la madre.
113. L'ignipotente : Vulcano : cosi lo chiama Virgilio , Aen., vii, 414
e 423.
114. E l'are, ecc. : « Allorquando uno schiavo fuggito dal suo padrone
giungeva in que* luoghi, veniva messo a duello col capo de' sacerdoti, e se
riusciva vincitore cofl'ncciderlo, occupava egli quel posto, finché per eguale
maniera non gli veniva tolto da un altro » (Mg.).
216 par-tb hi.
Del flgliuol di Teseo. Gonfiata ed aspra
Spandeasi d'oro con argentee spume no
La corinzia marina, a cui dal mezzo
Uscia sbuffando una cerulea foca.
E per orride balze ecco fuggire
Gli atterriti cavalli; ecco sul lido
Rovesciato dal carro e lacerato 125
L'innocente garzon. D'intorno al casto
Esangue corpo si batteano il petto
Di Trezene le vergini; e, chiamando
Crudel Ciprigna e più crudel Nettuno,
Più ch'altre in pianto si struggea Diana. 130
Al pregar dell'afflitta indi seguia
D'Esculapio il prodigio e l'ardimento;
Che, violato delle Parche il dritto,
Col poter della muta arte paterna
Torna il pudico giovinetto in vita : 135
Cui, redivivo e in densa nube avvolto,
Con mutati sembianti all'aricine
Selve poi reca la deliaca diva,
E palpitando alla segreta cura
Il commette d'Egeria, inclita ninfa 110
Delle leggi romane inspiratrice.
S'apria di nero cianèo scolpita
Nel fianco della rupe una spelonca
Sacra di Pindo alle fanciulle e cara
Più che l'antro cirrèo. Le serpe intorno 145
119. Del f Jglluol di Teseo : D'Ippolito, su cui v. la n. al v. 615 del e. I. di
questo poemetto.
122. Una cerulea looa : « Euripide e dietro a lai Ovidio fanno spaventare
i cavalli d'Ippolito da un foro. Il nostro poeta a questo animale terrestre ha
sostituito una foca » (Mg.).
128. DI Trezene, ecc. : 11 p. ha tolto tale idea dagli ultimi versi deW Ippo-
lito di Euripide, ove si dice che a compensarlo de* suoi patimenti, le gio-
vinette di Trezene, quando andassero a nozze, gli avrebbero dedicato le loro
chiome recise e pietosi canti.
129. Crudel Ciprigna, ecc. : Chiama crudele Venere, perché aveva fatto si
che Fedra s'innamorasse d'Ippolito, e più crudel Nettuno > perché aveva
spaventato i cavalli di lui colla foca.
132. Esculapio : Figlio d'Apollo e dio della medicina (reperto? medicina*
lo dice Viro., Aen., vii, 772).
133. DeUe Parohe il dritto : Le leggi della morte che le Parche erano ar-
bitro della vita e della morte degli uomini.
134. Muta: Che non ha bisogno di canti magici, ma opera in silenzio.
138. Deliaca diva : Diana, detta deliaca dall'isola di Dclo, ove era adorata.
139. Alla segreta oura, ecc.: Virgilio,], c, 774: « AtTrivia Hippo ytum
secretis alma recondit Sedi bus ».
141. Delle leggi, ecc.: Secondo la tradizione. Egeria nell'antro sacro a lei
e alle Muse ispiro le leggi di Roma, soprattutto quelle spettanti alla reli-
gione, a Numa Pompilio, 11 secondo re di Roma (714-672 av. C).
142. Nero oianèo: Di lapislazzulo puro.
144. Di Pindo, ecc.: Alle Muse.
145. L'antro oirréo : Cirra, città presso il Parnaso, sacra ad Apollo e alle
Muse.
LA FERONIADK. 217
Con tortuoso piede una vivace
Edera d'oro, ed un ruscello in mezzo
Di purissimo elettro. Ivi furtivo
D'Egeria ai santi fortunati amplessi
(Che di tanto fu degno) il successore IjO
Di Romolo traeva. Ivi le scese
Leggi dal cielo ricevea sul labbro
Della diva consorte; e ai mansueti
Genii di pace traducea le genti
Col favor delle Muse e di quel grande 153
Spirto divin, che del troiano Euforbo
Pria la spoglia animò, poscia, migrando
Di corpo in corpo, la famosa salma
Del samio saggio ad informar pervenne,
E di Crotone empieo le mute scuole ico
Del saper dell'Assiria e dell'Egitto.
Vera una balza dall'opposta fronte,
Che al bel lago sovrasta, orrendo nido
Di crude belve un tempo e di colubri,
Ed or vasta, ridente, aprica scena ìes
Di lieti ulivi. Tra le verdi file
De' cecropii arboscelli alteramente
Minerva procedea; che del novello
Conquistato terren prendea diletto,
E con l'alta virtù, che dagli sguardi ito
E dall'alma presenza esce de' numi,
Liete facea le piante e delle pingui
Bacche oleose nereggianti i rami.
L'accompagnava maestoso e bello
^ 146. Vivaoe: Sempreverde (lat.).
148. Elettro: Ambra (dal greco *-fllixTjsov).
156. Di quel grande, ecc. : Di Pitagora di Samo. Una popolare credenza
faceva questo filosofo maestro di Numa : benché, come osserva T. Livio (i,
18), egli sia fiorito più di cento anni dopo, regnando Servio Tullio. Fondò
3uella setta di filosofi che dicesi Italica : ebbe scuola in Crotone , città
ella Magna Grecia ; ed insegnava la metempsicosi, cioè la trasmigrazione
delle anime, confermandola col proprio esempio ; giacché diceva che la sua
anima era stata prima in Euforbo figlio di Panto ucciso da Menelao {Iliade,
xvii, 43 e sgg.), poi era passata in Ermotimo, poi in Pirro e finalmente
in lui.
160. Mute : Cosi chiama le scuole pitagoriche, perchè i discepoli erano ob-
bligati per alcuni anni ad un rigoroso silenzio.
161. Del saper, ecc. : Perché le dottrine pitagoriche avevano tratto pro-
fitto dalle cognizioni scientifiche degli Assiri e degli Egiziani antichi.
163. Al bel lago : Al lago di Nemi.
164. Colubri: Serpenti.
165. Ed or vasta, ecc. : « Allude il poeta nuovamente al duca suo signore,
che aNemi, presso il lago omonimo, aveva ridotto in oliveti la maggior
parte di sue non colte tenute » (Vicchi, i, p. 240).
167. De* oecropli arboscelli : Degli olivi cosi detti da Cecrope (v. la n. 1
a p. 1).
168. Minerva : Questa dea insegnò agli Ateniesi l'agricoltura e soprattutto
la coltivazione dell'olivo.
218 PARTB in.
Alla manca un signor d'alta fortuna, 175
Che con raro consiglio ed ardimento
Dell'antico orror suo già spoglia avea
L'indocile montagna, e le ritrose
Alpestri glebe all'ostinata cura
Del pio cultore ad obbedir costrette. iso
Mentre, all'ombra d'un elee, e all'ozio in seno
Che il suo signor gli ha fatto, anzi il suo dio,
Un poeta non vii l'aspre vicende
Di Feronia cantava e per sentiero
Non calcato traea l'itale Muse. i&
All'ultimo con raro magistero
L'indomito Vulcan v'ayea scolpita
Una dolente giovinetta madre,
Che, con ambe le mani al crin facendo
Dispetto ed onta, su la fredda spoglia 100
Di tre figli piangea tolti alla poppa.
Taciturna e dimessa il padre Tebro
Volgea qui l'onda: su la mesta riva
Ploravano le ninfe, e al Vaticano
Una nube di duol copria la fronte. 195
Lacrime tante alfìn, tanti sospiri
Facean forza al ciel, finché la santa
Madre d'Amor a consolar la donna
Dal terzo cerchio le piovea nel grembo
De' fecondi suoi raggi il quarto frutto. 200
Siccome vaga tremula farfalla
Scendea quell'alma, e nel materno seno
L'avventurosa si venia vestendo
Di sì lucido vel, ch'altro non fece
Mai più bell'ombra a più leggiadro spirto. 8C5
Al felice nata! presenti avea
Sculte il fabbro le Grazie, inclite dive
Senza il cui nume nulla cosa è bella.
175. Un signor, ecc. : Il duca Bruschi.
178. Ritrose : Refrattarie alla coltivazione : si migliati te significato ha in-
docile.
182. Che il suo signor, ecc. : Ricorda U virgiliano (Ecl., i, 6) : « Deus no
bis haec olia fecit ».
183. Un poeta, ecc. : Il p. allude a sé stesso.
185. Non oalzato : Per un argomento non trattato da altri poeti.
188. Una dolente, ecc. : Costanza Falconièri allora sposa al Braschi.
191. Di tre figli: Le erano morti tre figli appena nati.
191. E al Vatioano, ecc. : Della morte dei tre figli di donna Costanza fu
dolentissimo Pio vi, zio del duca Braschi.
197. Jaoean forza, ecc.: Petrarca. P. I, canz. xi, 38: « E faccia forza
al cielo, Asciugandosi gli occhi col bel velo ».
198. Madre d'Amor, ecc. : Venere che dal suo terzo cielo le dà il quarto
frutto, il quarto figlio, nella seconda metà del 1784.
206. Senza U oni nome, ecc. : In modo simile dice delle Grazie nel v. 8 del
Serm. sulla Afit.
LA FBRCWIADE. 219*
Vera Lucina, a cui fùr date in cura
Della vita le porte; eravi Giuno «io
De 1 talami custode; e di Latona
L'alma figlia pur v'era, a cui dolenti
S'odon nei parto sospirar le spose;
E in disparte frattanto un aureo stame
Al fatai fuso ravvoigean le Parche. 215
Belle rugose antiche dee son tutte
Di pallid'oro le tremende facce,
E d'argento le chiome e i vestimenti.
Del narciso d'A verno incoronate
Van le rigide fronti, e un cotal misto 220
Mandan di riverenza e di paura,
Che l'occhio ne stupisce e il cor ne trema.
Dell'industre Vulcan l'opra tal era,
Mirabile, immortale. Affumicato
E in gran faccenda l'indefesso iddio ?:s
Di qua di là scorrea per la fucina,
Visitando i lavori e rampognando
I neghittosi : con le larghe pale
Altri il carbon nelle fornaci infonde
Scintillanti e ruggenti: altri con rozze 230
Cantilene, molcendo la fatica,
Dà il flato e il toglie ai mantici ventosi,
Che trenta ve n'avea di ventre enormi :
Qual su i'incude le roventi masse
Del metallo castiga, e qual le tuffa 235
Nella fredda onda, che gorgoglia e stride.
Rimbomba la caverna ; e dalle fronti
Di quei Aeri garzoni in larga riga
Va il sudor per le gote e le mascelle
Sui gran petti pelosi. In questo mezzo 210
S'appr esentò la veneranda Giuno
Nella negra spelonca, e parve il fulgido
Volto del sole che fra dense nubi
209. Lucina: Questa dea, che ci richiama appunto l'idea della luce, favo-
riva i parti come ostetrici: e proteggeva i nati. Si noti però che l'epiteto di
Lucina é pur dato a Giunone, e Catullo nel carme XXXIV, 13, fa tutt'una
di Diana e di Giunone Lucina.
211. Di Latona, ecc.: Diana.
219. Del naretso : « Le Parche si fanno incoronate di narciso, perché que-
sto flore sparge un odore narcotico che intorpidisce i nervi e però é dedi-
cato alla Morte di cui é fratello il Sonno » (Mg.).
236. Che gorgoglia, ecc. : Questa descrizione della fucina di Vulcano è
ispirata a Virgilio, Aen., vili, 449 (v. anche nelle Georg., rv, 170):
« Alii ventosis follibus auras Accipiunt redduntque : alii stridentia tingunt
Aera lacu ».
237. Rimbomba, ecc.: Virgilio, 1. e, 451: « Gemit impositis incudibus
antrum ».
220 PARTE III.
Improvviso si mostra. E Bronte, il primo
Che la vide venir, die segno agli altri 213
Di sostarsi e cessar per lo rispetto
Della moglie di Giove. Udì Vulcano
Della madre l'arrivo, e frettoloso,
Fra tanaglie e martelli e sgominate
Di metalli cataste zoppicando, 250
Le corse incontro ; e, presala per mano,
Di fuliggine tutta le ne tinse
La bianca neve. Prestamente quindi
Le trasse innanzi un elegante seggio
Che d'oro avea le sponde e lo sgabello 255
Di liscio cassitòro; ove la diva
Posò l'eburnee piante, e così stando
Di sua venuta le cagioni espose.
E primamente lamentossi a lungo
Dell'adultero Giove ; alle cui voglie 200
Poco essendo la Grecia, ancor ripiena
De' suoi muggiti e dei suoi nembi d'oro,
E per tante or di cigno or di serpente
E di zampe caprigne ed altri vili
Frodi d'amor contaminata e guasta, 205
Or ne venia d'Italia anco le belle
Spiaggie a bruttar de' suoi lascivi ardori,
Della moglie dimentico e del cielo.
E qui fé' conta del fanciullo imberbe
La mentita sembianza e i conceduti 270
Di Feronia complessi, e come assunta
Al concilio de' numi era la druda;
E seguì, che per questo ella d'Olimpo
Lasciato avea le mense e le cortine
De' talami celesti, e che desio 275
Sol di vendetta la traea de' Volsci
Vagabonda sul lido, ove già rotti
I primi sdegni avea con alta mole
D'acque coprendo le pomezie valli
un metallo più prezioso di quello che sia realmente.
265. Prodi d'amor : Tutte queste amorose frodi, a cui ricorse Giove, sono
narrate da Ovidio nel vi delle Met. f 103, effigiate nella tela di Aracne. Cfr.
anche la Musog., 118 e sgg. Si sa che Giove si mutò in toro per l'amore di
Europa, in pioggia d'oro per Danae, in cigno per Leda, in serpente per
Proserpina e in satiro per Antiope.
LA FfiRONIADE. 221
E le cittadi alla rivai devote; ego
Ma non tutte però, che salva alcuna
JN'avean dall'onde le montagne intorno -,
Quindi ben paga non andar, se tutto
Non abbatte, non guasta, non diserta
L'abborrito paese. Or prendi, o figlio, «5
Dell'eterno tuo fuoco una favilla;
Sveglia i tremoti che oziosi e pigri
Dormon nel fianco di quei monti ; orrendo
Apri un lago di fiamme, ardi le rupi,
Struggi i campi e le selve: e più non chieggo, wo
Intento della madre alle parole
Stava Vulcano, ad una lunga mazza
Il cubito appoggiato ; e, poi che Giuno
Al ragionar die fine, in questi accenti
Sulle piante mal fermo egli rispose: 205
Ben io t'escuso, madre, se di tanta
Ira t'accendi; che d'amor tradito
Somma è la rabbia; ed io mei so per prova,
Io misero e deforme, e ancor più stolto
Che bramai d'una diva esser marito 300
Bella, è ver, ma impudica e senza fede.
Pur ti conforta, che per te son io
A tutto far disposto. Io sotto i muri
Lagrimosi di Troia a tua preghiera .
Già col Xanto pugnai, quando spumoso 305
Co' vortici ei respinse il divo Achille,
Che di sangue troian gonfio lo fea;
E i salci gli avvampai, gli olmi, i ciperi
E l'alghe e le mirici in larga copia
Cresciute intorno alla sua verde ripa. 310
Or pensa se vorrò non adempire,
Di Giove in onta, il tuo desir; di Giove
Mio nemico del par che tuo tiranno.
Ti rammenta quel dì che, fra voi surta
291. Intento, ecc. : « Vulcano é rappresentato in atto quasi conforme ad
Apollonio Rodio (Arg., iv, 956), allorché sta osservando il passaggio dei
Mmii fra le rupi cianée. Questo a mirar dello spianato sasso In su la vetta
il re Vulcan medesmo Stava in pie ritto, la pesante spalla Sovra il manu-
brio del martel poggiando » (Mg.).
300. D'una diva : Di Venere, che cedette all'amore del dio Marte, e di ciò
arse di gelosia Vulcano. V. la descrizione di questi amori e della gelosia di
Vulcano in Omero, Od. vxn, 266-366.
307. Gonfio lo fea Ombro, /*., xxi, 342 e sgg., descrive la pugna d'Achille
col Xanto che, sentendo la sua corrente impedita da molti cadaveri dei
Troiani uccisi dal Pelide, lo aveva invano pregato di cessar dalla strage.
306. I ciperi : Specie di giunchi.
309. Le mirici : Le tamerici.
£22 PARTE 111.
Su l'Olimpo contesa, avventurarmi 315
In tuo soccorso io volli. Egli d'un piede
M'afferrò furibondo, e fuor del cielo
Arrandellommi per l'immenso vóto.
Intero un giorno rovinai col capo
In giù travolto e con rapide rote 320
Vertiginose. Semivivo alfine
In Lenno caddi col cader del sole:
E chi sa quante in quell'alpestre balza
Lunghe e dure m'avrei doglie sofferte,
Se Eurinome, la bella ocèanina, 325
E l'alma Teti doloroso e rotto
Non m'accogliean pietose in cavo speco,
A cui spumante intorno ed infinita
D'Oceàn la corrente mormorava.
Ivi per tema del crudel mi vissi 330
Quasi due lustri sconosciuto e oscuro
Fabbro d'armille e di fermagli e d'altre
Opre al mio senno inferiori e vili.
Or i tuoi torti, madre, io lo prometto,
E in uno i miei vendicherò: poi venga, 333
Se il vuol, qua dentro a spaventarmi questo
Ssduttor di fanciulle onnipossente,
Ingiusto padre ed infedel marito:
Vedrem che vaglia del suo carro il tuono
Senza il fulmine mio, senza l'aita 340
Del paio martello. In così dir Tirato
Dio sulla mazza con la man battea:
Poi gittolla in disparte, e corse ad una
Delle fornaci. All'infocate brage
Appressò le tenaglie: una ne trasse 315
D'inestinguibil tempra, e in cavo rame
L'imprigionò. Di cotal pòste carchi
Della spelonca uscir Vulcano e Gì uno,
Quai fameliche belve che di notte
322. Dal sole: Omero, IL, i , 7S4, traci. M. : « Il crudo Afferrommi d'un
piede e mi scagliava Dalle soglie celesti un giorno intero Rovinai per
l'immenso e riiinito in Lemno caddi col cader del Sole ».
325. Eurinome : Ninfa che Omero. II., xviii, 545 chiama : « Del rifluente
Oceano la figlia ». Teti, figlia del cielo e della terra, dea del mare.
327. In cavo speco : Con identici versi il p. traduce i vv. 403-5 del xvin
dell'Iliade.
330. Ivi per tema, ecc. : Omero, 1. e. : « Quasi due lustri in compagnia mi
vissi, E di molte vi feci opre d'ingegno, Fibbie ed armille tortuose e vezzi
E bei monili ... ».
346. E in cavo rame : Tasso, Oer. Lib^ xn, « E lor porge di zolfo e di
bitume Due palle, e n cavo rame ascosi lumi ».
349. Guai, ecc. : Virgilio, Aen., n, 355 : « Inde lupi ceu Raptores atra in
nebula quas improba ventris Exegit caecos rabies », da cui pure imitò il
Tasso, Ger. Lib., xix, 35.
LA FERONIADW. 223
Lasciali la tana, e taciturne e crude 350
Yan nell'ovile a insanguinar l'artiglio.
Della squallida grotta in su l'uscita
Di rugiadose stille allor raccolte
Dalle rose di Pesto Iri coperse
La sua reina, e, con ambrosia il divo 355
Corpo lavando, ne deterse il fumo
Ed ogni tristo odor. Dagl'immortali
Capelli della dea quante sul suolo
Caddero gocce del licor celeste,
Tante nacquer viole ed asfodilli. 360
Mosse, ciò fatto, la tremenda coppia
Circondata di nembi; e come lampo
Che solca il sen della materna nube
Con sì rapido voi che la pupilla
Per quella riga a seguitarlo e tarda, 3C5
Tal di Giuno e Vulcano è la prestezza.
Su la vetta calar precipitosi
Delle rupi setine, onde la faccia
Scopriasi tutta del sommerso piano.
Guarda (disse Giunon), riguarda, figlio, 370
.Di mia vendetta le primizie. E in questo
Gli mostrava l'orribile palude
Da freschi venti combattuta e crespa,
Mentre i raggi del sol volti all'occaso
Scorrean vermigli su l'incerto flutto; 375
Del sole, che parea dall'empia vista
Fuggir pietoso e dietro i colli albani
Pallida e mesta raccogliea la luce.
Già moria sulle cose ogni colore,
E terra e ciel tacea, fuor che del mare 3so
L'incessante muggito; allor che pronto
Il fatai vase scoperchiò Vulcano,
E all'aura scintillar la rubiconda
Bragia ne fece. Ne sentirò il puzzo
I sotterranei zolfi e le piriti 385
E gli asfalti oleosi; e, dal segreto
353. Di rugiadose stille, ecc. : « Questa circostanza del lavare che fa Iride
colla rugiada il corpo di Giunone, allorché essa esce dall'inferno, é tolta
da Ovidio, Met., iv. 478 .. . Anche Dante, uscito dall'inferno, fa che Vir-
gilio gli deterga colla rugiada del purgatorio le guancie lacrimose {Pttrg. 1,
v. lèi e sgg.) »(Mg.)-
360. Asfodilli : Pianta dai fiori bianchi della famiglia delle gigl iacee.
375. lacerto : Ondeggiante, risponde al crespa del v. 373.
376. Del sole, ecc. : Lo stesso dice nei vv. 154 e sgg. del C. V della Ma-
scher.
380. E dal segreto amore, ecc. : Dall'attrazione dei corpi.
224 PARTE III.
Amor sospinti che tra loro i corpi
Lega e l'un l'altro a desiar costrigne,
Ne concepir meraviglioso affetto,
E di salso umidor pasciuti e pingui 300
Si fermentare) ed esalar di sopra
Improvvisa mefite. E pria le nari
Ne fùr de' bruti e de' volanti offese,
Che tosto piene le contrade e i campi
Fèr di lunghi stridori e di lamenti. 395
N'ulularono i boschi e le caverne,
E tutti intorno paurosi i fonti
N'ebber senso d'orror. Corrotte allora
La prima volta le caronie linfe
Mandar l'alito rio, che tetro ancora 400
Spira e infamato avvicinar non lascia
Nò greggia nò pastor. L'almo ruscello
Di Feronia turbossi, e amare e sozze
Dalla pietra natia spinse le polle
Sì dolci in prima e cristalline. E Alcone 405
Pastor canuto, che v'avea sul margo
Il suo rustico tetto, a so chiamando
Su l'uscio i figli, e il mar, le selve, il cielo
Esaminando, e palpitando: Oh! (disse)
Noi miseri, che fia? Mirate in quale 410
Fier silenzio sepolta ò la natura!
Non stormisce virgulto, aura non muove
Che un crin sollevi della fronte: il rivo,
Il sacro rivo di Feronia anch'esso
Ve' come sgorga lutulento e fugge 415
Con insolito pianto ; e là TVlelampo
Che in mezzo del cortil mette pietosi
Ululati e da noi par che rifugga
E a so ne chiami. Ah chi sa quai sventure
L'amor suo n'ammonisce e la sua fede! 420
Poniamo, figli, le ginocchia a terra;
Supplichiamo agli dèi che certo in ira
Son co' mortali. Avea ciò detto appena.
302. Mefite : Aria non respirabile prodotta da esalazioni putride sul-
furee. — E pria le nari, ecc. : I bruti e gli uccelli sembra avvertano prima
degli uomini i cataclismi e soprattutto 1 terremoti.
309. Le caronie linfe : « Non lontano da Terracina , vedovasi il fonte Ca-
ronte, dal cui velenoso alito venivano uccisi gli uomini e gli animali ; il
quale chiuso dai posteri e riempito di sassi, cessò d'infierire » (Vetusetn*
vum Latium del padre Kircher, 1, cap. 7).
401. Infamato : Di pessima fama, cóme Orazio disse : « Infames scopulos
Acroceraunios », che 1* Ariosto tradusse: « L' Acroceraunio d'infamato
nome ».
LA PBROtflADfi. 225
Ohe tingersi mirò l'aria in sanguigno.
E cupo un rombo propagossi. Il rombo «6
Venia dall'opra di Vulcan ; che, ratto
La montagna esplorando, ove più vivo
Con lo spesso odorar sentia l'effluvio
De' commossi bitumi, entro un immane
Fendi mento di rupi era disceso, iso
Buio baratro immenso, a cui di zolfi
Ferve in mezzo e d'asfalti un bulicame,
Che in cento rivi si dirama e tutte
Per segreti cunicoli e sentieri
Pasce le membra degl'imposti monti 435
In questa di tremuoti atra officina
Lasciò cader Mulcibero l'ardente
Irritato carbone. In un baleno
Fiammeggiò la vorago, e scoppi e tuoni
E turbini di fumo e di faville 440
Avvolser tutto l'incombusto dio.
Più veloce dell'ali del pensiero
Per le sulfuree vie corse la fiamma
Licenziosa, ed abbracciò le immense
Ossa de' monti, e delle valli i fianchi, 445
E d'Anfitrite i gorghi. Allor dal fondo
Senza vento sospinti in gran tempesta
Saltano i flutti : ondeggiano le rupi,
E scuotono dal dosso le castella
E le svelte cittadi. Addolorata 450
Geme la terra, che snodar si sente
Le viscere e distrar le sue gran braccia.
E tu, padre di mille incliti fiumi
E di due mari nutritor, crollasti,
nimboso Appennin, l'alte tue cime; 455
E spezzata temesti la catena
Che i tuoi gioghi all'estreme Alpi congiugne;
Siccome il dì, che, col tridente eterno
Percotendo i tuoi fianchi, il re Nettuno
482. Un bulioame : V. la n. 151 a p. 167.
434. Cuaiooli : Gallerie sotterranee (lat.).
435. Imposti: Posti sopra (lat.),
437. Mulcibero: Epiteto di Vulcano, qui muleet ferrum, cioè fonde il
ferro.
454. E di due mari, ecc. : Del Tirreno e dell'Adriatico a cui manda le sue
acque.
458. Siccome il di, ecc.: Il geografo Pomponio Mela, lib. 11, cap. 7, gli
storici Dioporo Siculo, (iv, 87) e Giustino (ix, cap. l) e i poeti Lucano
(11, 435) e Virgilio (Aen., rn, 414) ed altri ancora dicono che la Sicilia si
staccasse per forti movimenti tellurici dal resto dell'Italia.
Monti. — Poesie. 15
$26 t>ARTB ltt.
A tutta forza dall'esperio lido 4tt
U siculo divise e in mezzo all'onde
Procida spinse ed Ischia e Pitecusa.
Pluto istesso balzò forte atterrito
Dal suo lurido trono, e, visti intorno
Crollar di Dite i muri e le colonne igs
(Che dritto a piombo su l'inferna vòlta
Il tremoto ruggia), levò lo sguardo,
E violato dalla luce il regno
De* morti paventò. Stupore aggiunse
L'improvviso nitrito e calpestìo 470
De* suoi neri cavalli, che, le regie
Stalle intronando, inferocian da strano
Terror percossi, e le morate giubbe
E le briglie scuotean, foco sbuffando
Dalle larghe narici; infin che desta 475
A quel romor Proserpi na, la bella
D' A verno imperatrice (che sovente
Prendea diletto con le rosee dita
Porger loro di Stige il saporoso
Melagrano divino), ad acchetarli. iso
Corse, e per nome li chiamò, palpando
Soavemente di que* feri il petto
Con le palme amorose. Uscito intanto
Era Vulcan dalia tremenda buca
Lieto dell'opra, e con piacer crudele 4S5
Contemplava la polve e il denso fumo
Delle svelte città. Giace Mugilla,
E la ricca di pampani e d'olivi
Petrosa Ecètra, e la turrita Arteria,
E l'illustre per salda intatta fede 490
Erculea Norba, a cui di cento greggi
Biancheggiavano i colli. E tu cadesti,
Cora infelice, e nelle tue ruine
460. Dall'esperio lido, ecc. : Virgilio, Aen. , in, 41S : « Hesperium sìculo
latus abscidit ».
462. Pitecusa : Oggi Pitiusa. Si disse che anch'essa, con Ischia e Procida,
si staccasse dal continente.
463. Pluto lstesso : V. la n. al v. 112 del Sei*m. sulla Mitol., e i vv. 405-8
della Afu80(j.
480. Melagrano divino : V. la n. al v. 205 del C. I. Plutone aveva pian-
tato in inferno il melagrano che aveva fatto si che Proserpina non tornasse
dalla madre sua Cerere.
487. Muglila : Città posta sui monti Lepini tra Gora e Sezze.
489. Eoétra: Non lontana da Cora e da Art^na pure sui monti Lepini.
490. E l'iUustre, ecc. : Era presso il borgo che oggi dicesi Norma tra
l' Astura e il Ninfeo : si credeva che Ercole ne fosse stato il fondatore. I
Norbani si segnalarono per la loro fedeltà al Romani dopo la battaglia di
Canne, e ne furono ringraziati dal Senato.
1
LA. *8RONlAl>E. 22?
Ii6 ceneri perir sante del primo
Ausonio padre ; nò poter giovarti ius
Di Dardano i Penati, né degli almi
Figli di Leda la propizia stella
Che all'aprico, tuo suol dolce ri dea.
Voi sole a terra non andaste, o sacre
Ansure mura ; che di Giove amica 500
Vi sostenne la destra, e la caduta
Non permise dell'ara, ove tremenda
Riposava la folgore divina.
Sentì di voi pietade il dio, di voi,
E non senti Ha delle bianche chiome 505
D'Alcon, d'Alcone il più giusto, il più pio
Dell'ausonia contrada. Umilemente
Al suol messo il ginocchio, il venerando
Veglio tenea levate al ciel le palme;
E a canto in quel medesmo atto composti 510
Gli eran due tigli in vista si pietosa,
Che fatto avria clementi anco le rupi,
Quando venne un tremor che violento
Crollò la casa pastorale, e tutta
In un sùbito, ahi !, tutta ebbe sepolta 515
L'innocente famiglia. Unico volle
La ria Parca lasciar Melampo in vita,
Raro di fede e d'amistade esempio.
Ei, rimasto a plorar su la rovina,
Fra le macerie ricercando a lungo 520
Andò col fiuto il suo signor sepolto,
Immemore del cibo, e le notturne
Ombre rompendo d'ululati e pianti :
Finche quarto egli cadde, e non gl'increbbe,
Più dal dolor che dal digiuno ucciso. 523
Fortunato Melampo ! se qualcuna
Leggerà questi carmi alma cortese,
Spero io ben che n'andrà mesta e dolente
Sul tuo fin miserando. Il tuo bel nome
Ne' posteri sarà quello de' veltri 52D
Più generosi: e noi malvagia stirpe
404. Del primo, ecc.: Di Giano a cui pare fosse dedicato un tempio in
Cora.
407. Tigli di Leda : In Cora era un tempio dedicato ai figli di Leda, Ca-
store e Polluce.
511. In vista, ecc. : In aspetto cosi pietoso.
512. Che fatto avria, ecc.: Ariosto, Ori. F\ir.> 1, 40: « Che avrebbe di
pietà spezzato un fonte ».
525. Più dal dolor, ecc. : Dante, Inf. 9 xxxin, 75: « Poscia più che ii do-
lor potè il digiuno ».
228 fAfcTfi in.
Dell'audace Giapeto, a cui peggiori
I figli seguirai!, noi dalle belve
La verace amicizia apprenderemo.
CANTO TERZO.
Contenuto. — Giove, mosso a pietà dell'orrenda distrazione che Vulcano
e Giunone avevano fatta per tutta la valle pontina, manda Mercurio alla
irata dea ancora spirante vendetta, ad annunziarle il divieto di distruggere
il tempio di Feronia, perché potente sarà un di Italia e Roma. Già é in
fiamme tutto il bosco di Feronia, quando Giunone e Vulcano arrivano al
tempio dell'infelice dea ; ma Mercurio ne impedisce la distruzione, Vulcano
fugge e Giunone torna al cielo. Feronia intanto, costretta ad andar raminga
lungi dai suoi cari luoghi, nella casa del pastore Lica dà sfogo con pietosi
lamenti al suo dolore. Si addormenta e Giove le appare, la consola e le pre-
dice come il suo regno un giorno risorgerà . per opera d'un pontefice,
Pio Vi.
All'ardua cima del sereno Olimpo
Risalia Giove intanto, e ad incontrarlo
Accorrean presti e riverenti i numi
Su le porte del cielo. In mezzo a tutti,
In due schierate taciturne file, 5
Maestoso egli passa; a quella guisa
Che suol, ealando al pallido occidente,
Passar tra i verecondi astri minori
D'Iperione il luminoso figlio,
Quando dall'arsa eclittica il gran carro ìp
Della luce ritira, e l'Ore ancella
Sciolgono dal timon bianco di spuma
I fumanti cavalli. Ai saffici alberghi
Dell'aurea reggia risx»ettesi i divi
Accompagnar l'onnipotente; e, giunti 15
Al grande limitar, per sé medesme
Si spalancar sui cardini di bronzo
Le porte d'oro, che uno spirto move
Intrinseco e possente; e tale intorno
532. Dell'audace Giapeto: V. la n. 45 a p. 23. — A cui peggiori, ecc.: Ora-
zio, Od., Ili, vi, 46: « Aetas parentum, peior avis, tuIitNos nequiores, mox
daturos Progeniein vitiosiorem ».
534. Anche nel Bardo (C. VII in fine) il p. ha voluto porre un episodio
assai simile a questo e lo termina con una sentenza uguale « . . Se imitarne
la fede un di sapremo, Noi la vera amistade impareremo ».
6. Maestoso, ecc. : In tal modo é accolto dagli altri dei Giove nella sua
reggia nelP/Z., i, 706, trad. M.
, 8. latri minori : Le steUtv *
0. D'Iperione, ecc. : Il sole, figlio del Titano Iperione e di Tia.
, 1JL L'Ore anesU», ecc. : V. )* ». SI* a p. 32.
13. Ai sacri alberghi , ecc. : Meglio che Virgilio, Aen., x, 1», oVé pure
qualcosa di simile, giova qui ricordare Omero, 1. e, ove sono quasi le stesse
parole: « Rizzarsi Tutti ad un tempo, da' lor troni i numi Verso- il gran
padre ; né veruno ardissi Aspettarne il venir ferme al suo seggio, Ha mos-
ser tutta ad* incontrarlo ».•.•• ' • '
16. Per sé medesme : V. la n. 38 a p. 181. • -
LA FERONIADB. 229
Nell'aprirsi mandar cupo un ruggito, so
Che tutto ne tremò l'alto convesso.
Ivi in parte segreta, a eui nessuno .
Non ardisce appressar degli altri eterni
(Fuor che le meste e querule Preghiere,
Che libere pel ciel scorrono e al nume »
Portano i voti degli oppressi e il pianto),
L'egioco padre in gran pensier s'assise
Sovra il balzo d'Olimpo il più sublime.
Contemplava di là giusto e pietoso
De' mortali gli affanni e le fatiche: so
Mirò d'Ausonia i campi e la pontina
Valle in orrendo pelago conversa;
Mirò per tutto (miserabil vista !)
Le sue tante cittadi, altre sommerse,
Altre per forza di tremuoto svelte 35
Dalle ondeggianti rupi, e la catena,
Donde pendon la terra e il mar sospesi,
Scuotersi ancora ed oscillar commossa
Dalla tremenda di Vulcan possanza.
Ciò tutto contemplando in suo segreto, io
Non fu tardo a veder che tanto eccesso,
Tanta rovina saria poco all'ira
Della fiera consorte. In compagnia
Del potente de' fuochi egli la vide
Verso la sacra selva incamminarsi, 45
Ove Feronia nel maggior suo tempio
Di vittime, d'incensi e di ghirlande
Dalle genti latine avea tributo.
Di Giuno ei quindi antivedendo il nuovo
Scellerato disegno, a sé chiamato 50
Di Maia il figlio, esecutor veloce
21. L'alto convesso : La volta celeste. È il « supera convexa » di Virgilio,
A.€ti. vi 241
26. Portano, ecc. : V. la n. al verso 50 del C. Ili della Bassvill.
27. L'egioco : V. la n. 44 a p. 72.
28. Sovra 11 balzo, ecc. : Omero, II., 1, 600 e sgg. trad. M. : « Sul più su-
blime de* suoi molti gioghi In disparte trovò seduto e solo L'Omni veggente
Giove ».
34. Sue : Perché sotto la protezione di Giove Ansùro» come é detto nel
Canto I.
36. E la oatena, ecc. : « Il poeta si é giovato d'una sublime immagine di
Milton, in fine del libro secondo del Par, perd., ove Satanno aJ l'uscir e
dell'inferno vede : « L'empireo cielo in circuito d'ampia E non determinata
estensione . . . (Sua già nativa sede) e quivi presso Da una catena d'or pen •
dente questo Sospeso mondo » (Trad. del Rolli). Ambedue poi i poeti eb-
bero cotale immagine da Omero (IL, lib. vili, v. 10 del testo) quand'egli la
dire a Giove : « Alla vetta dell'immoto Olimpo annoderò la gran catena »
(Mg.). ^
41. Del potente, ecc. : Del signore del fuoco, di Vulcano.
51. Di Maia il figlio: Mercurio.
230 - PARTE 111.
De' suoi cenni, gli fé' queste parole :
Nuove furie gelose, o mio fedele,
Hanno turbato alla mia sposa il petto:
E quai del suo rancor già sono usciti , 55
Senza misura lacrimosi effetti,
Non t'è nascoso. Uri simulacro avanza
Dell'esule Feronia, un tempio solo
Di tanti che già n'ebbe ; e questo ancora
Vuole, al suolo adeguar la furibonda. 00
Or che consiglio è il suo ? Stolta, che tenta ?
Se rispettar le nostre ire non sanno
Le sante cose in terra e i monumenti
Dell'umana pietà, chi de' mortali
Sarà che più n'adori e nella nostra 65
Divina qualità più ponga fede ?
Prendi adunque sul mar tirreno il volo,
T'appresenta a Giunon carco de' miei
Forti comandi. Con le fiamme assalga,
Se- tanto è il suo disegno, anco la selva 73
r Ch'ella a ciò si prepara, e consentire
10 le vo' pur quest'ultima vendetta) ;
Ma, se l'empia oserà stender la destra
•Alle sacre pareti e violarne
11 fatai simulacro, alla superba 75
Tu superbo farai queste parole:
Fisso è nel mio volere (e per la stigia
Onda lo giuro) che Tachea contrada
Lasciar debbano i numi, e nell'opima
Itala terra stabilir più fermo, 80
Più temuto il lor seggio. Io le catene
Del mio padre Saturno ho già disciolte,
E l'offesa obbliai che mi costrinse
A sbandirlo dal ciel. L'ospite suolo,
Che ramingo l'accolse e ascoso il tenne, • ss
Sacro esser debbe, né aver dato asilo
Di Giove al genitor senza mercede. ■
Dopo il beato Olimpo, in avvenire
Sia dunque Italia degli dei la stanza:
E di là parta un dì quanto valore od
Della mente e del braccio in pace e in guerra
63. I monumenti : I templi.
77. E per la stigia : L'Averno era attraversato da quattro fiumi,, lo Stipo, il
Oocito, l'Acheronte e il FJegetonte ; per lo Stige giuravano solennemente gli dei.
82. Del mio padre Saturno: Saturno, figlio d'Urano e di Vesta, fu detro-
nizzato .e incatenato da Giove suo figlio.
84. L'ospite suolo : Saturno, esiliato in Italia, vi fu ospitato da Giano.
Là FERONIADE. 231
Farà suggetto il mondo, e quanta insieme
Civiltà, sapienza e gentilezza
Renderanno l'umana compagnia
Dalle belve divisa e minor poco 95
Della divina. A secondar V eccelso
Proponimento mio già nello speco
Della rupe cumea mugge d'Apollo
La delfica cortina, ed esso il dio,
Dimenticata la materna Delo, 100
Ai dipinti Agatirsi ama preporre
Del Soratte gli scalzi sacerdoti.
Già la sorella sua di Cinto i gioghi
Lieta abbandona e le gargafie fonti,
Del nemorense lago innamorata. 103
Alle sorti di Licia han tolto il grido
Le prenestine, e di Laurento i boschi
Tacer già fanno le parlanti querce
Della vinta Dodona. In su la spiaggia
D'Anzio diletta Venere trasporta no
D'Amatunta i canestri ; e Bacco e Vesta
E Cerere e Minerva e il re dell'onde
Son già numi latini. E alle latine
D'Elide Tare già posposi io stesso,
97. Nello speco, ecc. : In un antro presso. Cuma una Sibilla, profetessa di
Apollo, dava gli oracoli di quel dio.
" 99. Ed esso li dio, ecc.: Virgilio, Aen., iv, 113: « Qualis, ubi hibernam
Lyciam Xantique lluenta Doserit, ac Delum maternam invisi t Apollo, In-
stauratque choros, mixtiquo aitarla circum Cretesme Dryopesque fremunt
pictique Agatyrsi ».
100. Materna: Perchè Apollo vi ebbe i natali.
101. Dipinti Agatirsi : Erano costoro popoli della Scizia adoratori di Apollo
Iperboreo, li dice dipinti, perché usavano il tatuaggio. Dice infatti Pompo-
nio Mela. (lib. Il, cap. 1): « Dipingono il volto e le membra, e più e meno
secondo la condizione di ciascheduno ... ».
102. Bòi Soratte, ecc. : 11 Soratte era un monte dell' Etruria (ora monte
S. Oreste). Il Mg. riferisce il seguente passo di Plinio (St. Nat., vii, cap. 2) :
« Poco lontano da Roma nel territorio de' Falisci havvi alcune famiglie le
quali chiamansi Irpie, che, nell'annuo sacrifizio che fossi .ad Apollo presso
il monte Soratte, camminano, senza bruciarsi, sopra un mucchio di legna
ridotta in brage ... ».
103. La sorella sua : Diana. — Cinto : Monte della Licia.
101. Le gargafie fonti : V. la n. al v. 88 del C. II.
108 Alle sorti di Licia : « Apollo aveva un famoso tempio in Pataro, città
della Linia, provincia dell'Asia Minore, ove gli oracoli erano dati per mezzo
delle sorti, e però si chiamavano Lyciae Sortes ... ». Fra i Latini poi era
celeberrimo il tempio della Fortuna in Preneste, a cagione delle Sorti, le
quali erano state ritrovate in mezzo d'una pietra ...» (M^.).
107. Di Laurento i bosohi : « Erano famosi per gli oracoli di Fauno. In quel
territorio eravi pure un bosco di allori consacrato ad Apollo » (Mg.).
108. Le parlanti querele : V. la n. a v. 417 del C. I.
111. D'Amatunta i canestri: Nell'isola di Cipro nella città d'Amatunta delle
fanciulle nelle feste di Venere portavano gli arredi sacri in cestelle di fiori,
e si dicevano Canefore.
114. Elide : In questa regione del Peloponneso e precisamente nella pia-
nura d'Olimpia era un gran tempio a Giove.
232 PARTE IU.
E sul Tarpeo recai dell'Ida i tuoni 115
E le procelle. Perocché maturo
Già s'agita nell'urna il gran destino,
Che gloriosa dee fondar sul Tebro
La reina del mondo. Al sol bisbiglio
Che di lei fanno i tripodi cumani 120
Tutta trema la terra: e già s'appressa
D'Anchise il pio figliuol, seco adducendo
D'Ilio i Penati, che faran nel Lazio
La vendetta di Troia, e spezzeranno
D'Agamennon lo scettro in Campidoglio. 125
Cotal de' fati è il giro; e disviarlo
Tenta indarno Giunon : da Samo indarno
Porta alla sua Cartago il cocchio e l'asta
E l'argolico scudo, armi che un giorno
Fian concedute con miglior fortuna 130
Di Dardano ai nepoti, allor che Giuno
Per quella stessa region, su cui
Tanta mole di flutti ora sospinse,
Placata scorrerà del Lazio i lidi.
Ivi sull'ara Sospita le genti 135
L'invocheranno ; ed ella, il fianco adorna
Delle pelli caprine e dentro il fumo
De' lanuvini sagrificii avvolta,
Tutti a mensa accorrà d'Ausonia i numi
Cortesemente, e porgerà di pace 140
A Feronia l'amplesso : onde, già fatte
Entrambe amiche, toccheran le tazze
Propinando a vicenda, e in larghi sorsi
115. Tarpeo : Su questo monte, che fu detto Campidoglio , era un tempio
a Giove Tonante. Dalla *ua nativa Ida in Creta, dice il p., era qua venuto
Giove.
HO. La reina del mondo : Roma.
120. I tripodi oumani : Lo are fatidiche nel tempio d'Apollo in Coma.
128. D'Anchise ... il figliuol: Enea.
124. La vendetta di Troia, ecc. : Vendicheranno la distrutta Troia, assogget-
tando il popolo greco che, condotto da Agamennone, aveva vinto quell'infe-
lice città. Virgilio. Aen. t 1, 283: « Veniet lustris labentibus aetas, Quum
domus Assaraci Phtiam clarasque Mycenas Servitio premet ac viclis domi
nabitur Argis ».
127. Da Samo, ecc. : Virgilio, Aen. t 1. 15 : « Quam (Carthaginem) Inno
fertur terris magis omnibus unam Postnabita coluisse Samo ... ».
131. Alior ohe Giano, ecc. : Virgilio, Aen., 1, 279 : « Quin aspera Inno,
Quae mare nunc terrasque metu coelumque fatigat, Consilia in melius re-
feret, mecumque fovebit Romanos rerum dominos gentcmque togatam ».
135. Sospita : « Giunone Lanuvina (cosi chiamata da Lanuvio, città e mu-
nicipio del Lazio do Velia era particolarmente venerata), la quale é detta
anche Sospita o Sispita, cioè Salvatrice, viene rappresentata in diverse me-
daglie ed in una statua del Museo Pio dementino . . . colla testa coperta da
una pelle di capra, lo cui zampe davanti le si allacciano sul petto ed il ri-
manente discende intorno al busto fino ad essere legato sui fianchi da una
larga cintura » (Mg.),
LA FBRONIADB. 233
L'obblio beran delle passate cose.
Va dunque, e sì le parla. Il suo pensiero 145
Volga in meglio l'altera, e alle sue stanze
Rieda in Olimpo; che l'andai' vagando
Più lungamente in terra io le divieto.
E se niega obbedir, tu le rammenta
Le incudi un giorno al suo calcagno appese; 133
E dille che la man che ve le avvinse
Non ha perduta la possanza antica.
Disse; e Mercurio ad eseguir del padre
Il precetto s'accinse. E pria l'alato
Petaso al capo adatta ed alle piante i?5
I bei talari, ond'ei vola sublime
Su la terra e sul mare e la rattezza
Passa de' venti. Impugna indi l'avvinta
Verga di serpi, prezioso dono
Del fatidico Apollo il dì che a lui 1C3
L'argicida fratel cesse la lira :
Con questa verga tutta d'oro in vita
Ei richiama le morte alme, ed a Pluto
Mena le vive, ed or sopore infonde
Nell'umane pupille ed or ne '1 toglie. 165
Si guernito e con tal d'ali remeggio
Spiccasi a volo. Occhio mortai non puote
Seguitarne la foga: in men che il lampo
Guizza e trapassa, egli è già sceso, e preme
II campano terreno, un di nomato ira
Campo flegrèo, famosa sepoltura
De' percossi giganti. Intorno tutta
150. Le incudi, ecc.: Giove dice a Giunone neir/f.,xv, 23: « E non ram-
menti il di ch'ambe le mani D'aureo nodo infrangibile t'avvinsi, E alla ce-
leste volta con due gravi Incudi al piede penzolon t'appesi » Il Correggio
dipinse questo soggetto nel monastero di S. Paolo in Parma. Un simileca-
stigo infligge Ulisse a Melanzio (Od., xxir, 209).
155. Petaso : Specie di cappello con due ali.
156. I bei talari : Consimile descrizione é in Omero, Od. y v, 55, trad. Pede-
monte e in Viro., Aen., iv, 238 : « primum pedibus talaria nectit aurea, quae
sublimerai alis sive aequora supra seu terram rapido pariter cum flamine
portant ».
159. Verga: Il caduceo.
160. fatidico : Apollo era anche dio della divinazione.
161. L'argicida : Mercurio, l'uccisore di Argo. Dopo aver inventato la lira,
la cedette, per averne il caduceo, ad Apollo.
163. Ei richiama, ecc. : Mercurio era pure dio del sonno e della veglia.
Questi versi traducono i sgg. di Virgilio, 1. e. : « hac (virqa) animas ille
evocat Orco Pallentis, alias sub Tartara tristia mittit, Dat somnos adimit-
que et lumina morte resignat ».
166. D'ali remeggio : V. la n. 194 a p. 95.
171. Campo flegrèo : « Flegrèi si chiamavano alcuni campi della Campania,
ov'era il Foro di Vulcano, presso Pozzuoli e la palude Acherusia . . . L'ab
bondare dello zolfo e del fuoco in questi campi si é poi la cagione che i
poeti collocano in essi il teatro della pugna de' Giganti cogli dei ... » (Mg.).
234 PARTE III.
xManda globi di fumo la pianura,
Ed ogni globo dal gran petto esala
D'un fulminato. A fronte alza il Vesevo 173
Brullo il colmi gno, ed al suo pie la dolce
Lagrima di Lieo stillan le viti.
Lieve lieve radendo il folgorato
Terren di Maia il figlio e la marina
Sorvolando, levossi all'erte cime iso
Della balza circèa, che di Peronia
Signoreggia la selva. Ivi fer mossi,
Qua! uom che tempo al suo disegno aspetta:
E, di là dechinando il guardo attento
Al piano che s'avvalla spazioso 185
Fra l'ansiire dirupo ed il circèo
E tutto copre di Feronia il bosco,
A quella volta acceleranti il passo
Vide Griuno e Vulcano, armati entrambi
D'orrende faci, ed anelanti a nuova 190
Nefanda offesa. All'appressar di quelle
Vampe nemiche un lungo mise e cupo
Gremito la foresta: augelli e fiere,
A cui natura, più che all'uom cortese
Presentimento die quasi divino, 105
Da subito terror compresi, i dolci
Nidi e i covili abbandonar stridendo
E ululando smarriti e senza legge
D'ogni parte fuggendo. I primi incendi
Eran già desti : e già di Giuno al cenno, 200
Già la sua fida messaggera e ancella
Verso Eolia battea preste le penne,
Con prego ai venti di soffiar gagliardi
Dentro le fiamme, e promettendo pingui
In nome della dea vittime e doni ; 203
Come il dì che d'Achille ai* caldi voti,
175. D'un fulminato : Si credette che i Giganti fulminati da Giove eruttas-
sero flamine di sotto al terreno che li teneva oppressi.
177. Lagrima di Lieo : « Il Redi nel Ditirambo chiamò questo vino il san-
gue che lagrima il Vesuvio ; ed a questo passo fa la seguente annotazione :
« Parla di quei vini rossi di Napoli, che sono chiamati Lacrime ...» (Mg ).
1S3. fiual uom, ecc. : Petrarca , P. I, son. 2 ; « Com'uom clTa nuocer
luogo e tempo aspetta ».
186. L'ànsure dirupo: Lo scoglio di Terracini.
101. A oui natura, ecc. : Cfr. i vv. 302 e sgg. del C. II.
201. La sua fida, ecc. : Iride.
202. Eolia : Il regno de' venti vicino alla Sicilia.
206. Come il di, ecc. : Neil'/!., xxm, 101 e sgg. Achille, vedendo che non
ancora avvampava il rogo del morto Patroclo, supplica i venti Ponent3 e
Tramontana di animare le fiamme, affinché struggano presto la pria. Ed
essi lo contentano.
LA. FBRONIADB. 235
Del morto amico gli avvampar la pira.
Già stendendo venia l'umida notte
Sul volto della terra il negro velo,
E in grembo al suo pastor Cinzia dormia; 210
Quando i figli d'Astreo con gran fracasso
Dall'eolie spelonche sprigionati
S'avventar su l'incendio, e per la selva
Senza freno lo sparsero. La vampa
Esagitata rugge, e dalla quercia 215
Si devolve su l'olmo e su l'abete:
Crepita il lauro ; e le loquaci chiome
Stridono in capo al berecinzio pino
A sfidar nato su gli equorei campi
D'Africo e d'Euro i tempestosi assalti. 220
Già tutta la gran selva è un mar di foco
E di terribil luce, a cui la nòtte
Spavento accresce; e orribilmente splende
Per lungo tratto la circèa marina;
Simigliante al Sigeo, quando gli eletti 225
Guerrier di Grecia del cavallo usciti
In faville mandar d'Ilio le torri,
E atterrita la frigia onda si fea
Specchio al rogo di Troia, miserando
Di tanti eroi sepolcro e di tant'ire. 230
All'orrendo spettacolo il feroce
Cor di Giuno esultava ; e impaziente
Di vendicarsi al tutto (che suprema
Voluttà de' potenti è la vendetta),
Un divampante tizzo alto agitando i33
E furiando, vola al gran delubro
Ch'unico avanza della sua nemica,
Ferma in cor d'atterrarlo, incenerirlo
E spegnere con esso ogni vestigio
Dell'abbonito culto. Armato ei pure 210
D'empia face Vulcan seguia non tardo
La fiera madre ; e già le sacre soglie
210. Cinzia dormia : Diana «'innamorò del pastore Endimione dormente
nella spelonca di Latmo, monte della Caria.
ili. I figli d'Astreo : I Venti, secondo Esiodo nella Teogonia, erano fi-
gliuoli d'Astreo e dell'Aurora.
217. Loquaoi: Rumoreggiante
218. Berecinzio pino : Il pino era sacro a Cibele che si chiamava anche Be
recinzia dal monte della Frigia nell'Asia Minore ove nacque.
225. Sigeo : Nell'acque dello stretto di Sigeo si riflettevano le fiamme il
giorno che i Greci incendiarono Troia : Virgilio, Aen., 11, 312: « Sigaea igni
ir età lata relucent ».
226. Del cavallo asciti : Gli eroi greci usciti dal cavallo di legno appicca-
rono il fuoco alla città.
236 PARTE IH.
Calcano entrambi : dai commossi altari
Già fugge la pietà, fugge smarrita
La fede avvolta nel suo bianco velo: 243
Con vivo senso di terrore anch'esso
Si commosse il tuo santo simulacro,
O misera Feronia, e un doloroso
Gemito mise (meraviglia a dirsi 1),
Quasi accusando d'empietade il cielo, 250
Ma del tigliuol di Maia, a ciò spedito,
Non fu tarda l'aita in tanto estremo:
E, come stella che alle notti estive
Precipite labendo il cielo fende
Di momentaneo solco, e va sì ratta 255
Che l'occhio appena nel passar l'avvisa;
Non altrimenti il dio stretto nell'ali
11 sereno trascorse, e rilucente
Sul vestibolo sacro appresentossi. -
All'improvvisa sua comparsa il passo 260
Stupefatti arrestar Vulcano e Giuno,
E si turbar vedendoci di fronte
Starsi ritto Mercurio, e imperioso
Contro il lor petto le temute serpi
Chinar dell'aurea verga e così dire : 265
Fermati, o diva: portator son io
Di severa ambasciata. A te comanda
L'onnipossente tuo consorte e sire,
Di gettar quelle faci, e inviolata
Quest'effige lasciar e queste mura. 270
Riedi alle stanze dell'Olimpo, e tosto :
Che ti si vieta andar più lungamente
Vagando in terra, e funestar di stragi
Le contrade latine, a cui l'impero
Promettono del mondo il Fato e Giove. 273
E di Giove e del Fato a mano a mano
Qui le aperse i voleri, e il tempo e il modo
De* futuri successi ; e non die fine
245. La fede, ecc. : Orazio, Od., I, xxxv, 21 : « Te Spes, et albo rara Fi-
des colit Velata panno ». Anche Virgilio, Aen. t 1, 292 la chiama « cana Fi-
des ». La Fede si rappresentava bianco vestita, o perché si trova ne' can-
didi uomini, o perche sacrificando a lei si doveva avere la mano fasciata
di bianco, come dice Servio commentando il cit. verso di Virgilio.
253. Come stella : Virgilio, Aen., 11, 603 : « de caelo lapsa per umbras
Stella facem ducens multa cum luce cucurrit ».
251. Precipite labendo : Scendendo a precipizio. 11 latinismo « labendo » è
derivato dal 1. e. di Virgilio che della medesima stella dice : « Illam, somma
super labentem culmina tecti » (cfr. Dante. Par > VI, 51). Cosi anche lì
momentaneo solco è derivato dal « longo limite sulcus » del v. 697.
265. Dell'aurea verga : Del caduceo d*oro coi serpenti attorcigliati*
LA FBRONIÀDE. 237
All'austero parlar, che ricordolle
Le incudi un giorno al suo calcagno appese, eso
E il braccio punitor, che non avea
Perduta ancora la possanza antica.
Cadde il tizzo di mano a quegli accenti
Al dio di Lenno; e tra le vampe e il fumo
Si dileguò, nò disse addio, nò parve ?85
Aver malfermo a pronta fuga il piede.
Ma con torvo sembiante e disdegnoso
Si ristette G-iunon, chò rabbia e tema
Le stringono la mente; e par tra i ferri
La generosa belva che gli orrendi 200
Occhi travolve, e il correttor flagello
Fa tremar nella man del suo custode.
Senza dir motto alfln volse le spalle,
E rotando* in partir la face in alto
Con quanta pia poteo forza la spinse: 805
Vola il ramo infiammato, e di sanguigna
Luce un grand'arco con immensa riga
Segna per l'etra taciturno e scuro.
Il sidicino montanar v'affìsse
Stupido il guardo, e sbigottissi; e un gelo 300
Corse per Tossa al pescator d'Amsanto.
Quando sul capo ruinar sei vide
E cader sibilando nella valle;
Ove suona rumor di fama antica,
Che del puzzo mortai che ancor v'esala 305
L'aria e l'onde corruppe, ed un orrendo
Spiraglio aperse che conduce a Dite.
Come allor che su i nostri occhi Morfeo
Sparger ricusa la letea rugiada,
D'ogni parte la mente va veloce, 310
E fugge e torna e slanciasi in un punto
279. Rioordolie. ecc. : Ripete i vv. 149 e sgg., imitando anche in ciò gli
epici e soprattutto Omero. Vedine un esempio anche nel Tasso, Oer. Lib. t 1,
l£e 16.
299. Il sidicino montanar : Monti Sidicini si dicevano quelli che sono presso
ai monti di Sessa Aurunca.
304» Ove suona rumor, ecc. : « Il poeta immagina aperto dal cadere dei-
rinfiammata verga lanciatavi da Giunone il famoso spiraglio d'Amsanto,
da cui. esala ancora un'aria mefitica » (Mg.).
306. Ed nn orrendo spiraglio, ecc. : Questo spiraglio che è nella valle oggi
detta Lago di Ansante è cantato da Virgilio , Aen. t xn, 568 : « hic specus
horrendum et saevi spiracula Ditis Monstrantur, ruptique ingens Acheronte
vorago Pestifera* aperit fauces, quia condita erinys, Invisum numen, terras
caelumque levabat ».
308. Morfeo : Dio del sonno.
309. La letea rugiada : Cosi chiama il sonno, pe.chè ci fa dimenticare i
mali della vita come faceva il fiume Lete a chi vi beveva.
238 PARTB 111.
Dall'aurora all'occaso, e dalla terra
Alla sfera di Giove e di Saturno;
Con tal prestezza si sospinse al cielo
La ritrosa Giunon. L'Ore custodi 313
Delle soglie d'empirò incontanente
Alla reina degli dèi le porte
Spalancar dell'Olimpo, e la bionda Ebe,
Ilare il volto e l'abito succinta,
Le corse incontro con la tazza in mano 330
Del nettare celeste ; ed ella un sorso
Nò pur gustò dell'immortal bevanda;
Che troppo d'amarezza e di rammarco
Avea l'anima piena. Onde, con gli occhi
In giù rivolti e d'allegrezza privi, 325
Nò a verun degli dei, che surti in piedi
Erano, al suo passar fatto un saluto,
Il passo accelerò verso i recessi
Del talamo divino; ed ivi entrata
Serrò le porte rilucenti, e tutte 330
Ne furo escluse le fedeli ancelle.
Poiché sola rimase, al suo dispetto
Atjbandonossi ; lacerò le bende ;
Ruppe armille e monili, e gettò lunge
La clamide regal, che di sua mano 335
Tessè Minerva e d'auree frange il lembo
Circondato n'avea. Nò tu sicura
Da' suoi furori andar potesti, sacra
Alla beltad'e inacessibil ara,
Che non hai nome in cielo, e tra' mortali 310
Da barbarico accento lo traesti
Cui le Muse abborrìr. Cieca di sdegno
Ti ricercò la dea : cadde e si franse
Con diverso fragor l'ampio cristallo,
313. Alla sfera di Giove, ecc. : Alle più alte sfere, che quelle di Giove e di
Saturno erano la sesta e la settima, secondo il sistema tolemaico.
315. L'Ore custodi : V. la n. 80 a p. 82.
318. Ebe : La leggiadra dea della giovinezza , figlia di Giove e di Giu-
none.
319. Il volto e l'abito : Accus. di relazione.
320. Con la tazz >, ecc. : Ebe versava in auree tazze il nettare agli dei. Cfr.
Ombro, II., iv, 2.
330. Le porte rilucenti : Tali sono anche nella descrizione che Omero fa
del talamo di Giunone nel xiv dell'/I., 165 e sgg.
335. La clamide: Manto. Il p. nella trad. dell r 27., 1. e, la chiama: « il di-
vino Peplo . . . che Minerva avea Con grand'arte intessuto ».
338. saora, ecc. . Anche il Parini nel Mezzog., 43 , chiama la toelette
della dama: « l'ara tutelar di sua beltade ».
341. Da barbarico accento, ecc. : Accenna alla barbara parola « toilette »,
ormai però per necessita divenuta italiana.
344. L'ampio cristallo : Lo specchio che per lo più era allora di bronzo
o di stagno, o d'oro, o d'argento ; ma talvolta era anche di vetro.
1
LA miONtÀDfi. 239
Che in mezzo dell'aitar sorgea sovrano 315
Maestoso e superbo ; e in un confu»si
N'andar sossopra i vasi d'oro e l'urne
Degli aromi celesti e de' profumi,
Onde tal si diffuse una fragranza,
Che tutta empiea la casa e il vasto Olimpo. 350
Mentre così l'ire gelose in cielo
Disacerba Griunon, quai sono in terra
Di Feronia le lagrime, i sospiri ?
Ditelo, d'Elicona alme fanciulle,
Voi che l'opere tutte e i pensier anco S53
De' mortali sapete e degli dei.
Poi che si vide l'infelice in bando
Cacciata dal natio dolce terreno,
D'are priva e d'onori, e dallo stesso
(Ahi sconoscenza !) dallo stesso Giove 300
Lasciata in abbandono; ella dolente
Verso i boschi di Tri via incamminossi
E ad or ad or volgea lo sguardo indietro
E sospirava. Sul piò stanco alfine
Mal si reggendo, e dalla lunga via SC3
E più dal duolo abbattuta e cadente,
Sotto un elee s'assise ; ivi, facendo
Al volto letto d'ambedue le palme,
Tutta con esse si coprì la fronte,
E nascose le lagrime, che mute
Le bagnavan le gote, e le sapea 370
Solo il terren che le bevea pietoso.
In quel misero stato la ravvolse
Dell'ombre sue la notte; e in sul mattino
11 sol la ritrovò sparsa le chiome 375
E di gelo grondante e di pruina;
Perocché per dolor posta in non cale
La sua celeste dignitade avea,
Onde al corpo divin l'aure notturne
Ingiuriose e irriverenti furo sso
Siccome a membra di mortai natura.
Lica intanto, di povero terreno
350. Che tutta empiea, ecc. : Omero, II., xiv 183 e sgg., trad. M. : «divina
essenza Fragrante si, che negli eterni alberghi Del Tonante agitata, e cielo
e terra D'almo profumo ritempia ».
351. D'Elicona alme, ecc.: le Muse.
362. Trivia: Diana Ncmorense.
366. Si noti questo verso che nel suo lento procedere bene esprime la stan-
chezza e l'affi zio ne di Feronia.
382. Di povero terreno, ecc.: Moretum pseudovirgiliano.^-ò: « Simylui
exigui cultor . . . rusticus agri. Trìstia venturae metuens ieiunia lucis ,
Membra levat vili sensim demissa grabato ».
240 *àktb iti.
Più povero cultor, dal letticciuolo
Era surto con l'alba, e del suo campo
Visitando venia le orrende piaghe
Che fatte avean la pioggia, il ghiaccio, il vento 385
Agli arboscelli, ai solchi ed alle viti.
Lungo il calle passando ove la diva
In quell'atto sedea, da meraviglia
Tocco e più da pietà, che fra leselve soo
Meglio che in mezzo alle cittadi alberga,
S'appressò palpitando, e la giacente
Non conoscendo (che a mortai pupilla
Diffìcil cosa è il ravvisar gli dei),
Ma in lei della contrada argomentando 305
Una ninfa smarrita: tu, chi sei,
Chi sei (le disse), che sì care e belle
Hai le sembianze e dolor tanto in volto?
Per chi son queste lagrime? t'ha forse
Priva il ciel della madre, del fratello, 400
dell'amato sposo? che son questi
Certo i primi de' mali onde sovente
Giove n'affligge. Ma, del tuo cordoglio
Qual si sia la cagion, prendi conforto,
E pazienza opponi alle sventure 405
Che ne mandano i numi: essi nemici
Nostri non son ; ma col rigor talvolta
Correggono i più cari. Alzati, donna;
Vieni, e t'adagia nella mia capanna
Che non è lungi ; e le forze languenti 410
Ivi di qualche cibo e di riposo
Ristorerai. La mia consorte poscia
Di tutto l'uopo ti sarà cortese,
, Ch'ella è prudente e degli afflitti amica;
E qual figlia ambedue cara t'avremo. 413
Alle parole del villan pietoso
S'intenerì la diva, e in cor sentissi
La doglia mitigar, tanta fra' boschi
Gentilezza trovando e cortesia.
Levossi in piedi ; ed ei le resse il fianco, 420
E la sostenne con la man callosa.
300 Che fra leselve, ecc.: Cfr. coivv.22 esgg. dell'Invito d'un solitario
ad un cittadino.
803. Che a mortai pupilla, ecc. : Inno a Cerere, trad. Lamberti : « Che a
mortai occhio Dittici! troppo é il ravvisar gli Dei ».
405. Pazienza opponi : Anche nel cit. Inno Clessidice, una delle figlie di
Celeo, dice a Cerere : « O donna, ciò che mandano gl'Iddìi, Ancor ohe spiac-
ela, tollerare é d'uopo ».
LA FERONIADE. 241
Nell'appressarsi, nel toccar ch'ei fece
Il divin vestimento, un brividio,
Un palpito lo prese, un cotal misto
Di rispetto, d'affetto e di paura, 4 55
Che parve uscir dei sensi, e su le labbra
La voce gli morì. Quindi il sentiero
Prese in ver la capanna, e il fido cane
Nel mezzo del cortil gli corse incontro:
Volea latrar; ma, sollevando il muso 430
E attonite rizzando ambe le orecchie,
Guardolla, e muto su l'impressa arena
Ne fiutò le vestigia. In questo mentre
Alla cara sua moglie Teletusa
Il buon Lica dicea: Presto sul desco 435
Spiega un candido lino ; e passe ulive
Recavi e pomi e grappoli che salvi
Dal morso abbiam dell'aspro verno, e un nappo
Di soave lambrusca, e s'altro in serbo
Tieni di meglio ; che mostrarci è d'uopo 4io
Come più puossi liberali a questa
Peregrina infelice. Allor spedita
Teletusa si mosse, e in un momento
• Di cibo rustical coperse il desco,
Ed invitò la dea; la quale assisa 413
Sul limitar si stava, e immota e grave
L'infinito suo duol premea nel petto.
Né già tenne l'invito, che mortale
Corruttibil vivanda non confassi
A palato immortai ; ma ben di trito 450
Odoroso puleggio e di farina
D'acqua commisti una bevanda chiese,
Grata al labbro de' numi, e l'ebbe in conto
Di sacra libagion. Forte di questo
Meravigliossi Teletusa ; e, fiso 455
Di Feronia il sembiante esaminando
445. Assisa, ecc. : « Lo starsi assiso sul limitare della casa ospitale era
proprio de' supplichevoli o degli infelici profondamente oppressi dalla di-
sgrazia. In quella situazione è rappresentata Cerere dall'autore dell'Inno
attribuito ad Omero. Ed Ulisse, rientrato nelle sueicase sotto le sembianze
di iin mendico, siede nel vestibolo : e quivi avviene il famoso combatti-
mento tra lui ed il pezzente Irò. Vedi V Odissea, lib. xvm, in principio »
(Mg.).
450. Ma ben di trito, ecc. : Inno cit. : « In questa, Di dolcissimo vin colma
una tazza Appresentolle Metanira : ed essa La ricusò, dicendo, non per lei
Il rubicondo vino esser bevanda : Ma comandò che d'acqua e di farina, E
di trito puleggio insiem commisti Le si desse una beva ». Come si vede il
p., attingendo a questo Inno greco, aveva dinanzi a sé proprio questa tra-
duzione del Lamberti.
453. E l'ebbe : Inno cit. : « . . . in conto l'ebbe Di sacra libagione ».
Monti. — Poesie. 16
242 PARTE III.
(Poiché al sesso minor diero gli dei
Curiose pupille e accorgimento
Quasi divin), sospetto alto la prese,
Che si tenesse in quelle forme occulta 4go
Cosa più che terrena. Onde in disparte
Tratto il marito, e il suo timor gli espose,
E creduta ne fu; che facilmente
Cuor semplice ed onesto è persuaso.
Allor Lica narrò quel che poc'anzi 465
Assalito l'avea strano tumulto,
Quando a sorger in piò le porse aita
E con la mano le soffolse il fianco.
Poi, seguendo, di Bauci e Filemone
Rammentar l'avventura, e quel che udito 470
Da' vecchi padri avean, siccome ascoso
Fra lor nelle capanne e nelle selve
Stette a lungo Saturno, e noi conobbe
Altri che Giano. In cotal dubbio errando
Si ritrassero entrambi, e lasciar sola ìt>
La taciturna diva. Ella dal seggio
Si tolse allora; e due e tre volte scórse
Pensierosa la stanza, e poi di nuovo
Sospirando s'assise, e in questi accenti
Al suo fiero dolor le porte aperse : iso
Donde prima degg'io, Giove crudele,
Il mio lamento incominciar? Già tempo
Fu che, superba del tuo amor, chiamarmi
Potei felice ed onorata e diva.
Or eccomi doserta; e non mi resta 485
Che questo sol di non poter morire
Privilegio infelice. E fino a quando
Alla fierezza della tua consorte
Esporrai questa fronte ? Il premio è questo
De' concessi imenei ? Questi gli onori 100
E le tante in Ausonia are promesse,
Onde speme mi desti che la prima
Mi sarei stata delle dee latine?
Tu m'ingannasti: l'ultima son io
Degl'immortali, ahi! lassa!; e non mi fero 4»
Illustre e chiara che le mie sventure.
Rendimi, ingrato, rendimi alla morte,
Alla qual mi togliesti. Entro quell'onde
468. Soffolse: Sorresse (lat.).
469. Bauoi e Pilemone : Ospitarono nella loro capanna Mercurio e Giove.
473. Stette a lungo Saturno : V. la n. a p. 230.
408. Alla qual mi toglieste : Facendomi dea.
LA FERONIADE. 243
Concedimi perir, che la tua Giuno
Sul mio regno sospinse, o ch'io ritrovi 500
Agli arsi boschi in mezzo e alle ruine
De' miei templi abbattuti il mio sepolcro.
Così la diva lamentassi e tacque.
Era la notte, e d'ogni parte i venti
E Tonde e gli animanti avean riposo, 505
Fuorché l'insetto che ne' rozzi alberghi
A canto al focolar molce con lungo
Sonnifero stridor l'ombra notturna ;
E Filomena nella siepe ascosa
Va iterando le sue dolci querele. 510
In quel silenzio universale anch'essa
Adagiossi la dea vinta dal sonno;
Che dopo il lagrimar sempre sugli occhi
Dolcissimo discende, e la sua verga
Le pupille celesti anco sommette. 515
Quando il gran padre degli dei, che udito
Dell'amica dolente il pianto avea,
A lei tacito venne ; e, poi che stette
Del letto alquanto su la sponda assiso,
Di quel volto sì caro addormentato 52j
La beltà contemplando, alfìn la mano
Leggermente le scosse, e nell'orecchio
Bisbigliando soave: mia diletta,
Svegliati, disse, svegliati ; son io
Che ti chiamo ; son Giove. A questa voce 523
Il sonno l'abbandona ; apre le luci,
E stupefatta si ritrova in braccio
Del gran figliuolo di Saturno. Ed egli
Riconfortala in pria con un sorriso,
Che di dolcezza avria spetrati i monti 530
Ed acchetato il mar quando è in fortuna;
Poscia in tal modo a ragionar le prese:
505. Avean riposo : Ariosto, Ori. Fur. f vili. 79 : « Già in ogni parte gir
animanti lassi Davan riposo ai travagliati spirti » ? e Virgilio, Aen., vili,
26 : « Nox erat, et terras animalia fessa per omnis Alituum pecudumque
genus sopor altus habebat ».
506. L'insetto : Il grillo che, annidato nelle case campestri presso il foco-
lare, col suo monotono stridore concilia il sonno.
509. E Filomena, ecc. : V. la n. al v. 67 del Serm. sulla Mitologia.
514. E la sua verga, ecc. : Il Sonno era raffigurato dagli antichi come
un giovinetto o un vecchio con una verga in mano colla quale concilia la
quiete agli uomini e anche agli dei, onde Omero, i7., xiv, 284, trad. M., lo
chiama : « re de' mortali e degli dei ».
530. Che di dolcezza, ecc.: « Cosi Virgilio (En., 1, 251) : Olii subridens
hominum sator atque deorum Vultu quo coelum tempestatesque serenat
Oscula libavit natae » (Mt.).
244 PARTE III.
Calma il duolo, Feronia: immoti e saldi
Stanno i tuoi fati e le promesse mie ;
Nò ingannato son io, nò si cancella 535
Mai sillaba di Giove. Ma profonde
Sono le vie del mio pensiero, e aperta
A me solo dei fati ò la cortina.
Non lagrimar sul tuo perduto impero :
Tempo verrà che largamente reso 540
Tel vedrai, non temerne, e i muti altari
E le cittadi e i campi e le pianure
Bai ruderi e dall'onde e dalla polve
Sorger più belle e numerose e cólte;
D'Italia in questo i più lodati eroi 515
Porran l'opra e l'ingegno. Io non ti nomo
Che i più famosi ; e in prima Appio, che in mezzo
Spingerà delle torbide Pontine
Delle vie la regina. Indi Cetego:
Indi il possente fortunato Augusto 550
Esecutor della paterna idea;
Al cui tempo felice un venosino
Cantor sublime ne' tuoi fonti il volto
Lavorassi e le mani ; e tu di questo
Orgogliosa n'andrai più che l'Anfriso 555
Già lavacro d'Apollo. Ecco venirne
Poscia il lume de' regi, il pio Traiano,
533. Calma il duolo, ecc. : Virgilio, Aen. y 1, 257: « Parccmetu, Gytherea,
man nt immota tuorum Fata tibi ; cernes urbem et promissa La vini . . . nc-
que me sententia vertit ».
535. Né si oan cella, ecc. : Nel terzo son. sulla morte di Giuda, 14, dice :
« Né sillaba di Dio mai si cancella ».
541. Muti : Perché non vi si odono più le preghiere dei sacerdoti.
547. E in prima Appio, ecc. : « Il poeta seguita l'opinione . . . che Appio
Claudio . . . abbia il primo tentato di restituire alla coltura il territorio pon-
tino occupato dalla palude, nell'occasione che, essendo censore, concepì la
grandiosa idea di una strada che doveva condurre da Roma a Brindisi, e
la spinse per ben 142 miglia Uno a Capua » (Mg.).
549. Delle vie la regina : Cosi la chiama Stazio, Sylv., IL n, 12 : « Appia
longarum teritur regina viarum ». — Indi Cetego, ecc. : Nell'anno di Roma
560. o come altri vogliono, nel 590 « trovandosi il territorio pontino allagato
dalie acque che ne impedivano la coltivazione, un Cornelio Cetego pensò a
liberamelo, e lo liberò di fatto » (Mg.).
550. Indi il possente, ecc. : Le acque avevano di nuovo impaludato il ter
ritorio pontino ai tempi di Giulio Cesare, ed egli pensava di ricuperarlo
nuovamente alla coltura, allorché venne tolto di vita Il Corradini
(lib. il, cap. 16) ed altri, a 1 quali consente il poeta , vogliono che Augusto
abbia dato effetto a questo pensiero del suo padre adottivo , appoggiati ai
versi 65-66 della Poetica di Orazio » (Mg.).
553. Il volto lavorassi, ecc. : « Ciò racconta di aver fatto Orazio nel suo viag-
gio da Roma a Brindisi (lib. i, sat. v, v. 84) : « Ora manusque tua lavimus,
eeronia, lympha » (Mg.).
555. Anfriso : Presso questo fiume di Tessaglia Apollo pascolò il gregge
del re Admeto che l'aveva ospitato (Ovidio, Met. % i, 580).
557. Il pio Traiano, eco • « Traiano, per metter riparo ai guasti cagionati
LA PERONIADE. 245
Che, domata con Tarmi Asia ed Europa,
Col senno domerà la tua palude ;
E le partiche spade e le tedesche 5G0
In vomeri cangiate impiagheranno,
Meglio d'assai che de' Romani il petto,
Le glebe pometine. E qui trecento
Giri ti volve d'abbondanza il sole
E di placido regno, infln che il goto 505
Furor d'Italia guasterà la faccia.
Da boreal tempesta la ruina
Scenderà de' tuoi campi ; ma del pari
Un'alma boreal, calda e ripiena
Del valor d'occidente, al tuo bel regno 570
Porterà la salute. E poi di nuovo
(Che tal de' fati è il corso) alto squallore
Lo coprirà; nò zelo, arte possanza
Di sommi sacerdoti all'onor primo
Interamente il renderan, che l'opra 575
Immortai, gloriosa ed infinita
Ad un più grande eroe serba il destino.
Lo diran Pio le genti, e di quel nome
Sesto sarà
5S0
alla via Appia dalle acque della palude Pontina, fece eseguire alcune opere
che giovarono eziandio ad asciugare il territorio adiacente » (Mg.).
560. Le partiche , ecc. : Le spade tolte ai Parti e ai Germani vinti da
Traiano serviranno più utilmente a fendere le zolle pontine. Cfr. i vv. 42 e
sgg. dell'Invito d'un solitario ad un cittadino.
567. Da boreal tempesta, ecc.: « Era natuiale che per le irruzioni dei
Barbari, che posero a soqquadro ogni cosa dell' Impero romano , anche i
campi pontini restassero nuovamente sommersi dalle acque. Però, essendo
re o/Italia Teodorico, di nazione ostrogoto, un illustre discendente dei Decii,
per nome Cecilio Mauro Basilio Decio ... si offerse a lui d'asciugare quei
terreni e di ridonarli alla coltivazione. L'offerta venne accolta coll'onore
che meritava ; e l'opera fu condotta a termine in ogni sua parte perfetta-
mente » (Mg.).
573. Né zelo, ecc. : « Le acque però tornarono quando che fosse a impa-
dronirsi di que' luoghi che mai non poterono esserne liberati daddovero,
per quanto vi rivolgessero le loro cure Bonifazio Vili, Martino V, Eugenio IV
ed i suoi successori lino ad Alessandro vi, Leone X, Sisto V, Innocenzo XH,
Clemente XI, Clemente XIII, ecc. ...» (Mg.).
579. Sesto sarà : Colle lodi di Pio VI rimane interrotto anche questo poe -
metto, a cui , secondo il concetto del p., pare dovessero mancare pochi
versi, che in una lettera del 19 aprile 1827 a Samuele Iesi fa sapere che
ormai la pessima salute non gli permetteva di finirlo : « A dar fine alla Fé-
roniade, non mi mancando che una cinquantina di versi, non sono ancora
da tanto da poterli accozzare ».
INDICE
Introduzione . . ♦ I
Tavola delle opere e delle abbreviature usate nelle note . XXIX
PARTE I
Liriche.
Prosopopea di Pericle 1
Al Signor di Montgolfier. . . 7
Amor Peregrino 13
Sopra la morte 18
Sulla morte di Giuda . . 19
Invito d'un solitario ad un cittadino 22
Per il Congresso d'Udine 25
Per la liberazione d'Italia 30
Per un dipinto dell'Agricola 34
Pel giorno onomastico della sua donna 35
PARTE II
Sermoni, idilli, canti.
La bellezza dell'Universo 38
Al principe Don Sigismondo Chigi ......... 49
Pensieri d'amore 56
Alla marchesa Anna Malaspina della Bastia 58
Il Pericolo 63
Le nozze di Cadmo e d'Ermione 71
Il Sermone sulla Mitologia . o . . 79
PARTE III
Poemetti.
In morte di Ugo Bassville
Canto I 87
Canto II 98
Canto III 107
Canto IV 119
248 INDICE.
Pag.
In morte di Lorenzo Mascheroni
Canto I 134
Canto II 143
Canto III 153
Canto IV ... 162
Canto V 173
La Feroniade
Canto I 185
Canto II 211
Canto III 228
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Voi. II. (dal Libro VI al Vili) di circa pag. 432 L. 2.—
(jaIIJ (j # Scritti Scelti con introduzione e com-
mento di Aurelio Ugolini. — Volume
di pag. 360. . . ; L. 2. —
Cofll'Dllfflli J) a Cronaca con introduzione e
£- — ^ - commento di Gino Luzzatto'
- Un volume di pag. 240. . . ' . . . .' . L. 1.20
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1 • , >
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